Stegal67 Blog

Sunday, August 31, 2014

Once upon a time: O-Ringen 2014 (the final)

Le ultime due tappe dell’O-Ringen, dopo il giorno di non-riposo alla Nostangica Race, rappresentano due momenti completamente diversi per chi, come me, raschia il fondo della classifica ad ogni uscita nel bosco. La quarta tappa è per me, in effetti, l’ultima vera tappa dell’O-Ringen; è nella quarta tappa che quelli come me si giocano, infatti, l’unico vero traguardo che ci è concesso di raggiungere: una posizione nella griglia di partenza prima del gruppo di tutti coloro che, per un motivo o per un altro, non hanno completato tutte le gare. La quinta tappa diventa una specie di kermesse, di arrivederci ad una delle prossime edizioni, con le sue partenze in una griglia a 15 secondi di distacco gli uni dagli altri. In effetti la quinta tappa ha l’unico scopo di far incontrare in zona partenza coloro che si sono divisi le posizioni di fondo classifica nelle quattro tappe precedenti: ognuno squadra il vicino, se ne osserva la panza, lo stato atletico, l’elasticità dei movimenti… se devo essere sincero non ne ho visto uno meno atletico di me! Se sono, e sono comunque pochi, dietro di me in classifica, vuol dire che devono averne combinate di veramente grosse nel bosco!


La quarta tappa ha due caratteristiche fondamentali. La prima: viene annunciato in tutti i volantini ed in tutte le presentazioni l’attraversamento di una zona detta “Littorina Bank”, cioè di una zona di bosco dalla quale un paio di ere geologiche fa il Mar Baltico si è ritirato, lasciando alle sue spalle un diluvio di massi grandi, medi e piccoli, di cocuzzoli che si sono formati nel tempo, di piccole colline e microforme che renderanno veramente impegnativa la gara anche di quelli più forti; una zona, quella del “Littorina bank”, che minaccia di passare alla storia dell’O-Ringen 2014 come quella del possibile “vaccatone da 30 minuti di errore”. La seconda: è la tappa nella quale partiamo più tardi, nell’ultima fascia delle partenze, e ad onor del vero siamo pure parecchio in fondo all’ultima fascia! E’ una cosa che non mi piace mai. Un po’ di tensione me la aveva messa il mio amico Cristian Olivestam (Vimmerby OK) che avevo incontrato nel parcheggio il primo giorno: io partivo alle otto e mezza, lui dopo l’una; io me ne andavo a casa con calma dopo la mia gara, mentre lui arrivava con altrettanta calma per la sua gara. Non so… questa cosa di partire a fondo griglia nell’O-Ringen mi ha sempre lasciato una sensazione strana. Posso capire che in una gara ci sia quello che arriva per primo al traguardo (di solito il bambinetto della H10 che parte alle 8.30 precise, arriva alle 8.45 e risponde a monosillabi alla sua prima intervista) e quello che arriva per ultimo, quando tutti se ne sono andati e restano solo pochi infaticabili volontari che devono decidere se chi ancora manca all’appello è effettivamente in gara o ha preso la strada di casa senza avvisare nessuno. Ma il pensiero che mi accompagna è: perché devo essere io ad arrivare per ultimo al traguardo? Non è il fatto di correre da solo nel bosco, figuriamoci! Tra tutti gli orientisti del mondo, o almeno in Italia, credo di essere l’unico che non può farsi questi problemi visti gli orari-speaker ai quali prendo regolarmente il via… è proprio una sensazione di disagio: quella di rischiare di essere colui per attendere il quale l’arena dell’O-Ringen deve rimanere in piedi!

Nella quarta tappa questa sensazione ci mette un po’ a sparire, ma alla fine se ne va grazie ad un paio di combinazioni fortunate. In primo luogo il posto che troviamo per posare le nostre borse: sono tre metri quadrati proprio nel punto dal quale si vedono sia l’arrivo che l’ultima lanterna che una parte dell’ultima zona di bosco da attraversare, veramente deliziosa. E che sia un posto speciale (clamorosamente libero!) lo testimonia il fatto che proprio lì arriveranno a fare l’ultima perlustrazione tutti i più forti: Lundanes, Alexandersson… persino LUI!


La seconda è che ad un certo punto arriva al traguardo Elisa Lucian, sempre sorridente… vado a chiederle qualcosa sulla sua gara e lei mi fa vedere come bisogna tenere la mappa per non perdersi nel Littorina Bank: praticamente ad un centimetro dagli occhi! Non so perché, ma questa cosa mi fa ridere e mi fa pensare che tutte le migliaia di persone che stanno arrivando all’ultimo punto hanno affrontato le stesse difficoltà che avrò io nel giro di qualche decina di minuti e… che cosa hanno loro che io non ho? Nulla (forse un po’ più di autostima). E che problema ho io che loro non hanno? Nessuno (forse solo la Nostalgica Race nelle gambe). E allora che Littorina Bank sia, e che la gara cominci!


A conti fatti, nulla di tutto ciò che faccio nella quarta tappa si dimostra più difficile di una normale gara di orienteering: entro molto piano nel Littorina Bank per il primo punto (che altri cercheranno per 20 minuti) e basta seguire con calma i cocuzzoli ed i massi per arrivare alla prima lanterna. Un piccolo svarione dentro il cerchietto per il terzo punto, ed uno appena più marcato al quarto punto per il quale alla fine decido di appoggiarmi all’area vietata, marcata dalle strisce gialle sul terreno in modo davvero preciso. Per il quinto punto mi faccio portare da una D18 che viaggia sulle rocce lisce e piatte ad una velocità altrimenti non praticabile dal sottoscritto… ed anche il Littorina Bank è alle spalle. Fisicamente è un po’ penosa la risalita al sesto punto, con attraversamento di un’altra area di rognoso disbosco nel quale manco tutte le tracce di chi è già passato finendo per fare il doppio della fatica. Dal settimo punto in poi si va a caccia delle lanterne e dei bicchierini del ristoro… come quello dopo l’ottavo punto, al quale arrivo da solo ed ho a disposizione tanta di quell’acqua da farmi persino una doccetta rinfrescante: i vecchiardi del ristoro, che probabilmente da un paio d’ore non assistono a nulla di memorabile, fanno una specie di catena umana per portarmi tutta l’acqua possibile senza che io debba spostarmi! Da quel punto fino al traguardo il bosco è bellissimo, con una visibilità stile “Bedolpian Mille Pini” o Barricata (prima della grandine). Riesco a combinare un mezzo pasticcetto alla 10 ma dopo pochi minuti sono al traguardo a fare la mia bella volata solitaria. Si, ok, non ci sono più gli speaker e metà delle stazioni di arrivo le hanno già portate via… ma per dirla alla Walter Peraro “anche stavolta sono andato ad affrontare il bosco, e se non ho vinto io, non ha vinto nemmeno lui!”.

Rimane l’ultima tappa che, come ebbi già modo di scrivere in occasione di altre O-Ringen, è un po’ quella dello sbaraccamento generale. L’organizzazione generale dei parcheggi e soprattutto dei tempi necessari per arrivarci salta un po’ per aria, cosa che si sarebbe potuta prevedere dato che  l’arena dell’arrivo si affaccia su una bellissima zona del Mar Baltico che però  raggiungibile solo da una stradina molto stretta a doppio senso e con ponticelli vari a sensi unico alternato: a conti fatti per arrivare a parcheggiare impieghiamo ben più di un’ora più dei tempi massimi previsti, ed io e Attilio ci troviamo quindi costretti a saltare fuori dalla macchina e a correre come cammelli per oltre 3 chilometri, prima in salita e poi fortunatamente in discesa, per arrivare in zona partenza un solo minuto prima del mio start. Inutile dire che le energie e la testa, dopo tutta questa fatica, sono completamente altrove…


Dalle mie tracce posso vedere come riesco a fare bene il (facile) punto 1 nel quale c’è solo da salire fino al punto più alto del dosso per arrivare al punto nascosto sotto un grande cespuglio, poi sono lento alla 2 mentre alla 3 cerco di lambire la zona vietata per evitare dislivello inutile, finendo però per restare a lungo in una zona veramente impervia a combattere con la vegetazione. Il pittoresco passaggio sulla vecchia ferrovia porta alla seconda parte della gara, dove la difficoltà più grossa è trovare la 7 nel disbosco (ma mi ci porta un trenino…) e poi venire su dalla 8 fino alla 9 in salita a consumare le ultime energie. Il pezzo dalla 9 fino al traguardo è veramente molto bello, anche se faccio un gran casino per arrivare alla 11 e poi alla 13 (complice anche tutto il rumore di sottofondo del tifo che arriva nel bosco fin dall’arena di arrivo).
Poi è solo discesa fino all’arrivo… e questa la potete vedere nei filmati che ritraggono TG che arriva vincitore solitario, o lo si può capire da questa foto.


Abbiamo ancora il tempo di scendere sul Mar Baltico, in una giornata si sole bellissimo, per vedere qualche lanterna del percorso di trail-O… le lanterne sono molto belle e sarebbe stato carino provarci, mi chiedo solo se qualche descrizione cervellotica possa averne rovinato la poesia!



Alla fine non resta altro da fare che cominciare a pianificare la prossima O-Ringen, sperando di ritrovarci con un tempo come quello visto nel 2012 e nel 2014! E di non avere un ritorno a casa così tribolato come quello “offertoci” by Lufthansa… altrimenti vale la pena pensare di testare un’altra compagnia aerea!

Tuesday, August 19, 2014

Once upon a time: Nostalgica Race at O-Ringen

... Per fortuna di oltre 22.000 partecipanti all’edizione 2014 dell’O-Ringen, arriva mercoledì e con esso anche il giorno di riposo: di ambulanze venute a soccorrere i concorrenti alle prese con i colpi di calore della terza tappa ne abbiamo viste girare fin troppe. Giorno di riposo per molti, ma non per tutti. Come infatti dicevo nella prima parte del racconto, noialtri del GOK avevamo adocchiato per tempo la minkiata… ehmmm… l’evento mondano del 2014: la Nostalgica Race!

Narra infatti la storia dell’O-Ringen che 50 anni fa nei dintorni di Asmoarp, ridente località costituita da due case, nessuna chiesa e nessun campo di calcio (e poi Per Forsberg al microfono prende per i fondelli Bertoldi e Gionghi…), si è tenuta la terza tappa della prima O-Ringen. Il non accessibilissimo sito aveva pubblicizzato quindi una speciale edizione della Nostalgica Race: una gara da tenersi nello stesso posto, sugli stessi percorsi e con LE STESSE CARTE dell’edizione di 50 anni prima. Percorsi, ovviamente, da disegnare a mano al momento della partenza (come 50 anni fa), con le lanterne messe negli stessi posti.

Proprio quel genere di cose che il GOK non si fa mai mancare!

Nei giorni precedenti la Nostalgica Race favoleggiavamo di come avrebbero potuto svolgersi le cose: la solita folla di orientisti venuti a festeggiare il 50esimo della leggendaria gara svedese, gente magari in gara con le stesse tute di 50 anni fa (o comunque con le più vecchie a disposizione), un autentico happening stile anni ’60 e, chissà?, magari anche qualche partecipante di quella famosa edizione; che se la matematica non è una opinione, 50 anni + un tot fa più o meno 70 anni se non di più… e tanto di cappello. Questo immaginavamo. A tal punto da esserci affrettati ad iscriverci subito via internet, onde evitare di perdere l’occasione causa numeri chiusi, stop alle iscrizioni o altri vincoli: 22.000 orientisti svedesi non ci avrebbero certo impedito di prendere parte alla Nostalgica Race. Questo favoleggiavamo.

Poiché Asmoarp è proprio a due passi dalla nostra cuccia di Hassleholm, ci muoviamo con calma ma arriviamo al ritrovo solo qualche minuto dopo l’orario delle prime partenze (libere) delle 10.00. E troviamo il deserto! Nel parcheggio, più grande di un campo di calcio, meno di 10 macchine: una roba da avere invidia per le promozionali lombarde! Il meeting point è all’interno di una cascina, quella della gara del 1964, e la cosa che subito ci colpisce è che un’ala della cascina è adibita ad una sorta di museo dell’orienteering: ci sono le prime carte di gara, una classifica generale originale battuta a macchina, i ritagli originali degli articoli di giornale relativi a quell’O-Ringen, un paio di punzoni modello anni ’60 con i quali (credo) era più facile punzonarsi i polpastrelli che il cartellino… la cosa più bella è una carta di gara originale con ancora disegnato il vero percorso di uno dei concorrenti! Un tipo che, quel giorno, era andato praticamente sotto la linea rossa fino al punto 7, prima di prendere una strambata a 180°… faccio un commento sul percorso ed uno dell’organizzazione (che ci fa da cicerone) mi dice che quel concorrente era in classifica nella Nostalgica Race, aveva fatto lo stesso percorso e si era divertito per non aver ripetuto lo stesso errore. Come dire: 50 anni + un tot che ne aveva nel 1964… complimenti a lui!

Se non fosse per il numero di persone veramente ridicolo, siamo a livello di pizzata tra amici, sarebbe tutto perfetto. Tutto perfetto… fino al momento in cui vado anche io nel bosco, anzi fino al momento in cui comincia la mia gara, con in mano una bella cartellina di plastica nella quale è inserita da una parte la carta di gara originale, e dall’altra la carta di gara come appare al rilievo 2014. Questa seconda carta di gara me la danno “per la mia incolumità”, ed è per l’appunto quando entro nel bosco che capisco il significato di questa frase.

Capitemi: prendete l’immagine di un bosco delle vostre parti, uno che conoscete. Se avete più di 50 anni, andate con la memoria indietro di mezzo secolo; se siete più giovani, andate indietro più che potete. Io provo a fare questo esercizio con il bosco di Coredo e Tavon, e devo ammettere che grossi cambiamenti non ce ne sono stati: i sentieri principali sono ancora lì! Certo, quando ero bambino non c’erano il campo di calcio e quello di basket nel bosco, ma la pineta più o meno è sempre quella… però sto parlando di un bosco che già 40 anni fa era abbastanza antropizzato, e che non ha subito tante modifiche. Ma proviamo a pensare ad una foresta svedese al limitare di un paese di due case, in una nazione nella quale la percentuale di foreste antropizzate è ridicola… negli ultimi 50 anni, li dentro ci è andato solo qualche taglialegna per operare qualche disbosco ed una squadra di operai per costruirci (lo scoprirò presto) una pista da motocross. Per il resto, ha fatto tutto la natura incontaminata! Ecco quindi che lungo il percorso, lo stesso di 50 anni addietro con le lanterne piazzate nello stesso posto, “là dove c’era l’erba, ora c’èeeee…” un mare di ortiche alte due metri, oppure un disbosco dove gli alberi (sempre per dirla con Attilio) “li hanno tirati giù con le bombe”, una palude grande come piazza del Duomo… insomma: forse le curve di livello sono le uniche cose che potrebbero tornare, peccato però che le carte del 1964 fossero in scala 1:25.000! E chi ci ha mai corso su una scala simile? Io si, una volta: però al Lavarone, e la carta di gara me la aveva data Alfredo Sartori in persona, ed era una carta AGGIORNATA!

Per farla un po’ più breve di come la sto facendo finora: se mai a Platak e Kastav ho pronunciato la frase “se mi davate la carta del posto dove corriamo, era meglio”, alla Nostalgica Race devo ammettere che la carta del 1964 mi è utile più o meno quanto una forchetta per affrontare un coccodrillo! Le uniche cose alle quali posso affidarmi sono la bussola e la percezione della distanza… con un primo punto che dista circa due chilometri! Due minuti prima di me, sul mio stesso percorso “C” (ma chi cavolo ha corso in “A” ed in “B”… Superman e Batman???), parte un tizio di Hong Kong: che il Cielo abbia pietà di lui! Lo trovo 100 metri dopo la partenza, fermo e con i piedi a mollo nel primo fiumiciattolo, che si guarda in giro pensoso… sarà tornato a casa o lo staranno ancora cercando? Un minuto dopo di me parte uno svedese che è il sosia biondo di Bruno Cabrerizio (un nome che non dovrebbe sfuggire alle innumerevoli lettrici del mio blog) ed anche lui, come me e tutti quanti gli altri, sembra affidarsi diligentemente alla sola carta modello-1964.


Avanzo nella foresta ed incontro muretti di pietre ormai crollati che non sono segnati in carta, massi che non sono segnati, avvallamenti troppo piccoli per comparire s una scala 1:25.000. Incrocio un sentiero poderale parimenti non segnato e, dopo una eternità di circa 25 minuti, penso di essere arrivato in zona punto. Ovviamente è solo una sensazione, non suffragata da null’altro che non sia “due chilometri nella direzione della bussola li avrò fatti!”. Attorno a me un oceano di alberi. 50 metri alla mia destra, il  Bruno Cabrerizio svedese sta guardando pensoso la carta e si sta ponendo i miei stessi dubbi. Il tizio di Hong Kong probabilmente è ancora a mollo come Franco Cerri… è giunto il momento di sfoderare, ma solo “per la mia incolumità”, l’arma segreta ovvero la carta di gara attuale, anche perché sono a 20 metri da una piattaforma in legno che sulla carta aggiornata dovrebbe essere segnata. Così è: sono a 50 metri dal punto (punto 38), un po’ spostato dalla linea giusta, per condizioni di gara e strumenti a disposizione, nettamente la migliore lanterna di tutta l’O-Ringen. Il fotomodello probabilmente ha avuto la stessa pensata, ma è stato più veloce di me (ed era più vicino di me al punto) e se ne sta già allontanando.


Se il primo punto è andato tutto sommato bene, per il secondo punto va tutto storto. Esso si trova, infatti, nella stessa posizione di 50 anni prima, ma attorno ci hanno fatto un disbosco terrificante, il più terrificante di tutta l’O-Ringen. Il punto è inavvicinabile se non a prezzo di parecchi graffi, parecchie cadute (anche sui sassi) e parecchie saracche… A tre quarti di quel disbosco, nel quale sono entrato perché banalmente sta sotto la linea di azimut che devo seguire, giro la carta sul lato aggiornato e scopro che a poche decine di metri da me ci sono un bel boschetto ed anche un sentiero.. e li le saracche si sono fatte più pesanti! Arrivo al punto 39 insieme al modello svedese ma da lì in poi ci dividiamo.

Il punto 3 (40) è ancora fattibile come pure il 4 (42) perché la casetta nel giallino esisteva già nel 1964 ed era segnata. Lì però considero conclusa l’impresa: sono passati già 70 minuti dalla mia partenza, e da qualche minuto sento distintamente e sempre più forti i rumori delle moto che gareggiano sulla pista da cross che si trova proprio sulla linea diretta che congiunge il punto 4 ed il punto 5 (43): non potrei fare azimut (per un attimo mi sfiora l’idea di passare sulla pista da motocross proprio tra i concorrenti), e di conseguenza non vorrei rischiare di perdermi di brutto in quella foresta. Allo stesso modo, non mi sfiora nemmeno l’idea di rifare un tuffo nel passato tra la 5 e la 6 (punto 50), perché il disbosco mi succhia le ultime energie e nella zona sassosa a sud della 6 non ci farei una gara di orienteering nemmeno nel 2014! (finisco per le terre non meno di 6-7 volte). L’ultimo sussulto di orgoglio per andare al traguardo, orgoglio che pago attraversando una palude nel verde 1, non segnata neppure nella carta aggiornata, con il traguardo ostentatamente a vista in mezzo ad un prato, mentre alcuni concorrenti ci arrivano direttamente dal sentiero (non segnato sulla carta del 1964).

Al traguardo, sfinito mentre mi scolo mezza tanica di acqua, si svolge un dialogo tra i più surreali:
"Ciao! da dove vieni?"
"Dall’Italia, da Milano"
"Ah! Che bello che sei qui!... Perché sul tuo cartellino c’è scritto che la tua società è AGET Lugano?"
"Perché l’O-Ringen la corro con la mia squadra di Milano, ma per questa gara mi sono iscritto con la mia squadra svizzera"
"Ah! Allora sei svizzero!"
"No, sono di Milano, sono italiano"
"Ma sulla tua maglia c’è la bandiera della Svizzera"
"Si, perché ho fatto la gara iscrivendomi con una squadra di Lugano"
"Ma Lugano è in Italia o in Svizzera?"
"Lugano è in Svizzera, ma io sono italiano"
"E perché un italiano gareggia con una squadra svizzera?"
"Guarda... potevo iscrivermi anche come sloveno o come norvegese"
A questo punto la cosa è diventata troppo complicata per quelle anime semplici.
"Ah... ma in Svizzera le avete gare come queste?" (evidente tentativo di cambiare discorso)
"Non lo so, non sono svizzero e non gareggio per l’AGET da così tanto tempo...  non so nemmeno se c’era l’orienteering 50 anni fa in Svizzera!"
"Ma se non sei svizzero perché c’è la bandiera svizzera sulla maglia?" (arridaglie! Ma questo è uno che non aveva partecipato alla discussione di prima!"
“Sono svizzero! Vivo a Milano ma sono svizzero!”

E questo sembra averli fatti contenti: le poche certezze che avevano erano tornate al loro posto!

Nostalgica Race. Tutto sommato una bella esperienza: fatta, timbrata, “io c’ero”, quinto posto in classifica finale (89 minuti), eccetera… ma per dirla con PLab “questo posto non l’avrei cartografato nemmeno nel 2014!”. Forse gli altri 22.000 che non si sono fatti vivi nei dintorni di Asmoarp lo avevano capito prima.

Per i soli finali: il modello svedese arriva durante lo show italo-svizzero-svedese descritto sopra, ma ha tutti i miei complimenti perché ha fatto anche le tratte 4-5-6 con la carta originale.

Il tizio di Hong Kong pare lo stiano ancora cercando…

Wednesday, August 13, 2014

Once upon a time... O-Ringen 2014 (the 1st part)

In questa estate che latita, ed in una Milano anche oggi bagnata da qualche acquazzone sotto un cielo prevalentemente coperto, occorre andare a cercare il sole nei ricordi più o meno lontani. Per mia fortuna, sole e mare e cielo azzurro non sono così distanti nel tempo da aver già fatto sbiadire le sensazioni più belle. Curiosamente, però, lo scenario che costituisce il contorno geografico di questi ricordi non è un’area mediterranea, ma la più inconsueta Svezia con le sue spiagge sul Mar Baltico! Non può dirsi proprio una estate normale se, una volta ritornato a casa (dopo un autentico “viaggio della speranza”… speranza di arrivare a destinazione e speranza di ritrovare i bagagli), ho ringraziato il clima per avermi fatto trovare a Milano finalmente un po’ di fresco. Ok, ho ringraziato abbastanza: adesso potrebbe anche smettere di piovere!

L’O-Ringen, ormai, non rappresenta più una sorpresa per nessuno. Quando, nel 2004 ho partecipato per la prima volta alla classicissima svedese, avevo dovuto affidare la preparazione di tutto quanto va sotto la voce “cose che tanto vale sapere prima” ai vaghi e talvolta non del tutto attendibili ricordi di qualche compagno di squadra che era già volato a nord. Sbarcare all’O-Ringen senza preparazione, in quegli anni prima di Facebook e di tutti i blog, voleva dire ritrovarsi come Totò e Peppino alla Stazione Centrale di Milano, a guardare la nebbia che non si vede… Ora, arrivato alla mia quinta O-Ringen dopo il 2004 2007 2010 e 2012, mi posso considerare praticamente un veterano della Svezia. Eppure… Eppure continuo ad avere la faccia come quella di Totò e Peppino alla vista dell’arena di arrivo della prima tappa, dell’O-Ringen Town, dei mega-parcheggi che accolgono 22.000 partecipanti che a fine gara escono dal bosco senza soluzione di continuità per affrontare uno degli 8-9 corridoi di arrivo!


L’edizione 2014, almeno per me, è nata sotto una strana stella. In primo luogo è arrivata a soli 6 giorni di distanza dalla conclusione della fatica dei WOC: tutto quello che la lavatrice terminava di lavare (ed il fresco di Milano terminava di asciugare) finiva nuovamente nella valigia che avevo lasciato strategicamente aperta in corridoio; ho il vizio di pensare sempre e soltanto alla prossima gara, e quindi soltanto mercoledì (tre giorni dopo il termine dei WOC) mi sono “accorto” che avrei cominciato a gareggiare di lì a poche ore all’O-Ringen (mica alla promozionale del Monte Stella), ed ho dovuto cominciare a fare mente locale alle cose basilari come bussola, taping, porta descrizione, sicard, book delle gare con le indicazioni stradali…

Il secondo motivo per il quale l’O-Ringen 2014 “è partita male” è che sembrava impossibile che si potesse ripetere una situazione meteorologica come quella del 2012: ad Halmstad infatti avevamo avuto il sole, il caldo, le paludi praticamente asciutte, e negli album dei ricordi fotografici di 20.000 orientisti-bagnanti ci devono essere ancora le foto della terza tappa con l’arrivo in riva al Mar Baltico (sponda ovest) che avevano scatenato l’invidia di tutti coloro che erano rimasti a casa, soprattutto di tutti i ragazzotti che si erano persi una autentica sfilata di vichinghe in bikini. Una situazione meteo che, pensavo, difficilmente si sarebbe potuta verificare ancora.

Come diceva Nero Wolfe in non so quale libro, il vantaggio dei pessimisti è quello di poter restare piacevolmente sorpresi: l’edizione 2014 infatti non ha visto scendere dal cielo una sola goccia d’acqua, non ha visto comparire in cielo mai nemmeno una nuvola! Sette notti a dormire fuori dal lenzuolo e con la finestra aperta, sette giorni ai 27-28 gradi con i quali abbiamo corso tutte le tappe. 



Una situazione inimmaginabile che ha richiamato alla mente i racconti di Henning Mankell, quelli del commissario Kurt Wallander, quelli nei quali i poliziotti della squadra di Ystad (a pochi chilometri dalla nostra “cuccia” svedese) si lamentano spesso per il caldo dell’estate svedese della Scania… e noi lettori italiani a pensare a questi che si lamentano per un nonnulla! Non è un caso se, in quasi tutte le tappe disputate, molte scelte di percorso le ho fatte sulla base della possibilità o meno di incrociare “bicchierini” stampati sulla mappa, quei punti di ristoro in mezzo al bosco che all’O-Ringen sono frequenti tanto quanto le cappelle da 5 minuti!

Un altro fattore da tenere presente, perché anche questo ha avuto il su peso, è che quella 2014 è stata l’edizione numero 50 dell’O-Ringen; il buon PLab aveva scovato, nell’invero non leggibilissimo sito della gara, l’annuncio di una tal “Nostalgia Race” o “Nostalgica Race” secondo le varie accezioni: una gara speciale, senza classifica (e invece ci sarà!) da disputare sulla stessa carta… anzi CON la stessa carta e soprattutto CON lo stesso percorso della terza tappa della prima O-Ringen di cinquanta anni prima. La classica ori-minkiata che nessun esponente del GOK si farebbe mancare… ma avrò modo di raccontare come è andata a finire!

Racconto che comincio adesso, ben conscio del fatto che l’O-Ringen meriterebbe di essere accompagnata dalle parole di ben altro Bardo o, in mancanza del very-original-Dario, anche di un Dario-dopolavoristico… ma sembra che ormai costoro non apprezzino le “uscite” se non sono almeno di 50 chilometri e 5.000 metri di dislivello ciascuna.

L’O-Ringen 2014 avrebbe dovuto costituire il mio ingresso ufficiale nella categoria H45. L’iscrizione fatta in un periodo dell’anno nel quale le gambe proprio non giravano, la preoccupazione di dover fare 5 gare ad una sola settimana di distanza dalla fatica dei WOC, la consapevolezza che la posizione finale in classifica sarebbe stata comunque a fondo scala in qualunque categoria. Perché non fare compagnia ad Attilio, allora, che alla H45 si era iscritto fin dall’inizio senza se e senza ma? Poi il destino ha voluto che le cose andassero diversamente, e che il mio ingresso in H45 (evento che senz’altro sarà citato nei libri di storia come lo sbarco di Colombo nel Nuovo Mondo o la caduta del muro di Berlino) si sia verificato in realtà al Campionato Trentino di Forte Kerle, con la carta H45 consegnatami in pompa magna nel parcheggi da Matteo Sandri… anche se a pensarci bene non so nemmeno se mi hanno messo in classifica! Comunque H45 doveva essere, almeno per rispetto verso la carta di identità, e H45 è stata; ma tutto potrei dire della mia categoria, tranne che sia stata una passeggiata di salute!

*** ***

La prima tappa si è disputata sulla carta di Vanga Ostra, che sarebbe da scrivere con quale “A” con il pallino sopra e qualche “O” con il doppio puntino… ma a me che mi frega? Tappa a lunga distanza, che per qualche motivo “battezzo” come una cosetta da meno di 6 chilometri e con poco dislivello. Primo errore! Intanto la lunghezza delle long distance in H45, all’O-Ringen, è sempre superiore ai 7 chilometri in linea d’aria, o esattamente 7 km come in questa tappa. Secondo errore! Questi avranno anche inventato l’orienteering, ma il dislivello non lo calcolano proprio: che ci sia o che non ci sia, non gliene può fregare di meno… che andrebbe anche benone se la gara la faccio al Parco di Trenno dove il marrone è utilizzato solo per le canalette, ma se corro in un posto che il book dell’O-Ringen recita come “very hilly”… ecco, diciamo che ancora una volta il vostro onorevole Stegal sembra essersi cimentato nella specialità nella quale è un vero Elite: ndare a cacciare il culo sulla pedata.

Vedo partire Attilio qualche minuto prima di me e comincio a pensare “questi qui sono capaci di aver piazzato 14 lanterne su 7 km… cioè un punto ogni 500 metri almeno… qualche punto sarà molto vicino agli altri, e quindi ci sarà qualche tratta lunga più di un chilometro. Proprio quello che NON piace a me… Ma cosa vado a pensare, saranno sicuramente più di 12 punti! Dai… 15, 16 punti, magari 18 o 20…”. Quando arriva il mio turno e recupero la descrizione punti al minuto meno 2, trovo l’amara sorpresa: 14 punti! Dopo una partenza quantomeno da rimanere PERplessi, con un punto K piazzato sotto una roccia a strapiombo al quale ci si arriva sulle tracce di chi è già passato di lì, arriva il turno della prima lanterna dell’O-Ringen, che è sempre la Prima Lanterna Dell’O-Ringen e come tale va trattata con rispetto! Mi arrampico con cautela sulle prime “very hilly” curve di livello, attacco la collinetta come se fossi Sgiorsgiù, do una occhiata di sufficienza alla paludina alla mia destra e miro all’avvallamento nel quale dovrebbe essere la roccia con la mia lanterna. Mi meraviglio di non vedere attorno a me decine di altri orientisti, o perlomeno cinquine di altre lanterne che non sono le mie, ed entro nell’avvallamento: incredibile a dirsi, c’è anche una lanterna… ed è la mia! Non ci sono più le O-Ringen di una volta, quelle nelle quali trovavo le lanterne “per approssimazioni successive”… qui c’è la 270, lì la 271, ecco la 272… 273… 274… 276! 276!!! Chi si è fottuto la mia 275???

La seconda tratta è la prima “Corri Mona!” dell’O-Ringen, e la affronto risalendo il sentiero in senso orario. Le paludi sono praticamente asciutte, tranne quando sono solcate dalla linea retta azzurra (in tal caso trattasi di fango maleodorante di torbiera…) ed il percorso continua a rimanere abbastanza hilly da non consentire mai un attimo di riposo fino alla seconda tratta “Corri Mona!” (11-12) nella quale risalgo tutta la fila dei bicchierini perché, con il caldo che c’è, anche i mitici ristori dell’O-Ringen nel bosco sono rimasti senza recipienti per tutti: l’acqua nei vasconi c’è, ma non è rimasto nulla con cui attingere… se non un tappeto di plastica calpestata per metri e metri!


(c'è pure il mio percorso!!!) 

All’arrivo, dopo una volata da onorare perché ci sono comunque un paio di migliaia di persone che guardano (e non hanno la minima idea di chi ogni concorrente sia, ma guardano ed applaudono lo stesso), prendo fiato e non mi accorgo che appena al di là della linea c’è Per Forsberg in persona, il quale mi vede, sorride e fa segno a me ed al suo microfono…. No, dai! Per! Non è proprio il caso… “Ah si?!? Fridaaaaa… c’è lo speaker italiano del mondiale da intervistare!”. Ed ecco che dal nulla compare Frida… biondissima, svedesissima, microfonatissima e sorridentissima. E io chi sono per rifiutare una intervista???


Per la seconda tappa si rimane nella stessa arena di arrivo, ma si corre nella parte nord, altrimenti detta Vanga Norra. E’ il momento più duro dell’O-Ringen, perché il corpo subisce la stanchezza del viaggio da Milano, della prima tappa con partenza presto e della seconda tappa ancora con partenza presto. E’ un’altra tappa long distance, e sarà ancora più dura perché si sviluppa su 7,7 km, ed io penso tristemente alle 14 lanterne… una ogni 500 metri. Il vantaggio dei pessimisti, però, è quello… di essere già pronti a tutto: stavolta le lanterne sono solo 12, come scopro al minuto meno 2, e dal punto K mi separano la bellezza di 350 metri, che si sommano ai 3,5 km che ho già fatto per arrivare in partenza. Se non fossi all’O-Ringen, mi sarei già rotto le balle di brutto! Anche perché i 350 metri che mi separano dal punto K non sono su un comodo sentiero ma su un unico ininterrotto “bordo palude” pieno di sassi, roba disboscata, fango, rami sporgenti ad altezza 1 metro da terra… quando arrivo al punto K, il primo dei “tori” della partenza del minuto successivo mi ha già raggiunto, ed in mezzo a quel delirio non sono stato nemmeno in grado di vedere lo sviluppo del percorso… che mi regala già al primo punto un altro bel tiro lungo da 20 centimetri di lunghezza.

Il bello (ovvero brutto) della faccenda è che la prima parte si sviluppa tutta in una porzione di bosco che, in Italia, ci faremmo almeno un campionato italiano sprint da tanti dettagli che ci sono… e a me tocca attraversarla tutta con la testa spenta, tanto devo solo raggiungere il prato, guadare il fiume, superare il sentiero, arrivare all'area privata e seguire il muretto (superando la classica zona impenetrabile sotto la linea elettrica) fino ad arrivare al primo punto. Quando ci arrivo, ne ho già piene le balle, il cervello l’ho lasciato staccato per tutto il tempo e infatti canno di brutto il punto 2; mi rimetto in sesto per la 3, alla quale non so bene se arrivo perché è facile o perché è l’unica lanterna dietro alla parete di rocce e quindi ci va un intero treno di 15-20 concorrenti; stessa cosa alla 4 e alla 5. Alla 6 opto per una scelta in sicurezza che mi costa ancora un’iradiddio di fatica per oltrepassare la linea elettrica, mentre alla 7 vado dritto su per la collina “che a me la salita mi fa una pippa” (cit.).

Molto bella ma emblematica la lanterna 8: che si trova in una zona dove si fanno le gare di motocross o di speedway: il fondo è sabbioso che sembra di essere in spiaggia = non si va avanti nemmeno a piangere, in compenso fa un caldo che sembra di essere in un forno. Ci saranno almeno 100 orientisti che si aggirano a vista nella conca che precede la mia 8: io salgo preciso, trovo due lanterne a bordo bosco che non sono le mie e finalmente trovo il mio cocuzzolo… tempo di punzonare e di fornire indicazioni sulla posizione del punto a tre orientisti che mi si presentano con le cartine in tre scale diverse (una preghiera per il poveraccio che aveva la scala 1:15.000) e davanti a me compare Attilio, partito pochi minuti prima di me e che aveva mancato di pochi metri, all’andata ed al ritorno, la 9. Con lui a fare il ritmo o “a coprirmi le spalle” (auto-cit.), l’ultimo tirone lungo per la 10 dura meno di quanto paventato, anche se lungo il sentiero il caldo si fa davvero sentire, e la 11 e la 12 non danno problemi. La seconda long distance dell’O-Ringen è passata!


La terza tappa è quella “balneare”, ed è quella middle prima del giorno di riposo (che tale non sarà). E’ forse la tappa più bella e più divertente del 2014 perché, rispetto alle precedenti, sembra di correre una sprint. Da buon pessimista, mi accontenterei di terminare con un tempo attorno all’ora di gara, ed invece mi scopro a mordermi le mani per un “53” che avrebbe potuto essere anche sotto i 50 minuti se non fosse per un errore sopraggiunto nel finale, per stanchezza. E’ la tappa nella quale il ritrovo è a pochi metri dalla spiaggia sul Mar Baltico, nella quale per andare in partenza si percorre la spiaggia e si finisce per bagnare scarpe, piedi e… massì dai facciamoci un bel bagno fino alle cosce… nel Baltico, e si parte dalla spiaggia, dalla quale si vede una specie di pineta marittima piatta nella quale compaiono, talvolta PERplessi, alcuni concorrenti alle prese con l’equidistanza a 2,5 metri che rende molto pronunciati in mappa anche quei movimenti del terreno che… insomma…


Una bellissima tappa, corsa tutta all’attacco sotto la linea rossa (almeno in tutte le tratte nelle quali non era più consigliabile tenere i piedi sulle tracce che solcano la pineta), ed uno svarione alla 10 per stanchezza al quale cercherò di rimediare tirando (le gambe ed anche qualche moccolo) per la 11, prima di sbagliare la 12 praticamente nei pressi dell’arrivo in una zona nella quale vagano tanti orientisti quanta gente c’è in Piazza del Duomo a luglio…

(... continua...)