Stegal67 Blog

Saturday, January 23, 2016

Addio stagione 2015

23 gennaio 2016. L’anno nuovo è arrivato anche per me. Stasera, se tutto va bene (e se trovo una lampada frontale che funziona!) ci sarà l’esordio 2016 con la gara al Parco della Vernavola. E’ il momento nel quale vanno in soffitta le medaglie ed i sorrisi dell’anno precedente ed insieme a loro, ma più lente ad abbandonare le spalle su cui gravano come un fardello ogni anno più pesante, le fatiche ed i dolori.

Di solito affidavo questo “rito del passaggio” all’ultima lanterna dell’ultima gara dell’anno. Ma il finale di anno 2015 è stato assai travagliato e dopo Giussano, dopo Angera, dopo Briosco e dopo aver saltato le “50 lanterne”, in effetti non c’è stata una ultima lanterna cui affidare il compito di tenere con sé le delusioni e le piccole gioie di una annata sportiva vissuta ai margini della retrocessione, se non abbondantemente in zona…!

Oggi la mia preparazione alla gara della Vernavola è fatta di piccole cose. La borsa è già pronta da alcuni giorni, le gambe sono già calde. Ho scoperto durante gli allenamenti (non tanti ma sicuramente più intensi rispetto a quelli di tutti i 10 anni precedenti) che il digiuno pre-gara mi fa correre con maggiore efficacia. Ho appena finito di dare una vigorosa spazzata ai pavimenti di casa, cosa che serve a tenere attivo il fisico e sgombra la mente; ma prima di prendere le chiavi dell’auto e dirigermi verso sud, voglio dare un saluto alla perla della mia stagione orientistica 2015, a quella gara che ogni anno non finisce mai di stupirmi, di lasciarmi dentro ricordi e sensazioni talmente vive e palpabili che adesso potrei chiudere gli occhi e ritrovarmi di nuovi immerso nei colori, nei profumi, nelle sensazioni e nel tepore di Serrada di Folgaria. E’ il 9 agosto 2015: è il giorno della O-Marathon degli Altipiani.

Credo di averlo già scritto nel corso degli anni. Ma mi assolvo: sto diventando vecchio, ripetitivo. La O-Marathon Elite dell’Altopiano di Lavarone rimane il mio sogno irraggiungibile; incredibile a dirsi: è un sogno che ho si è già avverato tante volte! Tutte le volte che sono riuscito ad arrivare al traguardo in preda alle allucinazioni, ai crampi, alla rabbia, alla determinazione, alla sofferenza. Un sogno reso possibile da una idea di Luigi Girardi, dalla forza di volontà di Roberto Sartori, dalla voglia di essere protagonisti di Carlo Cristellon, di Matteo Sandri, di Samuele Tait, di Rosella e Pamela e Caterina e tutti i ragazzi del Gronlait che una volta all’anno si sparpagliano per l’Altopiano a distribuire lanterne, punti di ristoro, partenze e arrivi. E che si preparano mentalmente ad aspettare fino ad orari assurdi gli ultimi naufraghi… più spesso l’ultimo naufrago: io.

La colpa per queste attese va equamente distribuita: il 99% a me, che in fondo dovrei accorgermi dell’età che passa e che ci sono altre categorie, e percorsi più brevi, per godere allo stesso modo dell’Altopiano. L’1% a Luigi Girardi, che tanti anni fa ha coniato quella frase a cui mi aggrappo (proprio come un naufrago alla scialuppa di salvataggio) quando è il momento di chiedermi su quale categoria far cadere il click del mouse per l’iscrizione, ed invariabilmente ogni anno scelgo Elite: “L’O-marathon non è una gara più lunga delle altre, ma una avventura lunga un giorno”. E’ proprio quel senso di avventura che rende questa gara così diversa, per me, da tutte le altre. Non è solo più lunga, più faticosa, più estenuante (per me… quelli bravi la prendono come una corsetta appena più impegnativa): è un modo per rimanere da soli per qualche ora con una mappa, raccontandosi qualche storia o andando a scartabella nell’album dei ricordi durante i momenti più lunghi e noiosi, e intanto cercare lanterne, trovando la forza fisica e poi solo mentale per andare avanti, nell’unico sport al mondo nel quale “non è detto che un passo fatto in avanti sia un passo che ti avvicina al traguardo”. 

Scusatemi se Shakespeare e Tennyson mi fanno una pippa, ma quest’ultima frase è mia.

Nel 2015 il mio percorso di avvicinamento alla O-Marathon è stato un tantinello tortuoso. Infatti alla O-Marathon io non avrei nemmeno dovuto andarci! Due anni prima, nel 2013, avevo vissuto la mia dose di incubi durante l’edizione di Passo Coe, quella TUTTA a Passo Coe: l’unica O-Marathon, a mia memoria, disputata in ottobre (al freddo, tanto freddo) con modalità one-man-relay che ne snatura l’essenza di “lungo trasferimento da un posto all’altro". Correre una maratona in pista o su un anello non è la stessa cosa che correrla spostandosi fisicamente da un paese all’altro, da una valle all’altra, da un panorama all’altro. In fondo, se di avventura si tratta, i veri avventurieri di una volta sono stati quelli che sono andati (e tornati da) in un certo posto, non quelli che ci hanno girato in tondo più a lungo. Nell’edizione 2013 ho toccato il fondo della mia delusione con un ritiro a tre quarti di gara per freddo, per fatica fisica, per assenza di voglia di andare avanti! Il freddo che era penetrato nelle ossa perché non avevo voluto cambiarmi a metà gara indossando qualcosa di asciutto, la fatica che non avevo saputo gestire ai ristori (quasi trascurati dal sottoscritto) e durante la gara quando avevo cercato di rimanere agganciato a qualche trenino più veloce di me fino a ritrovarmi comunque solo e senza più forze; infine senza voglia di ritornare, per il quarto giro, nelle stesse zone che avevo affrontato nei tre giri precedenti. Il traguardo, nel mio caso il benvenuto ritiro, nella one-man-relay  è sempre lì troppo a portata di mano, invitante come i vestiti caldi ed il ristoro ed il riposo. Il fatto è che nessuno mi aveva detto che oltre ai vestiti caldi, al cibo ed al ristoro ci sarebbero stati la delusione, le lacrime, la rabbia… (Troisi avrebbe aggiunto “la subornazione”).

Stavo ancora covando dentro di me tutte quelle sensazioni negative in occasione della O-Marathon 2014 che non mi ha visto al via, ed era la prima volta; troppo cocente la delusione, troppo vivo il dolore per una esperienza che volevo fosse tutta mia e vincente (pur in fondo alla classifica) e che era stata perdente sotto tutti i punti di vista. Con l’assenza alla edizione 2014, ho perso anche il diritto al mio titolo di “senatore” della O-Marathon Elite, cosa che credo ormai sia appannaggio dei soli Roberto Dallavalle e Michele Franco (e forse Claudio Zanon?). Quindi perché preoccuparsi della edizione 2015?

Solo che poi arriva Skatos.

Flashback. 1° agosto 2015. Otto giorni prima. Il giorno del mio compleanno ed è un giorno che finisce in un modo molto triste, orientisticamente parlando (perché questo è il blog di uno che fa orienteering… o meglio uno che vaga per i boschi mentre gli altri fanno orienteering… ma occorre sempre mettere le cose nella giusta ottica). Comunque è un giorno triste. Skatos mi ha respinto! La gara conclusiva della 10 giorni O-Ringen+WMOC mi ha schiantato. Dopo 11 giorni di gare, 11 mesi di aspettative ed 11 anni di attesa da quella prima volta a Skatos, mi sono ritrovato senza forze, senza energie, senza più una goccia di forza di volontà in una delle carte più esaltanti sulle quali ho mai posato il piede. Respinto senza appello. Forse avrei potuto finire il mio percorso… in tre ore forse… Attilio mi ha detto, perchè lui la gara l’aveva finita, che il punto nel quale mi sono ritirato era l’ultima asperità del percorso, che da lì in poi sarebbe stato tutto più facile. Ma io non avevo più volontà per andare avanti. Tre ore mi sarebbero servite tutte, ma non avevo nemmeno più le energie per respirare e far battere il cuore. E poi tre ore sarebbero state almeno una più de tempo limite che mi ero dato in una giornata che sarebbe stata tanto impegnativa di suo: chiudere casa, restituire auto, correre in aeroporto appena in tempo per l’aereo che ci riportava a casa. Il rischio di far preoccupare i miei amici del GOK per semplice orgoglio non valeva la candela.

Tanto vale spiegare che senza il GOK non ci sarei io. Perché il GOK sono gli amici che mi portano alle gare fino in “altrovelandia” perché c’è una promozionale su una carta bella, o che si svegliano ad un orario assurdo all’alba per portarmi dall’altra parte della pianura padana quando il sottoscritto fa lo speaker e quindi vuole avere il tempo di fare il suo percorso prima degli altri. Senza di loro, che sono quanto ho appena descritto e molto molto altro ancora, probabilmente parteciperei ad un quarto delle gare che faccio. E se partecipassi ad un quarto delle gare che faccio, probabilmente non sarei mai diventato uno speaker, e infine la mia vita sarebbe molto vuota. Sento già la voce di Attilio, se mai leggerà fin qui (perché… ecco… il GOK non legge il mio blog… dicono che non hanno abbastanza giorni di ferie!), che dice che sono un testone e che a Skatos avrei potuto farcela e che ce l’avremmo fatta anche a chiudere casa e prendere l’aereo. La risposta è: ce l’avremmo fatta ma a prezzo di infinite preoccupazioni. Meglio essere respinto senza appello da Skatos che respinti senza appello al gate di Goteborg Landvetter! Anche se il GOK si è dovuto sorbire per tutta l’attesa del volo, il check-in, il volo e le ore successive il brontolio del sottoscritto che si doleva e pativa per il fallimento di Skatos.

Poi, ad un certo momento, forse mentre ancora eravamo al trasbordo ad Amsterdam, una domanda dal nulla si è fatta largo tra i miei funesti pensieri: quand’è la O-Marathon? Da quel momento, nella mia testa due voci contrapposte hanno combattuto una battaglia feroce per il possesso delle mie decisioni. La prima voce era quella dello Stegal pessimista e negativo (quello solito, diciamo): dove pensavo di andare con le mie poche forze? Alla O-Marathon? A prendere un’altra legnata nei denti dopo l’edizione 2013 e con le ferite di Skatos ancora aperte e sanguinanti nella pelle e nel cuore? “Non hai più l’età per la O-Marathon! Lascia perdere! Non fa per te!!! Hai cercato di trovare le soddisfazioni all’O-Ringen ed ai WMOC e guarda qui come ti ritrovi… cercale altrove quelle soddisfazioni! Il cucito e la meditazione, ad esempio!”.

Questa era la prima voce.

La seconda appartiene allo Stegal positivo ed ottimista, quello che non si vede mai in giro, ma c’è anche lui: in fondo… 12 giorni di gare erano l’ideale per preparare la O-Marathon. Qualche giorno di riposo sarebbe stato il toccasana per presentarsi al via con, nei muscoli, la memoria delle gare in Svezia, con una preparazione tecnica accettabile, con una missione da compiere per allontanare il fresco ricordo del ritiro nella finale del Mondiale Long. Quando mai si potrebbe ripresentare una occasione del genere?

Le due voci hanno brandito la clava chiodata (l’una) e lo spadone a due mani (l’altra) e hanno cominciato a darsele di santa ragione. Mentre nella mia testa era in corso quella orrida zuffa, una terza voce è passata di lì per caso, e non era quella dell’altoparlante che invitava uno di noi a presentarsi all’immigrazione o dei paramedici che accorrevano a soccorrere un tale che per girarsi a vedere il passaggio di Conchita Wurst era caduto a terra di faccia e aveva sparpagliato per tutto il gate di Schiphol i denti davanti. La voce sembrava molto calma, quasi come quella di Obi Uan Kenobi alle prese con Luke Skywalker nella SOLA E UNICA SAGA DI GUERRE STELLARI che sia mai stata girata (la prima trilogia!): “Stegal… lascia perdere le altre due voci e ragiona. Che tu sia stanco o no, cosa hai sbagliato nel 2013? Non ti sei rifocillato durante la gara? Puoi rimediare. Hai cercato di alimentare il tuo inutile orgoglio rimanendo nei trenini fino allo sfinimento? Puoi evitarlo, se solo accenderai il cervello. La edizione 2015 sarà come quella che più ti piace: un lungo incessante trasferimento da Folgaria a Serrada attraverso i boschi, le valli, ci saranno salite e lanterne da trovare. E soprattutto sarai solo, dovrai pensare fin dall’inizio di dover contare solo ed esclusivamente sulle tue forze, il che è la cosa che hai sempre fatto… ti è andata male nell’unica occasione nella quale hai cercato di fare l’atleta serio, e non lo sei. Dovrai essere lì con la tua testa per 5 ore. Sarà difficile, ma non impossibile."

Ecco perché mi sono presentato al via della O-Marathon Elite 2015. Ed ecco perché l’ho finita: perché ho ascoltato quella voce, e ho lasciato che le altre due si prendessero a mazzate fino a giacere entrambe a terra silenziose. Il mio corpo ha presentato il conto sabato mattina, prima della O-Marathon, quando un improvviso e sensibile calo di pressione (dovuto a qualche tensione lavorativa già accumulata in settimana) mi ha lasciato steso sul sedile posteriore della GOK-car durante tutto il viaggio allucinante da esodo estivo da Milano fino a Fondo Grande, ma Attilio e Roberta sono stati grandi a portarmi a destinazione (solo una volta arrivato a Fondo Grande, nell’enorme piazzale che ospita i camper, il mio stomaco si è lasciato andare di brutto). Tre ore di autentica catalessi nel pomeriggio ed un piatto di pasta all’Osteria delle Coe la sera mi hanno stagnato e foderato lo stomaco quanto è bastato per passare una notte di sonno meno agitata del solito. Al mattino, la solita colazione “come se non ci fosse un domani”, ed è stato il momento di raggiungere il ritrovo a Serrada.

Eccoli. Gli O-Maratoneti. Guardateli. Ci sono i campioni che fanno riscaldamento, ci sono i favoriti delle categorie master che si aggiustano le borracce e infilano nelle tasche bustine di gel. Ci sono quelli meno campioni e meno favoriti che si guardano attorno un po’ più smarriti, ma comunque fiduciosi del fatto loro: si sono tutti iscritti ad una categoria “abbordabile”, o comunque quella più congeniale e consueta. Poi ci sono io. Io cerco di salutare tutti, per quanto mi sia possibile, e lo faccio per un unico scopo: non rivedrò tutti quanti al traguardo. Intendiamoci! Nulla di tragico o di ferale!!! No… molti degli O-maratoneti che prenderanno il via, saranno al traguardo due o tre ore prima di me; andranno al ristoro, si cambieranno, scambieranno qualche parere sulla gara, e poi prenderanno la strada di casa. In quel momento io sarò ancora in mezzo al bosco a cercare di spegnere l’incendio nei muscoli, di trovare la concentrazione per scovare le lanterne più infrattate e di trivellare il cuore per convincermi che non sono matto, folle, pazzo… ma che ce la posso fare. Andrà così anche questa volta.

Partenza da Folgaria davanti ai turisti frequentatori dell’isola pedonale, scesi di buon mattino alla “vasca” per comperare il giornale o per un cappuccino al bar. Si parte. Io cerco di stare nella coda del gruppo, di controllare il percorso. Non voglio, non devo!, seguire il ritmo di nessuno, nemmeno quello di Attilio e Roberta che partono sul percorso Master maschile. Il mio percorso è molto chiaro: si sale sopra Folgaria per attraversare i boschetti che conosco bene per averli affrontati in gare sprint o alla prima sprint-relay 2013. Poi lungo trasferimento verso Costa, a risalire i campi da golf fino alla nuvola di punti che stanno sopra alla zona del biotopo di Colpi. Un altro grande trasferimento verso Fondo Grande ed a quel punto siamo nel bosco tra Folgaria e Serrada, ad affrontare dislivelli, discese e tratte in costa. In fondo a questa parte di percorso… l’ignoto: il cambio carta è all’ultimo ristoro a due terzi di gara, dove papà Pezzé ci ha chiesto di arrivare “non più tardi di mezzogiorno”. A prima vista, l’impresa mi sembra impossibile. Con il senno di poi, l’impresa sarà impossibile. Ma ci sarà un ma…


(l'unione delle carte di gara, dal sito www.alessiotenani.it)

Salendo per la linea di massima pendenza sopra Folgaria, vedo la coda del gruppetto di Elite avanti a me. Calcolo in 20 secondi il mio ritardo, accelerando potrei raggiungerli e giovarmi del loro ritmo e trovare le lanterne più facilmente. Ma quella non sarà la mia gara. Li lascio andare. Un angolo acuto nel percorso me li fa incrociare poco dopo: il mio ritardo è salito a 40 secondi circa; Marco Bezzi mi incita ad accelerare ed unirmi a loro, ma non posso farlo. Cerco da solo le mie lanterne, faccio da solo la mia strada, e quando lascio Folgaria per scendere verso Costa vedo davanti a me un gruppetto di Master, tra i quali Attilio e Roberta. Non devo essere andato così piano, se sto raggiungendo qualche master che aveva una prima parte del percorso più corta. Risaliamo i campi da golf e ci portiamo in una zona di bosco molto “sporca”: i rami a terra e la vegetazione scivolosa si fanno sentire nei muscoli più delle salite. Per fortuna che qualche master attardato è ancora in zona… non sarebbe stato facile trovare i punti tutto da solo nelle zone di bosco più fitto.

Poi il lungo trasferimento verso Fondo Grande, e finalmente si arriva al primo ristoro. Qui il dialogo con la figlia di Roberto Sartori è emblematico…
Io: “Scusami per il ritardo… immagino che tu non stia aspettando altro che il mio passaggio per chiudere il ristoro e andare a casa”
Lei: “A dire il vero ci penserà qualcuno a dirmi quando andare via. E comunque non sei tanto indietro: sei il tredicesimo che passa e mi hanno detto che alla partenza eravate un centinaio
Io: “Grazie. Ma guarda che qui passano solo gli Elite. E gli Elite in tutto sono tredici… Ti conviene chiamare al traguardo e chiedere...”.

Secondo trasferimento lungo la deliziosa stradina forestale che collega fondo Grande a Serrada. Cominciano i punti più difficili nel bosco, che continua ad essere parecchio sporco e pieno di ramaglie e felci: i disboschi che devo attraversare lasciano nei miei muscoli più ferite di quanto io non potessi immaginare, e comincio a pensare che forse anche questa volta non ce la farò. Un richiamo dal basso, un’altra atleta master che mi chiede se ho già trovato un certo punto. Poi il nulla, solo il ritmo del mio battito cardiaco, le mie tensioni, la mia concentrazione e la fatica che gestire. 

Ogni tanto, il gesto di strizzare la fascia che protegge i miei occhi dal sudore. Un errore di parallelo terribile mi porta nell’avvallamento sbagliato, in risalita verso la strada asfaltata. Perdo i riferimenti e decido di affrontare una ventine di curve di livello in salita per riportarmi alla forestale e scendere nell’avvallamento giusto piuttosto che vagare a caso auto-convincendomi che so dove mi trovo e che magari è la carta ad essere (come sempre) sbagliata!

Orientisticamente, è una scelta assurda: finisco per impiegare 20 minuti di strazianti fatiche a trovare un punto da 3\4 minuti anche per me e anche in queste condizioni. Mentalmente, è la scelta più saggia, è la prova che so cosa sto affrontando e che non saranno i 15 minuti persi qui ad influire sul risultato finale che mi vedrà comunque al traguardo, se così sarà, attorno alle 5 ore. Dalla forestale, prendere l’avvallamento giusto e trovare la lanterna è un gioco da ragazzi. E’ il momento di affrontare l’ultima parte della seconda tranche del percorso e di raggiungere, se ancora ci sarà qualcuno, il secondo ristoro a due terzi di gara.

Lo vedo dal fondo del sentiero. Papà Pezzé. Mezzogiorno è già passato da un bel po’… probabilmente starà maledicendo chi lo ha messo in quel ruolo, ed ovviamente anche il sottoscritto che si fa attendere oltre ogni possibile ritardo. Lo chiamo da lontano per farmi vedere, sta arrotolando gli striscioni degli sponsor, e poi arrivo finalmente al suo cospetto.

Io: “Ciao, scusami per il ritardo… immagino che sarai qui da un bel po’ ad aspettarmi”
Lui: “scusa di che? Sono qui che mi sto godendo la giornata. Guarda che posticino tranquillo, c’è il sole e fa fresco, non avevo mica voglia di andare via finché non siete passati tutti
Io: “Cosa posso prendere dal ristoro?”
Lui: “Guarda… qui c’è un po’ di tutto. ‘Sto gel qui l’è ‘na roba del Sartori che per me l’è ‘na bomba. Poi gh’è anca ‘na roba lassata qui dal Truffa, e quest’altra la è del Cipriani… la te vòl ti?
Mi: “Mah… se la va ben per el Cipriani, la servirà anca a mi che son ‘no sparzo! Podi ciapar su anca due o tre robe del Sartori?” (scusa Cip se non ti hanno riportato la tua bomba! L’ho presa io!)
Lu: “Ciapa pur su tutt quel che te vòl ti, che mi se no devo riportar su tutt a Serrada

Papà Pezzé. Una sicurezza. Una roccia. Il quel momento ho avuto la conferma che avrei finito la O-Marathon, anche per rispetto verso di lui.

Lu: “Ah! Vara che adess te l’hai quasi finida. Te manca solo ‘na gara middle per finire. Gh’è massa punti da far, ma sta sicuro che se i te trovi, te ‘rivi a Serrada che mi non son manco demò là”.

Incomincia l’ultimo terzo di gara: la middle nel bosco sopra Serrada. Primi punti nel fazzoletto di bosco tra le rocce. Tutto ok. Poi un rumore ed un salto di due metri da fermo. C’è ancora qualcuno nel bosco oltre a me: una tuta del Varese Orienteering che non si capacita di non essere rimasta solissima lungo il percorso! Allora c’è qualcun altro ancora in giro! Punti tranquilli, in sicurezza. Sentieri e bivi quando serve, forme grossolane del terreno per attaccare i punti. Qualche piccola incertezza qua e là, e quando questo accade ogni passo in più comincia a diventare pura sofferenza, ma il traguardo è sempre più vicino e non ho voglia di mollare adesso che sono arrivato sull’ultima carta di gara del percorso. Un lungo trasferimento verso Serrada in una zona nella quale la vegetazione e le ortiche dovevano essere molto più rigogliose prima del passaggio degli altri O-maratoneti (sia benedetto il primo che è passato!). Ecco Serrada, qualche punto nella zona residenziale, più facile di altri ma ormai le energie sono al lumicino.

Al lumicino, ma qualcosa deve sempre rimanere in vena perché il penultimo punto del percorso, quando ormai comincio a sentire in lontananza i rumori del campo sportivo dove è posto l’arrivo, è infognato in un avvallamento introvabile al primo passaggio ed al secondo passaggio. Ma dico io, penso tra me… ma proprio un punto così impestato nel fitto del bosco dovevano andare a mettere come penultimo punto prima della volata? Al terzo passaggio la lanterna compare davanti a me come per magia: ogni volta mi chiedo come ho fatto a non vederla prima, come se un folletto l’avesse fatta sparire e poi me l’avesse fatta ricomparire davanti all'improvviso solo per bearsi della mia desolazione e del mio stupore. Da lì in poi, occorre solo lasciare andare le gambe (senza sbagliare sui bivi dei sentieri) fino al traguardo… in salita!

Lo scarico della sicard stavolta è una formalità. La mia strisciata dei tempi farebbe rabbrividire un campione, farebbe ritornare dall’aldilà Vladimir Pacl ad impedire la diffusione dell’orienteering in Italia onde evitare che uno come me potesse anche solo pensare di provarci, dovrebbe spingere il Gronlait Orienteering Team ad introdurre una postilla nel regolamento che dice che l’Elite è riservata ad un certo tipo di soggetti, e che mica tutti possono pensare di farla. Ma è il MIO scarico della sicard. Ce l’ho fatta. Ce l’ho fatta anche questa volta! Attorno alle 5 ore, un tempo da vergognarsi… ma non me ne vergogno affatto. E’ la prova della MIA O-Marathon, della MIA avventura lunga un giorno.

Una avventura che dura da 7 anni, e che continuo a portare con me ogni volta che vado in un bosco a cercare una lanterna.

Addio 2015. Sei stato faticoso, mi hai fatto dannare e maledire certi momenti nei quali in gara non sono riuscito a raccapezzarmi. Ma mi hai regalato questa perla.

Addio 2015.

Benvenuto 2016.

Saturday, January 02, 2016

Il mio Tuscania Five Days - seconda e ultima parte

(… riprende …)

Superata quindi con agilità la prima tappa ed il successivo impatto con l’esercito di norvegesi calati dai fiordi, il giorno successivo è già ora di calarsi nel primo dei due “back-to-back” previsti dal Tuscania Five Days: al mattino tappa a Lucca, centro storico, ed al pomeriggio rientro a Cecina per un’altra full immersion nelle pinete a bordo Tirreno.

Non conosco bene Lucca. Quel poco che ricordavo, da una fugace visita nel sabato pomeriggio che precedeva una Coppa Italia disputata sotto il diluvio torrenziale all’Altopiano delle Pizzorne, erano la Piazza ovale (che una breve ricerca su Google mi consente ora di identificare come “Piazza dell’Anfiteatro”) e le mura perimetrali, concetto che mi riporta subito alla mente la gara di Palmanova disputata agli European Master Games. Ahimé! Né la piazza né le mura vengono visitate dai percorsi…


… se nel primo caso posso pensare ad una scelta legata alla difficoltà di far transitare i concorrenti dal salotto più frequentato della città (seppure in un martedì mattina di fine settembre), nel secondo caso propendo per il fatto che le mura vengono “sacrificate” sull’altare di una partenza ed arrivo dislocate in un luogo coperto e suggestivo ma un po’ periferico rispetto al centro. Prime (ed ultime) tratte di gara, quindi, abbastanza lunghe e adatte alle gambe fotoniche di un Nick Barrable, ed una lanterna 7 veramente bastarda alla quale mi avvicino in debito di ossigeno (io… ma anche parecchi altri) e cerco di raggiungerla da nord senza accorgermi che c’è un bel muro spesso che fa capolino dal cerchietto color magenta, e che il giro del fullo è l’unica opzione possibile per arrivare alla lanterna. La gara è sufficientemente breve per consentire a tutti di cambiarsi e fare un secondo giro turistico, che ci porta alla Piazza ovale e sulle mura, prima di riprendere la strada costiera e dirigerci verso la terza tappa.

La terza tappa si svolge alla Pineta di Cecina, in un caldo pomeriggio di fine settembre che fa venire voglia di fare un bagno in mare. Tra le due tappe “boschive”, si rivelerà quella più divertente: il percorso è molto più articolato, le parti di pineta con visibilità ampia sono molto mosse con tanti dettagli nei quali è facile perdere manciate di secondi, e la rete di piccoli sentieri (che bisogna sfruttare onde evitare di massacrarsi le gambe tra i rovi) è davvero fitta e quindi bisogna fare molta attenzione a leggere tutti i bivi di sentiero come se ci si trovasse tra le calli di Venezia.


Proprio su questa carta si era disputata una delle tappe del Mediterranean Open Championship 2014, quella che avevo commentato per la RAI dopo la tappa di Clusone, ed il ricordo di Daniel Hubmann che spinge come un forsennato lungo il bagnasciuga per raggiungere il traguardo (messo strategicamente nella stessa posizione) mi farà optare per una scelta di percorso quasi acquatica dall’ultimo punto all’arrivo, per sfruttare al massimo la parte di spiaggia più compatta (visti alcuni concorrenti affondare miseramente in una spanna di sabbia…). Molto belli anche i due loop 2-6 e 9-12-16 nei quali ci si continua ad incrociare con gli altri concorrenti della M21 ed M40; io commetto un unico errore andando dalla 24 alla 21, incurante del sentiero che attraverso e della casetta che trovo davanti a me, e forse più attento a controllare la coda di capelli di Sarah Jane Gaffney…


Dopo il giorno di riposo, giovedì è il momento del secondo back-to-back che ci porta dritti dritti (?) verso le centomila curve dell’entroterra toscano. Siamo nel cuore della Maremma livornese, in un centro storico che è veramente tale, con il castello, le piazzette di forma irregolare, le mura a strapiombo sulla pianura sottostante e la rocca. Siamo inoltre (ma non potevamo aspettarcelo), in una sorta di prodromo dell’inverno: la temperatura rispetto al giorno prima è calata di 12-15 gradi e fa un freddo assurdo con folate di vento artico, per la felicità dei norvegesi che si mettono in canottiera e calzoncini corti e sembra loro di essere a casa! Per quanto mi riguarda, preferirei davvero il caldo del giorno prima, ma non posso imputare al freddo che mi penetra nelle ossa la serie di notevoli “sfondoni” che commetto durante il percorso…


… comincio già andando alla 1. Per raggiungere la lanterna sembrano esserci due strade che corrono parallele da ovest a est. Sembrano, perché quella più a nord, oltre ad avere una chicane in più, è chiusa a metà da quella che sembra una autentica trappola per orientisti. Io fin qui me la cavo, prendendo la strada più a sud, ma poco prima di svoltare a sinistra incrocio un pertugio nel quale mi infilo a testa bassa! Sono finito (e non sarà né la prima né l’ultima volta nel 2015…) in un portone privato, peraltro in ottima compagnia di altri orientisti.

Risolto l’arcano e raggiunta la 1, compio una seconda prodezza per andare alla 2: a secco e dal divano di casa, nonostante l’attitudine all’essere impiegato panzottello e scarsamente a mio agio con i labirinti, le due alternative sono quelle di scendere lungo la strada e girofullare in senso orario (cosa che mi avrebbe giovato per i motivi che scriverò sotto) o ritornare verso il centro storico, magari passando davanti alla 17. Opto per la seconda ipotesi, che il realtà è l’unica strada che vedo, ma per qualche motivo anziché girare a destra dopo essermi incuneato tra i due recinti privati, vedo un cancelletto aperto e mi ci butto a capofitto, preceduto da un master norvegese e seguito da una junior parimenti nordica. Nei 30 secondi successivi, prima che mi accorga di essermi infilato in una area privata, è un susseguirsi di orticelli 3 metri x 3 metri, piccole recinzioni, una cantina con gli attrezzi, un bagno ricavato in un seminterrato, due persone che mi guardano passare all’interno di casa loro! Riesco in qualche modo a sbucare sulla strada, in corrispondenza della scritta “14”!!!

Dopo aver raggiunto la 2, mentre Brian Porteous straccia piangendo tutti i regolamenti e Vladimir Pacl torna da San Pietro a chiedere se può ritornare “di qua”, per andare alla 3 riesco… a infilarmi nuovamente in un’altra area privata! (quella a nord della 2) Sicuramente, dopo l’esperienza in una casa privata di Castagneto Carducci, la mia testa non è proprio al suo posto: dopo essermi infilato di nuovo e senza accorgermene in una zona inaccessibile e non aver capito come raccapezzarmi, decido che la scelta più sicura per andare alla 3 è quella di ripercorrere tutto il centro storico fin quasi alla partenza ed arrivare al punto da sud-est!

Dopo queste prodezze nelle prime 3-lanterne-3 del percorso, prodezze che bastano per un anno intero di un “Bozzola”, un lustro intero di un “Pedrotti” ed una intera carriera di un “Tenani” (tre ori-blogger a caso), riesco ad uscire di cartina tra la 7 e la 8 sotto lo sguardo perplesso e preoccupato di Checo Guglielmetti che mi vede infilare la strada sbagliata che porta verso la sottostante pianura. Da lì in poi corro (… corro…) più di rabbia che di fisico, controllando tutte le svolte e maledicendomi anche ad alta voce per la dabbenaggine e per aver ancora una volta dimostrato la mia inconsistenza tecnica quando il gioco diventa davvero divertente.

Il morale di conseguenza è abbastanza basso quando, a un triliardo di curve di distanza, è il momento di affrontare la gara di Volterra. Tre concetti rapidi ed essenziali: 1. Volterra è bellissima: collocare partenza ed arrivo nella Piazza dei Priori (che finora avevo ammirato visto solo sui libri del Touring Club Italiano) e premiazioni nella Sala del Consiglio del Palazzo dei Priori è un colpo di classe mica da ridere! 2. Fa un freddo assurdo, amplificato nel suo “effetto blizzard” quando si entra nei porticati o ci si passa davanti. 3. Il percorso è disegnato da un tracciatore sadico ma in gambissima…


3 chilometri in linea d’aria: ecco, diciamo che basterebbero le tratte partenza-1, la 2-3 e la 5-6 per capire che quei tre chilometri ho dovuto (io come tutti) sudarmeli proprio tanto. Se poi qualcuno mi dice che alla Suunto Cup di Schio ha fatto la scelta da un milione di gradini anziché quella larga in curva di livello… ecco: io il milione di gradini me lo ero sciroppato già a Volterra tra la 5 e la 6, tratta nella quale mi supera il solito Kjetil Bjorlo che i gradini li fa a 3 alla volta, ed io non posso che sputare un altro pezzo di polmone per mandarlo affanc… a fronte di tale protervia atletica. La lezione di Castagneto Carducci mi è bastata, ed il freddo che aumenta contribuisce a tenere ben desta la mente per evitare ulteriori sfondoni orientistici (devo aver esaurito in mattinata la razione settimanale) fino all’arrivo sotto una pioggerella gelata in Piazza dei Priori.

A questo punto il programma del Tuscania Five Days sarebbe anche finito. Chi doveva vincere, ha vinto anche questa volta… chi doveva arrivare ben adéso a fondo classifica lo ha fatto anche questa volta. Il venerdì il tempo si rimette a posto quel tanto che basta per consentire un altro giro turistico della zona e… e invece succede che il programma non è finito per niente! C’è il colpo di coda, quello che lascia in bocca il sapore del buon ricordo. Del fatto che Jorgen Martensson se ne stesse andando in giro per il complesso dove alloggiamo con l’aria troppo furtiva e troppe lanterne sotto il braccio, ce ne eravamo già accorti tutti; quello che non pensavamo è che gli organizzatori avessero pensato di organizzare un’ultima gara proprio all’interno del complesso della Buca del Gatto, scala 1:1.000 ed un numero di recinti, siepi non attraversabili, vialetti con angoli irregolari e un numero di trappole orientistiche che, se il tracciatore è bravo, diventa una sfida decisamente impronosticabile.

E il tracciatore è DAVVERO bravo…


Come sanno gli affezionati lettori, il GOK per anni ha approfittato di queste trovate per rendere ancora più memorabili le trasferte nella non vicinissima Ungheria: il Mobile-O e le Mikrosprint sono due format che ho cercato anche personalmente di esportare alle nostre latitudini, proponendo addirittura un “Campionato Regionale di Mobile-O” sulla carta del Monte Stella (proposta che venne bocciata tra frizzi e lazzi in sede istituzionale… eppure con tutte le opzioni flat e you-and-me che ci sono oggi…). Una garetta su una carta 1:1.000, tutta nel complesso dove alloggiamo, con Jorgen Martensson come giudice di partenza, fa proprio al caso nostro! Tanto… quanti norvegesi si presenteranno al via di una ori-minkiata del genere? Ecco… TUTTI!!! Venerdì pomeriggio, dato che non c’è la griglia di partenza predefinita, l’atmosfera al ritrovo (la piscina) racconta di una tensione agonistica come nemmeno alla partenza del Mondiale Sprint Relay di Trento; si lanciano sfide incrociate ed infuocate a colpi di “chi vince questa vince tutto!”, di “ti faccio vedere io le medaglie mondiali!” ed altre amenità del genere.

Nel frattempo, la mano che ha raccolto 9 medaglie mondiali in 17 anni di campionati del mondo appoggia lì, con fare casuale, due lanterne a bordo piscina… Ovviamente è un divertissement per tutti, dal più forte al più baléngo, e alcune tratte del percorso (provare la tratta 3-4) vanno studiate con discreto anticipo al fine di evitare di perdersi sotto il balcone della propria stanza da letto! Con il terreno bagnato dal meteo del giorno precedente, è una buona cosa che non si assista ad incidenti lungo il percorso, ma quello che succede a me e ad un ragazzotto norvegese ha quasi del miracoloso: io (pallino rosso) sto andando dalla 8 alla 9 in un percorso tortuoso, lui (linea blu) sta venendo giù “a bomba” lungo il sentiero verso la 10. La siepe ed il recinto ci rendono invisibili l’uno con l’altro fino all’intersezione delle due tracce…

(BUUUUUMMMM!)


L’impatto andrebbe bene per una dimostrazione in stile “Stupidi al quadrato – la conservazione della quantità di moto”: io, dotato di massa più grande, vedo diminuire la mia velocità da X già bassa a zero e mi fermo sul posto; lui, dotato di massa molto più piccola, DECOLLA sopra la siepe con uno stile che sarebbe invidiato da Dick Fosbury! In un decimo di secondo mi passa per la testa la notizia sul Dagbladet “Impiegato panzottello uccide promessa dell’orienteering norvegese”… quando dall’altra parte della siepe si sente partire una risata grassa ed il ragazzotto ricompare in piedi, integro, più scattante di prima e mi batte un “cinque” prima ancora che io faccia in tempo a chiedere quante ossa si è rotto! Lo ritroverò al traguardo che sta ridendo ancora e mi dice che il volo sopra la siepe è stato la parte più bella del percorso.

Ah si. Il traguardo. Ecco le due lanterne appoggiate lì come per caso:




Gabriele Viale ne ha fatto un reportage con sequenza completa dell’attraversamento in uno stile che non ricorda per nulla quello dell’Elite nato a Betlemme un paio di millenni or sono, ed ora i norvegesi che leggono il periodico pubblicato dalla PWT non possono fare a meno di chiedersi se quel panzone che sta attraversando la piscina sia lo stesso che aveva portato le cartine del Campionato Italiano Elite a cena il primo giorno! (anche Wolfgang Poetsch mi ha detto che la mia scelta di percorso dalla 18 alla 19 è passibile di squalifica, per via della cartografia ISSOM…).

Giusto per la cronaca, il successo è stato tale che la mattina successiva Martensson riproporrà lo stesso percorso “per i pochi che non l’avevano fatto il giorno prima”… 
si ripresenteranno in 100!!!