Quando penso ad una attività sportiva nella quale la fortuna ha un ruolo persino meno che marginale, penso agli scacchi. E già questa prima frase contiene una affermazione che potrebbe far sobbalzare i più: “scacchi = attività sportiva”??? Il dibattito, in effetti, è aperto. A tutti i livelli. Chi nega che l’equazione sia vera, afferma che non si può concepire come “sport” una attività nella quale tutto il movimento è legato allo spostamento (... ogni tanto) di alcuni legnetti, con i contendenti che molto spesso (... ma mica sempre, come Thomas Buehrer insegna!) avrebbero serie difficoltà a fare un paio di rampe di scale senza farsi venire il fiatone.
Altri affermano che una attività, per essere considerata “sport” dovrebbe offrire uno spettacolo emozionante allo spettatore. Da questo punto di vista, non ci sarà mai uniformità di vedute tra chi non conosce il gioco, o lo conosce a malapena, e chi invece sa giocare almeno in modo decente: il primo, appunto, si limiterà ad osservarne la staticità, la noia, l’immobilità; il secondo apprezzerà meglio le situazioni che si creano sulle 64 caselle: pur non essendo io un giocatore titolato, assicuro che vedere dal vivo su internet le recenti partite del Torneo Corus è stato veramente emozionante (meno che il live dei WOC 2008... ma forse non sono uno scacchista abbastanza bravo).
Forse è vero, forse gli scacchi non sono uno sport. D’altra parte, gli scacchi rappresentano una attività ludica nella quale si fronteggiano alcuni contendenti; e, soprattutto, lo fanno seguendo un codice di comportamento ed alcune regole che rendono il gioco privo del “fattore fortuna”: non per nulla uno dei motti di cui gli scacchi vanno fieri è “in me vis sortis nulla sed ingenium”, negli scacchi la fortuna non conta nulla ma solo l’intelligenza. Gli scacchi sono un gioco nel quale la sorte ha impatto zero: non ci sono carte da distribuire, non ci sono dadi, non ci sono bluff, non ci sono trappole nascoste, non ci sono territori più o meno favorevoli allo sviluppo vincente di un piano: tutto il gioco si sviluppa nello stesso modo davanti agli occhi di entrambi i contendenti, tutte le informazioni sono ugualmente condivise, e non importa nemmeno che tu sia alto o basso, magro o grasso, uomo o donna, bello o brutto, amministratore delegato o barbone spiantato per comprenderle. Conta solo il più bravo, conta solo ci riesce a giocare meglio sulle 64 caselle.
Ci sono, è vero e mi sembra incredibile, giocatori di scacchi che si appassionano e si accalorano nel cercare di dimostrare che la fortuna conta anche negli scacchi: affrontare un avversario stanco o non in piena forma, è reale fortuna? Quando l’avversario perde perchè durante la partita non ha visto la mossa vincente, è reale fortuna? Secondo me no, ma è una questione di punti di vista. I giocatori di scacchi che vogliono attribuire alla fortuna un ruolo nella partita, secondo me, sono giocatori scarsi o in preda ad una forma di autolimitazione delle proprie migliori potenzialità.
E l’orienteering? E’ uno sport nel quale conta la fortuna? Ognuno si sarà fatto la propria opinione in proposito: magari può essere fortuna quando si vede un altro concorrente che esce dal punto, magari può essere fortuna quando si intravede una lanterna lontana nell’unico minuto secondo di angolazione che permette di non avere tra il proprio sguardo ed il telo nemmeno un albero. E’ fortuna quando il percorso è proprio congeniale alle proprie potenzialità... ma a questo punto mi sembra di ripercorrere la stessa frase nella quale dicevo “chi attribuisce un ruolo alla fortuna è un orientista scarso o in preda ad una forma di autolimitazione delle proprie migliori potenzialità”.
(... a questo punto dico che il “fattore fortuna” conta soprattutto per quelli scarsi come me! E’ per quelli come me che le lanterne si trovano anche “a culo”! Il fattore fortuna mi potrà aiutare in qualche occasione ad arrivare decimo anziché quindicesimo in una gara con venti concorrenti, ma non mi aiuterà mai a battere Carlo Rigoni... per fortuna l’orienteering è uno sport nel quale la classifica, almeno al livello dei primissimi, rende davvero onore a chi è stato più bravo)
Anche l’orienteering ha il suo gioco degli scacchi. Si chiama Trail-O. A me piace.
D’altronde ho sempre avuto una vera passione per gli enigmi, di ogni genere e tipo. Risolvere un enigma ben congegnato mi dà una soddisfazione paragonabile a quella che posso ricavare da una prestazione sportiva vincente: si tratta di una sfida intellettuale nella quale l’ideatore dell’enigma dissemina trappole di ogni tipo, tranelli ed indizi fuorvianti a fronte dei quali il solutore diventa di volta in volta investigatore, studioso, matematico, logico, scacchista...
Posso essere contento di una bella tratta fatta nel bosco e ricordare con uguale orgoglio il processo mentale che mi ha fatto capire la “Z” all’11° punto (mi pare fosse quello, ma chi c'era ha presente) della gara di Folgaria tracciata da Roberta Falda era un puzzle di altissimo livello ma era risolvibile. Il momento nel quale scatta la simbiosi tra la mente dell’ideatore dell’enigma e quella del solutore è un momento di grande esaltazione.
(... nella mia vita mi sono stati sottoposti, o sono andato io stesso a cercare, enigmi di ogni tipo. Per alcuni anni ho fatto parte di una squadra, i “Polgara” (in onore dell’eroina dei romanzi di David Eddings e della rappresentanza femminile della squadra), che si cimentava con un certo successo nei ludi definiti “Cenerentoliadi”, serate enigmistiche nelle quali la facevano da padrone sequenze numeriche e letterali, liste di oggetti o personaggi nelle quali si nascondeva immancabilmente l’intruso, quesiti logici ed illogici da far dubitare sia della sanità mentale del proponente che della persona che finalmente arrivava alla soluzione...)
Nel Trail-O ho trovato gli scacchi dell’orienteering: perchè anche qui vige il motto “in me vis sortis nulla sed ingenium”. So in partenza che per quanto mi possa allenare, non sarò mai in grado di competere con Carlo Rigoni. Nemmeno se mollassi tutto e ricominciassi da capo: come ho scritto nella risposta del post precedente, sono troppo stanco, sono troppo vecchio, sono soprattutto troppo scarso. Ma so che nel trail-O tutti partono allo stesso livello: l’enigma è lì da risolvere, davanti agli occhi, e le informazioni sono condivise; sta a me trovarle, sta a me risolvere l’arcano, e se non ci riesco non ho scuse: se non rispondo correttamente vuol dire, banalmente, che non sono stato abbastanza attento, che non ho analizzato correttamente la situazione, che non sono stato sufficientemente bravo. Nel trail-O ho trovato una disciplina nella quale battere o essere battuto da “Carlo Rigoni” o da chiunque altro dipende solo ed esclusivamente da me.
Pur non avendo partecipato all’inizio della stagione 2010, c’è stato abbastanza “Trail-O” attorno a me in queste ultime settimane... ci sono stati tanti “rumors” che sono arrivati spesso anche alle mie orecchie; forse in questo momento è difficile arrivare ad una corretta quadratura del cerchio tra le esigenze e le aspettative delle tante anime del movimento orientistico e delle discipline che lo compongono (che per me è una sola, perchè sempre di andare in giro a caccia di lanterne si tratta!). Non prenderò posizione perchè sono abbastanza “antico” da essere convinto nell’animo che tutto si sistemerà e che la cosa più importante tornerà presto ad essere la lanterna da trovare nel bosco. Mi limito quindi ad augurare, da vecchio scorridore dei boschi quale sono e che tale continuerà ad essere anche nel 2010, sia agli orient-isti che ai trail-oisti di poter trovare la giusta dimensione e le meritate soddisfazioni senza incaponirsi sulle reciproche supposte interferenze.
Stefano G.
Ps: ho citato più volte Carlo Rigoni, e non perchè Carlo mi sia antipatico. Al contrario, ho grande stima di Carlo: penso che sia un grande atleta, una persona veramente a modo che con me è sempre stato estremamente cortese. Non lo batterò mai, perchè rispetto a me è di un altro pianeta, ma ci proverò sempre. In fondo anche Vitas Gerulaitis si è trovato 0-17 contro Bjorn Borg e ha continuato a provarci...