Stegal67 Blog

Saturday, January 31, 2015

1995

Chi siamo? Chi siamo realmente? O, meglio, QUANTE COSE siamo? Quanti volti siamo tutti noi, uno per uno, contemporaneamente? Da qualche ora ho questa domanda che rimbalza forte nella mia mente. Sto cercando di capire, di mettere a fuoco, ma faccio fatica.

La butto sul nulla: e io sarei lo “speaker del popolo”? Quello che conosce vita e miracoli di tutti coloro che frequentano assiduamente le nostre gare? La lezione di oggi, se mai non mi fosse ancora entrata in testa, è che posso arrivare a distinguere da 300 metri di distanza i colori dell’US Primiero da quelli dell’Orienteering Prato, lo stile di corsa di Massimo Bianchi da quello di Miki Caraglio. 

Posso persino scommettere e scippare un caffè a Giovanni Greco, lanciandomi in un “Greta Knarston is coming!” (echiccacchioè Greta Knarston???)… a proposito: io quel caffè non l’ho ancora bevuto!

Ma tutto questo scalfisce in modo solo superficiale la conoscenza che io, e tutti noi, abbiamo di noi stessi, dei nostri amici che frequentano i boschi. Magari sappiamo che il tale ha vinto una medaglia nel tal campionato master, e magari non sappiamo che la persona che abbiamo di fronte e con la quale snoccioliamo tempi da lanterna a lanterna è un artista, uno scultore, un attore. Sappiamo che la tal ragazza, che arriva sempre a metà classifica nelle categorie juniores e non se la fila nessuno, ha fatto il nostro stesso percorso, ma non sappiamo che si tratta di una persona impegnata nel sociale, che divide il suo tempo tra l’orienteering ed altre iniziative ben più mirabili di una semplice competizione sportiva.

E’ ovvio, è solo palesemente ovvio, che ciò che sappiamo degli altri scalfisce solo la superficie del vero “chi siamo noi?” e del “quante altre cose siamo, oltre al fatto di essere orientisti?”. E’ ovvio. Ma talvolta questa cosa ci sfugge di mano e finiamo per inquadrare gli altri per una medaglia in una categoria master, o per un piazzamento a metà classifica in una categoria juniores.

Vorrei poterlo scrivere meglio, ma non ci riesco e allora vado al sodo.

Ho appena finito di leggere un libro: “1995” di Andrea Gianotti, mio ex compagno di squadra e di mille trasferte con l’Unione Lombarda, felicemente approdato da un paio di anni al Nirvana Verde. 

Non sapevo che si dilettasse di scrittura… anzi: dovrei dire “non sapevo che fosse uno scrittore”. 

Perché “1995” non è la produzione in proprio di qualcuno che si è dedicato qualche sera a digitare sulla tastiera anziché guardare L’isola dei famosi. “1995” è un libro vero e proprio. Che lascia senza fiato e con una voglia irrefrenabile (almeno per me) di leggere come va a finire. Che non lascia nemmeno una minuscola traccia o un particolare dimenticato lungo le pagine, ed alla fine chiude il cerchio di tutte le pennellate del racconto in una perfetta “O” di Giotto.

Un libro giallo, penso di poterlo definire così, che mi riporta indietro negli anni quando il mio eroe era il commissario Arkady Renko raccontato dalla penna di Martin Cruz Smith (Gorky Park, Stella Polare – imperdibile -, Piazza Rossa, L’Avana), un eroe che adesso dovrà dividere le mie simpatie con il commissario Vincenzo Branchini della Polizia di Frontiera, alto 194 centimetri (… e così ti sei attirato subito le mie simpatie, vero Andrea?...) e con l’aria di essere in grado di portare sulle spalle il peso del mondo.

(ATTENZIONE: da qui sotto in poi è un po' ... anche se non tanto... SPOILER!!!)



Un libro inizia in un modo che fa pensare “embé? Che cosa si è fumato il Giana???”, si snoda fino a far dimenticare le prime pagine, e poi riprende in mano tutti i fili della trama fino ad arrivare alla conclusione di un arazzo completo in ogni sua parte.

Un libro che ha, almeno per me, una componente visuale fortissima; sembra di vedere il campeggio malmesso, il luogo del delitto, i bar e tutte le zone fronte lago nelle quali si dipana la storia.

Un libro che ha l’ineguagliabile pregio di essere costruito come una storia quasi locale, e che poi improvvisamente prende una strada diversa intrecciandosi con la Storia quella vera. Un evolversi delle situazioni che mi ricorda, alla lontana, un’altra storia come venne narrata in “Enigma”.

Un giallo a fronte del quale farei un torto all’autore se, mentendo, dicessi “Ok Giana! Tutto bello… ma io il nome del\della colpevole l’ho fatto alla pagina X…”.

Non è un libro alla Ellery Queen, nel quale l’autore lancia la sfida al lettore lasciando in giro tutti gli indizi ed invitandolo a dare la caccia a qualcuno. E’ invece un libro visuale, che porta in crescendo fino alle ultime pagine, con una conclusione che non lascia scampo alcuno a chi volesse cercare qualche pecca nella costruzione della vicenda.

Non basta qualche serata ispirata per scrivere un libro come questo.

Complimenti Andrea! Solo che io adesso cosa devo dire di te quando ti vedrò arrivare al traguardo ed io, magari, sarò ancora lì dietro il microfono a raccontare?