Stegal67 Blog

Monday, May 21, 2012

Genesi (2)

“Se non fosse per quella maledetta passionaccia…”… massì, dai! In fondo persino il rumore del silenzio più rivelarsi carico di tensione e di ricordi più di quanto possa raccontare una delle mie canzoni preferite by Simon & Garfunkel. Quei silenzi carichi di rumori e di colori e di gioie e di significati. C’è un silenzio in particolare che non posso dimenticare. Anche se, dal punto di vista prettamente sportivo, è intimamente collegato a quel particolare sport che nel nostro paese trova sempre il modo (ormai più spesso nel male che nel bene) di riempire le pagine dei giornali e le ore televisive; quella disciplina sportiva (che fa sempre più a pugni con la “disciplina”) che occupa un ruolo rilevante nelle giornate di tanti italiani: chi non ha molte altre passioni con le quali sfogarsi e chi crede ancora nel Dio-calcio-pallone, perché magari (mi piace pensarlo) lo pratica con passione ed altruismo come io pratico l’orienteering, oppure perchè ha un figlio o una figlia che giocano a pallone all’oratorio o in qualche sconquassato campetto di periferia… domandandosi talvolta se il calcio delle prime pagine, quello dei morti in campo ed in tribuna, quello delle scommesse e delle combines, quello dei puttanieri e dei cascatori, sia ancora lo stesso di quello giocato dai ragazzi con le magliette messe a mò di palo della porta (ogni riferimento a De Gregori e “La leva calcistica del ‘68” è puramente casuale). Chiedendosi infine se questo calcio del XXI° secolo abbia lo stesso significato che poteva avere 30 anni fa, e se possa ancora rappresentare un percorso di crescita personale ed un improbabile futuro roseo per un ragazzo più talentuoso di altri.

Se non fosse per quella maledetta passionaccia, io e la mia generazione vivremmo perennemente in mano ai ricordi del 1982, di “Zoff Gentile Cabrini … (pausa)… Oriali Collovati Scirea… (pausa reverente)…” di Rossi-Rossi-Rossi che spegne in un pomeriggio i sogni del Brasile a la cinco de la tarde dello stadio Sarrià, di Rossi-Rossi e poi di Rossi-Tardelli-Altobelli e di un Presidente che si sbraccia in tribuna d’onore al Santiago Bernabeu; tutti noi dimenticammo in fretta le polemiche dei gol non fatti con la Polonia, della pena del secondo tempo con il Perù e della paura negli occhi di tutti contro il Camerun. Ma il mio Mondiale del 1982, io che ho sulle spalle anni sufficienti per entrare in H45 proprio nell’anno di grazia 2012, rimane tuttavia un Mondiale fatto di rumori di sottofondo. I rumori stavano nelle città, nelle strade, non certo a Tavon dove le partite le guardavo sul televisore della sala comune dell’Albergo Pineta in mezzo ai vecchietti che si addormentavano a metà primo tempo cullati dalla voce quasi monocorde di Nando Martellini. I rumori erano quelli che poi si vedevano il giorno dopo sui giornali, con le foto della gente in piazza a scorrazzare avanti e indietro… quale piazza? A Tavon non c’è mai stata una piazza!

Se non fosse per quella maledetta passionaccia, avrei cercato di imbottigliare quei ricordi e tenerli per il 1986… ma solo una mente malata o particolarmente tifosa poteva pensare che lo sciuscià Nando De Napoli e Nanu Galderisi avrebbero potuto fare miracoli (e poi la finale sarebbe stata proprio la domenica sera prima del mio esame di maturità… che mi fregava a me dei Mondiali???). Avrei tenuto quei ricordi sempre più sbiaditi per il 1990. Ma quel Mondiale “notti magiche inseguendo un gol” per me voleva dire soprattutto avere la casa della mia ragazza libera una volta alla settimana (i suoi genitori andavano a vedere le partite dell’Italia a casa di amici) in quel di Via Soperga, ed una Panda 30 sotto il sedere per ritornare a casa mia durante l’intervallo tra i due tempi, per attraversare Milano a velocità da fucilazione della patente (i 130 km\h in Panda 30 sul cavalcavia Renato Serra quando non c’erano ancora gli autovelox…), per essere a casa prima della fine della partita e prima che il consueto gol di Toto Schillaci (che in quei giorni segnava da terra, da vicino e da lontano, da vivo e da morto) facesse scendere in strada mezza popolazione di Milano bloccandomi lungo il rientro.

Se non fosse per quella maledetta passionaccia… ricorderei qualcosa del Mondiale 1994, che si risolse alla fine con una nuova finale Brasile-Italia, ma è un periodo che io in realtà ho trascorso da “confinato” in Osservatorio a Loiano per le mie ultime imprese da studente. Per non parlare di quello del 1998, di cui non ricordo assolutamente nulla… O di quello del 2002, dell’arbitro Moreno che si prende tutte le colpe del fatto che, sì… magari c’era un rigore o magari due… ma se gli attaccanti italiani non la buttano dentro nemmeno quando la porta è larga un ettaro…!?!?!

E allora cosa centra il silenzio? Quello arriva in una sera del 2006. Perché nel 2006 festeggio i 7 anni di vita da solo e la mia casa risuona di una lunghezza d’onda ben precisa: quella di Jennifer Lopez e della sua “If you had my love”, la colonna sonora del giorno preciso in cui sono andato ad abitare nella “vituperata casetta”; Jennifer Lopez è stata la mia unica compagnìa nelle prime settimane in cui mi sono svegliato in una casa riempita solo da me, con la televisione (che poi ho restituito) lasciatami dai miei genitori e sintonizzata ogni mattina su “Pure morning” di MTV che trasmetteva sempre alla stessa ora, quella in cui mi svegliavo, quella canzone… e se qualcuno si ricorda il video, può benissimo capire perché mi sia rimasta impressa quella canzone che girava a nastro continuo proprio nei miei primi giorni da “Vado a vivere da solo”.

Ma perché adesso c’è una seconda colonna sonora, ed è proprio il silenzio di una sera del 2006? Perché quella sera sono stanco, non ho una televisione, non ho voglia di andare a casa di amici a vedere la partita. E poi è ancora “quella” partita, ancora Italia-Germania, ancora quella sfida eternamente uguale a se stessa tra i mediterranei ed i teutonici, i ragazzi con gli stivali di carta e la PanzerDivisionen, le cicale e le formiche d’Europa. Perché, escludendo forse il giorno in cui si gioca Italia-Germania, ha sempre ragione Gary Lineker quando dice “Il calcio è quella cosa che si gioca 11 contro 11 e alla fine vincono i tedeschi”. E poi i tedeschi nel 2006 giocano in casa… devono andare a fare la “loro” finale a Berlino e noi siamo solo quelli dell’ennesimo scandalo calcistico e di Moggiopoli e del povero Pessotto che si lancia nel vuoto preso dal vortice di quel male interno che non si può dire…

Se non fosse per quella maledetta passionaccia…. Ma forse è proprio per quella maledetta passionaccia! A me di quella partita importa davvero poco. Fa caldo, sono stanco, devo dormire con la finestra spalancata nella afosa estate milanese. Tanto, come ogni sera in cui gioca l’Italia, io capirò come va la partita a seconda delle urla del quartiere. Sento che la partita comincia… i ragazzi contro i panzer. Ed io mi addormento. E sogno. Ed alla fine mi sveglio, e mentre apro gli occhi percepisco attorno a me un silenzio irreale, come se il mondo fosse finito durante il mio sogno ed io fossi rimasto l’unico essere vivente per chilometri e chilometri. Guardo la radiosveglia e vedo che è tardissimo, è notte fonda ed il mondo è in silenzio. Non c’è un rumore in tutto il quartiere. “L’Italia ha perso” penso con un velo di tristezza; tristezza perché, in fondo, è vero che in uno sport come il calcio si può credere avidamente e ci si può credere meno, ma Germania (e Francia) sono sempre sulla linea di tiro quando si tratta di fare un po’ di tifo “contro”…. L’Italia ha perso ed io mi giro nel letto dall’altra parte. In fondo vuol dire che non mi sono perso niente, mi sono risparmiato una serata di sofferenze e di imprecazioni degli amici. E’ quasi mezzanotte e fa quasi fresco, c’è qualche refolo d’aria che rende meno avvampante l’afa milanese.

E poi succede qualcosa. Arriva un’onda. Un boato che arriva in un solo singolo istante ma fai in tempo a sentirlo crescere anche se raggiunge l’apice in un decimo di secondo, e improvvisamente il mondo comincia a tremare di un urlo che racchiude dentro di se tutte le vocali dell’alfabeto. Se non fosse per quella maledetta passionaccia… sarei corso ad accendere la radio per capire cosa stava succedendo, ed invece sono rimasto lì a guardare perplesso l’orario: non è più “oggi” ed è quasi “domani” e c’è questo urlo che non si spegne. E mentre mi chiedo cosa lo ha provocato… supplementari? Rigori?... Sento un’altra bomba sonora che arriva, più forte della prima, comincio a sentire i clacson per le strade, i miei vicini che urlano lungo le scale e si precipitano fuori… non sono i rigori, ma che sta succedendo?... e poi l’ultimo urlo, liberatorio. Per quella maledetta passionaccia, ho dovuto aspettare (io e pochissimi altri in tutta la penisola) fino al giorno dopo per scoprire che cosa era successo in una notte tedesca nell’anno di grazia 2006. Il resto della storia, la finale che consegna la quarta Coppa del Mondo alle bacheche italiane, è una favola che non possono a cancellare con uno schiocco di dita né i nostri scandali e o le partite comprate ed i presunti goleador gossippari: così, davvero, da buon vecchio H45 sono proprio contento che anche la generazione dei “quindicenni-nel-2006” possa raccontare il suo Mondiale da sfavoriti, che abbia il proprio Mondiale delle rivincite da tenere nella bacheca dei ricordi. E magari tra 30 anni qualche neo-H45 racconterà come ha vissuto la sera di Italia-Germania 2006, così come io potrei raccontare quella del 1982 ed i miei genitori mi raccontavano quella del 1970.

E magari sarà la voce di Fabio Caressa a fare da colonna sonora ai loro ricordi del 2006, quella voce che si trova su youtube (cercate “caressa show italia germania”) e che io avrei inserito tra i miei “link preferiti” per il calore e l’emozione che ha saputo trasmettermi nonostante quell’evento sportivo non sia tra i miei prediletti.

Se non fosse per quella maledetta passionaccia…

Thursday, May 17, 2012

Genesi (1)

Genesi
“Se non fosse per quella maledetta passionaccia…” (cit. Andrea Segatta)… Se non fosse per quella maledetta passionaccia, quando chiudo gli occhi e prendo in mano un microfono e faccio un bel respiro prima di cominciare il racconto dal vivo di una gara, allora penserei ad una bicicletta, penserei al giorno in cui da ragazzo di campagna mi sono trasformato in un cittadino. Penserei a quella gara ciclistica, il Campionato del Mondo su strada professionisti del 1975, che rappresenta il momento spartiacque che sempre sarà l’emblema del giorno in cui sono diventato un milanese... Poi mi chiedono perché nella mia mente il Campionato del Mondo di ciclismo rappresenta qualcosa che, trasferte o non trasferte, circuiti appassionanti o non circuiti appassionanti, nazionali italiane forti o meno forti, agosto o autunno che sia, cerco sempre di seguire con un po’ di pathos e di commozione.

Se non fosse per quella maledetta passionaccia… Milano, la grande città, “piena di strade e di negozi e di vetrine e di luce” e di semafori che non ero abituato a vedere (il semaforo più vicino a casa era all’ingresso di Cles!)… anche se dove sono andato ad abitare io non c’erano molte strade, il negozio più vicino era davvero distante, di vetrine e di negozi non ne parliamo e a scuola ci andavo con il pullman e i miei genitori mi affidavano ogni mattina a qualche ragazzo più grande per evitare che io mi perdessi e dimenticassi persino come tornare a casa. Di strade, tra il Morivione e Baravalle, non ce ne erano tante. Il Ticinello e qualche fogna scorrevano a cielo aperto verso la campagna, e dalla finestra della stanza dei miei genitori vedevo ancora le cascine e le pecore come quando stavo a Coredo (lì c’erano le mucche, ma insomma potevano bastare anche le pecore). Il giorno in cui sbarcai a Milano, la domenica pomeriggio del Mondiale di ciclismo. Il salotto della casa dove abitavano i miei cugini fece da “camera di decompressione” per uno che come me spalancava gli occhi sulla città (ostile). Non avevo mai visto una televisione così grossa come quella dei miei cugini più grandi! E non potrò mai dimenticare il 27 agosto 1975 ed Hennie Kuiper ed il modo in cui andò in fuga e vinse il Mondiale del 1975 davanti a Roger De Vlaeminck

Se non fosse per quella maledetta passionaccia… forse allora sarei diventato un ciclista, nel ricordo degli operai che lavoravano al cantiere vicino all’Albergo Pineta di Tavon dove stava la mia amica Manuela; gli operai che sentivano la radio e facevano il tifo per Gimondi (persino in Val di Non arrivavano a lavorare gli operai bergamaschi, e Gimondi era di Selvino o giù di lì). Attraverso le loro voci ho sentito il racconto di come Gimondi vinse il Mondiale sprintando sulla salita del Santuario della Madonna del Montjuich di Barcellona (dove molti anni dopo sarei andato in pellegrinaggio… non al Santuario ma sul rettilineo di quel Mondiale). Di come vinse, ormai anziano corridore, un Giro d’Italia battendo nell’ultima cronometro un belga di nome De Muynck, che poi puntualmente con tutte quelle y e quelle k facevo perdere quando giocando a biglie nel bosco e imitavo le corse ciclistiche. Anni in cui la televisione era quella del bar di Tavon, i racconti di quegli operai erano la cronaca dal vivo degli eventi sportivi… anni in cui persino l’ultima tappa del Giro d’Italia con la sfida tra Bertoglio e Galdos sullo Stelvio la si poteva seguire solo per radio.

Hennie Kuiper andò in fuga, i miei cugini si aspettavano qualche italiano; ma in quell’anno disgraziato, dove forse il migliore azzurro fu un tale Santambrogio (non vado nemmeno a consultare wikipedia, pura memoria e se sbaglio è comunque la mia memoria e la gara me la ricordo così), gli azzurri erano indietro. Come avrebbero potuto riprendere un tale che ,a giudicare dalle riprese televisive in bianco e nero un po’ traballanti che mostravano il ciclista ed il tachimetro della moto al seguito, andava a sessanta all’ora a vincere la maglia iridata? (ho sempre sperato che quella immagine ferma nella mia mente sia legata ad un Kuiper post-scollinamento…). Kuiper andò in fuga nello stesso modo nel quale anche io andavo in fuga dal mio paesello e diventavo un cittadino: ho sempre associato questo momento fondamentale della mia vita ad Hennie Kuiper ed al Mondiale di ciclismo. E per questo il Mondiale di ciclismo è sempre stato un rito che, nei limiti del possibile, negli anni successivi ho sempre fortissimamente voluto vedere fin dai primi chilometri, quando la RAI cominciò a trasmetterne persino la partenza.

Se non fosse per quella maledetta passionaccia, avrebbero avuto un valore diverso gli anni delle corse di Francesco Moser ad Ostuni ed al Nurnburgring (ho sempre avuto un senso di odio per Knetemann), la sua vittoria in bianco e nero nel nulla totale di San Cristobal; la caduta di Battaglin sul rettilineo di Valkenburg e la folle edizione di Sallanches su un circuito fatto apposta perché arrivasse da solo Bernard Hinault. Se non fosse per quella maledetta passionaccia soffrirei di più ancora oggi nel pensare alla sconfitta di Praga in Piazza Venceslao ed allo “sparo nel buio” di Saronni sullo strappo di Goodwood. Ecco… se non fosse per quella maledetta passionaccia… allora penserei che il Mondiale di Saronni a Goodwood rappresenterebbe il momento top dello sport italiano, con quella maglia azzurra che insegue e spegne il sogno di Marino Lejarreta, di Johann Van de Velde, di quei due ragazzotti con una maglia blu-rossa-bianca con le stelle che vedevamo per la prima volta a colori ed a quei livelli, la maglia degli Stati Uniti di tale Eric Boyer e Greg Lemond… che chi li aveva mai visti prima di allora in testa ad un mondiale di ciclismo e chissà quando pensavamo che mai li avremmo rivisti 

Se non fosse per quella maledetta passionaccia… allora penserei che quel giorno a Goodwood un immenso Chinetti mise il mondo davanti alla scelta di consegnare la maglia iridata nelle mani di un gregario italiano o lasciare che fosse il capitano della squadra italiana a compiere il capolavoro definitivo negli ultimi 200 metri, e che solo De Zan quel giorno poteva compiere l’errore imperdonabile di dare il microfono in mano a Gimondi (ancora lui) per commentare gli ultimi 50 metri del gesto ciclistico più bello che io abbia mai visto; così ancora oggi qualunque giovane che voglia andare su youtube a rivedere lo “sparo nel buio” si deve sorbire qualche secondo di imbarazzato mugugnìo nel momento di pathos che corona la carriera di un campione del mondo.

Se non fosse per quella maledetta passionaccia… potrei tirare un filo che va da Hennie Kuiper a Moser e Saronni ed Argentin e Fondriest e Cipollini e Bettini e Ballan, potrei passare sopra persino all’errore di De Zan e lasciare che la mia testa pensi al Campionato del Mondo di Goodwood, a Giuseppe Saronni ed alla sua vittoria come al momento più bello che ho vissuto a fianco dello sport italiano.

Ma c’è sempre quella maledetta passionaccia…

Sunday, May 13, 2012

C'era una volta una mutanda...

Sto decisamente invecchiando, ed anche la gestione del blog non perde occasione per ricordarmelo. Poiché infatti ogni ori-blog ha le sue peculiarità, ogni blogger non perde occasione per offrire la sua personale risposta alle domande fondamentali dell’orienteering.


Ad esempio: volete sapere come si conduce nel modo più spettacolare una gara di testa del Campionato Italiano Middle? Se è così, il sito di Dario Pedrotti è quello che fa per voi; basta leggere cosa è riuscito a scrivere, per due volte (e quante volte è riuscito a mandarmi a quel paese…) dopo la gara di domenica scorsa a Cinte Tesino! Persino alla promozionale di Mezzago, dico Mezzago!, ho trovato un concorrente svizzero, dico Svizzero!, che non ha perso occasione per decantare e declamare le lodi del Pedro nazionale…

Oppure siete più legati alle performances degli atleti di punta? Di quei corridori che ormai sono alle soglie della perfezione, dei 4 minuti al kmsf, coloro cui non basterebbe (come al sottoscritto…) diminuire la dimensione di qualche piatto di pastasciutta per scendere al netto di un minuto al chilometro? Allora bisogna andare a leggere il blog di Michael Baggio, giunto ormai alle soglie dell’eccellenza, per scoprire quali fatiche, quali sforzi e quali pensieri restino …

Per ultima, dopo aver citato un giovane Master ed un giovane Elite, si può sempre andare a pescare la gioventù e la freschezza e l’entusiasmo di Ori-Bea, probabilmente già fin d’ora vincitrice del premio per “volto nuovo” della stagione 2012 (precedenti vittorie dal passato a ieri: Viola Zagonel, Anna Caglio e Eleonora Donadini): i suoi racconti mostrano come la passione e la buona scrittura possano coniugarsi al meglio anche nelle giovani generazioni…

A me, che sono ormai uno dei più vecchi ori-blogger in circolazione, non resta che rispondere alla domanda fondamentale che ha accompagnato le mie ultime settimane di trasferta: avrò abbastanza mutande per completare una cinquina “Lussemburgo – Puglia – Lussemburgo – Valsugana – Lussemburgo”? Per i soli finali di gara, ho scoperto di avere a disposizione nei miei cassetti 25 paia di mutande (si! La soluzione del problema della vasca… citazione per i soli master di origine trentina – quindi anche per Pedro - … è anche il numero di mutande che sono riuscito a ripescare dai miei cassetti).

Certo, non tutte quelle mutande hanno goduto di istanti gloriosi e celebrati come il paio che ho indossato durante la gara di sabato a Pieve Tesino (semifinale Campionato Italiano Middle) ed immortalate nella ormai celeberrima frase (sempre by Pedro “Stegal la fa di culo nel senso vero del termine”… alcune infatti si sono limitate ad essere sballottate nell’aeroporto di Zutigo-Kloten, posto ameno che ormai “domino” con sapienza corridoio per corridoio (mi trovate di solito al gate A54, da dove vengono imbarcati i voli più sfigati…). A proposito, perché si dice “il paio di mutande” se il paio è un pezzo solo?

Guarda un po’ come mi sono ridotto. Solo qualche anno fa avrei parlato del Campionato Middle come di una occasione per sfidare la cabala (e la mia insipienza orientistica) nel tentativo di qualificarmi almeno una volta nella vita per la Finale (fatto! All’Argentario). Oppure per affrontare avversari ed amici di categoria in una gara che una volta all’anno ha qualche valore in più della n-esima prova di Coppa Italia o di Campionato Regionale. E adesso mi riduco a parlare di mutande! D’altronde, non sarebbe meglio glissare sulle mie meravigliose performances valsuganotte sull’Altopiano del Tesino?

Vediamo, da dove cominciare? Arrivo alla partenza portato dalla macchina dello sloveno Marco Giovannini, proveniendo direttamente da Lussemburgo in un ennesima sfida alle combinazioni ed alle coincidenze aviatorie nei cieli europei. La concentrazione non è proprio al massimo, anzi è proprio al minimo sindacale, e quando supero la lanterna svedese sono già PERSO! La carta mi si propone con un numero di curve di livello improponibile per il mio peso e per le mie caviglie (soprattutto quella di destra, che sarà visitata da Eduard S. dopo la gara e riceverà occhiate perplesse… dove voglio andare con una caviglia così?). Decido lì per lì senza alcun raziocinio di buttarmi a sinistra e dopo un paio di passaggi nel buio del bosco sono già perso, in compagnia di Claudio Valer (ora che ci penso, essendo Pedro e Claudio parenti… non è che il buon Claudio è stato mandato sulle mie tracce per depistarmi? Guarda te a cosa arriva la perfidia di certi master!). Per fortuna capisco che il primo punto è uno si quelli alla Sali-Sali-Sali finché non sei in cima a tutto, e sbanfando ed arrancando e fermandomi di tanto in tanto facendo mostra di studiare la cartina a tutti coloro che mi sorpassano, arrivo al punto 1 già domandandomi se in M45 non avrei fatto meno fatica.

Arrivo al centro della prima farfalla perché bene o male ci si stanno indirizzando cento altri concorrenti, e male o bene vengo a capo delle due ali di farfalla perché ci sono un po’ di autostrade nel bosco, e perché Silvia Simoni ed io cerchiamo lo stesso punto e ci separiamo in zona punto, così quando io non lo trovo so che è stata lei ad avere l’intuizione giusta. Dopo la farfalla, il punto 9 a bordo prato ha un grado di difficoltà superiore solo al punto degli Elite, sul recinto a bordo strada, ed è il momento di affrontare una costa lunga, ripida, friabile, difficile solo per chi come me non riesce a stare nemmeno in piedi… incrocio sulla 44 (?) le tracce dell’amico Fabio Dalla Riva che poi mi aspetterà al traguardo per ridere insieme delle nostre rispettive malefatte orientistiche, e dalla penultima all’ultima lanterna mi produco nell’ormai celebre “scivolata gallettiana”: per una cinquantina buona di metri faccio finta di essere sugli scivoli del Caneva o del Cavallino (pregando che non ci sia qualche spuntone di ramo nascosto tra le foglie secche), oppure sulla discesa verso l’ultimo punto di Passo Cereda, sempre di Campionato Middle si trattava ma era una finale e la superficie era innevata.

Il mio risultato di qualificazione garantisce ancora per parecchio una solida base di sicurezza per coloro che odiano arrivare ultimi… non devono fare altro che sperare in una mia presenza in categoria… Una cena multietnica con il GOK presente in zona, Kristian e Metka, Matteo e Eddy, Christine Ingemar e Linnea mi catapulta dritto alla mattina di domenica: metà di noi (cioè loro, gli altri, quelli che non sono io) saranno impegnati nella finale, volenti o nolenti sono ancora in gara per un titolo o una medaglia… potrebbe essere solo un sogno, una probabilità imponderabile, potrebbe volerci una inondazione o un disastro intergalattico per portare alcuni finalisti sul podio, ma loro, gli altri, quelli che non sono io, sono ancora in gara per una posizione.

Io sono in gara solo per capire come è il bosco e come saranno i tracciati, se ci riuscirò dalla finale 35B, e mi accontenterei di partire alle 8 del mattino anche se le lanterne non sono ancora state tutte posate. Giancarlo Gozzer insiste per farmi partire a posa completata, il che costringe purtroppo Fabio Hueller e Gabriele Bettega ad un super lavoro per risolvere “il problema” che sarei io che voglio partire prima possibile. Sotto l’acqua, la salitella che porta al varco tra i cespugli che porta nel bosco mi sembra la lingua di un diavolo che sta cercando di ingoiarmi… questo è il morale con il quale inizio la gara. Per fortuna la carta di gara mi appare subito come abbastanza agevole, il bosco molto scorrevole e le lanterne hanno punti di attacco o di arresto abbastanza evidenti.

Non sbaglio molto, anche se ogni secondo di incertezza è, in un bosco del genere, un secondo di errore; perdo tempo più nel bearmi del fatto di essere da solo nel bosco, e perdo tempo ovviamente sulle tre ripide rampe (l’ultima poi!) che portano a quelle “terrazze” sulle quali si trovano i punti successivi. Nel finale comincio a mettere insieme qualche errore più sensibile, e scopro di essere molto distratto dal brusio che proviene dalla valletta nella quale sono arrivati tutti i concorrenti che, con uno spirito sicuramente più battagliero, sono saliti al Monte Mezza per darsi battaglia sul filo dei secondi.

Saranno questi ultimi a dare lustro alla giornata ed alle parole di uno speaker improvvisato (con un impianto fonico, purtroppo, ancora più improvvisato) ed a dimostrare ancora una volta di più con le loro sfide fatte di secondi di distacco (talvolta neanche quelli) come l’orienteering sia uno sport tra i più spettacolari ed emozionanti anche se il 99,9% della competizione è invisibile a tutti quanti i concorrenti. Ma a mostrare cosa è successo realmente nel bosco, quali prestazioni eccellenti o malefatte abbiano portato a questo o quel risultato, ci pensano poi i blog nei giorni successivi! Io ormai mi accontento di “portare in giro le mie mutande”… senza pensare nemmeno per un istante che, in fondo, Andre Agassi vinse il Roland Garros senza mai indossarle dal primo turno fino alla finale!

Sunday, May 06, 2012

Salento lento

Come probabilmente sanno tutti coloro che leggono il mio blog, ho spesso indugiato a parlare delle mie vicende orientistiche come se queste rappresentassero il perno o l’asse portante di tutta una vita che sembra avere negli affetti personali e nel lavoro un fattore secondario. Se qualcuno mi ponesse la domanda “Ma è proprio così?” non saprei davvero cosa rispondere: l’orienteering è una costante della mia vita da 18 anni a questa parte e da novecentonov… (suspence!) gare a questa parte. E’ qualcosa che mi ha dato gioie e dolori, visibilità e motivo di crescita personale e lavorativa, mi ha fatto conoscere persone che nel novecentonov… (suspence!) per mille dei casi si sono mostrate il meglio del genere umano che avrei potuto frequentare.


Ogni tanto qualche amico mi ha consigliato di riversare meno energie e meno passione in una pratica sportiva che non mi offre risultati tali da garantirmi un sicuro avvenire sulla Gazzetta dello Sport (e la mia caviglia destra è attaccata al resto del piede per miracolo!), o di non riversare nel blog pensieri forti quando attorno a me ci sono sempre motivi per classificare l’orienteering come una futilità passeggera nel fiume di una o di tante esistenze. Il mio modo di raccontare le vicende che di solito si intrecciano con i fine settimana non cambierà nemmeno questa volta, ma pur concedendomi ancora qualche licenza poetica non posso dimenticare che nello scorso fine settimana abbiamo ricordato (chi era al Monte di Mezzocorona ma anche chi non c’era) due amici come Carlo e Franco, e che nello scorso fine settimana il mio amico Attilio (il mio compagno di staffetta e di bevute e di novecentonov… serate passate in garni, B&B, hotels di tutta Europa ad aspettare la prossima partenza) ha perduto la sua mamma.

Agli amici che non abbiamo più ed ai nostri cari che ci hanno lasciato va il mio pensiero, così come va a coloro che erano vicini alle persone scomparse, nella speranza e nell’incitamento che l’esempio di chi ci è stato vicino ci faccia fare al meglio delle nostre possibilità ogni tratta di un percorso ed ogni tratta della nostra vita.

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Alla Puglia, alla 4 giorni del Salento, non mi ci sarei nemmeno dovuto o potuto avvicinare. Non sapevo se avrei potuto partire da Lussemburgo, non sapevo se avrei potuto arrivare in tempo. Non sapevo quando avrei dovuto ritornare qui (sempre Lussemburgo)… troppo distante e troppe cose dovevano incastrarsi alla perfezione per consentirmi di pianificare per tempo una trasferta impegnativa.

Poi il GOK, solitamente lento come … come me nel fitto del bosco!... nel muoversi e pianificare le trasferte, ha deciso in 20 minuti (venti) per tutto il pacchetto completo: volo, auto, B&B, categorie, presenze, accompagnatrice al seguito (Mirella, di cui avrò modo di riparlare…). Di fronte ad una tale offensiva non mi è restato che unirmi al gruppo mettendo sul tavolo qualche chip per la puntata “volo Ryan Air, eventualmente perdibile”. La partenza alla fine c’è stata, arrivando col fiatone da Lussemburgo.

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4 gare. Contando il trail-O diventano 5, in 4 giorni. Contando che abbiamo cominciato alle 21 di sabato e abbiamo finito alle 12 di martedì sono 5 gare in poco più di due giorni e mezzo.

La prima gara ad Otranto era un centro storico sprint regionale, ed il tutto ha assunto dei toni a tratti sconcertanti. La prima tratta del percorso è stata abbastanza impegnativa: ritrovo ai giardini pubblici di Otranto e… un indirizzo no, eh? Sbarchiamo verso il centro della bella cittadina adriatica e cerchiamo supporto nell’autista di una ambulanza, ottenendo una risposta abbastanza sconcertante “Non so dove siano, non posso aiutarti”. Mi chiedo: e se qualcuno chiama l’ambulanza per una persona che sta male ai giardini pubblici? Poi, scendendo verso il mare, compare davanti a noi una zona alberata: sono i giardini pubblici, che vedono già qualche orientista pensieroso in loco. Peccato che il ritrovo sia da tutta un’altra parte! Ai giardini pubblici c’è l’arrivo ma ritrovo e partenza sono presso l’APT.

La gara in se è carina ed anche affascinante. L’inconveniente principale legato al fatto che era descritta come una sprint (tempo vincitore 15 minuti?) in centro storico (calzoncini corti?) ed invece i tempi dei vincitori sono sulla mezz’ora, e di conseguenza il mio è molto più alto, ed il percorso M35 attraversa una zona aperta grezza dove il primo che è passato in mezzo ai rovi per cercare in notturna i punti privi di catarifrangente è un eroe; ma anche io non scherzo, soprattutto quando mi lancio in una scelta di percorso verso la 4 che prevede un passaggio a bordo dirupo (inseguito dalle urla di persone alla finestra che mi implorano di non ammazzarmi! E sarà una costante della trasferta pugliese…), come pure verso la 6 nell’aperto grezzo in mezzo a rovi alti così che mi spatassano le gambe: quest’ultima lanterna in una zona dove la carta ci azzecca poco con la realtà, essendo comparsi parcheggi recintati e capanni prefabbricati in una zona che dovrebbe avere solo un paio di alberi ed un paio di depressioni.

Come risultato, arrivo nel centro di Otranto con una strana sensazione di calore sulle gambe: è sangue, che ricopre le gambe dalla coscia alle scarpe, cosa che farà inorridire un paio di persone al punto 12 quando una frenata sul punto provocherà un nuovo sbuffo di sangue come nemmeno in una scena di Rocky. Un percorso comunque molto interessante soprattutto per quanto riguarda la parte labirintica del centro di Otranto... forse un po' troppo lungo per una sprint notturna che tra l'altro precede una Coppa Italia Long: d'altra parte se Teno vince la M21 in 30 minuti, forse siamo più a livello di middle che di sprint e queste cose talvolta sarebbero da sapere prima...

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Poche ore di sonno ed è il momento di affrontare la Coppa Italia a Porto Selvaggio, dall’altra parte del Salento. Ed è una Coppa Italia in M40 che ricorderò con un misto di piacere, orrore e ilarità. Il piacere è il secondo posto finale dietro a Zarfo… ma è inutile dire quanto erano i concorrenti in categoria. L’orrore è concentrato nel numero 69 che non è quello che pensano alcuni tra i più sgamati…: è la famosa lanterna sotto la scogliera che sarà ricordata da molti per la modalità di avvicinamento in stile “discesa in corda doppia” fatta da me (inseguito dagli insulti del buon Giovanni Greco), Fabio, Whites, Jimy e qualcun altro, guidati dal basso da chi (Alessio, Monica, Sara) era già riuscito in un modo o nell’altro o per una strada diversa a scendere fin quasi a bordo acqua. Orrore poi un po’ più diluito su un percorso terribilmente duro, bello ma duro, sotto la caldazza dei quasi 30 gradi, con un unico ristoro un po’ troppo avanti lungo il percorso dove sono giunti dei naufraghi veramente sfiniti… purtroppo il tutto collegato ad una zona ritrovo del tutto priva di acqua potabile, cosa che ha impedito (soprattutto a chi partiva a mezzogiorno e mezza) di partire abbastanza idratato per restare un po’ in sentimento.

Onore e rispetto assoluto per Mary9 Sbaraglia, che quando ha capito di essere in testa ha cominciato a “curare” il fatto che i concorrenti più vicini (tra cui il sottoscritto) stessero proseguendo ancora in forze lungo il percorso. E ilarità per le radiocronache dirette lungo la gara di alcuni Elite che, presa l’ultima parte di gara come un allenamento, hanno mostrato un vero e proprio talento cronistico raccontando a quanto stavano attorno nel bosco i tentativi (soprattutto da parte di Lorenzo Pittau, che credo abbia ancora nelle orecchie certe frecciate) dei superstiti di avanzare lungo il percorso una lanterna dopo l’altra; non faccio i nomi di alcuni di questi non-improvvisati-ma-abili cronisti… vero Denny e Whites? :-) Ma li ringrazio tantissimo per avermi tirato per tre lanterne 15-16-17 nonostante il sottoscritto avesse verso il loro tentativo di farmi da nave ammiraglia un unico pensiero “Cercate di non sbagliare, eh?!?”.

Alla fine finisco la gara in un’ora e 43, o 48 non ricordo, e mi lascio cadere nella sottile fascia di ombra creata dal salsiccione dell’arrivo sotto lo sguardo un po’ preoccupato di Mirella. E qui arriva la presentazione di Mirella cui la Fiso e l’orienteering devono il “boato” all’arrivo di Corona, bravissimo a condurre l’Elite con un tempo davvero ottimo… credo che oltre a Mirella (ribattezzata nel resto del viaggio “boata”) ci fossero ben ben ben poche persone vicino a quel traguardo…

Una cosa che non ho capito è perchè a me, over-45 iscritto in M40, sia toccato correre una gara long, mentre gli Elite hanno potuto cavarsela con una tranquilla middle di 12 chilometri vinta da Eòimiano in 75 minuti (mi chiedo che effetto avrà sulle tabelle orarie di chi si ostina a calcolarle...). Forse in quel cartello scritto a mano e trovato in partenza "la gara Elite (e di altre categorie n.d.r.) è sulla media distanza" c'è tutto un senso di impotenza verso certi regolamenti davvero inutili, il cui rispetto obbliga gli organi federali a perdere tempo, a dare deroghe di importanza praticamente nulla, quando invece il tempo e l'importanza andrebbe secondo me data all'aspetto sportivo.

Se una gara definita long, per assegnare i punti in lista base deve essere corsa al 15.000 (chi l'ha stabilito? qualche renna svedese?), e se un percorso come quello di Porto Selvaggio di 12 km può essere affrontato (anche per salvaguardare l'incolumità dei concorrenti) solo al 10.000, ha senso perdere tempo con queste iniziative dell'ultimo momento per salvare capra e cavoli su argomenti che il novecentonovant... per mille degli orientisti trova risibili? Diamo spazio allo sport ed agli sportivi, e meno alle tabelle, agli statuti, alle liste base ed alle peripezie burocratiche per favore!

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Il lunedì è dedicato alla gara regionale ed alla Coppa Italia di trail-O. La gara regionale me la aspetto un po’ più semplice rispetto alla gara della domenica, ma il mio commento in partenza al minuto 3 è “Ma Porca T…! E’ come il percorso di ieri senza le rocce a strapiombo!”. Senza le rocce, un po’ più corto, ma con un passaggio finale di due lanterne in una area fitta di rododentri che fanno diventare pazzo persino il buon e pacato inglese John Edwards, che all’erica scozzese dovrebbe esserci abituato!

Sbaglio in pieno (9 minuti di errore) il primo punto affrontato un po’ alla rampazzo e un po’ fidandomi troppo delle curve di livello… e sulla tratta 1-2 passo proprio in mezzo ad alcune lanterne che serviranno per la Coppa Italia di trail-O. Il percorso è duro il giusto, ma le gambe proprio non vogliono sapere di avanzare ad un ritmo passabile dopo la Coppa Italia del giorno prima. I primi passaggi nelle zone aperte e grezze li faccio benino con Edo Cortellazzi e Daniele Guardini, mentre quando arrivo alla zona finale dei rododentri (le mie gambe e la pelle che ci ho lasciato ringraziano ora et semper) vengo guidato più dagli improperi dei concorrenti davanti a me che stanno già cercando la lanterna in quel purgatorio di rovi che dal mio istinto orientistico che ormai ha le batterie ridotte al lumicino.

La gara di trail-O che segue si dimostra essere una bella gara (peccato che sia partita con oltre un’ora di ritardo… e siamo sempre sotto la caldazza) con qualche punto, ma sono davvero pochi, forse un po’ “concettoso” ed altri davvero divertenti. Accuso un passaggio a vuoto a metà gara, quando sono in pieno calo di energie e zuccheri, ma ho per mia fortuna un finale più brillante su un percorso che vede i nazionali (a questo proposito mi domando: ma farò ancora parte della nazionale di trail-O visto che nessuno mi avvisa più di niente? Raduni, ritrovi…) provenienti dalla Norvegia davvero in gran forma: con 1 solo errore su 26 punti non si è nemmeno più certi del podio, ma con i miei 3 errori almeno mi tolgo la soddisfazione molto relativa di azzeccare praticamente le prime 5 posizioni del podio + il sesto posto di un laziale (Fiocca, Zarfo, Dario e Guardini sono proprio bravi e qualcuno di loro si infila sempre in alta classifica) ed azzecco persino il mio settimo posto, che sentivo proprio alla mia portata se fossi riuscito a mantenere la concentrazione fino in fondo.

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Ultimo giorno e si riparte per Lecce. Le ultime energie sono dedicate alla gara in centro storico; anche qui si gareggia sotto una caldazza micidiale per essere il primo maggio (su coraggio…). Alcune scelte sono dettate dalla necessità di stare il più possibile all’ombra, visto che in alcuni passaggi tra i muri bianchi del centro storico sembra di stare in un forno. Parto troppo forte visto che il mio percorso mi butta subito nella piazza principale e voglio far fare bella figura alla mia tuta turchese, ed alla lanterna 9 non ne ho veramente più; i piedi cominciano ad andare avanti sempre più stancamente e posso solo accontentarmi di farmi sfilare come se fossi trasparente da Eduard e da Zarfo che spingono ancora come forsennati dopo 4 giorni di gare! E’ un bel percorso, aiutato dalls conformazione di questi centri storici del Salento che finora avevo visto solo su internet o nelle carte delle varie multi-days pugliesi, e che si dimostrano essere molto ma molto ma moltissimo adatti per le gare di questo genere.

Talvolta le scelte sono controverse: si può quasi sempre decidere se fare una tratta in una direzione o un'altra, ma il tempo che perderei (io, che non punto alla classifica ma solo a concludere in un tempo decente) per stabilire se il “giro da destra” è più corto del “giro da sinistra” sarebbe penalizzante rispetto alla tattica di anticipare una decisione e poi mantenerla fino in fondo. Lecce si dimostra essere accogliente per la nostra gara, le persone lungo il tragitto si fanno da parte e mostrano anche un po’ di interesse per la nostra gara ed alla fine credo che una gara come questa abbia costituito un veicolo promozionale più efficace delle stesse gare di Porto Selvaggio.

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Poi, finita anche la gara di Lecce, congedate le premiazioni con qualche “messaggio in codice” polemico scambiato tra gli organizzatori ed i rappresentati del CONI locale (messaggi che hanno capito solo loro e che forse potevano esserci risparmiati…), è il momento di rientrare a casa. Una volta davano il premio a chi arrivava da più lontano… ed io sicuramente perderei dai trail-o-isti arrivati dalla Norvegia! Ma il mio subitaneo ritorno in quel di Lussemburgo (da 6 gradi a 30 e poi ancora a 8 gradi) non meriterebbe forse un po’ di considerazione da parte del Good Lord affinché mi garantisca che gli aerei di ritorno (Bari-Milano-Zurigo-Lussemburgo) siano un po’ più puntuali, un po’ più spaziosi ed un po’ meno affollati di gente rincogl… che passa il tempo di volo ciangottando allegramente e costringendomi a chiedere alla hostess uno spazio in ultimissima fila per riuscire a chiudere un po’ gli occhi per il meritato riposo del guerriero?

Altrimenti la prossima volta, giuro, mi calo i pantaloni in perfetto stile “piazza di Otranto” e faccio vedere a tutti le ferite ed i graffi… poi mi spaccio per un mercenario che ritorna a casa da una guerra in qualche staterello centrafricano e li faccio stare zitti io!