Stegal67 Blog

Wednesday, June 29, 2011

Faccia da bronzo (e foto by Gronlait Orienteering Team)

Vi piace lo sport? Vi piace leggere libri che parlano di sport? Vi piace il golf? Pensate che non sia solo una disciplina molto snob? Siete facili alla commozione? Se avete risposto di si alla maggior parte di queste domande, allora vi consiglio il libro di James Patterson e Peter De Jonge “Miracolo alla 17esima buca”. In una delle pagine più belle Lee Trevino (personaggio vero) dice al protagonista Travis McKinley, underdog che si trova improvvisamente al comando degli US Open “E’ tardi, ti lascio riposare. So che non dormirai bene stanotte, ma ricorda che c’è un motivo se sei in testa agli US Open. E non è la fortuna”.

Adesso gli amici avranno capito, questa è la battuta che si attacca a quanto accaduto nell’ultimo fine settimana a Cavalese, Campionati Italiani Assoluti di Trail-Orienteering: finisce la prima giornata di gara ed in testa c’è il Campione del Mondo Stig Gerdtman, e poi staccati a pari merito un altro nazionale svedese Emil Stalnacke e l’affezionatamente vostro Impiegato Panzottello. Il titolo del sito Fiso spara improvvisamente la notizia: “Galletti la sorpresa in una manche mondiale”!

Come sono arrivato ad essere “sparato” sul sito Fiso? Beh... intanto diciamo che la scena della cosiddetta “intervista” riportata sul sito Fiso merita un inciso a parte... Arrivo al ritrovo, dove Pietro I. mi chiede “Allora, come è andata?” E io: “Mah... penso di essere stato fortunato...” poi ho una visione degli orientisti che si sbellicano dalle risate nel sentire che il capofila della classifica (italiana) è il primo a pensare che al trail-O si vince con la fortuna, e subito ingrano una retromarcia alla Paolo Bonaiuti: “Un momento... è una domanda ufficiale?”. Al che quando Pietro mi dice, un po’ sorpreso, che sì... insomma... diciamo che... io proseguo balbettando “Ma... sai... ero lì... è stata una gara difficile... senz’altro superiore alle mie possibilità tecniche... però era difficile per tutti... insomma in qualche punto non ci si vedeva nemmeno bene... però mi è andata bene... ma non dire che ho parlato di fortuna sennò... ecco... cosa vuoi che ti dica... mi è andata bene...”.

Ed è uscita sul sito una frase virgolettata con una consecutio temporum ma soprattutto consecutio accadutorum un po’ rivedibile! (e con questo chiudiamo il capitolo intervista)

La gara. Come è stato possibile arrivare a quel punto, sabato sera, e come sono arrivato a riportare a Milano quella medaglia di bronzo che nel 2010 era stata vinta da Marco Giovannini? Ecco, qui le cose si fanno un po’ più nebulose...

Diciamo che io a Cavalese sono stato molto vicino a non andare neppure: ho scritto altrove che quest’anno gli appuntamenti del trail-O sono passati senza che quasi me ne accorgessi, con poco appeal per affrontare trasferte dedicate a questa disciplina. Tossine della gara 2010 al Parco Forlanini, preferenza per altri appuntamenti, un po’ di saturazione forse... Però PLab, che l’anno scorso non aveva potuto (ammalato) gareggiare a Monte Prat ci teneva a fare bella figura nell’edizione 2011, e non potevo lasciarlo da solo (l’Unione Lombarda Milano perde ogni anno i suoi pezzi più pregiati, terminando con l’amico Rusky e risalendo poi con l’ex Campione Italiano RemMaps, e poi risalendo ancora la coppia Sbrambi&Giuga e ancora nella notte dei tempi Krautrock...). Poi la gara si svolgeva davvero in un bellissimo posto, e la gara del JTT originariamente spostata a Barricata era stata poi cancellata. Infine volevo vedere all’opera Rusky nel Campionato Italiano, visto che era uno dei sicuri favoriti. Il sottoscritto, vista anche l’incolore prova al Parco della Pellerina (unica gara di trail-O fatta dai Campionati Italiani 2010) era lì solo per fare presenza... Solo che durante il lungo viaggio di andata, San Paolo-Rusky deve essere stato folgorato sulla via di Damasco-Cavalese e deve aver avuto qualche visione... sta di fatto che ad un certo punto ha cominciato a parlare del fatto che quest’anno IO sarei andato sul podio!

"Si, certo, come no, sicuramente, ahahahahahah... anzi già che ci siamo... scusa Marco mi ripeti qual è l’altezza minima per considerare i muretti? Un metro? Mi ricordavo mezzo metro...”. Questo giusto per dire con quale concentrazione e con quale preparazione e predisposizione affrontavo due gare che sarebbero state eterne (140 + 130 minuti + i punti a tempo) e di un livello mai raggiunto prima in Italia vista la presenza di un sacco di medaglie mondiali. Podio? Ahahahahahahah... Poi di arriva al ritrovo all’Alpe del Cermis. Parte Marco, parte PLab, in fondo parto io. Primo punto a tempo: quando il signore svedese mi mette in mano la carta ed il tempo parte, io comincio a girarla... e rigirarla... e rigirarla... non mi ricordo più come devo fare ad allineare la carta e la bussola, ad un certo momento penso “Ma cosa devo fare quando sono qui?” (in quel tempo Stig Gerdtman aveva già risposto ai primi due quesiti). Un barlume di lucidità... “Intanto vediamo un po’ queste lanterne... eccole là... quella mi sembra troppo vicino al sentiero, quella troppo lontana, quella non mi dice niente, quell’altra boh?!?... C !”. Credo sia stata anche la risposta esatta...

Non intendo farla così lunga descrivendo tutti i punti di controllo, ma solo dare una idea delle sensazioni provate durante la maggior parte della gara del sabato. Una sorta di inconsapevolezza leggera, di tranquillità interna che talvolta diventava guizzo di intuito e talvolta affondava nel pressapochismo. Fu Garry Kasparov a dire che Bobby Fisher non cercava mai di giocare la mossa del secolo ma si affidava alle mosse “buone anche se non ottime” per portare avanti le partite. Così è stato per me; con un aiuto dal cronometro: poiché sono sempre a corto di tempo (140 minuti possono passare molto in fretta), avere 31 lanterne mi ha obbligato a mantenere basso il livello di “pippa mentale” che scatta ogni volta che comincio a pensare “io so che il tracciatore sa che io so...”. Ho risposto, controllando bene le punzonature, ogni volta che in me si affacciava una ragionevole consapevolezza di aver capito il quesito.

Poi, ovviamente, le gag del tipo “Ma non ti sei accorto che il punto 7 doveva essere nel bianco?”. E io (che però lì ho risposto giusto): “No... a dire il vero non mi è nemmeno venuto in mente...”. E poi gli ultimi contorcimenti mentali sulle ultime due lanterne (molto stanco, a quel punto) valutate dapprima due Z e poi messe correttamente e in extremis come A quando il cervello ha voluto liberarsi dalla “pippa pura” e portarsi su un binario di minima razionalità.

Domenica pensavo di crollare. Insomma, non è che abbia dormito molto bene, come diceva Lee Trevino. Pensavo che mi si sarebbero intrecciate le dita, che mi sarei trovato a balbettare su ogni punto, che sarei entrato in paranoia da risultato fin dall’inizio. Invece, sorprendentemente (per me!), nulla di tutto questo: ho fatto la mia gara onesta, con un risultato da retrovie della classifica, senza pensare quasi mai che “mi stavo giocando il titolo”. In questo sono stato molto aiutato dal fatto che Guido Michelotti, il neo-campione italiano, ha un grande fairplay e quindi ogni volta che ci siamo incrociati sul percorso abbiamo sempre badato come prima cosa a “non pestarci i piedi”. Stalnacke, Fredholm e Gerdtman erano i pochissimi attorno a noi, come un gruppetto sparuto di persone intente ad esaminare i punti (non come il giorno prima quando su alcuni punti di controllo eravamo al limite della adunata sediziosa!). Come ho detto, la cosa più sorprendente per me non è stato il risultato che mi ha visto scendere al terzo posto nella classifica italiana, ma è stato il fatto che non ho avuto durante tutta la gara pensieri negativi, o pensieri oppressivi legati al risultato o legati alle risposte che stavo dando: sono entrato sul campo di gara, ho cercato di trarre il meglio dai 130 minuti di tempo e dai 4 punti di controllo a tempo finali. E non mi sono né depresso al livello di sconfitto né innalzato al rango di eroe quando la classifica finale ha dato il suo responso.

Non sono crollato emotivamente, e questa è la cosa più incredibile che porto a casa dalla due giorni di Cavalese. Questa ed un tocco tondo di metallo color bronzo, con al centro il logo Fiso, che non ho ancora tolto dal portafoglio! Perchè in fondo, ma proprio in fondo, anche l’impiegato panzottello che è in me (anzi che “è” me) è tornato a casa un po’ più fiero ed un po’ più tronfio di come era partito. E persino SHAron D. OWen questa volta non ci ha trovato nulla da ridìre!!!

Wednesday, June 22, 2011

I due post precedenti portano come logica conseguenza il racconto del gran finale Alpe Adria 2011 a Kastav, località appena sopra Rijeka che ospita la middle distance di chiusura.

Prima però c’è la kermesse sprint in centro a Rijeka, alla quale il GOK si iscrive al completo ma poi c’è sempre qualcuno che all’ultimo momento fa lo snob e si tira indietro...

Qualche patema per trovare la zona di gara ma soprattutto il parcheggio Delta dove dovremmo lasciare il cocchio, ma alla fine si parcheggia a 100 metri dal ritrovo insieme ad altri orientisti (in pratica tutti quelli che arrivano da nord, visto che le indicazioni per il Delta partono da Zagabria, che però sta in altra direzione...).

La gara è veramente sprint, la carta è carina in scala 1:3.000 e solo i più attenti capiscono che la simbologia ISSOM è una incognita visto che con lo stesso simbolo sono indicati muri, sia quelli che sono attraversabili che quelli che non lo sono, ma anche piccole staccionate alte 30 centimetri che talvolta circondano l’intero punto!

La forma fisica è ancora ben lungi dall’essere rientrata in parametri normali, ma perchè perdere l’occasione per una sgambata in compagnia? Sulla scala 1:3.000 bisogna anticipare bene i punti, cosa che riesco a fare solo per pochi minuti fino al punto 5 perchè poi sono già in debito di forze e di pressione. Infatti dalla 5 vado alla 7 e per fortuna che, lento come sono, posso permettermi di controllare i codici e dopo un attimo di sbandamento capire che ho lasciato indietro un punto. Finale carino nel “Korzo”, isola pedonale di Rijeka, dove si sono appena concluse le partenze.

Ma il piatto forte dell’Alpe Adria ha ancora da venire. Domenica mattina, gara middle di Kastav. E come tutte le middle dovrebbe essere molto tecnica... Piccola premessa. Già dal giorno prima girava nel parterre la sensazione diffusa che le difficoltà di Platak fossero poca roba rispetto a quelle di Kastav; il sottoscritto ha esperienza di gare disputate entro i confini slavi, con prime tappe già allucinanti di loro e seconde tappe “forget the good runnability of the first stage...” (il nome Lome mi dice qualcosa... ed ho già un brivido lungo la schiena!), quindi mi accingo a salire a Kastav ben predisposto alla tenzone.

Però le premesse sono ancora abbastanza agghiaccianti. Sul Quarnaro piove... ma che dico piove, diluvia!... ma che dico diluvia... vien giù a secchiate accompagnata da lampi e fulmini che farebbero la felicità di un fotografo professionista. Al ritrovo l’atmosfera è umidiccia, anche un po’ mogia, soprattutto da parte di chi si deve recare alla partenza (vicinissima, un plauso agli organizzatori, in caso contrario non so come se la sarebbero cavata) nei primi minuti di griglia. Qualche minuto prima dell’ora zero i lombardi vedono tornare indietro Federica Maggioni, lavata da capo a piedi, e qualche altro atleta... la partenza è ritardata di 30 minuti. Passa un’altra mezzora ed arriva un nuovo annuncio: partenza ritardata di altri 30 minuti, e intanto Fede si è fatta un altro avanti e indré sotto l’acqua... il più incavolato di tutti è Martin Veitsberger che minaccia di abbandonare lì la contesa. Il primo rinvio sembra dovuto all’esigenza di accorciare i percorsi MElite, altrimenti indomabili (ed infatti gli MElite correranno il nuovo percorso accorciato ma su carta non resistente all’acqua, con le buste di protezione... zigrinate!), ma il secondo mette un misto di ilarità e preoccupazione: uno dei posatori si è perso e non riesce a tornare al traguardo!

Il mio minuto di partenza sarebbe il 76, ovvero 11.16, che diventano quindi 12.16. Poiché la macchina deve rientrare a Trieste in tempo per prendere il treno per Milano, mi viene dato un annuncio perentorio: “alle 15 la macchina parte!”. Potrebbe sembrare un intervallo di tempo di tutto rispetto, in realtà il mio trasferimento verso la partenza ha già le premesse del “filo del rasoio”. La gara è tutta nella carta di gara... non sono un tipo esagitato ma quando mi chino e raccolgo la carta, la prima espressione che mi passa per la testa ed esplode dalla bocca è un “Ma vacca putt...!!!”. Mi fermo. Esamino il primo punto... da qui non si passa, di là non si passa, di qui sembra l’inferno, di là è l’inferno! ... una soluzione ci sarebbe (vedi estratto) ma bisognerebbe avere il coraggio di ripassare dalla partenza, dall’arrivo e dal paese facendo lo gnorri! Non vorrei finire squalificato in Croazia e provo timidamente a chiedere se posso tornare sui miei passi; purtroppo c’è la barriera linguistica, e desisto dal mio tentativo di interpretare liberamente il regolamento... la pagherò caramente.

In mancanza di un punto di attacco qualunque, provo a risalire la linea elettrica fino a trovarmi a nord del punto, dove potrei trovare una traccia (cfr. racconto di Platak) che di depressione in depressione mi dovrebbe portare in zona punto. Quello che trovo invece è un bel nulla di nulla in un ambiente misto tra il lunare e la giungla amazzonica insieme; è anche possibile che la mia avanzata tra quei rovi da paura (Lidia! Ho bisogno di un pigiama nuovooooo!!!!!) si sia fermato un metro prima di sbucare nella piana col primo punto... Faccio avanti e indietro con la linea elettrica e finalmente, dopo lungo lunghissimo penare, trovo la prima lanterna. E sono passati 24 minuti!

Per la 2 il piano prevederebbe di tornare sui miei passi, bucare le due linee elettriche ed orientarmi tra le depressioni. Ma se la prima linea elettrica offre solo poca resistenza, la seconda è un autentico MURO!!! Siamo in tre: io, Mattia De Bertolis ed il terzo potrebbe essere Marco Tamai. Veniamo respinti da quel muro inespugnabile non una, non due, non tre ma forse quattro o cinque o sei volte... ogni volta ci apriamo un varco per qualche metro a colpi di fendenti, ogni volta l’abbrivio finisce e la giungla attorno a noi appare invalicabile...

Ad un certo punto si sente un tramestio di piedi al di là del “green nightmare” ed una voce in italiano dice “qui si passa!”. E’ il momento decisivo, la salvezza è a pochi passi. Ancora uno sforzo ed il muro cede... siamo di là! Più o meno in zona punto 2, ma per ricollocarmi dovrò arrivare tra le due depressioni vicino al punto 7. Il punto 2 comunque lo trovo girando sulle tracce attorno ad esso e portandoci uno sloveno perso: altri 25 minuti di gara.

Sempre sulle tracce per la 3, fatta discretamente tutta sulle tracce si see per di più riesco a dare qualche dritta anche a Tone Simionato... In uscita dalla 3 becco un trenino di gente persa e geograficamente eterogenea che mi chiede notizie del punto: li indirizzo verso la lanterna e nel bosco si sente risuonare a gran voce una voce dall’accento slavo “Grazie Amico Italiano! Grazie!”.

Alla 4 mi ritiro. Non che sia difficile, eh? Sentierino ad est fino al giallo, sentierone fino al ristoro. Entro dalla traccia a nord del ristoro, e già i primi metri NON sono in bosco bianco ma in un autentico inferno, poi traccia verso sud-est, depressione, sentierino tra i due muretti e dovrei essere a 50 metri circa dal punto. Ecco... 20 minuti a girare lì attorno. In quella zona non mi torna nulla e soprattutto non ci trovo nulla, né lanterna né punti di riferimento. Trovo due volte le buchette ad ovest del punto, ma di quello niente.

A questo punto mi ritiro, anche perchè se va avanti così col cavolo che alle 15 sono in macchina. E chi me lo fa fare di rimanere ancora in quel postaccio? Arrivo al sentierone e trovo Luca Tollardo del Fonzaso... l’avevo superato alla 3, forse, e lui non ha alcuna intenzione di mollare il colpo. Forse potrei dargli una mano per trovare la 4, prima di ritirarmi, almeno per vedere dove cavolo sta questa lanterna! Rientriamo nel bosco passando nel giallo con i muretti a “D”, dalle buche “Di qui sono già passato...” e ci perdiamo ancora. Ma siamo in due, anzi in tre, anzi in quattro, e facendo giri sempre più larghi alla fine una lanterna compare, ed è la nostra. Dove sia collocata, non si capisce bene, ma sicuramente non è lì!

Ed è a questo punto, ben oltre l’ora di gara, che capisco che la gara è finita. Non perchè mi sono ritirato. Perchè è proprio finita. Fi-ni-ta! Il gruppetto affronta la 5 e sono ancora io a trovarla, ma in sicurezza perchè stiamo battendo il bosco a pettine fitto. La 6, presa dal ristoro, è una lanterna da HC. Per la 7 risalgo al ristoro, scendo lungo il sentierone facendomi beffe delle traccette invisibili che si aprono verso ovest e arrivo all’unica grossa traccia quasi in zona linea elettrica, che risalgo verso nord-ovest fino al punto come se fossi un esordiente. Anche la 8 è una lanterna quasi da HC: si entra nelle tracce, si tiene sulla destra l’area aperta, si passa tra le rocce e il gioco è fatto. Da lì al traguardo, tutta su sentiero, che diventa strada, che diventa paese, che diventa arrivo.

In 108 minuti ma ben prima delle 15. A quasi 22 minuti al chilometro sforzo. Soddisfazione per aver finito la gara? Invero pochine... Maggiori soddisfazioni me lo da l’arrivo del solitamente pacatissimo ed educatissimo Oleg “Volga Express” che taglia il traguardo e manda affanc&*# tutta la compagnia organizzatrice di quel bel massacro in piena regola!

Poi uscirà anche il sole...

Tuesday, June 21, 2011

Detto nel post precedente dell’arrivo a Platak, della temperatura, della visibilità, delle considerazioni sulla bontà e affidabilità della mappa da parte di chi ha corso il giorno prima, passato in giudicato il commento di Emiliano Corona sul suo sito, ecco che come per incanto mi ritrovo alla partenza della gara long dell’Alpe Adria.

Minuto 52. Bip Bip Bip Biiiiip.... Con me parte Veronica Minoiu, ne sai qualcosa Remo? In pochi metri sono staccato ma tanto non faccio la gara su di lei nemmeno fino alla svedese.

Primo punto. Scendo lungo il sentiero che diventa una strada, passo accanto alle case e mi butto sulla strada verso sud. Il piano prevede di entrare nell’avvallamento appena a nord-est del punto, poi collinetta appena accentuata, sassone, collina coi sassi e avvallamento. Tutto preciso. E tutto sbagliato. E si che quell’avvallamento è enorme e lato strada ci dovrebbe essere una parete rocciosa... Quando dal basso risale una faccia sconcertata di un bavarese e dall’alto scende un altro bavarese in cerca del punto, capisco che oggi è giornata in cui si va in gruppone. Uno dei due trova il punto, chiama l’altro e arrivo anche io. Quel punto lo sbaglierà anche Emiliano...

Secondo punto. Scendere lungo la traccia e attraversare il sentierone. Fin qui tutto bene. Poi prendo la traccia che prosegue; in pratica però mi trovo in una zona di verde 2 e la traccia... boh?!?... un vago chiarore a pochi metri da me ed una preghiera “fà che sia l’avvallamento nell’aperto” ed il punto compare davanti a me.

Terzo punto. Come la maggior parte di tutti i naufraghi, meglio il sentierone grosso sul quale vanno avanti e indietro decine di concorrenti (ma non siamo noi “quelli dei boschi”?). Al bivio più angolo di prato entro deciso a ovest in cerca della parete rocciosa, del sasso o addirittura del punto. Tengo la parte più alta della collina a sinistra.... e arrivo al bivio sentiero grosso-sentiero piccolo a bordo carta. Rientro verso est con più circospezione e arrivo al punto; consentitemi di tralasciare il fatto che in zona punto siamo in 7 a cercare...

Quarto punto. Scelgo a via facile: torno al sentierone, vado verso nord, primo sentiero grosso verso est e poi traccia che mi dovrebbe portare al punto. Traccia? What’s traccia? Insomma si va in bussola cercando di guardare le depressioni. Quando il solito bavarese mi incrocia una curva più in alto capisco che sta andando al punto e lo raggiungo.

Quinto punto. Sempre via di sentierone verso nord fino all’area aperta, poi uno dovrebbe mantenersi tra la traccia ed il verdone fino al sasso... Aspetta che finisco di ridere!!!! Tracce niente, è tutto verde, le curve di livello sono una ipotesi. Per fortuna esce dal punto verso di me Milena Grifoni... Per il sesto punto la tattica sarebbe di bucare il verdone e trovare la traccia o almeno andare in bussola. Il fatto è che non c’è niente da bucare perchè è tutto verde uniforme, la traccia... lasciamo perdere; mi salva un tale Marco Bezzi che arriva da destra sacramentando e tirando giù tutti i santi del Paradiso, con citazioni di varie torture da applicare al cartografo.

Per la 7 scelgo la salvezza della strada salendo verso est, ripasso dalle case e dovrei trovare il punto più facile del mondo. Piccolo particolare: ora la visibilità è di 10 o 15 metri, la traccia che passa sotto il punto è solo quella dei piedi dei pochi che son già passati. L’avvallamento è inesistente: la lanterna è buttata di sbieco dietro ad un cespuglio nell’erba alta.

Dopo la 8 mi raggiunge il grande Oleg, spero di averlo almeno aiutato con la mia presenza... come ci sono arrivato? Torno sul sentierone, curva, sentierino verso nord (che un po’ si vede) e all’area aperta attacco il punto verso ovest. Gli ultimi 20 metri sono in una specie di campo minato (sassisassisassi) sui quali zompettare dall’uno all’altro, e la lanterna è ficcata in un buco tra due sassi.

Per la 9 seguo Oleg fin che posso, poi dopo il sentiero nord-sud entro in bussola e con una tuta giallo-rossa del Veneto vengo a capo di quell’orrendo collinozzo sassoso. Dalla 9 riparto verso la 10 e a metà tratta mi vedo venire incontro Alberto Albarello con una bionda signora in tuta Veneto; scambio di convenevoli e scopro che stanno cercando anche loro la mia 10... con tutto il tatto possibile, vurìa mai che per colpa mia due naufraghi in questo bosco assurdo vengono depistati ulteriormente, li convinco che io non sono ancora arrivato a metà della tratta 9-10, e così girano i tacchi. Il gruppo che cerca la 10 si compone di 3 unità, poi 4, poi 6 o 7, poi forse una decina. Il punto è incastrato in mezzo a due pietre in una cava di pietre a cielo aperto, e sostanzialmente ci si arriva perchè Metka lo ha appena raggiunto dall’altra parte...

Fosse solo per le tratte 11-18 sarebbe veramente una gara precisa. Alla 11 ci arrivo risalendo lungo una flebile traccia che va verso nord-est e che, in corrispondenza di una radice, gira verso il prato. La traccia dovrebbe essere evidente visto che per un po’ corre in un avvallamento... capisco che qualcosa non torna quando, dopo la sella, incrocio Larisa Anuchkina che mi chiede dove siamo: la traccia infatti punta sempre dritta verso nord e di girare verso nord-est non le passa mai per l’anticamera del cervello. Affronto la 11 dritto per dritto dall’ultimo taglio di bosco con la grandissima Mary Crippa, che poi affronterà il giro in senso orario. La 12 è facile: scendo ai sentieroni e poi fino al grosso bivio che sta a sud del numero “16”; dovrebbe essere una specie di svincolo autostradale... invece è uno spazio da dove si aprono varie aree aperte: la mia scende verso la pista e poi si butta nel pratone. Dove purtroppo la visibilità è bassissima e quindi all’albero isolato ci arrivo ad azimut. Chiedo al ristoratore un secondo bicchiere di acqua oltre a quello che mi spetta, ma me ne versa solo un dito...

Ottima 13 dalla rientranza del prato, guidato dagli incitamenti di Alberto Albarello “Vai dritto così che sei bello!” e dal fatto che Mary Crippa (cui forse erano rivolti gli incitamenti) arriva da sinistra. Ottima 14 da una gobbetta nel giallo che, miracolo!, sembra cartografata da Remo e mi butta dritto sul punto. Ottima 15 tornando nel prato ed attaccando dritto verso ovest, e qui mi raggiunge Andrea Cipriani, che seguo fino alla 16 (con lo sguardo... le gambe restano parecchio indietro). Alla 17 vengo adottato da Denise Baggio che rimane davanti a me di una ventina di metri, pur con due scelte completamente diverse, anche alla 18.

La 19 segna l’inizio del loop finale e anche se le forze sono al lumicino penso che potrei farcela in un tempo decente... 20: scendo lungo i sentieroni grossi verso il prato, da lì attacco il punto in facilità. 21: esco verso est sul sentiero, lascio perdere il primo incrocio e mi concentro sulla traccia che risale verso sud-est... aspetta che finisco di ridere!!! Traccia inesistente. Sbarco sulla strada ed è ancora Denise Baggio a portarmi sulla 21 e forse anche sulla 22.

Per la 23 esco in costa verso nord, per arrivare al bivio di sentieri. Non lo trovo ma arrivo sul sentiero che va verso est e che comincia a risalire la montagna a picco. Il punto d’attacco è il bivio. Bivio INESISTENTE. Lo cercherò io, Denny Pagliari, Sergio Palusa, Eddy Sandri. Inesistente... Quando penso di essere sulla curva giusta mi butto tra i sassi e le depressioni e trovo il punto. Vago un po’ in uscita cercando un sentiero (sempre quello) che non c’è, poi torno al bivio di prima che un po’ si vedeva (ad ovest della 23, dove finisce quello spruzzo di giallo) ed attacco la 24 in costa... toh! Una Taufer. Toh! Un’altra Taufer. Poi un’altra tuta trentina, una Anna Caglio, un Van De Riet a caso, uno Janichovsky tra i tanti, poi un altro bavarese, un croato. Tutti a battere quella maledetta costa... con le energie al minimo uno spera sempre che il punto sia dietro il cespuglio lì nei pressi, e invece no! Finisce che le tre girls girano i tacchi e scendono di qualche curva e alla fine il punto appare. Chiedete pure agli Elite se lo hanno trovato dove pensavano che fosse, oppure chiedete a Oleg Anuchkin che metterà insieme più minuti di ritardo (non lo chiamo errore, lo sarebbe se la carta in dotazione avesse quagliato solo un po’ con quella zona) che in tutta una annata sportiva. Dal misterioso punto dove è posata la 24 diventa difficile pure trovare la pista da sci che porta alla 25! (ci interroghiamo in tre sul da farsi), e poi la 26 è solo un sogno che si materializza.

Licia Kalcich non ha ancora detto “Se mi davano la vera carta di gara, potevo cavarmela meglio”. Ma è quello che in molti pensano! Poveri illusi... non hanno ancora visto nulla. Non sono ancora stati a Platak!!!

Monday, June 20, 2011

Kastav(ay)... si pronuncia come “Castaway” e si legge come “Alpe Adria 2011”.

Sono le 13.15 di sabato 18 giugno, ed i miei occhi intravedono a qualche metro la lanterna numero 100. Sono abbastanza sfinito da non riuscire a scorgere se sullo sfondo c’è lo striscione “CIL” dell’arrivo, e mi fermo un secondo a controllare il codice del punto sul quale convergono altri naufraghi della long distance valida per l’Alpe Adria. Per qualche secondo non so nemmeno io se piangere, se ridere, se ringraziare gli amici del GOK o se benedire le tute gialle e rosse del Veneto Team, se dedicare un pensiero al Signore degli Orientisti che sta qualche curva di livello sopra di noi o se flagellarmi per il peccato di superbia (e di follia) che ancora una volta mi ha portato nel bosco.

Ma sono al traguardo, ed è l’unica cosa che conta davvero...

Flashback. Solo 12 ore prima.

Probabilmente sono sdraiato sul ciglio della strada che porta a Basovizza, dopo essere crollato in perfetto stile “E’ caduto giù l’Armando...” (Enzo Jannacci) dalla GOK-car. Da un paio di minuti, o forse qualcosa in più, il mondo aveva smesso di essere lo stesso: l’alto ed il basso, la destra e la sinistra, il caldo ed il freddo erano diventati concetti avulsi dalla realtà. Un collasso in piena regola, a pochi minuti dalla destinazione di Kozina (Slovenia). Se in quel momento qualcuno mi avesse porto una pistola carica, penso che mi sarei sparato in testa per interrompere le sensazioni che stavo provando... se solo fossi riuscito a capire dove stava la testa! Uno dei pochi pensieri coerenti di quei minuti è una “deviazione mentale” da fisico: poiché le immagini dei punti fissi , che altro non sono che i sassi sul terreno della piazzola dove sono crollato, ruotano attorno a me per almeno 120 gradi bastano 3 giri per fare un triangolo equilatero perfetto (giuro che è vero...). L’altro pensiero è che ho aspettato 6 mesi per disputare la gara long di domani, ed il destino mi sta mettendo nei guai. 6 mesi...

Flashback. 9 mesi e mezzo prima.

Sono sul prato di Brallo di Pregola. Alpe Adria 2010. Tutto si sta concludendo in gloria o quasi, ed io dopo aver fatto le mie gare sto sparando al microfono gli ultimi saluti ai partecipanti. Tomislav Kaniski, l’IOF advisor dell’edizione 2011, mi porge il volantino dell’edizione croata. Non ho mai corso in Croazia, dico a Tomislav che quella potrebbe essere l’occasione buona. Ecco... Tomislav, per chi non lo conosce, è il cugino cattivo di Charles Bronson. E’ un orientista “duro”, al confronto Marco Bezzi ed i suoi percorsi di Marilleva potrebbero sembrare delle passeggiate di salute. E’ uno tosto, e quando gli dico che potremmo rivederci nel 2011 lui risponde che sicuramente la Croazia mi offrirà una sfida “challenging”. Una proprio questa parola: “challenging”. Ed io penso: come fare a raccogliere quella sfida? Come fare...?

Flashback: ultimi giorni del 2010.

Ormai il calendario internazionale è consolidato. Il foglio excel sul quale tengo traccia anche delle promozionali a Kuala Lumpur è ricco di date. Per ogni settimana è indicato il “vorrei ... ma potrò?”. E per il 18 e 19 l’indicazione è sulla Croazia. Alpe Adria Cup 2011. Dove non c’è la M40 ma si passa direttamente dalla M35 alla M45 (che tra l’altro non vale per la Coppa...). E dove c’è Charles Bronson... ehmm... Tomislav Kanicki che mi sapetta al varco!!! Come fare a raccogliere quella sfida? Come posso fare, alle soglie dei 45 (di età) e dei 100 (di peso) a cimentarmi in quella gara, soprattutto quella long!, senza partire per un ritiro annunciato? La risposta è talmente semplice...

Flaskback: Trofeo Lombardia a Casorate: MA. Andalusia O-Meeting: M35. Trofeo Lombardia a Monte Merlo: MA. TMO a San Zeno: MAL. Coppa Italia a OltreBrenta: M35. Coppa Italia a Passo San Boldo: M35. Middle a Hinterbech: WRE. TMO a Carona: MAL.

Ecco spiegato tutto. Non sono diventato improvvisamente folle (o perlomeno lo ero già da prima). Tutto quello che ho fatto nel corso di questa prima parte di stagione, scegliere sempre le gare più lunghe e più dure che potevo, aveva una sola spiegazione logica che però per scaramanzia non volevo dire a nessuno: mettere nei piedi tanti chilometri, ma soprattutto mettere nella testa tanta sofferenza, per non mollare la gara long dell’Alpe Adria a metà strada. Se mi fossi fermato nel fango di Monte Merlo non avrei finito la gara in Croazia, se avessi abbandonato tra i sassi di OltreBrenta Kanicki mi avrebbe sconfitto, se non avessi affrontato il montarozzo di Carona non avrei avuto la forza per terminare il percorso long dell’Alpe Adria...

E’ stato un allenamento mentale, più che fisico; perchè ogni volta che quest’anno mi sono trovato di fronte ai miei abbondanti limiti fisici ho cercato di sopperire con la testa, con l’immagine di Kanicki che mi porgeva quel volantino. Io VOLEVO andare all’Alpe Adria, GAREGGIARE in M35 e FINIRE quella gara, a tutti i costi.

Flashback: meno di 12 ore prima del via della gara long. Sono sempre disteso in una lurida piazzola vicino a Basovizza...


Quello che succede tra la mezzanotte della piazzola di Basovizza e le ore 13 del sabato è il racconto di una gara affrontata al di sotto del minimo livello di sopravvivenza: il giorno in cui introdurranno il controllo medico alla partenza, io sarò invariabilmente rimandato indietro prima del clear e del check.

Si sale a Platak (quota 1111 metri s.l.d.m.) da Fiume (quota 0). E a metà strada circa accade un curioso fenomeno noto come “l’inverno sta arrivando”. Si entra nelle nuvole spesse che anticipano la catastrofe meteorologica su Istria e Quarnaro, la temperatura scende di 20 gradi almeno costringendo chi è salito in pantaloncini corti e maglietta a rovesciare borse e valigie in cerca di qualcosa per coprirsi. La visibilità è stile “nebbia in pianura padana”: la casetta che sovrasta il parcheggio, una fila di macchine più in là (30 metri al massimo) compare e scompare ad intermittenza dietro alle nuvole basse.

Al ritrovo le facce dei sopravvissuti alla gara a staffetta del giorno prima sono un programma... a quanto pare la carta di gara non è un “laserscan” perfetto... i sentieri grossi sono quasi invisibili, quelli piccoli manco parlarne, le curve di livello in alcune zone sembrano buttate lì alla rinfusa. C’è chi dice che in alcune zone della mappa la carta sia stata “stirata” ed aggiustata per far combaciare i rilievi. Si parla dell’”errore” da 15 minuti di Deny, di quello da 12 minuti del talaltro fortissimo Elite. Un bel modo per prepararsi mentalmente alla gara long dell’Alpe Adria con una pressione massima che non arriva alle 3 cifre e con la minima pericolosamente vicino ai limiti legali...

Per il point-by-point della gara long dell’Alpe Adria, il blog dovrà aspettare l’arrivo dei .jpg. Ma il risultato finale è chiaro: “Ombra” ritirata. Stegal al traguardo.

Alla faccia dei primi punti posati in una zona cartografata alla valàPeppone, del punto 6 trovato con un Marco Bezzi inc...zzato nero, del punto 10 sul quale piomba un gruppone di dispersi, della nebbia incombente al punto 12, delle curve di livello inesistenti alla 15 e dell’ultimo loop di lanterne posate in un’area che (per dirla alla Licia Kalcich) “Se mi davano la vera carta di gara, potevo cavarmela meglio”.

E soprattutto fancu1o al mio collasso e alla piazzola di Basovizza!

La chiusura è in modalità Lionel Stander, nel personaggio di Katanga del film “Stanza 17-17”: “Io ho fatto 37 guerre, rivoluzioni, colpi di stato, guerriglia... Io sono stato deportato a Porto Longone. Ma io ero come bambino, poppante, invertebrato. Io non avevo ancora incontrato VOI!”

E io, dopo essere sopravvissuto alla long di Platak, non ero ancora stato alla middle di Kastav, che da il titolo a questo pezzo del blog. Per i soli amanti dei finali, la carta della M21E è visibile sul sito di Emiliano Corona http://www.emilianocorona.it/carte/AA_middle.jpg solo che la M21E era più corta della mia M35!!! ... E buona ricerca del triangolo rosso della partenza!

Wednesday, June 08, 2011


C’è un amico orientista che ha detto e scritto che chiuderà il suo blog, perchè in questo momento non vede l’utilità di proseguire un diario nel quale (apparentemente) l’autore parla solo e racconta solo a se stesso.
Se l’orienteering ha cambiato radicalmente la mia vita, da qualche anno l’appuntamento con il blog ha rappresentato per me n modo di prolungare il piacere delle ore passate nei boschi o nei campi o nei cosiddetti centri storici, con un variopinto foglio di carta in una mano, un aggeggio soggetto alle leggi del magnetismo nell’altra, tanti colori e facce e sudore e fatica e gioia attorno a me.

Tante volte mi sono chiesto anche io a chi possa mai interessare leggere le impressioni di un orientista scarso, afflitto da evidenti limiti tecnici anche dopo 18 anni di gare, con un tono fisico ed atletico in caduta libera! Quando scrivo dell’Impiegato Panzottello o della mia ombra, nota all’anagrafe anche come “SHAron D. OWen”, non sto parafrasando Elio e le Storie Tese e la loro canzoncina “Nei meandri della mia fantasia \ c’è un fottio di animaletti un po’ matti \ creati da me...”; sono Sharon e l’Impiegato Panzottello, nei quali mi trasformo ogni volta che sono nei boschi, sono ciò che vorrei essere anche nella vita di tutti i giorni che invece talvolta riserva giornate no, momenti bui e periodi di gelo nell’anima. Mentre Sharon e l’I.P. sono coloro che tornano a casa felici anche se hanno corso sotto il diluvio, se sono arrivati ultimissimi in classifica, se si sono persi drammaticamente e senza speranza... perchè i miei alter ego Sharon e I.P. hanno la fortuna di essere (loro si!) orientisti, di incontrare amici in ogni luogo del pianeta dove ci sia una mappa, di scambiare battute con altre “Sharon” ed altri “I.P.” (che sicuramente non si chiamano allo stesso modo...) fino ad 1 minuto prima di salire in macchina ed abbandonare la scena dell’ori-delitto, quest’ultimo inteso come tale perchè certe prestazioni sono un vero e proprio attentato al concetto di orienteering!

Ecco perchè mi piace il mio blog, perchè anche stasera ho la possibilità di chiudere gli occhi e di ripassare mentalmente immagini e sensazioni recenti. Posso transitare un istante dalla piatta (ma neanche tanto, a pensarci bene!) Cernusco Lombardone, dove Matteo Crippa e la Besanese hanno proposto un nuovo appuntamento promozionale con il Trofeo Carcassa Scarrozzata Lentamente, e più veloce della luce essere sul rettilineo finale di Civezzano, intento a cercare freneticamente il nome di Matteo nella griglia di partenza degli M20 o degli Elite.
Posso risentire la voce di Ezio Vai, mister “Good Morning Orienteering!”, al quale nel caldissimo pomeriggio di Cavareno qualcuno deve aver detto che io sarei stato speaker il giorno dopo alla Coppa Italia (non oso immaginare quali pensieri possano aver attraversato la mente di una simile leggenda... forse un bel “Come siamo caduti in basso!” non starebbe affatto male); e ancora un istante più tardi essere di nuovo a Civezzano, ma non sono più dietro al microfono bensì nel parcheggio con gli amici Francesca & Alessandro e sto sentendo una voce ben nota che non è la mia ma quella dell’amico Andrea Rinaldi (che ancora una volta si è fidato, e spero di non averlo deluso).
E se da Cernusco Lombardone sono andato a Civezzano e a Cavareno, potrei anche io nella mia mente confezionare un collage di cartine come ha fatto Remo “remmaps” Madella e passare da una buca ad una canaletta ad un cortile interno: una delle tante buche del bellissimo bosco dell’Argentario che ancora una volta mi ha reso un ottimo orientista anche se figurerò negli annali come ritirato, una delle canalette del bosco di Cavareno che fecero perdere nel bosco per varie ore un esordiente in un lontano 1992, uno dei cortili asimmetrici della parte finale del percorso di Cernusco nei quali il mio compagni di squadra Alessio ed io ci siamo giocati sul filo dei secondi una posizione di assoluto rincalzo in una gara promozionale lombarda, però giocando come se fossimo tornati bambini e lottando come se la posta in palio fosse una medaglia mondiale.

Alla fine ho riaperto gli occhi, proprio adesso, senza aspettare la “fine del pezzo”.
E mi sono accorto che non sentivo più nessun bisogno di raccontare per filo e per segno il mio percorso MA di Cernusco lungo il quale ho cominciato a camminare dopo nemmeno 200 metri, alla prima salita!, un appuntamento che (come quelli organizzati da altre società) consente a chi cerca di fare “diffusione” tra gli esordienti di non rispondere “ci vediamo a ottobre” alla domanda “quando è la prossima gara?”.
E in fondo, pur amando alla follia il bosco magico che si trova tutto attorno al garnì “La trifora” di Cavareno, non ci sia alcun bisogno di raccontare ancora una volta quali nefandezze io abbia compiuto nel giro “score” su 29 lanterne della gara CSI disputata sabato scorso (ma quel bosco... quel bosco... è veramente una moquette!).
Ed infine la gara di Civezzano, ancora una volta una ottima organizzazione da parte del Trent-O, non guadagnerebbe nulla dalla cronaca della mia prova solitaria alle 8 del mattino: le prime due lanterne tra le paludi, ancora senza teli e stazioni; la mia traversata sui pratoni per andare alla terza lanterna (vi siete serviti, vero, della mega-traccia che ho lasciato nell’erba fradicia e che a fine giornata era diventata una autostrada?) ed il primo punto tra le buche ed i crateri dell’Argentario, il loop middle fino alla 8 fatto come un laser o come un autentico vero orientista di valore, ed il puro caotico delirio alla 9 dove non avrò mai una risposta certa alle domande “L’ho trovato o non l’ho trovato? Ci sarò passato almeno vicino oppure no?” con i miei occhi che cercavano solo un pixel arancione che non era ancora stato posato.

Cernusco Lombardone, Cavareno e Civezzano. Adesso, se cercate queste località nel motore di ricerca di Google, troverete il mio diario. E non so nemmeno perchè mai qualcuno dovrebbe essere così squinternato da mettersi a cercare proprio Cernusco Lombardone, Cavareno e Civezzano!!!
A meno che l’occasionale googlatore non stia cercando una cosa più complicata, ovvero “Buoni motivi per sorridere anche dopo una giornata come questa”.
Ecco cosa è il mio blog. E’ un buon motivo, per me, per lasciarmi alle spalle questa giornata; per sorridere e per rilassarmi ritrovando la certezza che in fondo al tunnel c’è sempre un’altra gara, ci sono sempre altri amici... e ci sarà ancora un’altra pagina del blog da scrivere!