Stegal67 Blog

Saturday, April 30, 2016

Breve riassunto delle puntate precedenti… (parte 1 - Cansiglio)



La notizia non era ufficiale prima di oggi, ma credo che almeno fosse nell’aria. Questa settimana uno dei più grandi atleti espressi dalla storia dello sport italiano “aggiorna” la sua posizione, passa di ruolo, lascia di fatto il suo ruolo predominante in cima alle classifiche ed ai ranking per andare ad occupare una posizione diversa, non meno defilata ma semplicemente non più così agonistica.

Il bello del 21° secolo è che queste cose non vengono annunciate sulla Gazzetta dello Sport, o con una bella conferenza stampa, ma su Facebook. E’ stato Facebook il primo social network a far trapelare la notizia, a lasciare il primo brivido nelle vene dei tanti tifosi, a scatenare l’onda dei ricordi dei tanti successi passati che ormai fanno parte della storia. No, non sto passando dell’addio alle competizioni di Valentina Vezzali (che considero la più grande atleta che l’Italia abbia mai espresso, e se fosse stata tedesca a quest’ora avrebbe una statua dedicata sulla Unter Den Linden di Berlino). Non sto nemmeno anticipando quella che potrebbe rappresentare l’ultima pagina della carriera di Francesco Totti, lui come pochi altri “nemo propheta in patria” soprattutto nell’ultima parte della sua carriera (sono solo i tifosi di tutte le altre squadre a pensare a “come sarebbe stato se avesse giocato per noi…”?); una ultima parte di campionato che avrebbe potuto essere celebrata in tutti gli stadi nello stesso modo in cui è stato celebrato Kobe Bryant ovunque abbia giocato le sue ultime partite. D’altra parte il connubio “Italia + calcio” non sempre è foriero di eventi di cui andare fieri…

No. Sto parlando di ben altro tipo di sport, di ben altra caratura e spessore di atleta. Un autentico atleta di peso che ha attraversato come un tornado gli ultimi 20 anni di attività sportiva nazionale ed internazionale: sto parlando di orienteering e sto parlando di me! Anche se non potevo saperlo prima, le ultime gare hanno costituito un autentico “rito del passaggio”, e la cosa è diventata palese dopo uno scambio di pareri (dal vivo sul campo di gara e poi su facebook) che la dicono lunga:

Sul campo di gara di Cansiglio:

  • Ciao Stefano, ci sarai alla gara Tal dei tali del giorno X?
  • “Certo che ci sarò, anzi non vedo l’ora!”
Dopo qualche giorno su Facebook…

  • Ciao Stefano, mi hanno detto che sarai speaker alla nostra gara. Volevo ringraziarti…
  • “Speaker? Vengo volentieri ma… nessuno me lo ha chiesto…”
  • Ah… mi dispiace per l’equivoco ma, quando mi hanno detto che saresti venuto alla gara Tal dei tali, davamo tutti per scontato che sarebbe stato come speaker, non come concorrente”.
Tum! Tum! Tum! Tum! TUM! TUUUMMM!!! Il rumore dei chiodi che chiudono la bara delle mie velleità di  partecipare alle gare nelle vesti di mega-super-grande-atleta (cosa che non sono mai stato, a scanso di equivoci). Ovviamente tutto questo preambolo serve a confermare che, da parecchio tempo, nessuno fosse pure il più scrauso degli Esordienti avrebbe paura di me in una classifica finale. Tuttavia… tuttavia la soddisfazione nel prendere parte ad una gara di orienteering sta nel fatto che in ogni occasione, fosse anche solo per una tratta del percorso. C’è una risicata speranza di poter fare una scelta migliore del campione più decorato (vero Marco Giovannini che ti ricordi di Pasi Ikonen?), di poter strappare un tempo migliore del nazionale più medagliato, di riuscire anche solo a vedere una sola “mossa” o una strategia più valida di quella del fenomeno più celebrato.

Io non sarei in grado di correre più veloce di un maratoneta keniano nemmeno se quest’ultimo fosse sul lettino del massaggiatore! Ma nel corso degli anni, rimanendo sempre ben aderente alle ultime posizioni del gruppo, qualche volta (e dico solo qualche volta in 20 anni) una lode ben pronunciata da parte di un affermato campione è stata la mia medaglia da portare a casa e tenere nel baule dei ricordi.

Eppure ce l’ho sempre messa tutta, soprattutto nelle ultime gare di aprile alle quali sono arrivato spesso in debito di ossigeno già alla partenza, sbarcando da aerei e imbarcandomi su treni che diventavano passaggi in auto. Prendiamo ad esempio la gara di Coppa Italia al Pian del Cansiglio… no, non comincio dalla gara di Coppa Italia per copiare la prosa memorabile di Dopolavoriche ha iniziato a scrivere del fine settimana del 16 e 17 aprile dalla fine. Parto dalla gara di domenica perché è stata la prima che ho corso: di venerdì pomeriggio. La storia di questi ultimi mesi, come si è arrivati al venerd’ della mia gara, narra di una long distance di Coppa Italia a Pian del Cansiglio annunciata come troppo lunga e troppo impegnativa per le mie possibilità di “quasi cinquantenne”. Ovviamente non tutti sanno che, se voglio fare una cosa, non c’è che da ripetermi “non ce la puoi fare!” per darmi qualche motivazione in più. Però era palese il fatto che sarebbe stata una gara da oltre tre ore di percorrenza nel bosco, e con il successivo impegno come speaker, probabilmente non ci sarebbero stati i tempi tecnici per completare il percorso.


Mi vengono però in soccorso l’Orienteering Tarzo (Ercole Pin) in primis, e la Forestale (Carlo Pilat in primis) ed improvvisamente davanti a me si apre la possibilità di salire a Cansiglio venerdì e di provare il percorso come apripista, nel primo pomeriggio. Le informazioni dicono che il crepuscolo arriverà solo alle ore 20 circa, e quindi se riesco a prendere il via alle 15 potrei avere tutto il tempo per tentare di portare a casa la long distance del Cansiglio, proprio su quella cartina che ai Campionati Italiani di parecchi anni fa mi respinse a calci nel culo e soprattutto a tuoni e lampi sulla testa. Nelle previsioni pre-gara, annunciate via mail, speravo (senza crederci troppo) di fare un tempo attorno a Pi Greco: 3 ore e 14 minuti.


Ora non starò a ripetere per l’ennesima volta quanto mi piaccia il bosco di Vallorch. Quello, come scritto sempre da Dopolavori, l’ho ripetuto allo sfinimento (di palle per chi mi ascoltava) dalla postazione dello speaker. Diciamo che è un “Bedolpian Mille Pini” ancora più pulito e finiamola qui. Mi sono fidato ad entrare nel bosco in calzoncini corti e, come previsto, ne sono uscito senza nemmeno un graffietto sulle gambe: l’unica cosa con la quale ci si può scontrare a Vallorch sono i tronchi degli alberi! Non starò ovviamente a fare un resoconto lanterna per lanterna del mio percorso, perché ai lettori non basterebbero le ferie per terminare il pezzo ma una catastrofe atomica che obblighi tutti a stare chiusi in un bunker per anni.

Mi limiterò a dire che al punto 4 il mio pensiero è stato: qui gli Elite veri (ah si! Perché sto facendo anche io il percorso Elite) viaggeranno a 4 minuti al chilometro sforzo! Questa la visibilità nel bosco dal punto 4:


(però che Vallorch sia un bosco da Esordienti me lo viene a dire solo chi era lì,
non chi stava sul divano di casa…)

E’ stato a questo punto, mentre ingurgitavo il primo carbogel del pomeriggio, che ho pensato che, se fossi riuscito a cavarmela nella zona delle rocce, il più sarebbe stato fatto: da lì in poi avrei solo dovuto avere pazienza e resistenza nelle gambe per terminare il primo giro, cambiare carta e poi completare la mia personale impresa. Già ma… come arrivare in sicurezza (orientistica) nella zona delle rocce? La soluzione la racconta il campione europeo e pluri campione italiano Misha Mamleev che, credo unico oltre a me, ha fatto questa scelta:


Si, poi lui a vinto VOLANDO letteralmente a 4 minuti al chilometro sforzo… ma volete mettere la soddisfazione di aver fatto la stessa scelta di Misha? (si… ok… io alla 5 sono arrivato un po’ a ovest, alla depressione, e da lì mi sono spostato ad est… ma era una cosa voluta!)

Vado con calma tra le rocce, il crepuscolo arriverà molto tardi… sbaglio la 7 perché cerco un naso e la lanterna è nell’avvallamentino subito dietro. Sbaglio la 8 perché arrivo sulla carbonaia a sud, scendo di corsa e quando arrivo alla carbonaia a nord del punto mi sembra di essere un cretino patentato. Per la 9 mi sposto ad est e poi devo solo morire un po’ fino alla cima della collina, ma quando mi metto a correre nell’avvallamento mi sembra di che l’unica cosa che manca è un aquilone da trascinarmi dietro. La 11 non è sbagliabile (anche se arrivo alle roccette appena a nord) e poi da lì fino alla 13 devo soltanto seguire i passi del posatori, che hanno lasciato nella moquette del bosco una traccia impercettibile appena più lucida del terreno attorno, cosicché arrivo alla 12 e poi alla 13 che mi sembra di essere un incrocio tra il campione del mondo e Tiger Jack che segue le tracce con Tex Willer. Mi frega un po’ la 14 che cerco sul costone; non trovandola,  e non avendo pensieri del tipo “sto buttando via la gara”, decido di scendere sul fondo della valletta per vedere bene il costone da sotto e… la lanterna è proprio sul fondo.

Cambio carta. Prima di partire avevo lasciato una bottiglietta d’acqua a Ercole Pin per avere un minimo di ristoro a metà gara. Ercole aveva lasciato la bottiglietta nel punto preciso pattuito, ma poi sono arrivati i ragazzi del Tarzo a montare la zona arrivo e… cosa fanno per prima cosa ‘sti benedetti meravigliosi ragazzi? Per prima cosa raccattano tutta la (rarissima) spazzatura presente in tutta l’area dell’arena di gara, perché l’arena di Vallorch è un salotto con vista sul Paradiso e come tale la dovremo lasciare. Ed ecco che anche la mia bottiglietta va a farsi un giro… per fortuna al mio arrivo al cambio carta Ercole ha già fatto in tempo a scendere a Cadolten a correre il model event, tornare e procurarmene un’altra!


Buco l’unica zona di colore verde che il tipografo ha dovuto colorare… sassone e poi su fino alla buca: dritto! Poi ancora su (fatica e gambe che urlano!) ma il re di tutti i cocuzzoli è lì che mi aspetta e lo vedo da 100 metri di distanza. Da lì capisco che, se arrivo alla 18, poi è andata. Salgo ancora con le gambe che urlano di più, cercando di sfruttare il più possibile la costa salendo dolcemente: prima pista da sci, seconda pista da sci, la collinetta a forma di uncino mi appare grande come una cattedrale! Il laghetto è mio amico, ed il sentiero che verso ovest porta al ristoro e verso nord al Villaggio Cimbro è stupendo (comincia la mia personale litanìa del tipo “se dovessi morire, seppellitemi qui… no lì! No meglio ancora lì!!!”. Sentierino verso ovest “ma da qui non ero già passato per andare alla 12? Allora sono proprio a casa!” e mi accorgo che c’è una specie di Mississippi che fa da linea di arresto per me. Quando arrivo alle roccette, e comincio ad essere davvero stanco, penso: “se la lanterna e qua dietro, sono stato bravo…”. E’ lì dietro. Mi fermo il tempo necessario per prendere il secondo carbogel e prendere fiato, e mandare un messaggino a Tenani per dire dove sono e che sono ancora vivo, che sono “live” dal bosco e che da adesso gli faccio la cronaca diretta!

La 19, dalla cima della collina, non è sbagliabile nemmeno bendato, ed io comincio a pensare che potrei correre in questa parte di bosco a piedi nudi senza pericolo. Anche la lanterna della 21 la vedo da lontano, e poiché ho ancora un carbogel decido di ingurgitarlo e intanto faccio (e mano a Teno) un’altra foto:

(questo sarebbe un avvallamento???)

Con le roccette della 22 e la collina della 23 ormai ho fatto un accordo pre-matrimoniale, la buca della 24… beh!...  Ci sono due recinti a destra e un Mississippi a sinistra! La 25 decido di prenderla da sentiero ad ovest, anche perché la combinazione dei due fattori “vado lento come una tartaruga rovesciata” + “ho appena bevuto due carbogel” mette improvvisamente il turbo ai miei poveri piedi… e la sbaglio!!! Cioè: la sbaglio per gli standard di questa gara! Non mi accorgo che scollino e, alle due rocce, mi sembra di essere tornato un Esordiente. Torno indietro e punzono e, guardando attorno a me, penso che manca poco per finire e lasciare questo angolo di Paradiso (mi sfiorerà il pensiero di provare, domenica mattina, un altro percorso… ma le gambe diranno “no!”); l’altro pensiero è che la visibilità qui è di 200 metri e che domenica mattina a molti basterà tenere la testa alta, non solo per evitare gli alberi ma anche per vedere dove va a punzonare qualcuno che sta 1 o 2 minuti davanti…

Scollino di nuovo e vado a riprendere il sentiero che porta al Villaggio Cimbro, che è stupendo. Il laghetto ormai è diventato mio cugino, il terreno è morbido che sembra di correre su un tappeto, la 26 non la posso sbagliare nemmeno in stato di ubriachezza molesta… ma mi sorprendo a pensare che se fosse un po’ più difficile potrei sbagliarla e rimanere ancora qualche minuto in questo posto bellissimo. Le rocce della 27 ormai non mi sorprendono più, ed io rido! Rido perché l’orologio segna 2 ore e 34 minuti… altro che Pi Greco, e mi piacerebbe tanto poter essere nel bosco domenica mattina a vedere passare gli Elite con la loro velocità supersonica, e anche tutti gli altri: vedere le facce che fanno quando sono nel bosco e scrutare se anche loro stanno pensando qualcosa del tipo “seppellitemi qui”.

Arrivo alla 100, già posizionata, e per stanchezza sbaglio a girare in laghetto e mi tocca fare un giro completo in senso antiorario per rispettare il corridoio di arrivo che dovrà ancora essere posato. Finita. Finita… ma il primo pensiero è: perché deve essere finita? Non posso tornare là dentro a giocare?

(foto by Ercole Pin)

Cosa sta facendo quest’uomo?

  1. Crede di essere Papa Francesco e benedice i presenti
  2. Crede di essere un grande atleta e maledice il tracciatore
  3. Crede di essere una persona fortunata e racconta “sono andato via in costa…”

Domenica 17 toccherà agli altri divertirsi. Io mi dovrò “accontentare” della postazione speaker…


… ma chiedo scusa a tutti se in qualche momento della mia cronaca live, vedendo passare gli atleti, siano essi super-atleti o soltanto amici orientisti di fondo classifica, il mio unico pensiero è stato “perché loro sono ancora lì dentro a giocare ed io no?”.


Dedicato a tutti i ragazzi e ragazze dell'Orienteering Tarzo e del GS Forestale.
E dedicato a Misha, che ha davvero volato la gara a 4 minuti al chilometrosforzo. Lo invidio tanto, ma anche io mi sono divertito tantissimo.

E poi adesso io e lui siamo “fratelli di scelta lunga”… :-)

 

Wednesday, April 06, 2016

Nella mezza (maratona) del cammin di mia vita…


Sfinito ma arrivato al traguardo. Potrebbe essere il riassunto della mia ultima domenica dis-orientistica, che non mi ha visto al via della gara regionale di Brinzio bensì nella meno boschiva ma più tranquilla mezza maratona di Certosa di Pavia. Il riassunto delle 48 ore che precedono il via ve lo risparmio, perché interesserebbe ben pochi lettori o lettrici… Diciamo che sono arrivato alla sera del venerdì (primo aprile) concludendo una settimana che sapevo sarebbe stata fatta di tante di corse matte e strambe (quelle che fa ”il cavallo senza gambe \ se lo sprona e lo molesta un bambino senza testa…”), motivo per il quale non mi ero nemmeno iscritto a Brinzio. C’era una alta probabilità che si avverasse il sogno di trascorrere almeno un giorno intero a rotolarmi tra le coperte del letto o tra i cuscini del divano per recuperare.

Sabato pomeriggio però è arrivato forte il richiamo “Chilometri! Chilometri! Chilometri!”. Occorre mettere chilometri nelle gambe se voglio affrontare con le energie necessarie i prossimi impegni! E’ stato così che domenica mattina all’alba mi sono alzato, infilato nei calzoncini e nella termica (che si rivelerà poi abbastanza inutile) e mi sono presentato al via della mezza maratona della Certosa di Pavia organizzata dalla società con cui collabora anche il collega seduto due metri dietro di me in ufficio (il mio è un ufficio strano… possiamo sembrare tutti dei mollaccioni, io per primo, ma il numero di borse da palestra che compaiono ogni giorno è esagerato, ed inoltre in 5 si sono appena presentati al via della Stramilano della settimana precedente!).

Sono passati gli anni nei quali una mezza maratona, o giù di lì, una domenica si ed una domenica no erano il mio pane. Adesso gli impegni me li devo andare a cercare con molta cura (mi sento pur sempre sfinito = demolito + spappolato) ma il tipo di terreno della mezza maratona che mi aspetta è quello che più si avvicina alle mie caratteristiche: piatto, totalmente piatto, inderogabilmente piatto! D’altra parte non è la prima volta che dico che dalle mie parti, se vogliamo andare a cercare il dislivello, dobbiamo usare il cavalcavia sopra l’autostrada… Il panorama non è quindi all’altezza di certe corse brianzole con vista sulla Grigna, sul Lissolo, sul Tetto della Brianza; il mio percorso non affronterà tratti caratteristici come il temibile “piramidone” del Memorial Longoni a Barzanò, o salite all’Alpe del Tal-dei-Tali: ognuno deve fare il suo mestiere, ma pur essendo cresciuto in una località di montagna, il mio terreno preferito è quello della bassa padana tra Milano e Pavia; almeno qui non mi devo cimentare su percorsi che sembrano fatti da tracciatori sadomaso che talvolta ti fanno salire un dislivello assurdo per poi farti scendere pochi metri più in là, al solo scopo di aggiungere un “D+” (dislivello positivo) alla corsa… sono disponibile a fare dislivello se questo sforzo mi consente di vedere qualche bel posto, o di passare per un sentiero che altrimenti non farei, ma non se è funzionale solo a salire di 200 metri di dislivello di botto per poi farmi girare i tacchi e scendere dalla stessa strada o pochi metri più in là a riprendere il percorso originale! Non mi chiamo mica Alvin, o “il Moro”, o tutti quanti gli altri amici matti di Dario “Darietto la carogna” Stefani che si fanno la UltraBericus come aperitivo!!!

E’ una domenica mattina fresca, che si scalderà solo nel finale di gara, ed alle 8 del mattino io ho il mio Ipod nelle orecchie, il cartellino per i controlli in tasca, la maglia di ordinanza blu-come-il-cielo-luminoso fornitami da Banka Koper (ormai mio sponsor personale) e parto con un ritmo tranquillo perché non voglio rischiare di finire cotto e stracotto a due terzi della mia fatica. Il primo tratto di percorso, dopo un giro nel parco di Certosa, si sviluppa sulla ciclabile del Naviglio Pavese: una tirata di qualche chilometro che sembra tracciata dalla pallottola di un fucile da tanto è dritta e sembra non finire mai. Istintivamente, nonostante la musica nelle orecchie mi tenga compagnia e mi generi qualche bella scossa emotiva, cerco di agganciarmi a qualche trenino di podisti; l’unico risultato è quello di trovare altro materiale per la mia tesi di laurea in medicina sportiva applicata agli impiegati panzottelli: la “sindrome da corridore solitario”.

Per raccontarla in breve (Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!): possibile che, tra tutti i corridore al via, solo io sempre io nient’altro che io non riesco mai a trovare qualcuno che va al mio ritmo? Ok… io parto da solo, mentre ci sono parecchi attorno a me che si presentano al via insieme, si allenano probabilmente insieme, sanno di avere lo stesso passo o comunque uno molto simile. So anche che non è bello accordarsi passivamente ad un gruppetto di due o più amici (come un succhiaruote)che magari tra una curva e l’altra si fanno e si raccontano i fatti loro, soprattutto se nel gruppetto corre qualcuna delle rare donzelle al via che sembra di essere uno che si vuol fare bello davanti alle amiche degli altri. Però non mi sembra davvero possibile che, quando corro, lo spazio tra me ed il\i podisti più vicini sia sempre di una ventina di metri! E si tratta di gente che o mi ha appena passato a velocità warp con un missile piazzato nel didietro, oppure di gente che si è trovata davanti all’improvviso ed al terzo chilometro sta già patendo la distanza, o che non è capace di tenere un ritmo costante!

Sono qui che ascolto la mia musica e sviluppo la mia tesi di laurea, ed all’improvviso mi sfila una maglia bianca e azzurra di una qualche squadra AVIS della zona; colgo il nome sulle spalle (mi pare “Lorena”) e vengo colto da una specie di odio diffuso per l’umanità intera con pochissime eccezioni: si tratterebbe solo dell’ennesimo classico esemplare di podista dei circuiti della bassa padana, se non fosse che è alta 1 metro e 45 a dire tanto, mulina le gambette ad un ritmo che al confronto Chris Froome quando scatta sull’Alpe d’Huez  è un dilettante, e mi sta staccando come nemmeno Bip-Bip quando vuole smettere di divertirsi con Wile.E.Coyote… A quel punto guardo l’orologio, faccio due conti, e capisco che va bene il ritmo tranquillo da “demoliti e spappolati di tutto il mondo unitevi”… ma a tutto c’è un limite e quindi è il caso di darsi una mossa.

La prima cosa da fare, intanto, è andare a riprendere “Lorena” che è avanti a me una cinquantina di metri. Ma con calma, senza strappi, usando il metodo che usava Paavo Nurmi quando lasciava andare via gli avversari e poi si immaginava di cominciare a ripescarli con la canna da pesca, finché essi  dovevano per forza di cose “retrocedere verso di lui”. Mentre sono qui all’ombra del primo sole a fare il pescatore di tappe-che-mulinano-gambette, Lorena (o come diavolo si chiama) ad un certo punto scompare come volatilizzata! Dietro non è, fermata non si è… Ah! Capito tutto. Siamo al bivio dei percorsi: a sinistra proseguono i (mezzi) maratoneti, a destra vanno quelli della 13 km. Improvvisamente, davanti a me, il vuoto totale! Hanno girato tutti quanti, o quasi, a destra e devo convincermi che sono ancora sul mio percorso cercando le balise a bordo strada. Allora ditelo! Scrivetevelo con un pennarello sulla schiena! Non “Lorena” o “il drago della bassa” o “non seguitemi mi sono perso”! Scrivete: “sto facendo la 13 km e quindi non demoralizzarti , oh tu che fai la 21 km, se ti sfreccio a fianco”.

Da solo e senza altre Lorene da raggiungere, torno ad affidarmi all’Ipod ed alle sensazioni nelle gambe fino al ristoro del settimo km abbondante posizionato all’interno dell’”oasi”, una zona protetta per gli uccelli migratori che viene aperta al passaggio dei podisti solo in occasione di questa corsa. Un ristoro fatto al volo mi consente di uscire dall’oasi con un trenino di altri tre podisti, così almeno non sono sempre da solo (anche se sono il quarto del gruppetto, staccato sempre di qualche decina di metri); osservando i miei compagni di avventura, vengo colto da un pensiero sgradevole: ma quanto corrono male questi qui?!? In particolare uno, quello che è davanti a me di appena una ventina di metri, a vederlo non offre una bella impressione: bassottello, tarchiato, corre veramente piano ed in un modo tutto sgraziato, al punto che il mio primo pensiero è: “questo perché non se ne è stato a casa sua, anziché venire qui a farsi del male?”. E’ bassottello, mentre io sono alto, è tarchiato… vabbé… su questo non ci posso fare molto!, corre veramente piano e in modo sgraziato e… ehi! E’ davanti a me! E per quanto a me sembri di correre bello, pulito e plastico come Abebe Bikila, non c’è verso di raggiungerlo. Forse che anche dietro di me c’è qualcuno che sta pensando (di me) “e questo perché non se ne è stato a casa sua, anziché venire qui a farsi del male?” ??? Me ne convinco a tal punto che mi giro a controllare, ma dietro c’è sempre il vuoto pneumatico.

Ok. Allora è giunto il momento di farsi avanti. Pian piano riduco le distanze e lo supero, e questo si incolla dietro di me. “Ecco chi è il succhiaruote!” penso… ma non passano nemmeno 500 metri che questo parte con uno scatto come nemmeno Usain Bolt e recupera la cinquantina di metri che ci separano dai due davanti e si attacca a loro! E io chi sono? Di scattare in quel modo non se ne parla proprio, perché mi ritroverei piegato in due a vomitare alla curva successiva. Registro lo strano comportamento di quel tizio e mi metto di buzzo buono a limare qualche curva per provare a raggiungere l’improvvisato terzetto. Attraversiamo paesini di cui non sospettavo nemmeno l’esistenza (chi ha mai sentito parlare di Baselica Bologna???), autentici ghost-village graziosi e carini ma che, rimasti fuori dalle principali vie di comunicazione statali o provinciali e da quelle che portano a qualche centro commerciale, sembrano finiti persino fuori dal tempo. La distanza tra me ed il terzetto di riduce centimetro dopo centimetro, sto per prenderli finalmente e… uno di questi si ferma di botto! Ma cos’è? Ti ho seguito per 5 km dopo il ristoro e adesso che ti ho preso abbandoni? Mentre passo a fianco, chiedo se va tutto bene e mi sento rispondere “no… solo un dolorino… lascio che passi e riprendo”. Il suo compagno di allenamenti si ferma pure lui, il tracagnotto fa un altro scatto violento e si riporta avanti di 50 metri almeno, ed io continuo a correre tutto solo.

Al ristoro del 15 km siamo tutti insieme ed io faccio altri due conti. Qui con me ci sono: uno che sembra un fustino del Dash e che fa le ripetute, uno che si ferma perché ha i dolorini… e io allora chi sono? Sono solo uno che, evidentemente, non ha molta voce in capitolo quando si tratta di prestazioni atletiche. Mi rimetto comunque di buzzo buono e, in uscita dal ristoro, aumento un po’ l’andatura approfittando del ritmo blando tenuto all’inizio. Tanto corro sempre da solo. Faccio entrare qualche bella “power song” nell’Ipod e la scossa alle gambe mi aiuta ad arrivare agli ultimi chilometri. Al cartello dell’ultimo chilometro allungo ancora ed arrivo in bella spinta al traguardo: non sono nemmeno stanco come potevo immaginare, e non patisco i 21 km né durante il pomeriggio di domenica né il giorno successivo. Forse avrei potuto dare di più, ma non volevo proprio rischiare di finire la benzina a tre quarti del percorso.

Un bel percorso, da rifare e suggerire agli amici (almeno a quelli che non disdegnano di correre nella “bassa”), magari con l’aggiunta di qualche garetta serale più corta visto che adesso parte anche il circuito delle infrasettimanali. Tuttavia esco da Certosa con un dubbio amletico: non è che quando corro, o quando faccio orienteering, la gente pensa davvero di me “questo perché non se ne è stato a casa sua, anziché venire qui a farsi del male?”.
Post scriptum: per i soli finali, il tarchiato che faceva le ripetute è arrivato che io mi ero già cambiato e rifocillato…