Stegal67 Blog

Saturday, April 24, 2010

Non è ancora arrivato nella mia casella delle lettere. Ma l'ho visto.
Mi sembra arrivato dunque il momento per dare il mio personale "Bentornato Azimut!". Che sia di buon auspicio per la lettura di questo numero e per tutti i prossimi numeri, per le persone che ci lavoreranno e per coloro che lo apprezzeranno.

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IPSI DIXERUNT...

“Gli orientisti sono le persone più fortunate del mondo: perchè hanno davvero fermato il tempo!” (Guido Lorenzi)

Quando, alcuni mesi or sono, mi è stato affidato il compito di scrivere un pezzo per il primo numero del nuovo Azimut, il mio primo pensiero è stato che avrei voluto intitolarlo “Dunque, dove eravamo rimasti?...”: un ricordo legato ad uno degli episodi televisivi rimasti nella memoria della mia generazione, il ritorno in video di Enzo Tortora alla conduzione di “Portobello”, nel 1987.

“Dove eravamo rimasti?...” aveva rappresentato in quell’occasione il modo delicato e toccante per riannodare una emozione e un feeling, tra il pubblico e la trasmissione, che non si erano mai interrotti nemmeno nei momenti più tristi. Così il mio “Dove eravamo rimasti?...” avrebbe voluto dare corpo a quel filo invisibile che collega l’ultimo numero di Azimut che avevo ricevuto tanti anni fa, ed il nuovo Azimut che nasce oggi circondato da una tecnologia che fa pensare alla fine degli anni ’90 come ad una era preistorica. Alcuni esempi? Abbiamo lasciato Azimut agli albori delle prime gare nelle quali si usava lo SportIdent! (credo che il mio primo impatto con questo aggeggio che temevo di perdere ad ogni passo sia stato alla 5 giorni della Valle di Non 1998). In un momento nel quale la tecnologia Ocad per la gestione delle mappe di gara non era ancora così diffusa, andavamo sicuri per i boschi con una carta sulla quale i punti erano disegnati a mano... Il software Origare, che tante società hanno poi imparato ad usare, muoveva i primi passi ed il suo ideatore Bepi Simoni era talvolta costretto a rientrare precipitosamente dal bosco per aiutare la segreteria gara!

E le notizie? Ed i calendari? Quante società poco più di 10 anni or sono affidavano le iscrizioni alla “catena telefonica”, quanti orientisti collezionavano i volantini cartacei recuperati alle varie gare per organizzare le successive trasferte... I risultati venivano allo stesso modo diffusi in formato cartaceo, talvolta chi se ne andava dal campo di gara prima delle premiazioni veniva a sapere il nome dei vincitori alla gara successiva (se poteva contare su qualche testimone oculare...). Internet non era ancora così diffuso dal diventare il principale strumento di diffusione delle notizie orientistiche... e vogliamo forse parlare dei blog?

Tutti questi strumenti, ormai fondamentali per il nostro sport, non c’erano ancora quando ha visto la luce l’ultimo Azimut del XX° secolo. Tutto questo oggi lo abbiamo... e torniamo anche ad avere il nostro Azimut! E’ vero, sono passati oltre 10 anni. Il buon Hans Steinegger, che inventò la prima versione di Ocad, “passed away”... ci ha lasciato nel 2005, ed altri vuoti si sono creati tra le fila dei tanti amici che correvano con noi e con noi sul campo di gara leggevano quegli Azimut. Dopo 10 anni non abbiamo più alcuna sensazione strana nel maneggiare quello strano aggeggio rosso (o multicolore) che registra il nostro passaggio nel bosco e soprattutto rimane imperituro testimone delle nostre abilità e nefandezze orientistiche: non sentiamo più qualcuno dire “ero in testa fino all’ultima lanterna!”... se non quando succede realmente! Ci capita ancora qualche volta di gareggiare con una carta old style, con i percorsi disegnati a mano dagli organizzatori che fanno tardi la sera cimentandosi con cerchiografo e pennarelli rossi... ma solo per alcune gare regionali o promozionali, ed i cerchietti sbilenchi o con il classico sbuffo di colore trascinato via dal supporto di plastica danno forse un piacevole brivido a chi era già orientista una o due generazioni fa.

Ecco, questo sarebbe stato il mio “Dunque, dove eravamo rimasti?...”. Ma il 2009 mi ha portato in dono, era il 6 giugno, un incontro speciale. A Sant’Orsola, Val dei Mocheni, l’Orienteering Pergine ha festeggiato il 30° compleanno con una festa alla quale sono intervenuti i “pionieri” dell’orienteering italiano. E’ lì che ho ascoltato le parole di Guido Lorenzi con le quali si apre questo pezzo. E’ in quell’occasione che Bruno Bosin, un altro pioniere, ha raccontato le motivazioni che spinsero queste persone a dare vita al CISO, il Comitato Italiano Sport Orientamento: “Abbiamo visto uno sport che ha una valenza culturale, di sfida prima di tutto con se stessi e poi con gli avversari, che sta a contatto con la natura e vi si immerge come nessun altra disciplina sportiva. Come potevamo starne lontani?”

Ma soprattutto, il colpo di grazia lo ha dato Carlo Alberto Valer: “Sono arrivato alla gara e ho subito incontrato due concorrenti. Parlavano del tracciato, parlavano del tracciatore... e discutevano di un punto che secondo loro non era posato benissimo. E ho pensato: ma in 30 anni non è cambiato niente ?!?!?”

Ma... se non è cambiato niente in 30 anni, non può essere cambiato nulla neppure in 10! E questo “Dove eravamo rimasti?...”. Rimasti. Verbo che parla di immobilità. Stato in luogo. Se c’è uno sport che non è mai fermo, mi sono detto, questo è l’orienteering: uno sport che si evolve ogni giorno, con continuità. Ti fermi a ragionare su quello che è stato, e subito il nuovo giorno ti porta una nuova avventura: nell’orienteering non ci si può fermare a ragionare nemmeno nel bosco... al limite si può rallentare appena un po’ per ripartire di slancio! Per uno sport che non ha mai interrotto la propria evoluzione, non potevo proprio pensare di proporre un titolo così “immobile”. Un’altra lezione dai pionieri.

Preferisco allora affidare il bentornato (“tornare”... verbo di movimento) ad Azimut con le parole che arrivano, indovinate un po’?, da un blog. E’ quello di Eddy Sandri http://eddysandri.blogspot.com/
Credo che nel pezzo che segue ci siano esattamente i contorni che definiscono il nostro sport. SportIdent o no, mappe al laserscan o no, XX° secolo o XXI° secolo. Ve lo lascio (con il permesso dell’Autore) come augurio per tutti gli orientisti e per il loro ritrovato Azimut.

“L'orientamento non è uno sport che si conclude con la gara in se stessa. Esso vive piuttosto di diversi momenti che messi assieme danno la sua unica ed inimitabile piacevolezza.
La gara inizia la settimana prima, quando si corre a leggere i comunicati gara, a cercare qualche notiziola, qualche lembo di carta o qualche foto che faccia almeno immaginare ciò che ci attenderà la domenica. Nei giorni che precedono la gara si iniziano a vedere le liste degli iscritti, prima, e le griglie di partenza, poi, e si possono così studiare gli avversari e preparare le tattiche da adottare.
La sera precedente (o più spesso la mattina stessa della gara) si prepara il borsone con tutti gli armamentari del caso. Poi il ritrovo con i compagni di squadra e partenza per la meta designata. A questo punto c'è la trepidante attesa della partenza fatta di lunghe chiacchierate con gli amici-avversari. Una usanza pericolosa, che rischia spesso di farmi arrivare in ritardo alla partenza. Quello che accade poi, è ciò che sta fra start e finish, e si chiama gara. La performance agonistica, un tentativo tante volte goffo, altre errato di correre verso la meta designata con in mano la mappa di gara.
E poi? Beh... qualcuno direbbe che è tutto finito. Ed invece è qui che inizia il bello.
Già al ristoro si incontrano gli avversari che, giunti al traguardi, diventano di nuovo amici; si inizia così a scambiare considerazioni ed a segnare improbabili percorsi sulla mappa, confrontandosi punto per punto con il foglietto degli split times appena fornito alla tenda dello scarico. Il ristoro si sposta ben presto al bar dove si attendono le premiazioni ed il malinconico ritorno a casa. Il week end è finito e con esso anche la gara ...

Ed invece no! Ci sono i risultati da scaricare, gli splits da confrontare, c’è da fare un giro di tutti i blog dei partecipanti alla gara, andare a vedere gli album fotografici, allenarsi con i compagni di squadra continuando le discussioni sull'orientamento.
Insomma una gara può durare ben più dell'oretta della competizione e normalmente può occupare tutta la settimana precedente e quella seguente l'evento” (Eddy Sandri)

“Dunque, dove eravamo rimasti?...”. In un bosco. Con una carta di gara in una mano ed una bussola nell’altra. E con un Azimut che ci aspetta al traguardo per accompagnarci fino alla prossima avventura.
Oggi Azimut è tornato da noi. O noi siamo tornati da Azimut. In fondo non importa... in fondo non vi capita mai, anche nel bosco, di non sapere se siete voi ad aver raggiunto la lanterna o se è la lanterna che vi è corsa incontro?

Stefano Galletti – stegal67@hotmail.com

Friday, April 16, 2010

Una volta ho scritto un intero post prendendo una risposta di Bepi Simoni ed usandola come se fosse una intervista al sottoscritto.
Questa volta, senza chiedere il permesso ed assumendomene tutta la responsabilità, prendo il tri-commento al post sulla gara sprint di Monghidoro scritto da un Atleta, da un Organizzatore, da una Persona che si è prodigata oltre l'ammissibile a favore di coloro che hanno partecipato alla Due giorni del Cus Bologna.

Tante volte ho scritto un pezzo sul mio blog commentando questo o quell'evento visto dalla parte di chi inserisce il proprio nome in classifica. Pochissime volte, se non mai, ho avuto la fortuna di leggere un pezzo così intimamente vissuto dal'linterno di una organizzazione della quale gli eventi naturali avrebbero giustificato una eventuale debacle... che non c'è stata! Ma, eventi naturali o no, mi ritengo fortunato come orientista ad avere la possibilità di comprendere quanto è stato scritto: non posso correre veloce come lui, ma posso capire ciò che ha scritto. E sono rimasto a bocca aperta e senza parole: è un diario umano ed organizzativo nel quale ogni parola ha un peso, ogni frase è una sentenza; andate a leggere dove scrive "Quello che mi fa rabbia e mi ha intristito, è averle viste, e "sentite" quelle facce." e pensate intimamente alle vostre sensazioni.

Concludo la mia prefazione, il mio ringraziamento al Cus Bologna per quanto ha fatto. A Giorgio e Flavio, a Mauro e Francesco (con quest'ultimo si è sorbito i miei frizzi ed i lazzi per la staffetta M35 del 1999...), a Paolo "il lungo" e Pancio e Andrea, a Sara, ad Andrea&Massimiliano, a Miki&Michi, al papà di Michi e a chi non ho avuto la fortuna di incrociare.

L'autore del post? E' immortalato dalla foto. Grazie Marco!


(credito per la foto: http://worldofo.com/ )


Caro Stefano,
mi ci è voluta quasi una settimana per riprendere dei ritmi circadiani decenti, dei ritmi di allenamento usuali e dei ritmi di circalavoro sufficienti... Percio' "rispondo" solo adesso, ringraziandoti per le belle parole, piacevolmente stupito da un post quasi personalizzato (troppo buono da parte tua) e piacevolmente colpito dalla dovizia di particolari e dalla interpretazione perfetta che hai dato alla vicenda.

Ti diro' che il peso delle mie parole forse lo sentii di piu' quando a fine 2007 Tiziano Zanetello mi chiamo' alla giornata nazionale della formazione a commentare i percorsi elite delle gare dell'anno. Puo' essere facile gettare il sasso e nascondere la mano quando si è dietro il banco, ma non è mai semplice mettersi dall'altra parte della cattedra, a cercare di spiegare e far comprendere. Quelle rare volte che mi è capitato di farlo in senso non figurato, mi hanno effettivamente lasciato qualcosa.

Fu una sensazione complicata, quel giorno sul lago, cio' che posso aggiungere e che non potevi sapere fino in fondo è che i laghi di Fusine sono la tipica destinazione gitana da Trieste e dal Friuli, sia come gita scolastica, sia come passeggiata domenicale, sia da scampagnata con gli amici. Quei posti che ti rimangono impressi da bambino e che quando diventi "patito" non puoi che vedere con la tipica bacata considerazione "qui ci vedrei una gran bella gara in una giornata di sole" (tra l'altro quell'angolo d'Italia è anche il piu' piovoso). Chiaro che le mie aspettative fossero alte. Inoltre, va detto che gli organizzatori di Fusine la sprint l'avevano pensata diversa, piu' in basso, ma sfortunatamente non gli fu concesso l'uso di alcuni prati. Va detto che per me Janos è uno dei migliori tracciatori che abbiamo in Italia (non per caso, secondo me, visto che se scorri gli annali dell'oringen il suo è uno dei nomi italiani che si possono trovare - l'esperienza conta!), che mi ha sempre fatto divertire tra i sassi, siano veneti, siano friulani, e che quel percorso era decisamente bello e che mi sono effettivamente divertito, pur sbagliando.

E' solo che tecnicamente assomigliava di piu' a una middle che a una sprint, ma pazienza, un movimento cresce anche con queste esperienze. Magari per alcuni che anche hanno corso a Monghidoro, l'esperienza con la sprint è ancora limitata e i suoi aspetti non ancora sviscerati. Per forza di cose, un elite semplicemente ne corre di piu' (e ancora poche in Italia, a mio avviso). Basti loro pensare a quanti danni ha fatto il penultimo punto sulla macchietta verde nel grezzo, si e no 40 metri sopra la 100, a gara quasi (quasi) finita, e mai avrei pensato che fosse cosi' critico (lo è stato sia per le donne junior che per gli uomini master). Quando l'abbiamo posato, abbiamo pure pensato "eh, ma questo è quasi a vista da quello prima!". Quasi. Eppure diversi mi hanno detto "sono semplicemente sceso giu' per la strada, ero convinto di vederlo, come si fa a sbagliare un punto cosi'...". Come? Alta velocità, pressione, lettura rapida... basta perdere 10-15 secondi, bye bye gara.

Ho detto a qualcuno che, naturalmente col senno di poi e con quello di chi guarda da fuori (in gara è tutt'altro che facile ragionare cosi'), per me serviva un'occhiata veloce alla bussola in uscita, per evitare di finire giu' in basso sulla strada. Alcuni mi hanno guardato come se parlassi turco ;)

Inoltre, come giustamente accennato da Giorgio, è stato comunque un grosso lavoro di squadra: sia tecnico (fondamentale il compito di controllo, scambio di pareri, aggiustamento di dettagli come la posa "a orologeria") sia in generale organizzativo (spazi, logistica, ecc.). Per cui la vedo prima di tutto come la sprint del CUSB, non tanto come la mia. E da non dimenticare la meticolosità di Maurizio nel rilievo e disegno delle parti complicate del paese: sembra una carta facile...

Sono percio' felice di poter ringraziare per i complimenti ricevuti, li abbiamo accolti con orgoglio in società. Ricordero' la due giorni con la soddisfazione della sprint, ma anche con un pelo di rammarico e con una certa rabbia. Il rammarico è quello che non tutti abbiano potuto godere di un bosco che definirei "ruvido" (perchè, pur prevalentemente pulito, di percorrenza mai banale), ma tecnicamente molto interessante a mio avviso, su percorsi sui quali in parecchi avevamo lavorato, anche qui in squadra. E' chiaro che abbia assunto un carattere un po' troppo estremo in quelle condizioni e differenze che pensavo si misurassero in 2 o 3 minuti (cioe' già parecchio) in realtà si sono ampliate ancora di piu'. (tra parentesi, quanto alle assenze, nel post seguente Stefano (G) hai già risposto ampiamente a Stefano (Z) sugli elite infortunati e sugli stranieri: ad es. i due del Galgenen avevano chiesto di partire presto per prendere il treno, percio' non hanno potuto gareggiare...)

Cio' non toglie che, pur avendo goduto del fascino fiabesco e un po' epico del paesaggio, sono convinto che in altre condizioni i concorrenti avrebbero potuto apprezzare di piu' di terreno e carta. Pazienza, che dire? Il fatto cha alcuni di noi hanno attaccato stickers fino a notte inoltrata per rimediare ad un taglio di cui nessun ente nè autorità era a conoscenza ed effettuato venerdi' mattina, faceva forse presagire qualcosa di storto... (colgo l'occasione per scusarci con chi ha notato i mancati ristori: in accordo col DT avevamo deciso di toglierli perchè the caldo non facevamo in tempo a prepararlo, e pensavamo che l'acqua gelata avrebbe fatto piu' male che bene - solo che nella concitazione di avvertire dell'accorciamento dei percorsi, a quanto mi risulta la notizia dei mancati ristori è circolata meno rapidamente)

Dicevo: soddisfazione, rammarico. Pero' se alle condizioni avverse c'era poco da opporre, se non il massimo impegno possibile (la decisione non stava solamente a noi e personalmente poco avrei potuto dire in quel momento se non che il vento mi stava tagliando la faccia, che la neve mi stava entrando nei vestiti, nello zaino e nei guanti, e due-tre ore dopo chissà...), non posso non dire che mi rimane della rabbia. La rabbia per il vero fattaccio. E non è tanto una questione di chi abbia dubitato della nostra posa, anzi, la faccia di chi ti guarda spaesato dopo aver girato a vuoto la capisci facilmente a posteriori. Quel dubbio è lecito e si è risolto da solo. Quello che mi fa rabbia e mi ha intristito, è averle viste, e "sentite" quelle facce. Se c'è una cosa che sono abituato a fare è stare dall'altra parte, correrle le selezioni, mettermi in gioco. Vedere da fuori quegli sguardi persi non è stato edificante. Erano master, erano assoluti, e poi erano W16 e M18. Per loro era una selezione, chissà quante altre ne faranno, ma a quell'età non ci pensi. Ti dicono in poche parole "Oggi stavo andando cosi' bene, che sfortuna, da li' è finito tutto" Una buona gara che gli hanno rubato dalle mani. Avrei preferito fosse successo a me, che vederlo dalla faccia dei ragazzi. Sono vigliaccate, nient'altro che azioni da vigliacchi.

Di positivo pero' c'è l'aiuto che hanno dato Maria Novella, Christine ed Emiliano, che, come sono sicuro tanti farebbero, sono stati bravi a non pensarci un secondo e a fermarsi (ma non è mai scontato...). E il fatto che la quarantena mi sembra sia stata accolta con l'umore giusto, sorrisi e partite a carte. Pensavamo che chi non ne è abituato potesse soffrirne, ma alla fine chi ha l'approccio giusto non fa fatica a capire. Spero che questo modo "fair" di vivere lo sport sia di insegnamento e magari solleciti chi ha fatto la vigliaccata ad ammetterla, anche privatamente o solo con chi sta cercando riscontri, e per lo meno scusarsene. Possibilmente dal profondo, come dal profondo dello sforzo di chi quella gara la stava correndo con passione, tutta quella che aveva in corpo, come quella che ci mette ogni volta Stefano.

Thursday, April 15, 2010

Hit parade delle domande stupide.

Al numero 1: “Ma cos’è... una caccia al tesoro???”. La mia risposta, in gara, è invariabilmente “Si!”. Ho scoperto che la caccia al tesoro ha una dignità talmente radicata nel profondo dei gitanti da evitare ogni ulteriore forma di disturbo.

Al numero 2: “Ma è una cosa dove vi bendano e vi portano nel bosco e poi vi dicono di tornare a casa da soli???”. La mia risposta è invariabilmente “No, molti non riescono a tornare... ma i telegiornali hanno l’ordine di non dare le notizie di questi tragici eventi”. Se l’interlocutore insiste “Ma... allora... tu...” rispondo “Io sono uno di quelli bravi. Io torno sempre”.

Al numero 3: “Ma... fate le gare anche se nevica?”.

Ecco. A questa domanda non so bene come rispondere. Tanti, ma tanti, ma tanti anni fa mi avevano detto che “Con la neve la gara è sospesa!”. A fronte della mia domanda “Perchè? Per il freddo?” venivo compatito con una spiegazione tecnica: “Con la neve è impossibile distinguere i dettagli del terreno, cosa fondamentale per praticare l’orienteering”. Niente fattore “impronte”, niente fattore “pericolosità”. Sono una mera questione tecnica.

Certo che... tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo “e il”...
Nella mia carriera di orientista-panzottello mi sono trovato alle prese una volta sola con una gara rinviata o annullata per neve: i Campionati Italiani Middle di Carano, improvvidamente calendarizzati ad inizio primavera di tanti anni fa. Per il resto le mie frequentazioni innevate sono:
- gemellaggio Trentino – Salisburgo al Lavarone: gara long. Non dimenticherò MAI Silvia Cavini che dice “Noi abbiamo posato, nel bosco c’è un tempo da lupi”. Così come non dimenticherò MAI la faccia del tizio che guidava lo spazzaneve sulla strada per Bertoldi quando ha incrociato il sottoscritto in gara nel bel mezzo della bufera. E non dimenticherò MAI la sequenza 6-7-8 sul Monte Tablat, con Wolfgang Poetsch che nel de-briefing confrontava i miei tempi con i suoi e... insomma... fu 2 a 1 per me!
- Alpe Adria a San Martino di Castrozza, con il percorso disegnato a pennarello che è passato dalla parte del foglio con la mappa alla parte opposta, cosicché Walter Seber ed io ci siamo trovati a guardare la mappa in controluce per sapere dove stavano gli ultimi punti
- staffetta Arge Alp a San Martino di Castrozza (e due!): Bibi, io e Claudia Zanei al terzo posto nonostante Bibi non volesse partire (venne scaraventata di peso fuori dalla macchina) e Claudia fosse febbricitante... una avventure fantastica!
- Piereni, Campionati Italiani Middle: il fantastico pensiero sul balconcino proprio sopra al traguardo “se nessuno riesce ad arrivare fin quassù, sono sul podio!”
- Cavedine: gara regionale di inizio stagione con un ritiro netto a metà percorso.

Insomma, 5 a 1 a favore della neve come un Inter-Groningen di tanti anni fa. Ed oggi 6 a 1 dopo gli eventi di Monghidoro raccontati in lungo e in largo dai partecipanti ad una delle prove più epiche degli ultimi anni.

(poiché il mio blog non è molto "tecnico", ho deciso che questa volta metto il mio percorso e e mie scelte... per la carta ringrazio Alessio ed il suo sito http://www.alessiotenani.it/ visto che è l'unica carta sulla quale riesco a fare le modifiche con paint!

Ovviamente è 1:15.000 e c'è su il suo percorso. Il mio è quello in rosso brillante con le lanterne in pallini blu. Tra la 6 e a 7 non so dove sono andato ma so dove mi sono ritrovato (il pallone rosso ciccione all'angolo nord dell'aperto). Notare comunque anche la scelta 7-8, non male per il premio "tratta idiota dell'anno")

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Che dire più di quanto è già stato raccontato da Dario, Alessio, Michael, Rusky, Cosimo, l’Er-Team ed altri ancora? Rispetto agli altri, credo di essere stato il primo ad avere la notizia del rinvio: ero in piedi dalle 6.50 e stavo aspettando che Miki mi venisse a portare alla partenza. Volevo prendere un buon vantaggio sull’ora zero della gara, sapevo che la prova sarebbe stata lunga e volevo essere al traguardo in tempo per i primi arrivi...

Quando la voce di Miki annuncia “Puoi tornare a letto... nevica dalle 5 e un quarto”, sono già bello sveglio e con me altri orientisti in attesa di salire all’Alpe. L’attesa di notizie si stempera tra 4 o 8 chiacchiere orientistiche, finché il GOK prende la decisione di salire ugualmente all’arrivo per sganciare lo speaker; intanto Rusky, in risalita da Milano, rimane un po’ basito a sentir parlare di neve fitta ma prosegue la marcia autostradale.

Alle 10.30 balzo sulla macchina che porta qualcuno in partenza, ed alle 10.45 riesco a prendere il mio personale via senza clear e check: sto infatti rischiando una polmonite per via del vento gelido che sale dal basso, e non posso stare a lungo rannicchiato tra i cofani di due macchine per ripararmi. La mia partenza è lenta ma l’esperienza di altre gare nella neve mi aiuta; so infatti esattamente cosa dovrò fare per venire a capo del percorso: stare ogni secondo attaccato alla mia posizione in carta! Ingresso nel bosco dopo la lanterna svedese e qualche secondo per ammirare un bosco bellissimo e tutto bianco di neve talmente compatta da essere asciutta (me ne accorgerò quando me ne troverò mezzo chilo in bocca dopo un volo a planare) e addirittura croccante sotto i piedi! Prendo una traccia e a seguo fino ad una curva netta, mi butto a destra e scendendo incrocio delle impronte... i posatori! E finisco per arrivare alla lanterna per la via migliore: 4’07”. Per il secondo punto torno sulla traccia, la percorro fino alla strada, poi scendo fino alla curva e mi lancio in risalita: 4’15”. Terzo punto: riesco a seguire una traccia invisibile sotto la neve... finché vedo una serie di impronte che puntano alle mie spalle! Rapido stop e dietrofront, mi accorgo che sono arrivato alla collinetta a destra della traccia e devo tornare indietro di qualche metro... Ottimo sulla 4 (3’36”... vedo negli split tempi superiori al quarto d’ora!) e poi a bomba in discesa sulla 5 alla quale casco addosso. Vado ancora bene per la 6, percorrendo molta tratta su strada, ma questa tratta più lunga delle altre è il preludio al disastro.





La tratta 6-7 è molto lunga. Prevede il largo aggiramento di grossi avvallamenti, meno di un km in linea d’aria ma forse oltre il km sul terreno. Ed improvvisamente, forse perchè fin qui sono rimato concentratissimo, forse perchè mi sembra impossibile rimanere incollato alla carta per tutto il pezzo... decido che la mia nuova tattica è quella perennemente perdente nel nostro sport: “Vado là, e quando sarò in zona capirò”.
La follia di questo pensiero mi accarezza dopo circa 10 minuti, quando capisco che in quelle condizioni e DA SOLO ho una unica possibilità di cavarmela: cadere sul punto per caso. Se qualcuno mi avesse incrociato in quel momento e mi avesse chiesto la mia posizione esatta, non avrei saputo dire se ero alto, se ero basso, se ero lungo, se ero corto. Non capisco più nulla. Trovo una carbonaia e cerco di utilizzarla come punto di riferimento... ma ce ne sono 7 in quella zona! (e poi... sarà stata davvero una carbonaia), incrocio quella che mi sembra una canaletta ma potrebbe anche essere un movimento del terreno. Cerco di risalire trovandomi per qualche minuto privo di qualunque riferimento, poi scendo di nuovo... e ad un certo punto MI PRENDE IL PANICO! Per un istante penso addirittura di essere finito molto sotto la zona di semiaperto e che rischio di uscire di cartina, per un istante mi vedo mentre vago nel pomeriggio inoltrato sull’Alpe di Monghidoro... qualcuno riuscirà a trovarmi o finirò congelato??? ... ed i miei amici sapranno che questa volta non sono stato bravo a tornare a casa ?????? (cfr. punto 2 dell’hit parade delle domande stupide)

Per fortuna, muovendomi a casaccio, finisco nella zona di semiaperto. Nell’angolo nord c’è un torrentello che scende ed io lo risalgo, ed in due minuti trovo il punto: mi vien voglia di maledirlo e di baciarlo! Guardo l’orologio: 30’ 51”... non di gara, di tratta. Non male! Per il punto 8 metto in atto una risalita violenta verso la strada, mi sposto ad ovest ed attacco in discesa dalla collina ricordandomi delle parole di Dario che cita Gueorgiou: 6’58”. Per il punto 9 mi porto sulla strada fin quasi alla curva fuori carta, entro in costa seguendo i cocuzzoli, il fosso, il dosso... e casco sul punto! 6’12”.

Adesso arriva una tratta dura: la 9-10. Non trovo niente di meglio da fare che risalire l’avvallamento in direzione opposta fino a trovarmi nella zona dolce della collina: dal basso sale un vento che mi congela ma per fortuna ho con me il berretto di lana, scendo lungo il dosso lungo una traccia, che diventa canaletta, che torna ad essere traccia... è forse la mia miglior lanterna della Coppa Italia 2010: 11’04” e ci sono cascato addosso! Per la 11 mi sposto ad est fino a buttarmi in discesa (forse la più pericolosa della gara... nemmeno per un istante mi salta in testa di lasciarmi andare “stile bob” perchè rischio di sfracellarmi) e la gravità mi aiuta a bucare un verdino: la canaletta è il punto di arresto, la risalgo di qualche metro e compare il punto: 8’00”.

Guardo la carta ed ho un sussulto: sto gelando, sono concentrato come non mai... ma se trovo la 12 ho quasi finito! Arriverei nella zona dell’arrivo. Per un istante penso di portarmi in basso verso i pratoni: dovrei trovare un grosso sentiero in risalita che mi porta in zona punto, ma non sono lucido e risalgo verso il verdone. La possibilità che io trovi la traccia che buca il verde e mi porta ad un semiaperto è minima ma io ci provo... e infatti sbaglio: mi rendo conto dopo oltre 10 minuti di fatica immane a risalire che sono finito troppo alto, che quella traccia era troppo invisibile per trovarla e quindi non mi resta che muovermi ad ovest per arrivare almeno al fiume. Trovo uno spazio nel verdino per spostarmi... e finisco in una zona aperta! Ohibò: dove sarò mai finito? C’è persino una panchina sotto gli alberi, sotto i pini (o gli abeti?). Dove “cavolo” sarò finito? C’è un sentiero che parte dalla zona aperta e scende, ed io lo imbocco... ma a questo punto qualcuno “la mia ombra?) mi esplode nella testa: aperto, panchina, sentiero, avvallamento stretto a destra... non è che “per caso” ho imboccato proprio la mitica traccia che volevo trovare? EBBENE SI!

Torno nella zona aperta e mando un bacio a quelle panchine, aggiro il torrentello e mi butto dentro a cercare un altro river. Alla curva trovo il filo spinato e poi il punto! 16’36” di passione ma a questo punto la mia gara è virtualmente finita. Risalgo fino al sentiero (smadonnando perchè... col piffero!... la gara non è finita e devo ancora faticare 3 o 4 camicie!) ma il punto 13 è quasi banale. Nel superare il sentiero vedo a qualche metro, al bivio dei sentieri, due giovanissimi (uno mi sembra addirittura Samuele Baccega!) il secondo dei quali mi vede e mi dice “Beato te che entri nel bosco...”. Beato me??? Ma se sono in giro da quasi due ore!!!

A questo punto di tratta solo di non sbagliare niente, anche se la tensione che si allenta pesa come un macigno sulle mie gambe. 14esimo punto nella zona del sentiero della mountain bike, poi il 15esimo lo attacco dal rudere (altri ragazzini in giro...) passando per il punto sul sasso in cima al colle. Ho ancora a forza mentale di pensare che posso finire sotto le due ore, devo solo buttarmi sulla traccia e poi sul sentiero verso la 100, ma al bivio mi arresto troppo presto in corrispondenza della 111... non ho perso tanti secondi ma vedo distintamente che il mio quarzo sta arrivando al numero “2” delle ore. E ho praticamente mollato la presa.

Taglio il traguardo e ho voglia solo di accasciarmi sulla transenna prima, e poi a terra perchè le ginocchia mi cedono e la testa mi gira come una giostra. Penso di aver avuto anche un attimo di mancamento perchè quando mi sono rialzato ho avuto male al nasone come se lo avessi pestato duro. Forse è stato il calo di tensione post-arrivo, forse un calo di zuccheri prontamente soccorso da Giovanni dell’Istituto Croce (e non solo da lui... mi dicono anche Dario Stefani e altri ancora). Pochi minuti dopo taglierà il traguardo il marziano, l’unico e solo marziano della categoria: Stefano Maddalena, in 53 minuti, dicendomi che ha visto le mie tracce solo in parte (eh già! Perchè secondo voi io e il Madda facciamo le stesse scelte???). Ma la faccia più bella sarà quella di Lorenzo “The Fritz” Frizzera, annunciato dallo speaker come secondo al traguardo (e già la sua faccia ha assunto la forma “machestaiaddì?!?”) dietro al tempo di 53 minuti di super-Madda. Ho sentito solo il vocione di Lorenzo: “Cooooooosaaaaaaaaaaa???”.

Lorenzo! E cosa dovrei dire io che ci ho messo due ore e 38 secondi? Se Stefano Maddalena è il tuo marziano, per me il mio marziano sei tu!!!

Monday, April 12, 2010

Ci sono gare long che durano ore e ci sono gare sprint che possono durare qualche anno. La gara sprint di Monghidoro 2010, il mio quarto campionato italiano sprint da speaker, chiude idealmente un cerchio che si era aperto nel 2007 ai Laghi di Fusine, in quello che fu il mio primo campionato italiano sprint dietro ad un microfono. Un cerchio che si era aperto e che ora si è chiuso, e forse non solo per me.

Essere lo speaker di una gara di orienteering è una esperienza che si può scegliere di vivere in modo asettico o in modo partecipato: io ho sempre privilegiato la seconda opzione, ed è per questo motivo che voglio sempre cercare di correre la gara nelle stesse condizioni di classifica di tutti gli altri partecipanti. Solo così sento di poter esprimere le emozioni che libero, talvolta in modo sguaiato, quando la gara si anima e l’adrenalina comincia a scorrere a fiumi. Poi, da speaker, posso scegliere di limitarmi alla cronaca o cercare di coinvolgere i concorrenti al traguardo, in quei momenti nei quali le tossine ancora obnubilano la mente ed i neuroni viaggiano come impazziti nella zona del cervello dove si impartiscono le istruzioni ai muscoli e si cercano di risolvere i problemi.

Per taluni speaker, in altri sport, giostrare a microfoni aperti potrebbe rivelarsi dannoso, molto dannoso. E pericoloso. Il dare il giusto merito ai ragazzi ed alle ragazze che frequentano i boschi per me significa testimoniare il fatto che non ho mai trovato nessuno sopra le righe, o maleducato, o che si sia espresso davanti a me in modo volgare o censurabile. Tutti quanti, nessuno escluso, si sono sempre comportati nel modo più sportivo ed educato possibile davanti al microfono che porgevo. Come quel giorno ai Laghi di Fusine...

... faceva caldo in quella settima edizione degli Italiani Sprint. La carta di gara non era affatto facile con la partenza era in un luogo magnifico: una sorta di ottava meraviglia del mondo, una conca erbosa inondata di sole sotto le montagne innevate. I primi punti mi vennero incontro fino al black out della quinta lanterna, quando cercai per qualche minuto un masso enorme con una sola idea in testa: che non avrei mai potuto mancarlo! (e lo mancai, non una ma tre volte!). Un’ora più tardi, mentre aspettavo gli Elite al traguardo, mi chiedevo come se la sarebbero cavata affrontando quel bosco a tutta velocità, loro sì al 110% delle possibilità atletiche. Io avevo partecipato a gare sprint nel bosco (Marcesina), nei parchi (Parma, Roskilde) ed in paese (Fondo, Mendrisio), avevo visto cartine di gare sprint di tutti i tipi. Non avevo idea se ci fosse un “format” più o meno giusto per una prova sprint: in fondo, pensai, è il luogo scelto per la gara che stabilisce il format...

Quel giorno a Fusine tanti atleti persero il titolo per un solo punto errato in mezzo ad altri perfetti. E non dimenticherò mai il momento in cui un Elite, appena arrivato al traguardo, mi chiese se poteva dire qualche parola al microfono. Erano passati pochi secondi dal suo arrivo. Potevo negarglielo? In modo molto educato, ma anche molto deciso, quell’atleta espresse il suo disappunto per un terreno di gara che non rappresentava in alcun modo lo standard di gare che gli atleti della nazionale erano soliti affrontare ai Mondiali o nelle Coppe del Mondo, quelli per i quali avrebbero dovuto prepararsi anche attraverso gare come gli Italiani Sprint. Quell’atleta, educato e deciso, era Marco Seppi.

Credo che Marco, se mai leggerà queste parole, se ne ricorderà. Credo anche che Marco, come me, si sia reso conto un istante dopo averle pronunciate dell’importanza delle sue parole, che potevano persino essere pesanti come i macigni che affrontammo in Coppa Italia il giorno dopo, sulla incredibile carta “Paradise Rock” dei Laghi di Fusine (nella quale feci un ottavo posto in solitaria, partendo alle ore 8.00... e tornerò anche su questo episodio quando scriverò della gara Long di domenica). Perchè il giorno dopo Marco fece una bellissima gara, e dopo il traguardo tornò da me e, ancora una volta a microfono aperto, volle invece sottolineare e dare atto agli organizzatori come quella Coppa Italia della domenica avesse rappresentato una delle sfide più difficili e più probanti per un atleta Elite come lui, una di quelle gare per le quali i nostri più forti rappresentanti si allenano tutto l’anno.

Non ho mai dimenticato l’educazione, ma anche la decisione ed il coraggio di Marco Seppi. Che se solo avesse voluto, avrebbe potuto sbraitare qualsiasi cosa e invece rimase calmo e fermo sulla sua posizione... E ci vuole grande forza per comportarsi così al termine di una gara. Ma quel giorno Marco ed io, lui senz’altro inconsapevolmente ed io invece molto consciamente, aprimmo un ideale cerchio: perchè io mi sono spesso domandato, infatti, quale tipo di gara avesse in mente Marco per un campionato sprint, italiano o mondiale non importa. E me lo sono domandato fino a quando sono passato sotto l’arco di plastica gialla che faceva da punto K al Campionato Italiano Sprint di Monghidoro 2010, ed ancora me lo sono domandato mentre correvo, con il poco fiato che ho, su e giù per il paese e mi balenava davanti agli occhi ogni tanto l’immagine del più grande dei fratelli Seppi.

Me lo sono domandato e la risposta era ogni volta nei venti metri che si aprivano davanti al mio naso. Era nel dedalo di punti in mezzo ai piccoli portici e sottopassi della parte alta del paese, nelle zone aperte che per qualche secondo hanno fatto sentire sotto i miei piedi un sentiero o un prato al posto dell’asfalto. Era nella tratta lunga ad alta possibilità di errore (solo per un tapascione come me, e così è stato) e nello Schuss sul quale Martin Hubmann ha costruito alfine la sua vittoria con una discesa “a vita persa” verso il punto spettacolo. Ed infine nella raffica di punti finali posizionati proprio attorno alla postazione microfonica, il “regalo” fatto allo speaker che sugli ultimi arrivi ha contribuito a rompere la mia voce: ha davvero rischiato di saltare per aria proprio in coincidenza dell’arrivo del nuovo campione italiano Giancarlo Simion!

La mia gara sprint di Monghidoro 2010, e la mia posizione finale, non sarà ricordata in nessun annale; ma per me ha rappresentato molto più di una serie di punti che ho fatto lentamente, talvolta addirittura con circospezione, correndo quando qualcuno lungo le vie o sui terrazzi o nei giardini mi vedeva impegnato in gara, e camminando per riprendere fiato quando potevo sparire dietro ad un ostacolo naturale o ad un muro. Da quattro anni, in fondo, aspettavo una risposta alla domanda che non avevo fatto ai Laghi di Fusine: “Marco, ma se fosse toccato a te, cosa ci avresti proposto?”. Ho avuto la risposta che volevo, e quella risposta mi ha convinto, mi è PIACIUTA. Come è piaciuta a tutti coloro che, ne sono certo (perchè so che è successo), hanno fatto i complimenti a Marco per il suo tracciato e per aver scovato Monghidoro per il Campionato 2010.

Il cerchio si è chiuso. Sono convinto che non si sia chiuso solo per me.
Anche se questo a Marco non lo chiederò mai.