Stegal67 Blog

Monday, September 16, 2013

Sono sicuro: la W16 sarà una gran bella finale!

Dopo qualche anno di assenza dagli schermi, torno a vestire i panni che già furono del mitico Professor Bertocchi e provo a svolgere la trama delle classifiche di Coppa Italia 2013 in vista dell’ultima prova di domenica prossima a San Cassiano. Tutti i conti sono già su carta, pronti per essere utilizzati dallo speaker (come se non ci fossero altre cose da dire…), con la verifica dei vari giochi degli scarti; andrebbero depurati esaminando l’elenco dei partenti, verificando le categorie di appartenenza, magari pensando ad un Roland Pin che avrebbe ancora qualche residua chance di vincere la classifica finale della M35 ma potrebbe cimentarsi (come ad Aprica) nella gara di recupero che assegnerà il titolo italiano MElite. Per il momento, di controllare le griglie di partenza non se ho alcuna intenzione: mi pare anzi che le iscrizioni non si siano ancora chiuse. Vorrà dire che, almeno per questo specifico aspetto, lo speaker andrà a braccio…


(ogni paragone con il maestro Dario Pedrotti è puramente...)

Categorie Elite

Tra le donne stavo per scrivere… anzi ho scritto “Kirchlechner ha già vinto”. In realtà c’è ancora una (remota) possibilità per Nicole Scalet: se Nicole vincesse e Christine non terminasse la gara, si avrebbe un arrivo 61 a 60; a Christine basta quindi un punto per vincere la classifica finale di Coppa, le basta terminare la gara: dubito che CK si accontenti! J Tra gli uomini possono vincere ancora in 4: Corona ha 4 punti di vantaggio su Negrello, ma Emiliano scarta un 9 mentre Manuel non scarta proprio nulla, come Dalla Valle e Schgaguler che però hanno un ritardo di 10 e 11 punti da Negrello. Vale sempre il detto andreottiano che “il potere logora chi non ce l’ha!”: Emiliano per il momento è in testa, e tocca agli altri andarlo a raggiungere.

Categorie Young

In M14 la sfida tutta “Masi” tra Lambertini e Mannocci ha già visto la vittoria del primo, perché Mannocci scarta perlomeno un 11 e può arrivare al massimo a 66. Anche in M16 i giochi sono già fatti: Melioli è irraggiungibile a 67, mentre Tait arriva al massimo a 65 (scarta un 8) e Nikolaus Danaj a 56 (scarta un 12). Poiché anche in W14 Erika Ceresa ha già vinto perché Raus, Danaj e Cudicio hanno degli scarti e non la possono raggiungere, resta la W16 a garantire un po’ di spettacolo per la conquista del vertice, e sarà spettacolo vero! Si tratta infatti della categoria con più pretendenti alla vittoria finale: ben 6. Si presenta in testa alla flame rouge dell’ultimo chilometro Maddalena Iennàco con l’accento sulla “a” che può arrivare al massimo a 66; Elena Bernardi, che alla flame rouge ha un solo punto di distacco dalla vetta, scarta un 11 e può arrivare a 62. Attenzione però a Francesca “Cancellara” De Nardis che, staccata di 6 punti (quindi quasi in scia) scarta un clamoroso “2!” e può arrivare a 66; fuori dai giochi, come un fuggitivo della prima ora raggiunto in vista del traguardo, Francesca Buffa che scarta un 9 e può arrivare anche vincendo al massimo a 53, ma ecco rientrare dalle retrovie (sembra il finale del Mondiale di Gap) Sabrina Raus con il suo 5 da scartare, e può arrivare a 57, e poi Anna Giovanelli con due vittorie su due sole gare che può arrivare a 60 e Chiara Dalla Santa che vincendo arriva a 59. Sarò lì a godermi la sfida…

Categorie Junior

In M18 la sfida è tra Fabiano Bettega, che parte da quota 69 ma scarta un 12, e Riccardo Scalet, che parte da 54 ma non ha scarti. Se in Val Badia Riccardo vince davanti a Fabiano, entrambi arrivano a quota 74 ma Riccardo vincerebbe grazie ai tre successi parziali contro i due di Fabiano; ma c’è una opzione clamorosa se invece arrivassero Ricardo secondo e Fabiano terzo. In questo caso, infatti, entrambi chiuderebbero a quota 71, entrambi con un punteggio dato da 20+20+17+14, ma qui entrerebbe in gioco il quinto risultato utile di Fabiano (il famoso scarto di 12) che vincerebbe visto che Riccardo non ha un punteggio da opporre. Certo… bisognerebbe trovare qualcuno capace di battere il neo campione italiano a staffetta M20 ed il neo campione italiano a staffetta Elite… avete provato a chiedere a Mattia De Bertolis e Samuele Canella? In M20 la classifica è già stata vinta da Giacomo Zagonel; lancio una proposta a Giacomo: provare a bissare il titolo, iscrivendosi in Elite? (sarebbe il primo e l’unico, credo, a poter vantare due titoli nazionali individuali nello stesso anno). Anche per Viola Zagonel in W20 vale il discorso della Coppa Italia già infilata in saccoccia; purtroppo per lei, il 2013 non le ha portato il titolo italiano sulla lunga distanza e non ci sarà replica alla gara WElite di Aprica. In W18 Arianna Taufer vince… se arriva al traguardo! I suoi 71 punti non possono essere raggiunti da Stefania Corradini, che vincendo arriva a 66, ma possono esserlo da Eleonora Donadini che parte da 51 e non ha scarti; in una situazione 20+20+17+14, il punticino conquistato da Arianna arrivando al traguardo dovrebbe garantirle il successo, interpretando il regolamento alla lettera fino ai punteggi che non valgono per il computo finale della classifica.

Categorie Master

In M35 Francesco Buselli è in testa con 2 punti di vantaggio su Carlo Rigoni e 5 su Dario Pedrotti. Francesco scarta un 8, contro nessuno scarto di Carlo che potrebbe vincere la classifica finale anche arrivando secondo in Val Badia dietro a Buselli (sarebbe Rigoni 74 vs. Buselli 71). Dario con uno scarto di 10 punti può salire a quota 64 ma deve guardarsi le spalle dalla decisione che prenderà Roland Pin, che parte da quota 48 e vincendo raggiungerebbe quota 68… bisognerà vedere in che categoria deciderà di iscriversi Roland: M35 e Elite? In M40 e M45 discorsi già chiusi con le vittorie di Andrea Cipriani e Nicolò Corradini, come pure in W35 a favore di Sabine Rottensteiner (la quale, se dovesse veramente tornare in Nazionale, darebbe vita alla notizia dell’anno… almeno per me!); in M40  lo speaker, vincendo, salirebbe al quinto posto in classifica generale ma dovrebbe contare su una notevole “moria delle vacche” di tutti quelli che stanno in mezzo... 


(sono il re del mondo! La foto è di oggi, dal terreno del model event...)

In W40 il punticino di vantaggio di Margherita Kurschinski su Larisa Anuchkina, nonché i modi diversissimi con i quali le due atlete hanno raggiunto i loro punteggi, assicurano la possibilità di dare luogo a varie combinazioni per la classifica finale; in casi di duplice debacle, non può rientrare il gioco la terza Loredana Crippa che scarta un 9 ma potrebbe inserirsi Ester Manfrin che non ha scarti in classifica. In W45 si è già aggiudicata la vittoria Anna Sedran: Cristina Grabar può infatti pareggiare il suo punteggio finale con una vittoria, ma Anna vincerebbe grazie ai piazzamenti parziali; troppo lontana Silvia Mantega per arrivare al primo posto.

Categorie Supermaster

In M50 al “Volga Express” Oleg Anuchkin, per il gioco degli scarti, dovrebbe essere sufficiente un 11° posto per battere Gianluca Di Stefano che scarta 10 punti e che in caso di parità di punteggio verrebbe sconfitto dalle tre vittorie di Oleg. La situazione è meno chiara in M55 nella quale la sfida è tra Lorenzo De Paoli e Augusto Cavazzani: De Paoli parte con tre punti di vantaggio, lo scarto tra i punti tra il primo ed il secondo o tra il secondo ed il terzo, ma scarta un 11 contro il 14 di Cavazzani; quest’ultimo ha inoltre al suo attivo una vittoria parziale contro nessuna, cosa che potrebbe far pendere l’ago della bilancia su Augusto in caso di arrivo a pari punti. In M60 vittoria netta di Helmuth Murer, sono almeno in quattro in lotta per la piazza d’onore. In M65 potrebbero non essere sufficienti 11 punti di vantaggio a Gino Vivian: Carlo Nessi non ha scarti e vincerebbe la Coppa Italia vincendo in Val Badia; Gino, con una vittoria, si metterebbe al riparo da insidie anche in caso di secondo posto di Carlo: per lui vale infatti il già citato discorso del “quinto risultato utile” di cui Nessi non dispone. Saranno Ernesto Rampado ed Harald Bertoldi a duellare in M70; gli 11 punti di vantaggio di Ernesto si assottigliano considerando lo scarto di 14 punti ed il fatto che Harald, invece, non deve contare alcuno scarto.

In W50 si sfidano le prime 4 in classifica: Maria Elena Liverani parte dalla prima posizione e da un vantaggio di 7 punti, e non scarta nemmeno un brutto punteggio (un 9); Cristina Turolla, staccata appunto di 7 punti, non ha alcuno scarto, come pure Laura Piatti che però deve rimontare 17 punti; decisamente ipotetico lo scenario secondo il quale Antonella Marcantoni, che scarta 8 punti, vince la gara arrivando a 55 punti, con uno 0 di Liverani e Turolla oltre l’ottavo posto: Marcantoni vincerebbe la Coppa Italia grazie al secondo miglior piazzamento parziale… una ipotesi, certo, ma visto che “nel bosco succede di tutto!”…. In W55 la  classifica ha già preso la strada di Milano e la Coppa tornerà a casa in auto con Lucia Sacilotto. In W60 c’è ancora uno scenario che coinvolge il quinto risultato utile nella sfida tra Anne Brearley e Anna Bazzaco; Anne (la friulana) scarta un 12 e può raggiungere, a seconda del piazzamento in Val Badia, un 71, 68, 65 o confermare il 63 di partenza; Anna (la veneta) non ha scarti e in caso di piazzamento nelle prime tre toccherebbe quota 71, 68, 65, come Anne. In caso di quarto posto Anne ed Anna sarebbero a pari punti e pari piazzamenti, ma l’atleta friulana la spunterebbe “arrivando al traguardo” e conquistando anche solo un punticino valido come quinto risultato parziale. Infine in W65 Licia Kalcich con 7 punti di vantaggio non ha ancora vinto la Coppa Italia: con 65 punti in carniere e uno scarto di 14 punti, può salire a 71 vincendo e a 68 arrivando 2°; Annamaria Abram, staccata di 7 punti, vincendo salirebbe a quota 66, ma sembra più possibile la rimonta in extremis di Cristina Chiettini che parte da 57, non ha scarti e che vincerebbe la Coppa con una vittoria o un secondo posto. In caso di terzo posto di Cristina (71 punti) Licia deve vincere la gara, pareggiando quota 71 ed i parziali 20-20-17-14, ed affidarsi al suo quinto risultato utile.

Conclusioni

Tutto sommato, mi sembra che la categoria da seguire con maggiore attenzione sia ancora la W16! Certo che se disponessi di un computer collegato alle classifiche di Coppa Italia che si aggiornano in tempo reale…
Oh! Tutto questo salvo errori (miei) ed omissioni (sempre mie). Che non salti in testa a nessuno di saltare la gara di La Villa, o decidere di partecipare, sulla base delle mie conclusioni: fatevi i vostri conti, se volete, ma pensate soprattutto ad onorare la vostra gara ed il bosco! Date il vostro meglio, che i conti si fanno sempre alla fine, anche senza bisogno di arrivare davanti a San Pietro!

Friday, September 13, 2013

My Own Private Aprica

Uno

Uno come “uno qualunque”. Uno come tanti. Uno come me. Un Uno che parte al pomeriggio di venerdì verso 48 ore di passione, con un trasporto multimodale “à la Remò Madellà” tram + metro + treno + pullman e con la musica di Battisti, Dire Straits e Beatles nelle orecchie. La giornata è piena di luce. Il treno è pieno di persone, ognuna con la sua storia. Perché un viaggio in treno da soli è soprattutto un viaggio personale dentro il proprio animo. Ci sono le due ragazzine che vanno a trascorrere il fine settimana una a casa dell’altra e che si sono tirate a lucido per la festa della birra; ci sono i pendolari che terminano una  settimana di lavoro e scendono a Lecco ; poi le famigliole che si spostano per un ultimo fine settimana di sole verso le località del lago o della Valtellina. E infine ci sono i lupi solitari, come me, che impiegano il viaggio pensando alla propria storia personale, a ciò che hanno passato e a quel che riserva loro l’immediato futuro, con un po’ di musica nelle orecchie ad accompagnare, i passaggi splendidi a bordo lago e poi la Valtellina che si apre dopo Colico. All’altezza di Sondrio restiamo nel vagone in quattro. Quattro persone solitarie, quattro storie. Se anche qualcuno me la avesse chiesta, la mia storia non l’avrei raccontata a nessuno: chi avrebbe creduto ad un pennellone panzottello che diceva di andare all’Aprica per i campionati italiani di orienteering?

Due

Due uomini in seggiovia, per tacer della pala. Il primo, quello seduto a destra, è bardato in giacca a vento e pantaloni pesanti; l’altro, a sinistra, frappone tra se ed il gelo mattutino dei 2000 di altitudine un sottile strato di trimtex ed una assai più spessa gettata di grasso sottocutaneo (bussola e sicard proteggono dal freddo una superficie di pelle pari a “tracce”). Quello di destra è avvezzo alle salite in seggiovia perché nel  ruolo di cartografo è più agevole, almeno così la penso io, lavorare “a scendere”; quello di sinistra odia le seggiovie fin da quando, ragazzo, rimase fermo per una trentina di minuti in precarie condizioni a parecchi metri dal suolo sulla seggiovia del Ghiacciaio Presena. Eppure mi viene in mente che l’ultima ascesa in seggiovia l’ho fatta non più tardi di 40 giorni fa, all’ultima tappa della OOCup slovena! Quello di destra è Francesco Giandomenico, che sale verso la partenza attorno alle 7.40 del sabato con una pala in mano ed una scatola di “stazioni” appoggiata sulle gambe. A cosa servono le stazioni, noi lo sappiamo; la pala sarà utile per eliminare dalla zona di discesa dalla seggiovia una bella serie di “boasse” di pura marca bovina, ma anche per indicare all’altro, il sottoscritto, da che parte si trova la partenza: quando prendo il via alle 7.58 del mattino, infatti, il terreno non è fettucciato, ed il corridoio di partenza è ancora ben al di là da venire; ho sempre in mente quello che mi successe alle Capanne di Marcarolo quando, anche allora speaker e primo partente, mi precipitai giù per un avvallamento che avrei dovuto percorrere in salita! Adesso chiedo sempre di indicarmi almeno la direzione generica che prenderanno gli altri concorrenti, messi nella giusta posizione dalle fettucce, dai cancelli di partenza e magari da una lanterna svedese, giusto per evitare di dover orientare la carta fin dal triangolo di partenza!


Tre

Alla lanterna 3 del mio percorso M40 del Campionato Italiano Long Distance 2013 sono convinto di essere un Elite. Oppure la partenza è davvero banale. Split degli altri concorrenti alla mano, alla lanterna 1 sono terzo in classifica: lascio indietro qualcuno degli altri ragazzi anche di quattro, cinque o sei minuti (faccio fatica ancora adesso a capire cosa ha combinato l’amico Fabio Hueller!); eppure l’unica difficoltà mi sembra quella di restare in piedi sui lastroni di pietra liscia, fradici di pioggia notturna. Il paletto della 1, poi della 2 sull’unica collinetta della zona e poi quello della 3 dietro al sasso sembrano fasi letteralmente incontro a me. Ho già visto dove mi butterà il percorso di Paolo Mario Grassi, eppure mentre imbocco la prima pista da sci per spostarmi dalla lanterna 3 alla zona del secondo loop, giro la cartina per controllare la descrizione punti: c’è proprio scritto M40. Allora sono un Elite! Oppure ho imparato a mettere nel mirino i paletti di ferro che, attorno alle 8 del mattino, ancora non sono bardati con il loro bel cappellino rosso brillante e la loro bella sottana bianca e arancione.

Quattro

Quante le volte che sono precipitato al suolo durante la gara del sabato. E quando dico “precipitato”, so esattamente cosa voglio dire. Stegal cade la prima volta nella discesa dalla 6 alla 7, facendosi sentire chiaramente dai due tizi che stanno portando le mucche al pascolo sulla pista da sci. Poi cade la seconda volta nel tentativo di scendere verso il bosco dalla stessa pista da sci: una caduta nella quale solo un poderoso colpo di reni riesce a far planare il mio petto al di là di una piantagione di ortiche (le gambe sono fottute, ma chi se ne frega delle gambe…). La terza caduta subito dopo le panche che sovrastano il punto 10 e la quarta caduta nella palude che sta vicino al punto 12. Mentre affronto la giungla attorno a quest’ultima lanterna, che vedo da abbastanza lontano perché adesso ci sono le mantelline ma devo prima aprirmi la strada con il machete, mi sovviene alla mente uno dei miei migliori “topos” omerici (al plurale pensavo che avrei dovuto scrivere “topoi”, ma viene male, e poi il mio manager mi ha appena scritto che è più giusto “topos” perché le parole prestate all’italiano, al plurale, non cambiano… ah quante cose che si imparano leggendo Stegal – sicuramente non l’orienteering però!): “il primo che è passato da lì è un eroe”. Un istante dopo ricordo che il primo che passa da lì sono io, ammetto con me stesso che non sempre le metafore nascondono una verità assoluta. Da quel punto in poi non c’è un solo posto per cadere: è salita. Salita pura. Pura e veramente bastarda.

Cinque

Sono i metri di dislivello tra una curva di livello e l’altra. Vista la conformazione della carta, il percorso mi consente di arrivare al punto 12 (quello con la lanterna lanciata sul punto con un giavellotto o calata dall’alto con l’elicottero) percorrendo pochi risibili metri di salita, perlopiù nel loop 4-5-6 e a causa di un attacco al punto 6 un po’ alla rampazzo… Però si tratta di un campionato italiano di orienteering, non del campionato italiano di discesa libera; il dislivello, indicato sul percorso come superiore ai 200 metri, deve essere da qualche parte… ehi! Eccolo! Non che ne sentissi la mancanza… Il fatto è che io arrivo al punto 12 già al lumicino delle forze, anche se fino a quel punto ho corso perlopiù con il paracadute sulla schiena come Karl Malone in allenamento (e, visto quanto detto al punto 4, il paracadute non è servito molto). La risalita alla 13 è penosa e pietosa, meno che umana: faccio del mio meglio per tenere nel serbatoio quella goccia di benzina che mi consentirebbe, nel mio immaginario personale, di transitare sotto la cabinovia con una andatura senz’altro meno che decente ma perlomeno dignitosa… purtroppo le grandi compagnie petrolifere hanno chiusi gli oleodotti e l’ago del carburante è in zona rossa che può rossa non si può. Mi limito a sperare, ricordo nettamente di essere stato colpito da questo pensiero, che nessuno stia guardando verso il basso, o che tutti gli orientisti siano ormai giunti da tempo al ritrovo! Arrivo alla 13, poi sulla 14 a salire e scendere in un terreno infido. Per andare verso la 15 ci sarebbe una invitantissima traccia in costa: allettante come una fontana di acqua cristallina per chi ha attraversato il deserto, o come una splendida vamp che ti invita ad entrare nel locale notturno promettendo chissà quali delizie. Percorro qualche metro e l’ultimo barlume di luce mi schiaffeggia, come la comprensione del fatto che quella traccia arriverebbe dritta al fiume e da lì in poi la risalita alla 15 sarebbe davvero un calvario; massima pendenza per massima pendenza, tanto vale risalire subito fino al sentiero e arrivare al sasso da est. Infine l’ultimo punto, ancora in salita, ancora a soffrire per raggiungere il termine del recinto (le reti protettive della pista); e qui non ci sono santi: è ovvio che mi vedranno tutti arrivare come uno zombie! Mentre passo sotto la seggiovia che ho utilizzato un’ora e tre quarti abbondanti prima, passano sopra di me Julia e Oxana: riesco solo ad alzare lo sguardo nella loro direzione e, nel pieno della figura di emme che sto facendo, mandare un messaggio subliminale che dice “state all’occhio, che da qui ci dovete venire su pure voi!”.

Sei

Come l’inizio di “Sei sicuro di poter fare ancora a lungo cose del genere?”. Insomma… vado per i 47 anni e la mia categoria sarebbe un’altra, sicuramente POCO più facile e POCO più corta della M40, ma APPENA UN POCO più facile e più corta. Forse che è giunta l’ora di tirare di tanto in tanto i remi in barca? Per quanto ancora ce la farò a prendere il via all’alba, con la colazione nella parte alta dello stomaco, da solo e senza compagni di avventura, a cercare nel nulla cosmico un paletto o una fettuccia o a cercare di “appoggiarmi” a qualche posatore? Ne ho avuto la prova soprattutto domenica mattina, all’alba di Aprica, quando le gambe già stanche della gara del giorno precedente sono entrate in sciopero già durante la prima salita per arrivare al ponticello. Prima o poi dovrò leggere qualche dispensa medica: quanto tempo impiega a diventare benzina per i muscoli la colazione del mattino? O devo rinunciare del tutto a questa idea visto che, senza allenamento alcuno, non esiste colazione che possa consentirmi di correre ad una andatura almeno decente?

Sette

Si ricollega al punto precedente. Sia sabato (long) che domenica (relay), la lancetta lunga dell’orologio non ha ancora raggiunto le 8 quando il sottoscritto fa partire il cronometro di gara, con la sola compagnia di Francesco Giandomenico (sabato ore 7.58) ed Ivano Benini (domenica ore 7.36). Il mondo degli orientisti nei camper, nelle camere degli alberghi, si sta appena animando. Domenica mattina, prima di partire, butto un occhio all’interno dell’hotel dove alloggia il Panda Valsugana: la loro sala colazione alle 7.15 è ancora deserta, mentre io entro qualche minuto mi butterò sotto la pioggia. La mia medaglia la vinco ogni volta che riesco a convincermi che questo è il mio modo con il quale voglio intendere il compito di speaker: non sarei in grado di raccontare nulla se non vedessi con i miei occhi i percorsi che affronteranno gli altri ragazzi e le altre ragazze, non sarei in grado di dare alcun contributo se non affrontassi le stesse salite e le stesse difficoltà degli altri concorrenti. In fondo, continuo a ripetermi, quasi tutti sopportano qualche battutina salace perché quasi tutti sanno che all’alba lo speaker ha fatto la gara nelle stesse condizioni. Forse domenica ho preso un po’ più di pioggia degli altri, forse sabato ho dovuto aprire la pista attorno alla lanterna 12, forse ho qualche difficoltà in più degli altri perché fettuccia e paletto sono meno visibili di una bella mantellina colorata (e domenica, ai punti 2 e 3, col sole ancora dietro la montagna, la visibilità nel bosco era davvero scarsa…).

Però… però non cambierei questa possibilità con nessun’altra. Ogni volta che mi cimenterò come speaker cercherò di strappare all’organizzazione una cartina di gara, e sempre per la categoria più lunga che sono in grado di fare. Ho cominciato a fare questa cosa nel lontano 2004 a Pian del Gacc, e lo so perché ho realizzato  poco tempo fa una specie di “curriculum orientistico”, ed ho mancato una sola gara in abbinata concorrente + speaker: alla staffetta del Trofeo delle Regioni di due anni fa in Liguria, e solo per motivi di trasporto. Non mi sono mai pentito della scelta che mi ha portato nel bosco all’alba, da solo, durante tanti Campionati Italiani o le 5 giorni o le Coppe Italia. Tra le soddisfazioni più notevoli della mia misera carriera orientistica ci sono alcune lanterne impossibili scovate nei posti più assurdi grazie all’aiuto del solo paletto metallico, i primi due terzi della gara di Campionato Italiano Long alla Foresta Umbra, ed i commenti di alcuni amici che tutto sommato, una volta o l’altra, vorrebbero provare la stessa sensazione. Un nome per tutti? Christine Kirchlechner ai Campionati Italiani dell’Alpe del Paneveggio! E poi il commento che fece Klaus Schgaguler al WRE middle di Asiago, mentre notavamo come il mio tempo di gara fosse il doppio del suo: “Si, ma tu l’hai fatta al buio sotto il diluvio!”. Poi mi chiedono perché ho una predilezione per Christine e Klaus…


Otto

“8” come metafora del loop finale della staffetta, per una considerazione che si appoggia al punto 7 della “Aprica dei miei sogni” (banale traduzione del titolo, trasposto da quello del film My Own Private Idaho, ovvero “l’Idaho dei miei sogni”). La gara a staffetta è la più adrenalinica, la più spumeggiante e la meno scontata tra quelle che assegnano un campionato italiano. Un tracciato molto impegnativo può dare origine ad una gara nella quale il confronto spalla a spalla viene a mancare perché i concorrenti sono più impegnati a lottare contro se stessi ed il percorso piuttosto che a sviluppare tattiche raffinate di controllo degli avversari. Uno troppo filante può favorire un vagone atleticamente al top ma orientisticamente poco preparato, rispetto a chi si presenta al via in condizioni contrarie.

La staffetta del sabato mi ha proposto entrambe le situazioni, anche se l’unico shoulder-to-shoulder che potevo fare era quello con la mia ombra… forse, se posso permettermi di fare il sofista, con un passaggio troppo brusco dall’uno all’altro approccio. Per me una prima parte sotto la pioggia nei prati, a tratti scrosciante, o nel buio del bosco che era davvero scuro ai punti 3, 5 e 6 mentre il punto 4 mi è sembrato una radurina ideale per un picnic con i sassoni a fare da panche. Poi una nuova salita verticale dalla fine del sentierino che mi ha avvicinato al punto 7 fino alla pista vicina al punto 9; qui ho incontrato il solito Moritz Etter che mi ha descritto la gara prima come facile (?), poi come quasi del tutto priva di pendenze (??), ed infine ha concluso dicendo l’immortale frase “per fortuna che almeno piove” (???)… ma lui è svizzero ed è forte, quindi la sua concezione della difficoltà e della salita è opposta ala mia.  Dal punto 9, posto in cima ad una canaletta più simile ad un fosso profondo (ma la descrizione punti parlava di avvallamento, forse alludendo alla parte terminale della canaletta stessa), una discesa in picchiata verso la zona dell’arrivo dove ho cercato senza riuscirci in alcun modo di avere una andatura perlomeno dignitosa: per mia fortuna la partenza all’alba mi ha consentito di passare in zona prima delle 8.30, con ben pochi orientisti già impegnati nelle operazioni in zona arrivo!

Le successive tratte filanti nei prati e nelle paludi avrebbero dovuto consentirmi di arrivare al traguardo in tempi rapidi. Così pensava Tommy Civera, che era in giro a controllare i punti. Così pensavo io, che ero in giro a cercare quegli stessi punti. Così non è accaduto per mio clamoroso errore: il sopracitato “8”! Dalla 11, in pura cecità da stanchezza, sono andato alla 15 (il sasso), e poi in uscita dal punto ho cercato invano l’area verde privata che doveva frapporsi tra me ed il punto successivo (che a questo punto era ovviamente il 14). Valutazione delle distanze: chi era costei? Il provato doveva essere a poco più di 50 metri da me ed io ho proseguito per oltre 200 metri fino ad una strada, che però era tortuosa e non retta come quella che pensavo di trovare… Ho ballato intorno per un paio di minuti prima di accorgermi che ero finito al punto 14 e che il sasso era quello della 15! Per fortuna che i punti erano tutti vicini: sono sceso alla 12, girando attorno finalmente all’area privata giusta, poi la 13, la 14 che avevo visto prima e comunque si vedeva da lontano anche da sotto, e la 15 che ormai conoscevo a memoria! E poi la lunga tirata per tornare al traguardo, dove Tommy mi aspettava almeno da 15 minuti…

Nove

Come nove anni fa, quando ho cominciato la mia esperienza come speaker al Trofeo delle Regioni di Pian del Gacc. Che ricordi! Mi sembra di tornare alla preistoria… ricordo che dovevo per forza di cose utilizzare un computer per controllare gli arrivi, ero costretto a leggere sullo schermo i tempi dei concorrenti al traguardo… avevo addirittura una cosa antidiluviana che non so descrivere se non come “un filo collegato con l’ultimo punto che mandava al computer l’informazione del prossimo concorrente che sarebbe arrivato al traguardo”! Sembrano cose degli ittiti o dei sumeri: per fortuna il progresso ha fatto tutta una serie di passi per aiutare il compito dello speaker. Purtroppo il sottoscritto provvede sempre a sollevare le organizzazioni da qualunque aggravio ripetendo che lo speaker è l’ultima delle cose di cui ci si deve occupare. Così accade che, ogni tanto, qualcuno mi dia retta… devo dire che non ricordo esattamente l’ultima volta che ho avuto a disposizione il computer! Di un collegamento on line con la linea dell’arrivo se ne sono perse le tracce; di un ulteriore collegamento on line con il penultimo punto o con lo spectator control se ne sono perse le tracce a Pian del Gacc! Va bene che, nel corso degli anni, mi sono fatto la fama di quello che riconosce gli atleti da lontano e riesce a fare i calcoli a mente azzeccando persino qualche ex-aequo, però l’età avanza, atleti nuovi arrivano, i ragazzi crescono, I ragazzi crescono, le ragazze mettono curve nei posti dove l’anno prima erano piatte, i master si agghindano come al Carnevale di Rio, non ce n’è uno che abbia la vera tuta della sua squadra di appartenenza, e si iscrivono alle categorie più impensate…

Nel sabato dell’individuale la distanza del punto spettacolo era di quasi 200 metri, che sono cresciuti a 350 circa nella domenica della staffetta; per fortuna che Tommy Civera mi ha dotato di radio con la quale comunicarmi un po’ di nomi e pettorali dei passaggi degli atleti. Ne sono venute fuori comunicazioni che, al confronto, quelle tra Neal Armstrong e Houston nella notte della luna erano dei capolavori di pulizia del suono; cose tipo “sta passando il pettorale crrrrrrrrrrrrrrrrrr ette nove… ripeto quat crrrrrrrrrrrrrrr ove”. A questo punto il compito consisteva nel: alzare gli occhi al punto spettacolo per avere un conforto visivo (a 350 metri di distanza…), cercare nella griglia per progressivi un numero di pettorale che potesse anche solo lontanamente assomigliare al rumore ascoltato, cercare il nome in una delle possibili categorie, calcolare mentalmente il tempo di gara e determinare in un nanosecondo se valeva la pena ammorbare le orecchie degli astanti o passare subito al crrrrrrrrrrrrr successivo che nel frattempo era già arrivato in cuffia. E questo valeva per il punto spettacolo, perché l’arrivo era invisibile. Tutto questo mentre, nel frattempo, essendo l’unico a disporre di griglie per categoria, piovevano domande sulle partenze, gli arrivi, le composizioni delle staffette, e buon ultimo un tale del posto che voleva sapere cosa stava succedendo e dove erano i gabinetti, ed ha pensato bene di chiederlo a quello con il microfono in mano!

Oh. Beninteso. La butto sul ridere e non è una critica. Ribadisco che la cosa importante è che ci siano percorsi, cartine, lanterne, stazioni, una partenza ed un arrivo e soprattutto tanti concorrenti! Ma non posso non ripensare a quella mia prima volta a Pian del Gacc e a quel benedetto filo che, collegato tra la 100 ed il computer, sembra essere stato sabotato dai luddisti del XXI secolo. Per pietà: la prossima volta, chiunque voi siate e qualunque gara stiate organizzando, un computer ed un programma con i tempi progressivi…

Dieci


L’ultimo numero è il 10. E non è il voto che si auto-attribuisce lo speaker. Un bel 10 tondo tondo se lo portano a casa la famiglia Donadini e la famiglia Casanova per il supporto e la sportività, “Ric e Giac” (ma che non passino alla storia con questo soprannome) per la staffetta US Primiero, Mario Ruggiero per la superba traversata a velocità siderale del costone prospicente l’arrivo della staffetta, Tobia ed Elena Pezzati per le medaglie vinte ai Campionati Svizzeri, Roberto Dalla Valle e Sebastian Inderst per la gara Elite del sabato e perché sono giovanissimi, Manuel Negrello per la stessa gara del sabato e perché lui è un po’ meno giovane, Christine Kirchlechner per aver trovato il tempo di darmi una mano a seguire la staffetta Elite femminile (lei che doveva ancora prendere il via)  e Metka e Kristian per aver tenuto a bada lo speaker ed aver vinto ugualmente due belle medaglie d’argento che non saranno le ultime. Tutti quanti hanno fatto del loro meglio per rendere questi Campionati Italiani degni di essere ricordati: gli errori, le omissioni e le topiche sono tutte e solo mie.

Monday, September 02, 2013

Il Morb(i)o di Stegal

Il Morb(i)o di Stegal è causato da una insufficienza cerebrale cronica: il contenuto della scatola cranica produce nei soggetti colpiti da questa patologia una proteina, l’Intelligentina, in scarsa quantità. La conseguenza è una serie di disturbi che caratterizzano il Morb(i)o: stanchezza cronica, difficoltà di corsa, scarso senso dell’orientamento, imprecisione nella lettura, miraggi… Le statistiche dicono che viene colpita una persona su 330, di solito quella più panzottella o più impiegatizia delle 330 (se i tratti della persona in questione sono sia impiegatizi che panzottelli, la probabilità si impenna). Prima che il paziente possa manifestare tali sintomi, il Morb(i)o può  essere diagnosticato attraverso una attenta lettura della cosiddetta “griglia di partenza”, ma coloro che sono a rischio di essere colpiti dal Morb(i)o potrebbero attivare una terapia immunitaria attraverso l’esame del referto noto come “lunghezza e dislivello”.

Per tutti coloro che non fossero del tutto coscienti della geografia del Canton Ticino, Morbio (senza parentesi) è un dolce paesino posto pochi chilometri al di là del confine elvetico, a non più di 60 chilometri da Milano. Esso accoglie il viandante, o l’occasionale orientista recatosi con fiducia ad una gara del TMO (che non vuol dire Terrorizzo Milanesi Ovunque ma Trofeo Miglior Orientista), con un bel cartello che dice “Morbio Inferiore”… poco importa alle cronache mondane, più impegnate a riferire di scontri in piazza a Verona ed arresti di orientisti in massa, se domenica scorsa mi è toccato transitare sicuramente anche per Morbio Superiore, poi sarò passato sicuramente anche per una Morbio Ulteriore, una Morbio Excelsior, una Morbio “per aspera ad astra” ed infine una Morbio “tempo che arrivi qui, abbiamo asfaltato un altro pezzo di strada… in salita!”.

Il problema è che io, non essendo auto-immune dal Morb(i)o e non avendo attivato per tempo la terapia “lunghezza e dislivello”, ho immagazzinato nel cervello una quantità di informazioni che possono essere così sintetizzate: sprint + in paese + terreno piatto + un bel modo di ricominciare la stagione dopo la pausa estiva. Dove posso aver sentito dire che la gara fosse una sprint, non è dato sapere (5,5 km). Il fatto che fosse in paese, ok… più o meno… un paese insidioso, variegato, e con un paio di passaggi nel verde (verde orientistico) come capita spesso di fare in Ticino… e poi qualcuno si domanda ancora come fanno i ticinesi a diventare campioni e campionesse del mondo master!

Piatto. Ecco… questo è il pensiero che fa subito pendere l’ago della bilancia verso la diagnosi del Morb(i)o. Eppure dovrei saperlo. Dovrei saperlo! Ci hanno fatto persino una domanda su QuizCross! Qual è l’unica professione che io non potrei mai esercitare in Ticino? Il fabbricante di livelle! In Ticino, ovunque posi una livella, quella cacchio di bolla schizzerà immediatamente da una parte o dall’altra. Non c’è modo di evitarlo: non esiste in Ticino una superficie più larga di 10 metri per 10 metri completamente piatta; persino i campi da calcio sono a dorso di mulo, chi ha inventato il cartone animato di Holly e Benji si è ispirato in Ticino! Persino la palestra del Pregassona era in salita (e il tabelloni erano di legno, ma questo è un altro discorso…)!!!

Così domenica mattina mi sono messo in tiro, mi sono infiocchettato e profumato, ho indossato la più bella divisa del reame (quella con i colori turchesi dell’AGET, no shit!... è la più bella. Punto!) ed ho valicato il confine di stato al grido di “è qui la gara sprint piatta per ricominciare la stagione?”. Sono convinto che la capitana dell’AGET, Lidia, nel leggere le griglie di partenza abbia sospirato e le palpebre le siano andate un po’ indietro: mi sono infatti iscritto in HAL, che non è il computer di “2001 Odissea nello Spazio” e nemmeno un acronimo realizzato retrocedendo di una lettera la sigla IBM, ma vuol dire “Esemplare maschio di primissima categoria orientistica cimentantesi sul percorso più lungo”. Mi sono trovato colà in compagnia del già campione italiano e futuro campione italiano Sebastian Inderst, del futuro campione svizzero o italiano (se sua mamma mi desse retta!) Tobia Pezzati il quale, allora solo sedicenne, riuscì a pettinare per benino tutti i nostri junior ai Campionati Italiani Middle di Cinte Tesino, e di altri vari dignitari di alto lignaggio. 

Chi partiva davanti a me in griglia poteva considerarsi salvo; c’era infatti il rischio che chi fosse partito dopo di me si trovasse la strada sbarrata da un ammasso di carne flaccidolenta da dribblare con una scelta di percorso penalizzante. Flaccidolenta tuttavia elegantissima, accidenti! Perché la capitana mi ha recapitato a Morb(i)o sia la nuovissima-più-bella-ancora tuta dell’AGET sia un training trimtex da urlo in passerella che ha fatto dire ad una persona che non cito “vestito così, sembri un atleta persino tu!”. Il training farà la sua comparsa sui prossimi campi di gara: le mie fans sono pregate di mettersi in coda per l’autografo e di non lanciare mutandine sul palco!

Poiché si sono almeno 30 gradi di temperatura (e 40 sull’asfalto), la mia partenza è alle 11.54 e soffia un vento caldo che asciugherà qualunque goccia di sudore, mi tocca togliere a malincuore il training e dare una occhiata intorno: pareti di montagna ovunque, ma tanto la gara è sprint (ancora ‘sta sprint???) e sarà tutta qui attorno, no? I primi dubbi nascono spontanei all’arrivo al traguardo del “66 virgola sei periodico” per cento dell’OK Bovec, ma il 66,6% quello forte: Metka e Kristian. Hanno posato un po’ di punti e provato il percorso… e sono sfatti da paura! Quindi… quindi quel foglio di carta che diceva “250 metri di dislivello” non conteneva un refuso??? Accidempolina. Sarà il caso di mettersi di impegno e cercare di portare a casa la pellaccia. Mentalmente, mi faccio un appunto : sarà importante soprattutto non commettere alcun errore, anche perché il commento del 33,3 periodico per cento femminile dell’OK Bovec è che la gara è ancora più dura di quello che dicono la lunghezza ed il dislivello. Potrei scrivermelo persino sul braccio: “non fare errori stupidi!” (sottotitolo: “tanto hai già fatto quello più grosso al momento di scegliere la categoria”). Purtroppo devo essere arrivato da casa con l’intera dotazione di Carioca vecchi come il cucco, o con il set di penne di James Bond: solo inchiostro simpatico, sul braccio non rimane scritta una fava ed il proposito di non commettere errori sparisce subito come una lacrima nella pioggia.

Il secondo leggerissimo (!) errore consiste nel voler essere troppo per benino, troppo perfettino e troppo pulitino nel mio gareggiare in Svizzera. Faccio il paragone con il personaggio del vecchio marpione che, avendo garantito alla ex moglie che per un po’ si sarebbe astenuto dal correre dietro alle gonnelle, rifiuta le avances di una comitiva di fanciulle. Spiego meglio. Poiché sono italiano in terra elvetica, e ci pensano già i miei connazionali non orientisti a fare quotidiane figure di emme e a tramandare generazione dopo generazione il vecchio detto “same ities always cheating” (da canticchiare sulla melodia del Big Ben), e poiché l’AGET Lugano va fiero del fair play dei propri tesserati, ben in 45 al via a Morb(i)o, io sto sempre attentissimo a rispettare qualunque norma del regolamento della gara: passaggi forse proibiti forse , verdi apparentemente privati, campi coltivati ma anche no… se in Italia sto con le antenne drizzate almeno su un canale analogico, quando corro in Svizzera metto su anche il digitale, la parabola, il decoder e l’alta definizione: non ho nulla da vincere in Italia, figuriamoci in Svizzera!, ma potrei perdere la faccia (non voglio farlo in Italia, figuriamoci in Svizzera) e soprattutto non voglio creare alcun problema alla mia squadra, anche perché in Svizzera non ci pensano su due volte a buttarti fuori di classifica per un taglio fuori programma, magari nemmeno voluto. Altro che i tre gradi di giudizio, la Cassazione, la Consulta, l’Alto Commissario e poi ci si mangia insieme una amatriciana e amici come prima!

Il leggerissimo errore di cui dicevo sopra, quindi, sta nel fatto che le righe barrate rosse che compaiono sulla mappa tutto attorno alla zona di partenza non sono, come da me ipotizzato, un chiaro evidente segnale del fatto che quella strada non è percorribile. Infatti le linee barrate rosse lasciano uno spazio largo un micron su un lato della strada, in corrispondenza del marciapiede. Come avrei potuto accorgermene? Semplice: su quella strada è segnato un passaggio obbligato che non avrebbe ragione di esistere, ed anche l'inchiostro utilizzato per evidenziarlo avrebbe necessitato di essere consumato, se su quella strada non ci si potesse passare! Qui di seguito la carta di gara, gentilmente passatami dal co-speaker dei JWOC ticinesi Filippo Pezzati.



Quindi, una volta preso il via, la scelta giusta sarebbe stata quella di salire-salire-salire fino alla 1. Cosa ha fatto invece Stegal, tutto preso dal suo fair play e dal fatto che non mi è passato nemmeno per l’anticamera del cervello che si potesse passare? Attenzione, non ridete (oppure si, ridete, che cavolo mi frega?). Tutto a nord-est fino alla fine della strada, GIU’ (!!!) per le scalette, di nuovo a nord-est fino all’incrocio bello grosso, poi SU in salita ad incrociare la tratta 1-2, giro in senso antiorario attorno al complesso di edifici con il cortile che contiene la 1 e finalmente punzono. E ho già perso più di 4 minuti rispetto al tempo del vincitore. Il bello è che, mentre mi sciroppo tutto questo, il mio unico pensiero è “però… che scelta controintuitiva…” (!) “che bel tracciato… chissà se qualcuno perderà tempo cercando di voler tagliare nelle stradine senza uscita…” (!!). Ma il pensiero più bello di tutti arriva mentre sulla salita sto per incrociare la tratta 1-2 e soprattutto incrocio Gianni Guglielmetti che, partito 4 minuti prima di me, stava già scendendo verso la 5: “mmmhhh… guarda che faccia sorpresa che fa il Gianni… si vede che gli ho già recuperato qualcosa… vai così!”. Invece, ne sono sicuro, il Gianni stava pensando “ma da dove cavolo arriva questo???”. E dico “cavolo” perché i ragazzi ticinesi, Gianni per primo, sono tutti educatissimi e non arriverebbero ad inserire nella frase quella parola che fa rima con “pazzo”… anche se in un caso come questo ci starebbe benissimo!

Il giro 1-2-3-4 è bello, ma proprio bello bello bello e non sarà l'unico! Tutte tratte non sempre intuibili in un battibaleno, non per me almeno. Nel punto in cui la mia scelta 3-4 incrocia la linea immaginaria che porta dalla 4 alla 13… caspita: non vedo le linee conduttrici ma vedo le linee immaginarie! Deve essere un effetto secondario del Morb(i)o di Stegal… in quel punto incrocio Kristian che sta pattugliando il paese (come se in Svizzera sparissero le lanterne) e che mi fa segno “vai così! Vai così!”. Invece dovrebbe chiamare il soccorso alpino. In quel frangente io do il meglio di me, producendomi in una spettacolare imitazione di Giuliano Gemma nell’immortale sequenza di “Anche gli angeli mangiano fagioli”… non nel senso che mi metto ad andare a trazione posteriore ma nel senso di quel che succede al minuto 1:06, ed anche più tardi, di questa sequenza finale http://www.youtube.com/watch?v=tKT2dtw5Sig

Dopo che mi sono fatto venire il mal di testa per andare alla 4, è tempo di scendere alla 5, di raggiungere la 6 sotto la caldazza infernale e, una volta giunto qui, scegliere tra la morte per sedia elettrica e quella per impiccagione per arrivare alla 7. Due alternative? Forse addirittura tre: c’è anche l’iniezione letale! Infatti c’è chi come me sceglie la sedia elettrica andando a destra, su per i campi e poi di traverso sui sentieri percorribili per arrivare alla 7 da sud-est (e qui, chissà come mai, mi accorgo che la strada ha un lato praticabile); ma c’è anche chi sceglie l’impiccagione, riprendendo tutta la strada verso nord-ovest e tagliando poi per un sentierino quasi invisibile. Ed infine c’è l’”iniezione letale”: dritto sotto la linea magenta! Ma come? C’è una zona larga come l’estuario del Tamigi di verde in-attraversabile + una parete di roccia che al confronto certe carte della Croatia Open sono dei prati all’inglese?!? Beh... come dicevo prima, non andate a chiedervi come mai nella piccola popolazione di orientisti ticinesi ci sono un certo qual numero di campioni del mondo master!

“Per fortuna che la salita è finita” disse Pinocchio rompendo immediatamente una finestra con il naso! Per andare alla 9 prendo la circonvallazione nord, ripasso come Giuliano Gemma davanti a “Sorriso” Kristian che ancora una volta non chiama il soccorso alpino, e arrivo al punto da sud. Andare alla 10 vuol dire raccapezzarsi tra il sudore, la fatica e tutte quelle righe nere di recinti non attraversabili che sembrano una versione complicata dello Shanghai. Idem dalla 10 alla 11, beccando un micron quadrato di carta che rappresenta una scaletta che butta subito sulla strada principale; Metka mi dirà di non averla vista, ma io rispetto a lei ho il vantaggio di andare solo a due chilometri all’ora. Anche dalla 12 alla 13 faccio una cosa carina andando a nord a prendere un’altra scaletta da un micron quadrato (Metka mi dirà di non aver visto nemmeno questa, ma ormai io vado a 1,5 km all’ora… e vedo anche le imperfezioni del toner). Dalla 13 alla 14 in senso orario, e poi alla 15 è tutto facile se non fosse che vado al sasso che si trova a nord del punto!
La 16 non è difficile, basta guardare dove mettere i piedi in quel verdino insidioso spacca caviglie, ed è divertentissimo anche tutto il giro 17-23 attorno a quella che potrebbe essere una vecchia centrale idroelettrica (di sicuro una industria) e sulla collina appena al di là della Breggia. Intanto uno dei due neuroni della testa intona il canto “ma non era in paese?”, solo che l’altro neurone è disattento perché pensa che era una sprint e tutti e due si prendono a cazzotti rinfacciando all’altro che il percorso era piatto!

L’ultima insidia alla 25, che è SOTTO il ponte, sul greto della Breggia; poi una risalita alla 26 talmente faticosa che quel punto lo si può pure sbagliare (non è successo a me, né ad alcuno della mia categoria, ma è successo…) ed infine la 27 presa dall’arrivo da tanto che era invitante il sentierino sotto la 26: invitante quel sentierino lo era davvero, meno lo è stata la risalita di quelle 4 curve di livello dalla 28 alla 27 nella terra asciuttissima, e ancor meno la discesa ad aggrapparsi agli alberi! E poi finisce. Finisce la HAL sprint, piatta, in paese che mi ero sognato in chissà quale film e finisce la middle non piatta, non tutta in paese, che mi sognerò ad occhi aperti quando penserò a questa gara come esempio di come potrebbero essere tracciate tante gare middle divertentissime senza dover cartografare e gareggiare per forza di cose a 50 chilometri e 5000 curve dal più vicino centro abitato.

Era talmente tanta la voglia di sognare che, chissà perché (o forse lo so io il perché) mi sono ritrovato nel mondo dei sogni già pochi minuti dopo aver raggiunto il traguardo: un bel coccolone da caldo e la pressione che, ancora dopo un’ora abbondante dal termine della gara, faticava a raggiungere come valore massimo un numero a tre cifre. Ma questo ed altro per la scienza, questo ed altro per poter aggiungere un altro sintomo, o meglio un altro effetto collaterale, di quello che da oggi in poi sarà ufficialmente noto su tutte le enciclopedie mediche come “il Morb(i)o di Stegal”!

Ci si vede alla prossima faticaccia, al prossimo manifestarsi della malattia o più probabilmente al prossimo errore di iscrizione; non faticherete a trovarmi: sarò quello fighissimo, nel nuovo training AGET Lugano!!!