Stegal67 Blog

Friday, August 21, 2015

Garette Estive. Capitolo 5: Mondiali Master (qualificazione long 1)

Arriviamo così alle ultime tre tappe di questa maratona svedese: le gare long dei WMOC 2015. Dopo il giorno di riposo, trascorso saltabeccando tra le isole della West Coast, si va verso il lago Delsjon per la prima gara di qualificazione. Il cielo sta buttando giù acqua a catinelle e le probabilità di cambiarci in macchina sono molto alte, ma la prima preoccupazione che dobbiamo affrontare è relativa al “dove” possiamo lasciare l’auto. 

Accade infatti che, sempre nell’ottica del Mondiale eco-sostenibile, la zona di arrivo è stata piazzata ai margini della zona industriale di Molndal, un assembramento di piccole officine di meccanico, di basse palazzine per uffici, di aziende di autotrasporti; ci sono veramente poche possibilità di parcheggiare in zona, e quando cerchiamo di “mediare” con uno dei locali per poter lasciare la macchina davanti al suo ufficio, le risposte sono tra l’esasperato e l’incaxxato: sono tutti lì a chiedersi chi abbia mai dato il permesso a tutte queste persone di radunarsi lì attorno, e soprattutto cosa ci stiano facendo! Cerco di spiegare, anche con un po’ di pompa magna, che sta per disputarsi il campionato mondiale di orienteering e… incredibile a dirsi! Pure nella fantastica Svezia, accade che di questa cosa ai locali non gliene può fregare nemmeno un pìcciolo!!! Alla fine riusciamo a transare un parcheggio vicino ad un autotrasporti, ed andiamo in zona arrivo: l’area è veramente minimalista; sotto il diluvio, parecchie società sono riuscite ad infilare le tende sotto gli alberi, solo il gruppo di giapponesi è dotato di una specie di “casa” di tela, con tanto di finestre e area di ingresso, ma gliel’ha portata lì già bell’e montata l’agenzia di viaggi.

Le prime persone che vedo in zona arrivo sono Katja e Daniel Zwicker, che hanno già finito la loro gara e come al solito sono puliti e sorridenti come se fossero sul red carpet (ma come fanno?). Daniel mi squadra e la sua faccia cambia espressione: “Stefano, per l’amor del cielo! Non entrare nelle paludi! Stefano, stacci lontano!”. Mi pare di capire, dai commenti che sento in giro, che anche questa long distance stia per diventare una nuova lezione di paludismo applicato… la conferma me la offre su un piatto di argento, sereno come sempre, il buon Jorgen Holmboe: “Devi  sapere che quest’anno la primavera è stata molto calda, cosicché l’erba nelle zone di palude è cresciuta tantissimo. Poi abbiamo avuto un inizio di estate molto più piovoso del solito, e quindi le palude sono assai più profonde”. Il risultato è presto fatto: chi è partito per primo ha corso nelle paludi ancora abbastanza compatte, ma si è dovuto far largo nell’erba da elefanti dove serve la forza di Hulk per procedere. Chi partirà in fondo, probabilmente troverà l’erba tutta pestata, ma praticamente farà la gara nel fango dall’inizio alla fine.

“Tu in che posizione della griglia sei?” chiede Jorgen.
“Sono l’ultimo che parte di tutto il Mondiale…” rispondo io. 
Jorgen, l’infame, sorride.

A pomeriggio inoltrato, quando ormai sembra che tutta la qualificazione sia finita e la maggior parte delle persone si è già fatta la doccia e si è rifocillata, arriva anche il mio turno di partire. Questa cosa, dicevo qualche giorno fa, mi mette sempre addosso una certa inquietudine, che cresce ancora di più quando vedo la carta di gara, ovvero questa COSA QUI:


Primo pensiero, rivolto a Daniel Zwiker: come cavolo faccio a stare LONTANO DALLE PALUDI?!?!?
Secondo pensiero, rivolto a me: Stefano! Pensa solo a trovare il primo punto. Trova solo il primo punto e potrai andartene da qui orgoglioso di quello che hai fatto.

Solo per fare un confronto, farei vedere la carta di gara di Roberta (D45): se in Italia qualcuno osasse proporre il percorso che ha fatto Roberta in D45, arriverebbero al traguardo in tre e scoppierebbe la rivoluzione…

Su per la linea di massima pendenza, poi di traverso verso nord-est a valicare le linee di rocce (sul terreno ce ne sono molte di più di quanto è segnato in mappa) finché, con i piedi perennemente a mollo, arrivo sulle sponde del laghetto. Superata la palude a nord del laghetto, di nuovo su tra le fila di rocce a costeggiare l’enorme Stige chiamato Bredaremossen, che in svedese vuol dire “lasciate ogni speranza voi italiani che ci entrate”. Da lì, è sufficiente leggere bene la carta di gara e mappare sul terreno colinette, avvallamenti, paludine fino ad arrivare all’evidente roccia… SI, COL CAVOLO! DAL DIVANO DI CASA!!!... La zona a nord dello Stige è un continuo movimento del terreno, con paludi ovunque e cocuzzoli che fanno deviare dalla linea retta. Arrivo nella zona ad est con gli alberi buttati al suolo e, dopo qualche secondo si sbandamento (vado a destra? A sinistra? Avanti? Torno indietro?) identifico le piccole linee verdi sulla mappa e vado dritto al punto. Lento ma dritto.

Sono in mappa! Il peggio è passato, da qui in avanti… ecco: da qui in avanti è peggio! Basta un minimo calo di concentrazione che, pur passando accanto alle roccette a metà tra la 1 e la 2, arrivo al punto solo per scommessa. Alla 3 c’è il ristoro con le sciurette che si chiedono chi sia questo che a metà pomeriggio sta ancora passando dal ristoro, la 4 la faccio dritta e la 5… la trovo solo perché vedo il brasiliano che è partito 20 minuti prima di me che punzona: sarebbe una parete rocciosa, ma avrebbero dovuto scrivere “abbiamo scelto di cartografare QUESTA parete rocciosa e non le altre 20 che sono all’interno del cerchietto…”.

Sulla via del ritorno, il Bredaremossen non fa più tanta paura come all’andata, e mi posso beàre gli occhi dello spettacolo delle cascate formate dall’acqua che tracima dalle paludi superiori a quelle che stanno un livello sotto. Per scendere dalla 9 (fatta in bussola sotto la linea magenta) alla 10 bisognerebbe avere i pattini ed anche essere bravi come Brian Boitano per riuscire a stare in piedi senza frantumarsi le ossa sulle pietro cosparse di sapone. Invece per uscire dalla 11… ecco: qui veramente bisognerebbe avere il filmato! La tratta fettucciata dalla 100 all’arrivo è un OCEANO di fango,  profondo da mezzo metro in su. Io impiego due minuti e rotti per arrivare al traguardo, ed assicuro che è un tempo di tutto rispetto per quelli che sono arrivati al traguardo attorno alle 16! Alcuni anziani concorrenti semplicemente devono tirare gli uni con gli altri per venirne fuori, un altro (il mio compagno di stanza) finisce lungo e disteso a faccia in avanti nella torba, e non sarà nemmeno uno dei pochi ad arrivare al traguardo in stile “mostro della laguna”.


(… continua …)

Wednesday, August 19, 2015

Garette Estive. Capitolo 4: Mondiali Master (le sprint)

L’O-Ringen è appena alle spalle, e noi siamo solo a metà del cammino. Dobbiamo ancora affrontare la seconda settimana di gare: i WMOC – World Masters Orienteering Championship. Da un lato, potrebbero sembrare più facili rispetto all’O-Ringen: sono infatti previste due gare sprint su cinque. Dall’altra, c’è preoccupazione per l’aspetto “logistico” della faccenda: i WMOC nascono all’insegna del trasporto eco-sostenibile, ma le informazioni sul modo in cui si arriva alle gare rimandano spesso a mezzi pubblici locali (di Goteborg) che passano a cadenza ognitanto-manale, soprattutto nei giorni festivi… e noi che stiamo a parecchi chilometri di distanza da Goteborg, come ci arriviamo alle gare? E in che condizioni, se il meteo comincia a promettere acqua tutti i giorni e l'auto potrebbe costituire l'unico riparo?

Il primo impatto con i WMOC non è dei migliori. Intanto arriviamo al centro gare sotto il diluvio; poi c'è il centro gare stesso, che non regge minimamente il confronto con quello dell’O-Ringen. E’ vero che c’è un rapporto 5:1 di partecipazione, ma ci sono comunque 4.000 iscritti… che però scompaiono rispetto alla dimensione e alla magnificenza della settimana precedente. Infine c’è un aspetto di tipo anagrafico, lapalissiano ma sconfortante: ai WMOC, gli “juniores” siamo noi, che siamo iscritti in over-45. La maggior parte dei concorrenti sono in over-60 o over-65, le partecipazioni giovanili sono limitatissime a qualche figlio o nipote o pronipote, e quindi i paraggi hanno una lontana parvenza delle corsie dell’Esselunga quando vado a fare la spesa settimanale e a qualunque orario mi trovo a dribblare un autentico gerontocomio.

I miei WMOC cominciano con la prima gara sprint, la qualificazione che si tiene nel quartiere di Eriksberg. Dalle informazioni note, potrebbe trattarsi di un quartiere moderno, con un sacco di strade asimmetriche, qualche parchetto e magari qualche via d’acqua a rendere il percorso tortuoso. Non sarà sicuramente Subiaco o Matera, e neppure Bergamo alta o Brescia, ma di certo mi aspetto “qualcosa” da una qualificazione mondiale; soprattutto se ripenso ad una delle più belle gare sprint che ho mai corso (malissimo, peraltro!), cioè la finale dei WMOC in Portogallo con i due passaggi nel vecchio pueblo, tra le dune e nel bosco.

Se la prima impressione è quella che conta, devo ammettere che arrivare a Eriksbergtorget sotto la pioggia e vedere il parterre dei WMOC fa un certo effetto di desolazione:


(la zona di arrivo: non c’è – e non ci sarà mai in tutto il WMOC – nemmeno un gonfiabile)


(il podio dei WMOC: possibile che in tutta Goteborg non ci sia qualcosa di meglio?)

Fin dal principio si sapeva che non ci sarebbe stato alcun riparo per gli atleti, e che alla sprint in particolare non ci sarebbe stato spazio per le tende di società. Si vedono così ripari fortuiti sotto gli ombrelli, gli alberi, i rari balconi delle case che si affacciano sulla piazza; il tutto ha un po’ l’aria di una gara regionale delle nostre, di quelle un po’ scrause però  (si, ci sono 4.000 persone, ma io arrivo dai 20.000 dell’O-Ringen). L’ultimo punto del percorso?


(ci sono pure le auto parcheggiate…)

Vabbé, magari i percorsi saranno una figata pazzesca. A spegnere l’anelito di speranza arriva un forte atleta svizzero che, appena superato il traguardo, mi dice: “Stefano… da noi questi sono i percorsi per esordienti…”. Ri-vabbé, lui corre in over-60… io sono in over-45: il mio percorso sarà sicuramente più impegnativo e challenging, ri-penso. Finalmente arriva il mio orario di partenza. Quando prendo il via ed inizio il mio Mondiale Master, non penso affatto alla possibilità (infnitesimale) di qualificarmi, ma a far bene le mie gare. Guardo la carta e, mentre corro verso il prato, penso “la prima lanterna è qualche metro all’interno della vegetazione… non la vedrò da fuori… devo mirare alla parete rocciosa e passarci accanto!”. Sbarco sul prato, guardo nella direzione giusta e, da una distanza di 100 metri, vedo distintamente parete rocciosa e lanterna; “non può essere la mia…”. Invece è proprio così!


Ecco… diciamo che mi aspettavo qualcosa di più sfidante! La 2 è sul vialone. La 3 ha un solo punto di ingresso. Per andare alla 4 scelgo di ripassare davanti alla 1, e una volta superato il montarozzo sarà fino alla 12 una specie di remake del campionato italiano sprint al Parco delle Cascine: il comunicato gara parlava esplicitamente delle siepi (verde 4) non attraversabili, ed in effetti l’organizzazione schiera un esercito a controllare il corretto passaggio da ogni singolo punto, ma finché le lanterne stanno alle estremità dei portici e delle aiuole condominiali, la gara si riduce ad un “corri, mona!” pazzesco. Per andare alla 13… si ripassa davanti alla 1, no? e poi da lì la gara si potrebbe quasi fare memory fino al traguardo. Diciamo che come percorso WMOC avrebbe potuto offrire qualcosa di più, ma apparentemente sono tutti contenti. Una chiave di lettura diversa, e tutto sommato lecita, me la offre su un piatto d’argento il signor Jorgen Holmboe, norvegese del Tyrving… un momento!

FLASHBACK!

Milano. Domenica 5 luglio 2015. Nella irreale caldazza della città, con 37 gradi alle 9 del mattino ed una afa da uccidere pure chi è abituato alla giungla del Borneo, va in scena la terza tappa di Expori. Fa un caldo infernale, qualcuno ha le visioni, Amanda Thelssén ha i miraggi, Katja Zwiker quasi sviene al traguardo… Lo speaker dovrebbe tenere desta l’attenzione di un centinaio di iscritti alla traversata del deserto del Sahara gara di Milano, e si mette a parlare di tutto: si inventa la cronaca della finale sprint ai Mondiali Juniores, comincia a parlare dei WMOC, allude alle caratteristiche dei terreni della West Coast e all’antennone di Skatos

Un distinto signore over 65 che ha appena finito la gara si fa avanti e chiede, meravigliato, come faccia un italiano a sapere tutti quei particolari sul terreno di Eriksberg e delle gare long distance dei WMOC. E poi mi dice “io sarei l’IOF advisor dei Mondiali Master…”. Io non conosco molti IOF Advisor, ed uno in particolare era tutto fuorché modesto! Invece Jorgen è proprio un gentile signore che parla di qualsiasi argomento con una evidente competenza ma anche con molta modestia. E’ stato un piacere incontrarlo di nuovo a Goteborg: sempre in tuta, onnipresente, arriva alle gare in bicicletta e comincia subito ad aiutare gli organizzatori in prima persona, poi si mette la divisa del Tyrving e va a fare un giro di controllo nel bosco, poi torna, si cambia sotto il diluvio e si mangia il panino che si è portato da casa, poi torna nel bosco… sempre sorridente, sempre positivo, sempre modesto.

La chiave di lettura della gara di qualificazione sprint è la sua: “devi sapere, Stefano, che i percorsi sono adattati alle capacità fisiche di atleti molto più anziani di te… prova ad immaginare la fatica che può fare un over-65, over-70, un over-85 a distinguere sulla carta i particolari del terreno, i piccoli portici, le aiuole. In fondo, tu ed i tuoi amici siete proprio le categorie giovanili di questo Mondiale”. Condivisibile. Tutto sommato condivisibile. Perché spiegato e poi affidato al giudizio altrui, non imposto ex cathedra.

Torniamo a Goteborg. Dopo la domenica viene il lunedì, e con esso la finale sprint. Io, in finale B, non mi aspetto nulla di che dai percorsi, anche se siamo pressoché certi che passeremo almeno una volta dai mitici panettoni sassosi con i lastroni piatti e lisci che diventano fatti come di sapone se solo dal cielo viene giù una goccia… ecco: infatti piove! Anzi: comincia a diluviare proprio due minuti prima della mia partenza. Gli occhiali, inservibili e dannosi, finiscono subito sotto alla carta di gara.


E’ una gara sprint nella quale c’è ancora soprattutto da correre. Sbaglio di poco, più che altro perché con tutta l’acqua che viene non vedo ad un palmo dal naso, la 2. E sbaglio, ma di molto (30 gradi a sinistra!) il punto 3. Bene la 4, scivolando sui lastroni di sapone meglio di Wayne Gretzky, e male la 5 cadendo tra i lastroni come Bambi sul ghiaccio per non aver fatto l’ovvia scelta sul sentiero. Gli unici punti non “corri, mona!” sono la 9 (ma si sale dal comodo sentiero), la 10 (ma si attacca seguendo la roccia) e la discesa per la 11 dove c’è da rompersi  l’osso del collo sui gradini fradici. 

Altri gradini dalla 12 alla 13, per girare attorno al bacino in senso orario, e quando la gara sta per finire e vedo già sullo sfondo l’ultima lanterna… SBOOOOONNNNGGGG! … vado a sbattere la spalla con tutta la violenza possibile contro un cartello stradale che indica non so cosa! All’urto, si girano tutti: spettatori, gli atleti attorno a me, un brasiliano che avevo appena superato e che mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite. La cicatrice sulla spalla sinistra è ancora ben visibile, e me la porterò dietro ancora a lungo.

E quello di sbattere contro i segnali stradali comincia a diventare un brutto vizio: non è la prima né la seconda volta!


(… continua…)

Tuesday, August 18, 2015

Garette Estive. Capitolo 3: O-Ringen (il gran finale)

La quarta tappa, come tutti sanno ed io lo so fin dal lontano 2004 (la mia prima O-Ringen) è la tappa più dura di tutte. E’ la tappa middle distance, la tappa bingo, la tappa nella quale l’orienteering come lo conosciamo assume significati nuovi, la tappa nella quale tutto può succedere… persino che l’impiegato panzottello si classifichi (come accadde nel 2004) nei primi cento della classifica. Quella del 2015 sarà ricordata come però la “tappa Luder”, giacché non sfugge quasi a nessuno che proprio in questa tappa la 20 volte campionessa del mondo arriva al traguardo in trentesima posizione, complici due “tonnate” (nemmeno consecutive) da ultimo parziale tra tutte le concorrenti in gara; una posizione che soltanto il suo biografo personale ci saprà dire se si è mai verificata prima, fin dai tempi nei quali la Regina di Svizzera correva ancora nella D10!

La carta di gara sulla quale Luder va a gambe all’aria, e di fatto perde l’O-Ringen, è la seguente: il solito meraviglioso tripudio di rocce, roccette e paludi, movimenti del terreno indistinguibili o quasi l’uno dall’altro, il tutto a due passi da casa:


Dal divano di casa i soliti commentatori diranno “eh! ma ci sono i sentieri!” oppure “eh! ma ci sono le paludi da seguire!” o ancora “eh! ma come si fa a confondere quella collina con quell’altra?”.
Io, che ero li dentro a sacramentare, rispondo: “eh! ti mando a casa Simone Luder che te lo spiega lei a calcioni del didietro!”. Proprio così: ci sono i sentieri che talvolta si possono seguire fino a 100 metri dal punto, ci sono le paludi che portano fino a 50 metri dal punto… solo che poi in quei 100 metri o 50 metri c’è un frattale di movimenti del terreno che nemmeno Mandelbrot si sarebbe sognato, ognuno di quali con la sua bella lanterna! Ma andiamo con ordine.

Il mio desiderio è quello di fare una bella gara; sarebbe meraviglioso terminare sotto l’ora di gara e so che, in una gara senza errori, ce la potrei fare. Parto deciso, arrivo al triangolo di partenza e con poca sorpresa capisco immediatamente che il bosco bianco e piatto che dovrebbe pararsi davanti a me è abbastanza movimentato e pure “poco bianco”. Per non saper né leggere né scrivere decido di sbarcare sul sentiero, per arrivare alla collinetta dal punto più vicino. Ottima idea, pessima realizzazione! Arrivo sul sentiero, abbasso gli occhi solo un attimo per controllare la carta, inciampo in una canaletta di scolo e rovìno al suolo: gomito spatassàto, carta strappata e involucro di plastica lacerato nel quale è entrata una palata di mezzo chilo di fango. Passo il minuto successivo a mandare affanc… la canaletta, la plastica, il fango, la gara middle e riparto un po’ scombussolato per la botta, e tutto sommato il punto non è sbagliabile. Il mio scombussolamento prosegue anche per andare al secondo punto, che trovo solo grazie all’evidente sentiero a semicerchio che quasi lo circonda.

Per andare alla 3, il fango e la carta strappata non mi consentono di vedere altro che la linea magenta attraverso la palude; ci sarebbe anche una evidente area vietata a limitare la possibilità di errore, ma quando arrivo in zona punto il mio cervello manda un solo segnale “vai avanti che prima o poi capirai dove ti trovi”. Nonostante l’omino del cervello in sottofondo cerchi di segnalare che all’O-Ringen questa tattica è completamente perdente, proseguo imperterrito e, nonostante le curve di livello, nonostante l’area che dovrei perlustrate attorno a me sia di dimensioni abbastanza limitate e ci siano colline, radure e tagli di bosco per aiutare a ricollocarmi, tutto ciò che riesco a fare non è difforme da ciò che fanno i protagonisti di questo fantastico video che O-Ringen TV pubblica a compendio della tappa stessa. Per la cronaca, la prima tonnata di Simone Luder avviene nella stessa area…


5 minuti netti di errore, e tralascio di affidare alle cronache quello che faccio per ricollocarmi ed arrivare finalmente al punto. Riparto inferocito verso la 4, supero il sentiero ed arrivo dritto al sasso che sta sulla linea tra la 6 e la 7. Da lì è un attivo trovare il punto perdere di nuovo la strada! Arrivo infatti sul naso ad est del mio cerchietto, ma per fortuna il numero di persone che percorrono avanti e indietro la tratta tra il punto dove mi trovo io (e dove c’è un’altra lanterna) e quello dove dovrei arrivare è pari alla folla che c'è alle casse dell’Esselunga al sabato pomeriggio prima del Natale. 5-6-7, se il nume tutelare degli orientisti vuole (ed un po’ di circospezione aiuta…) vanno via abbastanza lisci, ma per andare alla 8 io e la signora Luder facciamo la seconda tonnata di giornata: si potrebbero seguire gli isolotti, ci sarebbe una palude grande come una casa da tenere sulla destra… invece niente! Due colline con una sella enorme in mezzo… il vuoto più assoluto!

Decido mestamente di arrivare alla strada ed al ristoro per rifare il punto, magari troverà il punto 9 se sono fortunato, ed improvvisamente nel frattale di Mandelbrot attorno a me compare una lanterna: 300. E’ la mia. La 9 non è lontana e… guarda un po’ chi sta passando? Anne Hausken!... magari se sono fortunato mi ci porta lei! Provo a seguirla per le poche decine di metri che separano i due punti ed infatti lei punta dritto al sasso dietro al quale dovrebbe esserci il mio punto, ma ad una ventina di metri dal sasso… “Ehi! Perché si butta a destra?”. Resto a guardarla mentre va a vedere dietro uno degli N sassi a bordo cerchietto, dove non c’è nulla, finché non la vedo tornare indietro e punzonare il mio punto. Vabbé, però questa ha vinto dei mondiali ed io no.

Da lì in poi, Luder non sbaglia più niente, e quindi chi sono io per mettermi a fare delle altre cappellate? Alla 10 è inutile anche solo pensare di infilarsi nella zona dei sassi, 11 e 12 sono abbastanza evidenti e bisogna stare solo attenti a non affogare sul passaggio obbligato nella palude (che dopo 10.000 persone è largo e profondo quanto il Ticino) per ritornare come il giorno precedente nella zona di arrivo, schivando veci e putéi ma soprattutto districandosi tra le miriadi di lanterne posate in questa zona: dal punto di attacco per la 14 ne vedevo 4!


La quinta tappa, come sanno bene gli organizzatori, è la più dura. Lo è perché è un po’ la tappa dello sciallo, quella nella quale i primi in classifica lottano per la vittoria e quelli come me… beh! Partiamo in una griglia a 15 secondi gli uni dagli altri e possiamo solo misurarci le panze ! 15 secondi sono davvero una inezia, ora che uno prende una mappa, la gira, cerca il triangolo di partenza e si mette in moto. Per fare un esempio, Moritz Etter che è cento volte più bravo di me, e che mi ha sempre battuto, sta 20 posizioni in classifica prima di me ma sono solo 5 minuti di griglia di partenza. Ma, come dicevo, la tappa è dura soprattutto per gli organizzatori, perché è dalla quinta tappa dell’O-Ringen 2014 che negli occhi degli orientisti c’è spazio per poco più che questo:



Il finale incredibile della quinta tappa dell’O-Ringen 2014. Il Paradiso all’improvviso. Uscire dal bosco scuro (un bel bosco, ma con le fronde degli alberi talmente fitte da essere buio) e trovarsi improvvisamente di fronte la discesa, migliaia di persone, il Mar Baltico sullo sfondo azzurro che più azzurro non si può e si confonde con il cielo… 

Non è un caso se sul sito ufficiale dell’O-Ringen campeggiano in bella mostra proprio le foto prese da quel particolare punto di vista; non è un caso se il video di quella tappa del 2014 mostra un Thierry Gueorgiou che vola (ad una velocità che lévati) giù da quella discesa in posa da statua del Cristo Redentore sul Corcovado di Rio de Janeiro


Come fare per poter rivaleggiare con questa meraviglia delle meraviglie? Gli organizzatori del 2015 sanno di poter offrire poco di simile, ma pensa che ti ripensa devono aver trovato un’altra soluzione, ed assicuro che anch’essa vale il prezzo dell’iscrizione. La soluzione è questa:



Arrivo nell’arena di Boras. Campo di calcio in erba sintetica con tribune a spiovere sul campo, e mai non meno di 10.000 persone ad accogliere urlando i tifando i concorrenti che vengono sputati fuori dal bosco. Si, ok, per arrivare fino all’arena sportiva di Boras bisogna fare qualche centinaio di metri di “corri mona!”, ma garantisco che il brivido che ho provato quando finalmente anche io sono entrato nell’arena, sentendo il vociare di migliaia di persone in quello spazio ristretto (persone che stavano tifando ognuna per qualcuno di specifico, non certo per me, ma il rumore non è qualcosa di cui ci si possa prendere ognuno il proprio pezzetto…) è stata una cosa da pelle d’oca!

La carta della quinta tappa è questa cosetta qui, che sarebbe a poche decine di metri dalle abitazioni di Boras:


Tralascerò il racconto punto per punto. Alla 1 prendo i due tizi che sono partiti davanti a me, alla 2 raggiungo Moritz Etter ma vengo raggiunto da Marcello Baroni che mi partiva dietro di 3 minuti, al terzo punto pascoliamo per qualche minuto tutti insieme e poi il ventaglio di concorrenti si apre (alla fine Moritz sarà davanti a me in classifica, ed io davanti a Marcello). Consumo le ultime energie importanti andando a prendere la curva del sentiero grosso nella tratta 5-6; la palude davanti alla 8 e quella che attraverso per andare ai ristori prima della 9 non fanno più nemmeno paura dopo le lezioni di paludismo applicato di questi giorni. Alla 11 mi portano i sentieri, alla 12 il recinto, alla 13 le tracce, alla 14… no! La 14 la cànno proprio di brutto (due minuti), ma basterebbe accendere il cervello e controllare dove comincia il prato per trovarla. Poi è, come detto, un “corri, mona” fino al fantastico arrivo nell’arena di Boras.

Dopo la volata finale, la meravigliosa O-Ringen 2015 è proprio finita. Il piccolo gruppo di milanesi non dovrebbe fare altro che rilassarsi sul prato di erba sintetica e sbirciare attorno se le ragazze australiane indossano i mini-short della misura regolamentare (d’altra parte i posti dove metterci li scegliamo strategicamente…). Invece dobbiamo guardarci negli occhi gli uni con gli altri ed ammettere solo la semplice realtà:

L’O-RINGEN E’ FINITA MA NOI SIAMO ARRIVATI SOLO A META’ STRADA!


(… continua…)

Monday, August 17, 2015

Garette Estive. Capitolo 2: O-Ringen (seconda parte)

La seconda tappa dell’O-Ringen è, come universalmente noto, la più dura perché le tossine della prima tappa sono ancora in giro a fare la loro movida tra i muscoli che è già tempo di presentarsi nuovamente alla partenza. Il pensiero di tutti va al fatto che, se la carta sarà anche lontanamente simile a quella del giorno prima, so’ caxxi!  Il tourbillon degli orari di partenza ci proietta direttamente a fondo griglia, con Attilio posizionato sul fondo che più fondo non si può, quindi si verifica quella strana situazione logistica e mentale che  avviene quando, arrivando con ampio anticipo ai parcheggi della gara, si vedono già tante macchine che tornano a casa. Il cervello (il mio) fa uno strano click! Provo infatti un misto di invidia per chi ha già affrontato la sua gara ed il bosco e può già tornare a casa a leccarsi le ferite o semplicemente a rilassarsi.

La cosa potrebbe essere interpretata dal profano come un chiaro indice del fatto che non mi piace andare per  boschi a fare le gare; il che ovviamente non è! Eppure ogni volta provo la stessa sensazione di disagio. Dopo tanti anni di gare, posso solo concludere che ciò che realmente non mi piace è rimanere da solo e per ultimo nel bosco a finire il mio percorso; “per ultimo” va aggiunto per forza, perché “da solo” è la condizione nella quale gareggio ogni volta che faccio lo speaker. Il fatto è che quando parto all’alba so che  dietro di me poi arrivano tutti gli altri e, per qualche motivo, sono molto più tranquillo… Un secondo problema è legato alla domanda cruciale “che tipo di terreno troveremo oggi?”; per questo motivo cerchiamo di studiare le scarpe e gli abiti di quelli che hanno già finito la gara: il fango si vede, ma non sembra così onnipresente come nella prima tappa. Sembra invece che l’arrivo sia decisamente in salita!


Stavolta riesco a far partire la telecamera, cosa che provocherà reazioni diverse in molti tra coloro che sono presenti alla partenza: ci sono quelli che bisbigliano all’amico, indicandomi, poi ci sono quelli che fanno apposta a mettersi davanti a me e guardare dritto nella camera e fare le boccacce; infine ci sono quelli accelerano a velocità warp quando entrano nel raggio d’azione della camera, per non farsi vedere, come se io poi tornassi in Italia al solo scopo di prendere in giro gli svedesi…

La prima lanterna non è un problema (vero Gianluca Carbone?): la microcollinetta dietro alla quale è posta la palude spicca nel verdone come una guglia del Duomo. La seconda offre un comodo punto di attacco (la cima della collinetta pelata) ed un confortevole punto di stop in caso di errore (il sentiero). Purtroppo, al momento di prendere la direzione per andare alla tre, commetto l’errore di scendere anziché rimanere o risalire leggermente di quota: il sentierino nel verde fitto o non c’è o lo salto a pié pari mentre cerco di stare in piedi nella rumenta, e l’aggiramento + risalita dell’avvallamento mi costa tempo e fatica; alla lanterna 3 ci arrivo da ovest, e bene o male fanno da ottimi punti di riferimento gli alberi caduti a terra che, in carta, sono indicati come piccoli segmenti verdi. Passaggio dal primo e dal secondo rifornimento (gli addetti vedono la telecamera e bisbigliano tra di loro… al che io dico “Smile, you are on Candid Camera!”), sentiero verso sud, al bivio prendo la sinistra portandomi sull’altro sentiero; nel video si vede chiaramente che sto correndo, e altrettanto bene si vede chiaramente il ragazzetto svedese che mi supera a velocità assurda! All’altezza del masso, scendo nel semiaperto e vado a cercare la palude che porta al punto, nascosto dietro al solito sasso enorme che è segnato come collina perché c’è un poì di erba in cima.

Sbaglio alla 5, facendomi portare dalle curve di livello fino alla strada, il che mi costringe ad arrampicarmi sulle rocce per arrivare al punto (cosa che mi riesce incredibilmente bene), mentre per la 6 si va dritto in bussola a cercare il passaggio tra le file di rocce e la palude; poi è il sentiero, le tracce altrui, e quella piccola zona di verde con il mezzo la paludina che fanno sbarcare dritti sul punto. 7-8-9 si tratta solo di non fare cavolate. La 10 mette un po’ paura per la lunghezza, ma è una difficoltà solo apparente: basta solo usare la bussola e navigare da un isolotto all’altro senza farsi respingere dalle ultime curve di livello in salita, fino a sbarcare sul sentiero con i ristori in corrispondenza di uno qualunque di  essi; da lì si fa il periplo in senso orario fino alla 10 (stando attenti, perché nel cerchietto della 10 ci sono 4 lanterne!), e poi ci si fa portare dal gruppo… o nel mio specifico da Edoardo Tona… fino al traguardo in salita, sulla quale mi permetto persino di sprintare!

La terza tappa, come ha capito pure Bjorn Persson, è la più dura di tutte perché è quella che arriva dopo il giorno di riposo e, prima di cedere alle mollezze dell’estate svedese, bisogna subito rientrare in ottica O-Ringen! Il tourbillon degli orari ci catapulta direttamente nella prima fascia delle partenze, ma siamo fortunati perché la nostra cuccia è proprio ai margini della carta di gara e, se non corressimo il rischio di fare cose non previste dal regolamento (tipo farci trovare in mezzo alla carta dai posatori), potremmo provare persino a fare a piedi i 2 km che ci separano dal centro gare. Nello specifico, il mio letto sta a 20 metri da una parte di bosco che con tutti i sentieri, cocuzzoli, avvallamenti e rocce consentirebbe a Marco Giovannini di tracciare non una ma tre gare di Coppa Italia di trail-O.


La carta è bellissima, un autentico festival di rocce, roccette, roccioni e piccoli e grandi movimenti del terreno. Ovviamente ci sono anche le paludi: un saluto particolare a quella che dal sentiero con i ristori porta alla 5, che si deve fare anche in senso opposto per tornare ai ristori ed alla 6. Proprio ad uno di questi ristori avviene la “carrambata” dell’anno: passo correndo vicino al tizio che sta picchiettando nel terreno i pali “sista pinnen” per consentire agli atleti di appoggiare i bicchieri usati al ristoro, e sento che urla “Stefàno!!!”. Poiché l’unico Stefàno nei paraggi dovrei essere io (anche se, a dre il vero, ho appena superato il mio amico Stephan Wiberg…), mi giro e lo guardo: è Olle Hermansson! Il mio amico dell’YK Ymer  che conosco fin dai tempi della 5 giorni della Val di Non 1998. Rapida inversione di marcia, abbracci e baci e pacche sulle spalle e promesse di rivedersi ad una prossima multi-days, il tutto a volume da concerto rock e sotto gli sguardi increduli di quelli che escono dalla palude.

Decido di affrontare la tratta “Rocco Siffredi” che porta alla 7 in senso orario (Attilio opterà per il giro in senso antiorario); escludendo questo pezzo molto da “corri, mona!” (ma nel mio caso è sempre “datti almeno un contegno, mona!”) è una tappa molto bella perché almeno fino all’ottavo punto bisogna sempre rimanere molto concentrati e guardare bene la mappa: il rischio di trovarsi, come succede a me alla 5, a tre metri dal punto e non vederlo è sempre elevatissimo… anche se nello specifico del punto 5 sono anche convintissimo del fatto che il punto fosse posato sulla roccetta a 1 mm dal sasso. Infatti tutti quanti finivano lì!, compreso il russo che poi farà un volo a planare nella palude, in uscita dal punto, sotto gli occhi miei e del già citato Stephan Wyberg, che non scoppiamo a ridergli in faccia perché non si sa mai che potrebbe capitare (o essere già capitato) anche a noi.


Dalla 8 in poi il terreno è sempre molto interessante, il bosco molto vario, ma la presenza delle case e delle zone vietate costringe gli organizzatori a far passare tutti i percorsi in una specie di imbuto sempre più stretto, e quindi ogni tanto sembra di trovarsi in Corso Vittorio Emanuele all’ora di punta, a farsi largo tra veci e putéi… In ogni caso questa volta siamo noi a poter sfruttare l’orario di partenza all’alba per poterci andare a rifocillare e riposare ad un orario nel quale tanti concorrenti affrontano l’arrivo al centro gare.

(... continua ...)

Thursday, August 13, 2015

Garette Estive. Capitolo 1: O-Ringen (prima parte)

Bisogna che qua ci diamo una mossa. Bisogna che IO mi dia una mossa! Da oltre confine di Brogeda arrivano infatti richieste perentorie di notizie sulLa Gara Dell’Anno appena disputata, ma la cronologia del blog mi impone di riprendere la narrazione estiva da dove la avevo lasciata, andando a riprendere anche il filo di quelle garette minori che fanno da riempitivo tra una gara regionale e l’altra. Insomma, proprio come il blogger più famoso d’Italia quando scrive delle gare del CSI tra una Trans d’Havet e l’altra. O come la ex orientista più famosa d’Italia quando si accorge di non poter vivere senza una bussola ed una cartina…

Capitolo 1. O-Ringen. Da leggersi con quella faccia un po’ così quell'espressione un po’ così che abbiamo noi che andiamo in Svezia per la sesta volta (la terza negli ultimi quattro anni) e ci troviamo di fronte senza preavviso 20.000 (ventimila) persone. Ventimila calcolate alla svedese, cioè ventimila teste cada-giorno; non ventimila calcolate alla (purtroppo) italiana, cioè contando tutte le estremità (4 o 5 a seconda del genere) di tutti coloro che moltiplicato per tutti i giorni di gara hanno anche soltanto sentito parlare dell’esistenza di una gara.  Ventimila è un numero che fa sempre un certo effetto, il solito porco incredibile meraviglioso e sublime effetto! Anche perché poi il tutto rimane collocato in uno scenario che, paradossalmente, fa sembrare le cose come se fossero tutte “a misura d’uomo”. E se nelle due edizioni passate del 2012 e del 2014 avevamo potuto cogliere qualche sbavatura organizzativa in un paio di aspetti logistici, l’edizione 2015 rimane per me un perfetto esempio organizzativo dalla A alla Z, anzi dalla A fino a quelle vocali strampalate dell’alfabeto svedese con i pallini in cima e che seguono la Z nell’ordine alfabetico. 

Non abbiamo vissuto la situazione paradossale della prima tappa del 2012, con i chilometri di coda per entrare nei parcheggi per via del “pedaggio” che pochissimi avevano versato in anticipo; non abbiamo subìto la situazione al limite del “disorganizzato pesante” dell’ultima tappa 2014 quando il parcheggio era in fondo ad una zona tipo imbuto, con code in entrata ed in uscita da apocalisse autostradale ferragostana. E’ andato tutto, incredibilmente ma nemmeno troppo, liscissimo a cominciare dal ritiro dei pettorali al sabato, quando i 20.000 iscritti sono stati gestiti in tempi rapidissimi da un numero di addetti paragonabile a quello che svolge lo stesso compito nelle nostre gare regionali… che però hanno uno “00” di iscritti in meno!

La prima tappa, domenica, è come noto la più dura di tutte. Lo è perché è l’impatto dell’impiegato panzottello con il terreno svedese della West Coast, con le paludi, le colline rocciose, i massi enormi che non sono segnati perché non sono orientisticamente rilevanti oppure sono segnati come cocuzzoli perché in cima ci è cresciuta un po’ di vegetazione. 

Lo è perché, peccando come sempre di scarsa lungimiranza, sono iscritto in H45… non Kort, non Motion. La H45 vera! Alcuni amici locali, che mi conoscono e che mi salutano, chiedono la categoria. 
“H45” rispondo. 
“Ah… Kort, vero?” 
“No”. 
“Ah… allora Motion, vero?”. 
“No. H45, H45 e basta. E tu?” 
“Ah… io H45 Kort (o Motion…)! La H45 è troppo dura!”. 

E si tratta sempre amici che, nello scontro diretto, mi rifilerebbero 30 minuti di distacco a botta, e che in H45 Kort\Motion arrivano comunque nella parte medio\bassa della classifica.

Quando arriva il mio minuto di partenza, domenica, sento il bip bip bip… biiiiip! che mi manda nel bosco, giro la carta e mi viene un triplo infarto carpiato. La carta è questa “cosa” qua…


Una carta ed un percorso che non corrispondono a nulla di lontanamente paragonabile a ciò che faccio in Italia. Apparentemente, la carta è pubblicizzata come un terreno nel quale è possibile tracciare una linea retta di dimensioni “Rocco Siffredi” senza mai incontrare un sentiero. Sentieri no, ma paludi tantine. Con mio sommo dispiacere, quando arrivo al triangolo rosso di partenza il gruppetto di master partito al mio minuto tira dritto verso nord. Io il mio punto ce l’ho ad ovest… Mi armo di bussola e, arrampicandomi con le mani, scavallo la parete di roccia davanti a me, salgo in cima alla collina e scendo dall’altra parte…

SCIAFF!

Prima lezione di paludismo applicato.

Le paludi svedesi della West Coast sono diverse da quelle che si incontrano alle nostre latitudini, diciamo per fare un esempio in Alto Adige, carta di Nova Ponente. Ma forse è meglio fare un esempio pratico… Quando l’impiegato panzottello affronta la palude nostrana, il rumore di sottofondo (lasciando perdere i vari PANT! e PUFF!) è il seguente: pat pat pat pat pash pash pash PASH PASH! POSH! POSH! PASH! Pash pat pat pat… 

Spiegazione per i meno avvezzi: l’impiegato panzottello arriva corricchiando (pat pat pat) su un terreno abbastanza solido, comincia ad incontrare qualcosa di bagnato (pash) che si dimostra essere una palude dapprima compatta e di profondità quasi nulla (PASH), poi di minima profondità (PASH!), poi di media profondità (POSH!) e infine si torna al pat pat pat iniziale, fino alla palude successiva.

Il rumore della palude svedese è il seguente: drip drip drip sciaff! sciaff! SCIOFF! CIUFF!!! 

Segue qualche secondo di silenzio, rotto solo dalle imprecazioni. Ri-spiegazione per i meno avvezzi: l’impiegato panzottello arriva slittando e scivolando come Bambi sul ghiaccio (drip drip drip) lungo la discesa rocciosa; quando crede che cominci il pianetto, in realtà mette già il piede in mezzo metro d’acqua torbida, fangosa e puzzolente (sciaff!). Cerca di andare avanti di qualche passo mentre attorno a lui finnici, norgici e svedici volano sulle acque, ma presto deve cominciare a mulinare le braccia vorticosamente per mantenere una andatura peraltro penosa (SCIOFF!); la forza necessaria per andare avanti è pari a 3 Hulk, ma grazie alla prorompente azione delle braccia il baricentro rimane ancora tra i due piedi. 

Qualche passo dopo, nemmeno il mulinare di una pala eolica è più sufficiente! I 10 Hulk necessari per andare avanti non sono nel motore dell'impiegato panzottello, la testa ed il tronco (e la pancia) si spostano in avanti rispetto ai piedi, finché il baricentro finisce troppo in avanti rispetto a questi ultimi. Finale prevedibile: CIUFF! I nordici attorno alzano le palette con i voti per il tuffo (Greg Louganis è un dilettante) e se ne vanno via veloci come il vento senza sentire le imprecazioni.

Prima palude, primo CIUFF! Il tutto avrebbe pure rischiato di essere immortalato sul nuovo gadget del team GOK: una telecamera frontale di cui sono stato dotato fin dalla prima tappa. Purtroppo la mia imperizia proverbiale con tutto ciò che esiste di tecnologico ha fatto sì che non sono disponibili immagini della mia prima tappa (ma dalla seconda ci sono eccome!). 

La telecamerina ha svolto un ruolo fondamentale nello svolgimento della mia O-Ringen, perché il fatto di immortalare la gara avrebbe consentito ad amici e detrattori di profondersi in commenti sarcastici sui miei evidenti errori tecnici di orientamento. Il mantra che mi ha accompagnato per la prima ora di gara, quindi, è stato: non fare caxxate che poi gli altri rideranno di te! Una imprevista conseguenza è che fino alla quinta lanterna compresa, ho fatto la gara orientisticamente perfetta dell’anno!

“Scusa… vuoi dirci che hai trovato la 1 subito in quel frattale di rocce?”. SI.
“Vuoi dire che la 2 l’hai tirata come...” Come Sgiorsgiù!
“E la 3 in fondo a quel puttanaio di paludi e collinette?” Sotto la linea rossa! Come la 4. E la 5 attorno alla palude e poi al punto come se fossi all’aiuola sotto casa!

Purtroppo, dopo la cinquina, si fa presto a fare tombola! La 6, come buona parte del mondo, la affronto da nord, dal sentiero con i benedetti ristori.  Sarebbe facile dire che dal penultimo ristoro prima della 7 si viene giù dritti a sud, si prende l’attraversamento fettucciato  “)(“ e si risale la collina fino al punto… Arrivo invece a dire in questo momento del racconto che obiezioni del tipo “bastava fare così e cosà” sono valide solo se dette da chi era lì in quel posto a fare le stesse cose. 

Dal divano di casa e all’asciutto, non vale! (“Eh! Gara facile… Bastava seguire le paludi!” me lo dice solo Attilio che ha fatto la stessa gara e che è riuscito non so come a seguire effettivamente le paludi!). Il gruppone che si compatta al rifornimento, omini done veci e putèi, scende verso sud ma rimbalza sulla vegetazione dura ed attraversa la palude in corrispondenza di un ponticello di pietra che sarebbe arduo anche per il Cirque du Soleil, però è fettucciato anch’esso! Essendo per l’appunto fettucciato, siamo tutti convinti di essere passati proprio dove volevamo (le bussole in quel momento le avevamo tutti impegnate al mercatino delle pulci…). Si finisce così per andare per qualche minuto, tutti insieme, su e giù per le isolette che sembrano tanto quelle del Mar di Giava nel sud est asiatico. 

Le curve di livello non tornano tanto, ma il ponticello fettucciato l’abbiamo attraversato! Ci sono anche dei ragazzi che continuano imperterriti a tornare alle fettucce del ponticello per fare il punto, ma della lanterna nessuna traccia (e siamo lì almeno in 15 a cercarla). Dopo qualche minuto, un finnico targato Tampere Pyrinto, alto e pelato, comincia a sbroccare in inglese che la lanterna non c’è più e l’hanno portata via (all’O-Ringen? E’ più probabile che all’arrivo trovo Victoria Silvstedt che mi invita ad una notte di follie!). Lo dice in inglese per farsi capire bene da tutti: il finlandese ormai lo parla solo Zonato! Tra gli sguardi di disapprovazione degli astanti che continuano a cercare, mi si accende improvvisamente il cervello e scopro che forse quel pixel nero in mappa è un ponticello e siamo passati da lì. Affronto il finnico e lo prendo letteralmente per il bavero della maglietta rossa: se la smette di far casino lo porto io al punto! Mi segue poco convinto, ma quando attraversiamo la palude e sbarchiamo sulla collina giusta, urla che ho ragione e mette il turbo, allontanandosi per sempre dalle mie mani dalla mia vista.

Dopo lo scampato disastro, la gara si chiuderebbe anche senza infamia e senza lode anche se con tanta fatica. Purtroppo, nella tratta 8-9, ad un centinaio di metri dal punto è in agguato la madre di tutte le paludi… io arrivo in bussola un po' deconcentrato, giro attorno ad un cespuglio e non mi accorgo della presenza (in mappa) del segno che indica che lì è proprio profon… 

SBATACIUFFFFF!!!!

Dentro fino alle spalle! Non riesco quasi a muovermi ed ho per un istante la visione del sottoscritto nei panni del cattivo di turno del fumetto di Tex Willer che finisce ingoiato dalle sabbie mobili per non aver seguito bene le tracce. Qualche secondo e sento un altro rumore di piedi, ed urlo “NOT HERE!!!”. Riesco a girare il collo di 90 gradi e mi trovo davanti uno sbarbatello norvegese (Savedalens IK è Norvegia?) che ha girato attorno allo stesso cespuglio, si è fermato appena in tempo e mi guarda con gli occhi sbarrati e la bocca che sta per scoppiare a ridere. Mi allunga un ramo, io mi aggrappo, lui tira, io esco dalla palude e lui scoppia effettivamente a ridere. 

Da quel momento in poi, correre sarà ancora più difficile: i colori tirchesi dell’AGET Lugano sono scomparsi sotto uno spesso strato di fango e torba, ed all’arrivo saranno in parecchi a fare le foto a quello strano mostro della laguna che è emerso dalle paludi della prima tappa dell’O-Ringen 2015!


(continua…)