Stegal67 Blog

Thursday, March 24, 2016

On the rocks… again!



Tre giorni tra le rocce. Il primo giorno con il fisico, il secondo giorno con la testa, il terzo giorno con il cuore e l’anima. Ma c’è per caso un modo migliore per cominciare la stagione nazionale 2016? Forse no. Abbiamo trovato pure il sole, primaverile, quello si… un primaverile decisamente tendente all’estate, un sole che fa correre senza termica anche se è il 18 marzo; un sole che rende ancora più attraente una notevole arena di gara che di suo offre già il prato tagliato a raso ed il lungo schuss finale tra i pini fino al traguardo (ok: non oso pensare a cosa sarebbe successo in caso di maltempo!).

Poiché sono notoriamente prolisso, chi ha avuto la ventura di ascoltarmi sabato e domenica non aveva bisogno della precisazione, potrei riempire pagine e pagine di blog con la descrizione di questa personale “3 days on the rocks!” (in sottofondo la voce di Eddie Valiant che chiede “Ghiaccio! Non rocce!”).  E lo farò! Ma per favorire gli amici che “non posso mica prendere le ferie per leggere il tuo blog!”, adotterò dapprima una versione corta, prendendo a prestito l’ispirazione dal padre putativo (o figlio adottivo) di una generazione di poeti ermetici, l’orientista il cui volto ha sconfitto la Sfinge egiziana nella semifinale del Campionato del Mondo di “ci guardiamo dritto negli occhi e il primo che ride ha perso”: Alessio “ZZI” in Larrycette. Se toccasse a lui scrivere questo blog, ecco come verrebbe fuori la mia tre giorni:

Gare ottime. Corso alla grande. Birra buona

Credo sia tutto. Tutto l’essenziale intendo. Poi giù cartine di gara come se piovesse, ed i commenti li lasciamo ai lettori che vanno a vedere se poteva essere migliorabile o no la traccia GPS lasciata in mappa dal Master vinicolo furlan… NO! NO! Triestino! Sennò lui e Andrea Margiore poi vengono a picchiarmi a casa (Andrea mi stava già insultando e non aveva ancora tagliato il traguardo di Pieve di Soligo…). Ok, bene l’ermetismo, eh?, ma non benissimo per i miei standard un po’ più parolai.

Se fosse toccato a Larrycette in ZZI scrivere queste parole, il tutto sarebbe venuto fuori in un altro modo ancora…

Premesso che non sono più un orientista anzi non ho mai fatto orienteering in vita mia e no non ero io quello che girava con il radar tra le rocce di Barbisano era un sosia ed era un sosia anche quello che è passato a palla di cannone dal punto spettacolo di Pieve di Soligo appunto lo dicevo io se è passato a palla di cannone ed aveva il radar non potevo essere io…

Eccetera.

Solo che, una volta scritte queste cose, il mio blog passerebbe a parlare di Bruce Springsteen, di Vinicio Capossela e del fatto che, avendo a disposizione solo il Dolce Forno della pubblicità di Topolino, non potevo sfamare più della metà dei partecipanti alla Coppa Italia. E giunto a questo punto, onestamente mi perderei perché: in quanto a gusti musicali i miei sono pessimi (l’Ipod che vi trita le orecchie ad alcune gare  stato recentemente integrato con alcune new entries recentissime tipo “A whiter shade of pale” di Procul Harum e “Hurricane” di Bob Dylan… tutta roba che conoscono solo i superMaster over-età-del-TRex), e in quanto a capacità culinarie, la cosa che mi riesce meglio è l’uovo sodo-molto-sodo (che peraltro mi piace tanto). Scrivendo “peraltro”, ecco spontaneo il collegamento con il blog più letto del reame: Dario P. avrebbe iniziato il suo pezzo scrivendo:

Sono ancora capace! Questo è sicuro! Una gara così, con 30… diciamo 45 secondi di errore in tutto… non me la ricordavo dai tempi della OriCup di Madrano, o forse era la finale del Campionato Italiano Middle? Comunque, parlando di tempi, ecco che per andare alla 1 il mio tempo di gara è stato di 5’11” con oltre 5 minuti di vantaggio su Maurizio Mel...

Eccetera.

Ma diciamocelo pure. Delle MIE scelte (non di quelle di Dario) e dei MIEI parziali di gara non potrebbe importare di meno a chicchessia… forse solo a Marco Giovannini ma per dirmi subito che sono rimasto veramente scarso, sia tecnicamente che fisicamente, se dopo aver parlato a destra e sinistra dei miei allenamenti, e dopo 20 anni di orienteering, ci metto ancora poco meno del doppio del tempo del vincitore a finire la mia gara.

Ecco: questa faccenda del “doppio del tempo del vincitore” era uno degli obiettivi di inizio stagione, per raggiungere il quale mi sono sottoposto a parecchi allenamenti in più. Nel finale di stagione 2015, causa complicità di altri eventi esterni e anche poco piacevoli, non ero più riuscito a rimanere entro un distacco dal primo classificato almeno “decente”, almeno per evitare di sentirmi dire cose tipo “ok… abbiamo capito che questo non sarà mai il tuo sport… grazie per averci provato ma guarda che anche il calciobalilla è tanto divertente”.

Di conseguenza il primo giorno della mia personale Three days on the Rocks (peccato che la birra non me l’ha portata Jessica Rabbit, ma nemmeno il pinguino) è stato il giorno del FISICO. Metterci il fisico. Arrivare a Barbisano pompatissimo dopo un viaggio in treno fino a Padova passato a studiare la carta di gara, facendo tesoro degli insegnamenti di Elena Roos (una che ormai a stare sul podio con Simone Luder ci sta facendo l’abitudine) e provando ad inventare più di un percorso nel Rock Labyrinth per memorizzare la posizione delle poche tracce e dei roccioni più evidenti. Arrivo in partenza accompagnato da Elia Vettorel, mi libero del peso superfluo e poi parto ABBOMBAZZ…! … No. Abbombazza proprio no.
Sul primo punto me la sono presa proprio comoda, perché girando attorno al vigneto e poi salendo lungo l’avvallamento ed il sentiero ho studiato comodamente tutta quanta la zona del “warm up”, cioè tutto quanto il campo di gara che mi portava fino al punto spettacolo, all’ingresso di quella parte di campo di gara che costituiva il VERO MOTIVO per essere venuto a Barbisano a correre: il Rock Labyrinth, appunto. Carico emotivamente ma tranquillo, bombato di Nutella e di gel Enervit, con i muscoli delle gambe tesi e stirati e contratti e rilassati per due ore e mezza in treno (finché il tizio di fronte a me, che andava a Venezia a fare una presentazione per un congresso medico, ha pensato che io gli stessi facendo un approccio fisico). In quei primi minuti ho capito una sola cosa: vai con i sentieri e le tracce!, corri più che puoi che la gara si fa nel finale tra le rocce! Ho messo a tacere la vocina che mi ripeteva “gareggi per l’ultima posizione in classifica e vai a cercare i sentieri? Ma almeno sii uomo e vai dritto in bussola sotto la linea rossa!” (o era la voce di Marco Giovannini?). Diciamo che il già citato Maurizio e poi Loris D’Errico, sempre santi siano gli amici con i quali fare quattro risate dopo la gara, hanno dimostrato nei fatti di essere stati un po’ più arditi di me…


Sentieri quindi. Mi appoggio ai sentieri, sfrutto i sentieri, vado a cercare i sentieri. Le lanterne stavolta mi corrono veramente incontro facendo ciao con la manina! I vigneti sono un punto di appoggio formidabile. Quando piombo addosso alla 6 mi sento Batman (che sono capaci tutti di fare Batman con l’aiuto della BatMobile… ehmmm… di una traccia di sentiero proprio prima del punto!). Alla 7 mi fermo qualche secondo sulla piazzola appena ai piedi della roccia prima di buttare l’occhio di sotto e trovare il telo arancione… come sarebbe a dire IL TELO ARANCIONE? Si, o cari! L’Orienteering Miane, per farmi fare la gara nelle migliori condizioni, aveva finito di posare tutto nel primo pomeriggio di venerdì (grazie! Ancora grazie! Sentitamente grazie!). Giro antiorario e un po’ largo alla 8, ma si rivelerà una buona scelta (fatta anche da Marco Seppi) perché l’inghiottitoio sul fiume mi avrebbe fatto perdere tempo e morale. Per andare alla 9 scalo la parete di terra e, giunto a due metri dalla cima, mi accorgo che ho bisogno di entrambe le mani per aggrapparmi: prendo carta e bussola e le lancio di sopra, dove spiana, mi aggrappo a tutti i fili d’erba e mi isso in cima. I primi punti tra le rocce, quelle “non sull’ingrandimento 1:3500”, li faccio con calma… perché adesso è ora di preparare il Rock Labyrinth, ma come faccio a rallentare quando il bosco mi scaraventa verso il laghetto e da lontano ho già la visione del punto spettacolo che mi aspetta?
Passo al punto spettacolo in 53 minuti netti, e adesso so che la cosa si fa spessa. Faccio la mia scelta fino al primo punto: traccia, traccia, traccia, curva della traccia, dentro nel bosco-avvallamento-roccia e lì dietro ci dovrebbe essere il mio punto E C’E’! Fuori di nuovo… traccia traccia traccia… vado appena lungo ma raggiungo un sentiero più grande che mi ributta dentro, e questo mi consentirà di “marcare” con il tacco per terra l’ingresso per la lanterna 20 (non si fa? Mandatemi Vladimir Pacl e i suoi regolamenti che ne riparliamo…). Ancora traccia traccia giro attorno alla roccia, sella tra le rocce E C’E’ ancora! (è la fettuccia 83 grande come un rotolo di carta igienica, ma c’è).

Poi via di nuovo, andando dentro e fuori dalle tracce. Non me la sento di girare a vuoto dentro al bosco aggirando le rocce, bravi coloro che ci sono riusciti o che hanno anche solo pensato di riuscirci. Ma io non voglio buttare nel cesso proprio adesso tutta la fatica che ho fatto, anche se sono mentalmente condizionato che al primo errore mi devo buttare fuori e fare il giro del fullo per ricollocarmi e rientrare nel labirinto. Però.. penso che la 20 in fondo l’ho già trovata e devo solo ritrovare il segno del tacco sul sentierino E LO TROVO, e poi trovo anche la lanterna che occhieggia a 15 metri. E infine mi ributto fuori verso il prato, comincio ad essere stanco morto, ma manca così poco e voglio arrivare all’arrivo e far esplodere il cuore. Il prato di arrivo è così vicino, sento le voci di chi sta allestendo l’arena e, a costo di vomitare l’ultimo atomo di gel, voglio arrivare al traguardo! 1 ora, 7 minuti e 11 secondi. Per una gara middle (quelli bravi ci fanno una long distance…) ma almeno stasera potrò scrivere ad Ercole Pin che stavolta le rocce non mi hanno sconfitto, che volevo la mia vendetta (quanto mi ci ero perso tra quelle rocce l’ultima volta) e l’ho avuta! Due calcoli a mente, e penso subito che sarà difficile che qualcuno dei nazionali impieghi meno di 33’36 secondi per finire quella gara, e che quindi potrei rimanere anche questa volta (d’altronde lo faccio da inizio stagione, e mi sono già confrontato sia con Tobia Pezzati che con Andrea Seppi) attorno al 90% in più del tempo del vincitore.

E fu la sera del giorno FISICO, e poi fu mattino.

Secondo giorno. Il giorno della TESTA.

E’ sabato mattina e non ho nulla da fare. Ma il Rock Labyrinth è lì, a pochi metri dal posto dove dormo. Quindi, perché non approfittarne per vedere dove passeranno anche le altre categorie? In fondo l’Elite maschile ha solo 4 punti nel labirinto… detto? Fatto! Carlo Pilat mi allunga la “tutti i punti” della zona delle rocce e, seppur che sono vestito come per la Messa di domenica, indosso di nuovo la mia bussola e vado a battere palmo a palmo tutta la zona. Primo shock: ci saranno almeno 15 punti in quell’antro infernale (o paradisiaco, a seconda del risultato finale); non importa: ancora una volta vado dentro e fuori dalle tracce, mi immagino dove potrebbero incrociarsi i percorsi dei più forti nelle varie categorie, dove potrebbero giocarsi la gara o rischiare il tutto per tutto per una rimonta dell’ultimo secondo (e succederà, oh se succederà!). Mi guardo ancora i miei punti di controllo, arrivo alla 83 e stavolta il telo c’è… e ti credo: l’ho ri-posato io! Arrivo alla 86 e, come nei miei giorni tecnicamente migliori, trovo solo la fettuccia. Torno all’arena di gara e dico “manca la 86! Manca la 86!”… era l’ultimo punto ancora da posare, mannaggia!, e mancava davvero! Mi sono fatto venire un colpo per niente…

Trasferimento a Pieve di Soligo per la gara di sabato pomeriggio e… si, qui voglio prendere a prestito proprio le parole di Dario P., perché come ha descritto lui la zona di gara non sarebbe capace di farlo nemmeno Spielberg:

… per fortuna gli organizzatori devono aver raso al suolo il quartiere vicino al fiume per costruirci un complesso pieno di scalette e sottopassi, e il tracciatore ha avuto una certa fantasia. Insomma ne è venuta fuori una gara divertente

Parto forte, o almeno credo a giudicare dalle sensazioni nelle gambe (“forte” è SEMPRE da intendersi “per i miei standard”… perché voglio sempre rimanere dentro quella soglia del doppio del tempo del vincitore). Mi faccio su un po’ da solo alla 1, mentre per la 5 scelgo il giro da nord con il risultato che passerò per TRE VOLTE nel giro di un minuto e mezzo davanti ad una signora che staziona sulla panchina al termine sud del muro di cinta e che sta pascolando il cane (la terza volta mi guarda seriamente intenzionata a chiamare i carabinieri, perché ansimo come un maniaco!). La tratta lunga per andare alla 10 non mi prende proprio benissimo, ma finisco per passare due volte davanti ad un bar nascosto dal numero 10 che ha fuori un bel po’ di gente, e quindi voglio farmi vedere bello tonico e scattante nei miei colori turchesi dell’AGET Lugano (combinati con orribili pantaloni rosso fiamma al ginocchio, in un “pendant” che nemmeno uno stilista strafatto di LSD…).
Cambio carta e… ah! Ma si torna nella zona iniziale del delirio?... Cerco di districarmi nelle piccole piazzette e sulle minuscole scalinate, anche se in almeno un paio di occasioni ho una titubanza perché sembra che sto per infilarmi dritto in casa di qualcuno (ma se leggessi la carta, e anche quella carta avesse un INGRANDIMENTO!, avrei meno problemi) ed ho ancora le forze per sprintare attorno alla aiuola con la 15 e buttarmi nell’ultima parte di gara, che è decisamente più filante ma che tollero meno perché le gambe cominciano ad essere davvero stanche. Incrocio Mauro Loss in fase di controllo, mi butto sulla collinetta della 18 sprintando ancora per farmi vedere sempre tonico dai bambini (e dalle mamme) che giocano nei pressi. Evito di incasinarmi tra i piccoli recinti della 19 (bastava arrivarci da ovest e non da est!) ed ancora una volta sto tornando verso il traguardo; sento il brusio dei 500 partecipanti in piazza e accelero fino all’ultimo metro per cercare di farmi vedere per il minor tempo possibile, e da meno gente possibile, mentre taglio il traguardo “scavalcando” l’arco gonfiabile che era ancora a terra. 26 minuti e 10 secondi. Un rapido calcolo: Seppi ce la farà in meno di 13’06”? Mmmhhh… potrebbe… potrebbe farlo. In cuor mio, mentre mi cambio ed i muscoli delle gambe lasciano che il sangue fluisca verso la gola dello speaker, spero davvero di no: ho dato tutto il “tuttibile” (o il “dabile”), e non voglio pensare di esser doppiato da Andrea o da Ricky o da Zagor. Alla fine Andrea ci metterà 14’07”: il mio tempo è superiore al suo del 85%, quasi come alla sprint notturna del Lago Nord! Missione compiuta atleta Stegal!

E fu la sera del giorno della TESTA e di Eleonora Donadini, e tornò il mattino.

Il mattino del giorno del CUORE e dell’ANIMA.

Cosa rara. Non ho praticamente nulla da fare. Gli amici che mi vedono passeggiare ad un orario umano per l’arena di gara, ed in condizioni fisiche decenti, mi chiedono “stavolta non hai fatto la gara prima di noi, vero?”. Ed io rispondo “certo che l’ho fatta anche stavolta!”, lasciando in un minimo di dubbio a quale razza di orario io possa aver lasciato le coperte per infilarmi nel bosco (adesso lo sapete!). In realtà, se il mio fisico non ha nulla da fare, il mio cuore e la mia anima hanno molto da fare, perché voglio che sia una giornata da ricordare e voglio svolgere il mio compito nel modo migliore possibile. La mia postazione speaker è ai bordi dell’arena: vedo distintamente il passaggio a bordo del laghetto, la breve e dolce salita che porta al punto spettacolo, il corridoio fettucciato che porterà gli atleti tra le nuvolette del Paradiso o nella bocca dell’Inferno…

E’ in quei momenti che io non sono più alla postazione speaker di Barbisano.

Io sono all’ingresso del Carrefour de l’Arbre, e sto aspettando il gruppetto dei fuggitivi che si giocheranno sulle ultime pietre la gloria della Roubaix.

Sono all’inizio della salitella di Lillehammer, quella che poi butta giù verso i centomila dello stadio che aspettano Bjorn Daehlie e si trovano davanti Silvio Fauner.

Sono all’ultimo minuto del secondo tempo supplementare, e Del Piero ha battuto un calcio d’angolo, e poi la palla va fuori e Pirlo la addomestica e potrebbe tirare lui… ma non tira lui verso la porta, passerà a chi tirerà fuori una curva impossibile come quella che può avere solo la schiena perfetta di una modella.

Sono al rifornimento del quarantesimo chilometro della maratona di Seul, e davanti c’è uno di Gibuti, poi un keniano e solo dopo arriva il ragazzo con la canottiera bianca, quello con il volto tirato, quello che è stato staccato qualche chilometro prima… quello che sa che mancano ancora due chilometri!

In fondo, come ha detto Elia Vettorel, la gara di Barbisano, e talvolta anche la vita, fino a un certo punto “è tutto warm up”, è una cosa quasi normale, ti serve per il dopo; poi non conta più “quello che c’è stato prima”: conta solo il momento nel quale si sente la campana che suona. E io stavolta sono ben intenzionato a far sentire alle ragazze ed ai ragazzi che questa volta la campana la farò suonare io!

Il resto è la storia che tutti conoscono. Passano quelli come Lukas Patschedier, con il suo vantaggio irreale che manterrà fino in fondo. Poi ci sono quelli come Miki Caraglio, che arriva con Ricky Scalet ed ha la gara saldamente in mano… e se la lascia sfuggire al primo punto tra le rocce per passarla a Mamleev, che poi la passa a Marco Seppi, che poi la passa a Roberto Dallavalle, che infine la ripassa a Miki per una manciata di decimi di secondo. C’è Christine Kirchlechner, l’atleta più avvezza alle “pressioni dello speaker”, che passa anche lei con un bel margine di vantaggio ed avrebbe sulle code Emilija Gvildyte a guardarle le spalle… ma poi Christine non esce più dal bosco (la lituana si!) e consegna la gara nelle mani di Nicole Scalet. E infine ci sono quelli come Fabiano Bettega, con il quale andrò a scusarmi nel dopo gara e che mi regalerà il commento più bello della giornata:

Scusarti? Perché? Anzi… quando sono passato e mi hai detto che avevo un bel vantaggio, mi hai messo tranquillo… sapevo di potermi permettere un errore. E infatti ho sbagliato subito! Ma ero tranquillo, perché sapevo di avere ancora vantaggio, e ho sbagliato ancora, e poi ancora! Succede, non è mica colpa tua”. Grazie Fabiano!

E infine venne il momento di riprendere FISICO, TESTA, CUORE e ANIMA e riportarli a casa, perché mi serviranno ancora, e molto presto. Ma si tratta di un fisico, una testa, un cuore ed un’anima sui quali il weekend di Pieve di Soligo e Barbisano ha lasciato un marchio che difficilmente verrà via. Che divertimento che è stato!

Wednesday, March 23, 2016

Ti abbraccio, gigante buono




Gigante Buono. Così Manuela Manganelli ha definito il mio amico Marco Brandi sul sito Fiso. Proprio così. Marco è stato un gigante nel senso fisico e nel senso morale della parola. Ed era davvero buono. Con me lo è sempre stato. Ieri sera, quando ho ricevuto l’sms con la notizia della scomparsa di Marco, la mia mente è volata ad un momento che ricordo ancora nitidamente, eppure correva l’anno 2002; il momento nel quale ho incontrato Marco per la prima volta, Carano, Val di Fiemme.




Campionato Italiano CSI M35, in un bosco da favola, con un numero di iscritti che non creava alcuna coda in zona partenza. Eravamo lì, appoggiati proprio a quel recinto che sta appena a nord della collinetta con il triangolo di partenza. Io, il gigante buono, e due bambine magrissime vestite di blu con indosso una maglia “CCR Roma”. Chi fossero le due bambine, che Marco sovrastava come a proteggerle, non serve che io lo dica. Il gigante era proprio Marco.

Uno scambio di battute prima della partenza, tra due perfetti estranei:
“Un lungo viaggio da Roma fino a qui…”
“Si, ma ne è valsa la pena per le bambine… guarda che bel bosco!”
Rapidi scambi di battute ne avremo avuto ancora, nel corso degli anni seguenti. Di solito, io lo provocavo implorandogli di convincere una di quelle due bambine, poi diventate ragazze, poi diventate donne, a platinarsi i capelli per aiutare lo speaker a distinguerle: inconfondibilmente Adrienne o Andreina se viste da lontano, ma quando passano a tutta velocità nell’arena di gara è l’una o l’altra? Immancabilmente, Marco sorrideva… d’altra parte quale papà avrebbe mai fatto confusione? Nel corso degli anni, era diventato una specie di gag: “Marco! Mi raccomando! Una delle due… platinata!” “Stefano! Non è difficile!...” e provava a convincermi che avrei potuto distinguerle da un microdettaglio nella acconciatura. “Marco! Non è difficile se corressero alla mia velocità! Ma le tue figlie VOLANO!” e finiva a sorrisi.
Lo ricordo anche in uno dei giorni emotivamente più importanti della mia vita: 1° giugno 2013, Campionati Italiani Sprint a Subiaco. Quella volta Marco rimase con me almeno 20 minuti prima della partenza, sul ponte che indirizzava verso il parcheggio. Ne avevo bisogno, e lui lo aveva capito.
Ma per me Marco resterà sempre il gigante di quel giorno nel bosco della Val di Fiemme. Gigante e buono. Ti abbraccio Marco!




Sunday, March 13, 2016

MI-PA 2016: … and the Oscars go to…


Dovrei riprendere il filo del discorso della gara di domenica scorsa a Casorate Sempione prima che il fine settimana della Coppa Italia prossima ventura abbia il sopravvento: una gara, quella di Casorate, bella e ben studiata, fatta proprio come piacciono a me le gare middle (tanti punti, tanti rimbalzi da una parte all’altra) e che infatti ha avuto per me un esito che seppur non brillante nella classifica (ma non poteva esserlo) mi ha visto arrivare a ridosso di amici che di solito mi tirano giù a manciate i quarti d’ora di distacco.

Tuttavia la conclusione, sabato 12, della MiPa 2016 mi obbliga ad una digressione su quella che ancora una volta è stato il fiore all’occhiello delle organizzazioni dell’Unione Lombarda Milano nel calendario regionale. Undicesima edizione, ed hai voglia ad andare a portare l’orienteering per l’11esima volta di fila al Monte Stella, al Parco Forlanini e al Parco Lambro. Ancora una volta numeri di difficile gestione, persino da parte di organizzazioni più collaudate: i quasi 350 del Monte Stella, i 299 del Forlanini e – a conti ancora non conclusi – i 250 del Parco Lambro dove abbiamo avuto, e non sarà l’ultima volta spero, un percorso dedicato ai disabili.

In mezzo a questi numeri voglio inserire il mio ringraziamento a tutti gli insegnanti che portano i propri ragazzi a provare questo sport; devo dire che, dopo qualche anno che vedo gli stessi ragazzi, vedo dei sensibili miglioramenti che mi farebbero dire che il tale o la talaltra non sfigurerebbero proprio nemmeno a livello regionale, se potessero prendere un po’ più di dimestichezza con le carte boschive. Poi il ringraziamento a quei genitori che approfittano della MiPa per far conoscere i polmoni verdi di Milano ai propri bambini… Premio Oscar per la fantasia a quei genitori che hanno “regalato” la caccia al tesoro del Parco Lambro per il compleanno di uno dei figli ed hanno preso il via con cartina, cane al guinzaglio e frigobar per il rinfresco di metà percorso! Un ringraziamento anche agli agonisti, che vengono alla MiPa per accompagnare i figli (nella speranza che un giorno vogliano calcare le orme dei genitori) o per allenarsi su percorsi che non saranno proprio calibrati secondo il manuale del perfetto tracciatore, ma che sono facilmente raggiungibili e che offrono l’occasione per una sgambata senza troppi rimpianti e senza troppe angustie.

Anche se la MiPa non è una manifestazione per agonisti, dedicata a chi questo sport lo fa tutte e domeniche e torna a casa onusto di medaglie e di gloria (anche al Parco Lambro c’erano parecchie medaglie nazionali, e non solo nella C.O., più varie Coppe Italia e medaglie internazionali), chi traccia i percorsi cerca sempre – non sempre riuscendoci - di trovare un modo per rendere la prova appetibile per chi vuole allenarsi e testare, magari, la prossima sprint di Coppa Italia. Uno dei vanti della MiPa è che non abbiamo mai, a mia memoria (ho saltato mezza edizione per problemi personali), riutilizzato alcun percorso di quelli predisposti negli anni precedenti: anche se i ragazzi delle scuole non se ne accorgerebbero, per gli Agonisti non sarebbe un buon biglietto da visita, e poi anche chi traccia ha voglia di provare a testare se per l’undicesimo anno di fila la vecchia teoria “prendiamo la mappa e pensiamo: se io fossi un Agonista, dove mi piacerebbe essere mandato a gareggiare?” può ancora funzionare.

Nel novembre di quest’anno, chi traccia si è accorto improvvisamente che cacciare una lanterna su ogni cima di cocuzzolo, di collina, di montagnetta a mo’ di guanto di sfida come se stessimo gareggiando alla ELS 2900 poteva diventare un po’ noioso, ma che le collinette e le montagnole possono essere ugualmente efficaci se si vuole lasciare all’orientista la possibilità di scegliere tra l’attacco frontale, il giro largo della cima o uno più stretto… e fu così che nacque il percorso Agonisti al Monte Stella di San Siro:
(primo giro con il super-trattone "dimensione Rocco" da nord a sud...
e quello "dimensione normale" da ovest a est)
(secondo giro con il super-trattone da est a ovest)

 Ovviamente alla Montagnetta è facile anche realizzare il giro cosiddetto “Corto”: resta proprio ai piedi della collina senza bisogno di fare un metro di salita. Per questo motivo, il Premio Oscar “barcollo ma non mollo” va a tre ragazzini del percorso corto i quali, a furia di seguire gli altri più grandicelli senza alcuna voglia di guardare la mappa (ma ‘sti ragazzini di oggi non giocano più con le mappe dei pirati?), sono saliti dalla base del colle fino in cima non una volta (da sud-ovest, la prima volta, dopo aver praticamente completato il percorso), non due volte (da nord-ovest, la seconda volta) ma TRE VOLTE (da nord-est, la terza volta) condendo il terzo arrivo con un celebre scambio di battute “Eccola! L’ho trovata! MA NO!!! Siamo di nuovo arrivati in cima alla collina!!! C’è sempre qui il tizio vestito di rosso!!!” (il tizio in questione sono io…). Cioè: non è il fatto di esserti sciroppato tre salite dalla base alla cima, come nemmeno quelli del King of the Hill, a dirti che stai facendo una assurdità, ma il fatto che ogni volta lì hai trovato uno vestito come il Gabibbo???


Al Parco Forlanini di salite non ce ne è nemmeno l’ombra. Per questo motivo, dopo aver messo le lanterne da una parte e dall’altra di tutti gli ostacoli naturali e non che puoi trovare, dopo aver convinto Dario G. (che ci mette i soldi) a stampare percorsi con cambio cartina = consuma toner, cosa altro ci si può inventare??


Presto detto: arriva Rusky e in quattro e quattr’otto mette giù il Labirint-O a metà percorso, una cosetta di 45x26 metri realizzata nel giro di un’ora sotto il sole del mattino di Milano. Il Labirint-O era sul percorso degli Agonisti ma anche sul percorso “Lungo”, ed ha messo in difficoltà soprattutto… gli Agonisti!!! Infatti, a noi che guardavamo da fuori, è sembrato palese che gli Agonisti cercavano di orientarsi guardando la mappa (e sbagliando spesso traiettoria), mentre i ragazzi del Lungo davano una occhiata alle fettucce e sembrava quasi di vederli identificare la traiettoria migliore per poi buttarsi dentro a capofitto! Tutti potenziali campioni di Snake! Tra coloro che nel Labirint-O ci hanno perso la bussola e la trebisonda, potrei citare… no, lasciamo perdere!

(primo giro)

(secondo giro)
Premio Oscar per la sicumera al professore che si è cimentato sul Lungo e che, una volta al traguardo, ha esclamato “Questo percorso non mi è sembrato davvero Lungo! E comunque la carta è sbagliata!”. Chiestagli una spiegazione, ha tranquillamente esclamato che dall’ultimo punto, era arrivato a memoria al traguardo, e non al doppio cerchio riportato in mappa “perché so benissimo che il traguardo è sempre stato qui dove sono arrivato adesso”. Ovviamente se ne era ben guardato dal leggere il comunicato gara che parlava di un cambio carta…

Chi traccia la MiPa se ne guarda bene dal definirsi “tracciatore”, perché occorre aver fatto corsi, tirocinio, esami, aver letto almeno tre volte di cui una all’incontrario il libro di Zonato e essere andato in pellegrinaggio a Grumolo delle Abbadesse a ricevere la sacra benedizione di Colui che è stato sul Tettodel Mondo…). Tuttavia chi traccia, dopo essersi visto rifiutare dal Comitato Regionale la proposta di un campionato regionale sprint al Parco delle Cave, avrebbe ancora tra i suoi sogni quello di poter tracciare un giorno una gara long al Parco Nord o al Parco di Monza. Questo sogno della gara Long ha cozzato di brutto contro la scala 1:5000 (o giù di lì… pare sia 1:5500) del Parco Lambro, ma il desidero di provarci ha fatto tirare fuori un percorso sviluppato su 7,5 km, senza cambio cartina, per la terza tappa della MiPa. Questa cosina qui, che io stesso da seduto faccio fatica a seguirne lo sviluppo della sequenza dei punti!

Con il senno di poi, dopo la partenza trabocchetto (qual è la scelta giusta secondo voi?) e la seconda tratta lunga proprio dopo la zona sprint, non c’era alcun bisogno di tirare una terza tratta lunga per ributtare di nuovo gli Agonisti dall’altra parte del parco. La distanza ha impegnato gli Agonisti, il caldo ci ha messo il suo… e questo spiega gli improperi di chi Premio Oscar per averci comunque provato a due terzi di percorso non ne aveva proprio più: “Basta! Ardo!”. O forse non erano due parole ma una sola? La sfida Long, comunque, era stata annunciata su Facebook e più volte ribadita ai ritrovi delle gare lombarde…

Ora la MiPa “pare” vada in vacanza fino all’anno prossimo, anche se sta già germogliando il progetto di dedicare una puntata speciale al Parco Forlanini ai ragazzi ed alle ragazze del percorso Disabili, ai quali far provare anche qualche piazzola di Trail-O.

D’altra parte le emozioni di questa MiPa 2016 sono ancora in circolo, quindi perché lasciarle svanire come deboli Petzl nella notte? Forse c’è ancora spazio per un piccolo sforzo, che possa regalare a questi ragazzi una bella giornata di vita.

Saturday, March 05, 2016

Ma che MOO!


Il titolo probabilmente potrebbe rappresentare qualcosa solo per coloro che hanno anche solo vaghi ricordi delle hit di Raffaella Carrà dei primi anni ’70. Ma da domenica scorsa, il titolo è sicuramente comprensibile a tutti coloro che hanno preso parte al MOO Challenge di Milano, competizione di ori-boh? Troppo particolare per entrare nei vari calendari federali, con orchestra diretta dal maestro Remo Madella. Di che cosa si tratta, si chiederanno tutti i lettori, visto che non ce ne è traccia nei sito Fiso? (ma, essendo questo un blog orientistico, ci sono forti probabilità che si tratti di qualcosa legato all’orienteering..). Gli ingredienti sono molto semplici. Si prendono un sacco di cartine (alla fine saranno ben 9!). Si prendono squadre di orientisti, di semi-orientisti (cioè squadre composte da un orientista e da una vittima sacrificale), di podisti con particolare predisposizione alla “voglio essere figo come Indiana Jones!”, poi famiglie con bambini, bambini senza famiglie e chi più ne ha più ne metta. Poi li si manda in giro per Milano a caccia di punti di controllo. Per rendere la cosa ancora più memorabile, i punti di controllo si possono raggiungere anche con l’ausilio dei mezzi pubblici ATM (ma alla fine la mia squadra metterà nelle gambe parecchi chilometri più di 20!) e non sono le classiche lanterne bianche ed arancioni, bensì quesiti a livello di Street-O-View, o NASA o GCHQ (Her Majesty's Government's Signal Intelligence)…

Per spiegarlo in altre parole, ad uso di coloro che si fossero messi in visione ed all’ascolto su questo gnocco minerale chiamato Pianeta Terra proprio adesso ma avessero vissuto la Milano di fine anni’80, diciamo che si torna a livello dei mitici “Border Trophy” organizzati da Radio Popolare, che solo chi ha passato un’ora della notte a contare le traversine del tram attorno al cimitero di Musocco può capirne il fascino: il Border Trophy era infatti una caccia al tesoro (ho usato le parole “caccia al tesoro”? su un blog orientistico???) radio-comandata in una epoca nella quale non c’era internet e gli smartphone, durante la quale se volevi trovare una informazione dovevi coinvolgere quanti più amici possibili disposti ad essere svegliati nel cuore della notte (dalla cabina telefonica) per trovare le risposte a qualche quesito o per trasportare un televisore in qualche via remota della città… e occorre considerare che i miei amici erano tutti della mia età, poco più che diciottenni! Quindi vivevano ancora con i genitori i quali, al trillo del telefono di casa alle due di notte, prima rispondevano incaxxati come bestie e poi passavano direttamente agli insulti pesanti (verso il chiamante e verso il figlio degenere).

Comunque quel genio in azione di Remo Madella ha congegnato un MOO Challenge che lo mette immediatamente in prima posizione nella classifica delle “gare TOP” del 2016 (con forte possibilità di mantenere primato o almeno podio fino al 31 dicembre) e dei desideri orientistici 2017. Nonostante infatti in gara io mi sia sciroppato (non da solo, come si leggerà…) parecchi chilometri - più di 20 - nelle gambe, nonostante io abbia preso in zucca il diluvio per più di 5 ore (grazie meteo di Milano grazie), nonostante il mio cervello - a furia di risolvere quesiti e pensieri laterali - non riuscisse più a pensare a qualcosa di lineare… devo ammettere che il momento più difficile della giornata è stato quello appena prima di uscire di casa, quando ho dovuto scegliere l’abbigliamento più adatto per affrontare il Challenge: jeans da passeggiata all’aperto o abbigliamento tecnico da maratoneta? Il problema è nato nel momento in cui, dopo essermi iscritto al Challenge con PLab (il che avrebbe assicurato alla squadra un cervello di primissimo ordine – il suo - nel risolvere qualunque tipo di quesito, anche di tipo tecnologico visto che una certa manualità nell’uso dello smartphone era necessaria, mentre io “I’m from the past”), sono migrato nottetempo nella squadra mista italo-slovena con Rusky che, ricordo a tutti, prima di attraversare il confine di Fernetti si era preso il lusso di vincere due campionati italiani a staffetta. E quindi sarebbe stato lui a dettare il ritmo gara e le redini della parte orientistica.

Già… ma come avrebbe affrontato il Challenge l’amico Rusky? In modalità tranquilla da “passiamo una giornata in giro per Milano e vediamo che succede” o in modalità competitiva stile “coltello tra i denti, e chi si para tra noi e la soluzione di un quesito viene piallato all’istante”? Per non saper né leggere né scrivere, a costo di fare una figura di tolla al ritrovo, mi sono messo in modalità maratoneta. Ho sorriso, avvicinandomi al ritrovo, nel vedere che anche Rusky si era messo i suoi pantaloni tecnici da corsa… ho sorriso meno nel vedere che al posto di scarpe ultraleggere da corsa indossava un paio di scarponcini che a me, al solo indossarli, avrebbero fatto venire le vesciche! Breve scambio di contumelie tra noi, una occhiata al diluvio che non smette ed al fondo del terreno che in alcune zone minaccia fango… e alla fine Rusky cede e indossa le scarpe da corsa, seppure mantenendo il suo atteggiamento da “si parte piano, che la giornata è lunga”. Ed io a queste parole immediatamente ritorno alla memoria alla primissima O-Marathon degli Altipiani, quella rimasta famosa di Passo Coe, quella nella quale Rusky ed io eravamo partiti nelle retrovie al grido di “partiamo piano, e poi insultiamo tutti quelli che raccoglieremo lungo il percorso” (Rusky raccattò me, sfinito, a due terzi di gara, e lì si che volarono insulti… ed è stato anche grazie a quelli che poi sono arrivato al traguardo).

Per mia fortuna, abitando nello stesso quartiere di Remo che ha avuto il buon naso di posizionare partenza ed arrivo molto vicini a casa sua, non devo sbattermi molto per arrivare al ritrovo. Ma a conti fatti il chilometro fatto per arrivare al ritrovo, alla Chiesa Rossa, sarà l’unico passaggio noioso del MOO Challenge. Dopo un briefing efficace e significativo, siamo pronti per partire! Via!!!






(parco della Chiesa Rossa)


Da lì’ ci si sposta nel fango del Parco del Ticinello… 


(parco del Ticinello – primi quintali di fango che si attaccano alle scarpe)

… ed è il momento di affrontare il primo trasferimento sulla linea Verde della metropolitana.

(carta ATM – appositamente realizzata per il MOO)

La sorpresa di trovare sullo stesso vagone i grandi favoriti Viola e Alessio, e poi la nostra scelta è quella di affrontare la messe di punti della zona di Piazza Gae Aulenti e Stazione Garibaldi.



Attorno alla Stazione Garibaldi, piccolo shock: stiamo correndo come bestie ma siamo sempre alle calcagna di PLab e Bibi, che forse non corrono molto ma risultano evidentemente molto efficaci nella parte “quesiti”. Da Garibaldi, ci buttiamo a nord sulla linea Lilla: Bicocca e quartiere Greco sono praticamente deserti alle 11 del mattino di una domenica di diluvio, e sembra di correre in una ghost town postnucleare mentre attacchiamo scalinate, parchetti, la malefica Collina dei Ciliegi (che mi dovrò sorbire in salita per due volte), i passaggi sopra la ferrovia ed i pertugi dove i writers ed i graffitari hanno lasciato tracce del loro passaggio che dobbiamo scoprire nei quesiti posti dal regista di tutto il MOO.


Affrontiamo Greco in corsa, al massimo delle nostre possibilità, perché non vogliamo mancare il punto bonus a Porta Romana dove arriveremo con 25 minuti di anticipo rispetto alla chiusura del cancello orario e con pochi minuti di vantaggio sui diretti inseguitori – la squadra di Giorgio e Chiara Gatti. Nuovo trasferimento verso il centro di Milano in metropolitana, dove saliamo grondanti pioggia, sudore, fatica e un certo afrore dato da una competizione che supera ormai le tre ore di corsa, cosa che provoca il pubblico disprezzo di alcuni passeggeri (quelli italiani fighetti che vanno in centro a fare colazione tardi) ma anche i commenti sorridenti di qualche turista straniero che si trova improvvisamente coinvolto in una cosa che non ha sicuramente trovato sulle guide turistiche.

Zona Duomo ci vede partire in caccia come degli Stukas, nonostante i tentativi di fermarci sia da parte di qualche intervistatore improvvisato (sotto i portici di Piazza del Duomo) che di una macchina della Polizia Locale che improvvisamente vede sfrecciare davanti a sé in Piazza Dante sotto la pioggia incessante due ossessi con gli zaini (la macchina ci seguirà fino all’ingresso di Foro Bonaparte, dove si corre… e si corre… e si corre ancora!). Ogni tanto percepiamo la presenza di qualche altro concorrente, anche se siamo ormai sparsi per tutta la città; l’ultima voce che ricordo sono i complimenti e gli incitamenti di due squadre che, in pieno Foro Bonaparte, vedono il mio foglio delle risposte ai quesiti praticamente pieno, oltre alla mia tenuta da naufrago (da tanto che sono fradicio) mentre loro girano con gli ombrelli…

L’ultimo assalto è quello in zona Darsena: scelta di percorso per risalire verso la darsena da Viale Gorizia e non da Via Vigevano, e poi alla grande sugli ultimi quesiti fino ad arrivare in Piazza XXIV Maggio, dove vorremmo prendere il tram numero "3” per riportarci in zona arrivo.

E qui succede la cosa che, a conti fatti, renderà ancora più memorabile il Challenge: il “3” è bloccato! (lo so ben io che lo prendo tutti i giorni per andare in ufficio). Dopo un attimo di scoramento, visto che siamo in gara da 4 ore e 20 minuti e siamo stanchissimi, Rusky prende la decisione che ci regalerà alla fine una incredibile quinta posizione in classifica generale: se il tram è bloccato, possiamo correre gli ultimi chilometri verso il ritrovo cercando di rimanere DAVANTI al tram sul quale sono presumibilmente bloccate altre squadre (la previsione si rivelerà azzeccata). Quindi via di corsa: alla pensilina di Via Lagrange, il nostro vantaggio sul tram è di 9 minuti, che restano 9 alla prima pensilina di Via Meda, che poi diventano 8 e poi 7 all’attraversamento della circonvallazione.
Il tram guadagna terreno, lo zaino di Rusky decide che ne ha abbastanza e si apre in due costringendoci a correre con parte dell’attrezzatura in mano… alla pensilina di Via Bonghi abbiamo ancora 6 minuti di vantaggio sul tram, che restano 6 all’attraversamento dell’ultima circonvallazione. Da lì in poi è l’ultima fatica e le ultime staffilate nei muscoli, dovute anche alla mia pessima scelta nell’ingresso in zona arrivo (ormai con il cervello cotto): mi butto prima a sinistra, seguito fiducioso da Rusky, e poi dopo un centinaio di metri inversione a U e ci precipitiamo sul lato opposto. Alla fine il responso sarà una quinta posizione in 4 ore 3 36 minuti di pazza competizione!

Che dire alla fine di questa avventura? Complimenti a Remo! Complimenti e un “a ritrovarci” ad una prossima edizione. Complimenti anche a Rusky che mi ha trascinato attraverso tutta Milano, io in stile peso morto o quasi, per un tempo nel quale avrebbe potuto tranquillamente finire una maratona. Complimenti a Rusky e grazie per il divertimento, la compagnia e le emozioni! E complimenti anche a tutti quanti gli altri partecipanti di questa edizione del MOO Challenge. Ci vediamo alla prossima edizione.