Quali che saranno i miei futuri, eventuali, diradati, impegni come speaker… una volta giunto al momento di trarre qualche conclusione, sento di poter lasciare in eredità alle prossime generazioni almeno tre piccole cose, tre frasi, che hanno rappresentato un piccolo “topos” microfonico, un personale patrimonio che mi piacerebbe poter riutilizzare di tanto in tanto.
Frase numero 1: “Nel bosco succede di tutto!”. Non ricordo precisamente quando l’ho utilizzata per la prima volta; e non pensavo nemmeno che questa piccola cosa si sarebbe rivelata uno strumento assai potente. Lo associo (… scusa Christine…) all’arrivo di Johanna Murer alla Coppa Italia di Laghi di Fusine Eppure basta pensarci: “Nel bosco succede di tutto!”. E’ una delle caratteristiche principali dell’orienteering, tracciata in racconti o video divertenti: che ne sappiamo, noi spettatori (noi speaker) di quello che realmente succede nel bosco? Abbiamo gli split times (e non da sempre), abbiamo le cartine ed i blog ed i trac-trac (ma dopo la gara). Abbiamo persino i GPS… (ma Klaus e Teno NON lo avevano a La Feclaz, per il “gioia” tra panico ed invenzione pura di Per Forsberg!). Eppure “nel bosco” succede veramente “di tutto”. Smetterà di succedere solo il giorno in cui anche nel bosco avremo la diretta della gara metro per metro; fino ad allora varrà sempre la mia frase. Mi accorgo di quanto sia stata accettata dagli orientisti quando capita, raramente ma capita, che qualcuno mi dica “Sai che nel bosco è veramente successo di tutto?” (in genere questo commento è associato ad una rimonta miracolosa o mirabolante da parte del mio interlocutore, anche se per lo più sono state delle ragazze o delle signore a raccontarmi queste cose). E me ne sono accorto il giorno in cui Aaron Gaio ha scritto “Poi nel bosco succede di tutto” in un suo pezzo per il sito Fiso, qualche anno fa: ho riconosciuto quella frase come “mia”, chiedendomi se Aaron l’avesse usata consciamente o subconsciamente, o scoprendola da solo. Mi capita di pensare che l’orienteering sia ancora uno sport definibile con 5 parole: “Nel bosco succede di tutto!”.
Frase numero 2. Questa funziona meglio in italiano, anche mi piace utilizzarla in inglese. Federico “Bach” Bacci potrebbe associare un vago accento nord-americano, diciamo di Evanston, Illinois… “La gara non è finita finché l’ultimo svedese non ha parlato!”. Detta in inglese a Timo Teinila, professional finnish speaker… ecco, diciamo che Timo ha fatto una faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che hanno gli scandinavi quando non capiscono la battuta (Lucie Babel mi aveva già bollato come superfluo, quindi la sua espressione non conta). Nella mia testa, la frase funziona con gli svedesi, con Thierry G. e con Simone L., e stop. Può anche essere che lo svedese in questione sia staccatissimo, bolso, a tratti impiegatizio (ma mai panzottello)… ma nel nostro sport c’è sempre quel non so che di imprevisto, c’è sempre lo spazio per l’ultimo guizzo non pronosticato (c’è persino la remota possibilità che un giorno Tero canni una gara!). L frase si presta poi ad una serie di variazioni: non ha “scaricato” (la si-card), “terminato”… a me piace la versione con “parlato”. E come detto mi riesce solo con gli\le svedesi. In inglese probabilmente fa un po’ ridere…
Frase numero 3. Questa invece è piaciuta a Per Forsberg, che due giorni dopo a La Feclaz me la ha (giustamente) fregata. Non è una frase originale, ma forse il primo ad usarla in contesto orientistico sono stato io: “Back in business!”… e quel giorno a La Feclaz, durante l’ultimo giro della staffetta femminile, Forsberg ha potuto utilizzarla parecchie volte (con mia somma rabbia). Questa non funziona in italiano, ma è di sicuro ben comprensibile a tutte le latitudini. E poi è secca, immediata, si pronuncia tutta di un fiato. Trasmette l’idea della rimonta emozionante (a chi è mai piaciuto uno che vince le gare con 6 minuti di vantaggio, senza sforzo apparente? Ai fans di Therry, forse… ). Mi piacerebbe, prima o poi, tornare ad utilizzarla; non escludo che un giorno possa capitare qualcosa che me la tirerà di nuovo fuori di bocca, e se così sarà, autorizzo gli astanti a ricordare che per una volta sono stato io a suggerire qualcosa al Big Yellow Tuna (sempre Per Forsberg) e non viceversa…
Tutta questa manfrina per arrivare al punto. “Back in business?”. Forse si. Forse nel fine settimana scorso persino io sono tornato in affari (orientistici), e per una sorta di legge del contrappasso questo è avvenuto partecipando a due gare che, per la loro tipologia, sono per me le meno appetitose tra quanto può offrire lo sport con cartina e bussola: una staffetta ed un “centro storico”.
*** ***
Cominciamo con la staffetta. C’è sempre qualcosa di strano in una gara a staffetta che, in fondo, vede il concetto di squadra ridursi al passaggio di mano di una cartina o al tocco di una mano con l’altra. Oppure questo passaggio di mappa o questo tocco racchiudono al proprio interno qualcosa di ben più profondo: un “passaggio di fiducia” tra un frazionista e l’altro. E’ come se i concorrenti si dicessero l’uno con l’altro: “Eccomi… io ho fatto del mio meglio, nel bene e nel male. Ho corso per rispettare il bosco, me stesso, ed oggi anche per rispetto nei tuoi confronti. Ora tocca a te”. E la risposta potrebbe essere qualcosa del tipo: “Fidati di me. So che hai fatto del tuo meglio, ed io farò la stessa cosa per quelle che sono tutte le mie possibilità”. E’ come un contratto. Un contratto di fiducia. Che a me è capitato di vivere, in alcune occasioni, come il passaggio di mano di un fardello. Un fardello che però, spesso, si è rivelato troppo pesante da caricare.
Ho corso le mie prime staffette, a metà degli anni ’90 ,con Stefano Mannini e con Stefano Molinari. Erano, appunto, le staffette degli “stefani” dell’Unione Lombarda. Mi piaceva cogliere l’aspetto adrenalinico della questione, correre “uomo su uomo”, vivere la possibilità di una rimonta guardandosi al tempo stesso alle spalle per gestire le altre squadre. Pur sapendo di non avere chances di vincere e nemmeno di avvicinarsi ai podi, in genere mi consumavo nell’attesa del mio frazionista; con l’unico risultato di bruciare tutte le energie mentali prima ancora della partenza. Lo dico con sincerità: in H21 ho sempre fatto delle frazioni conclusive di staffetta schifose, laddove i miei compagni di squadra riuscivano persino a passarmi il testimone in posizioni decisamente migliori rispetto a quelle che un esame a secco della ranking list avrebbe potuto pronosticare. Dopo una ennesima edizione catastrofica della staffetta regionale, dissi a me stesso che non avrei mai più corso una staffetta se non in posizione di “tappabuchi”: della serie, o me o nessun altro! (si vedrà poi che non sempre l’opzione “me” si è rivelata la migliore…).
Nel corso degli anni successivi, pur essendo migliorato tecnicamente e giunto all’apice della mia performance atletica, ho sempre amato correre staffette Open con gli amici. La squadra “Borroni-Labanti-Galletti” scherata al via di qualche Trofeo delle Regioni ci consentiva di gareggiare in tranquillità, sfidandoci con altre squadre parimenti amalgamate, con la consapevolezza che non avremmo fatto poi così tardi al traguardo. Mi sono divertito a gareggiare spalla a spalla con Helmuth Murer a Pian del Gacc ,con Paolo Bort a Sella Valsugana, con Anna Piola a Jenesien. Mi provato l’ebbrezza di vedermi disegnare in diretta da Andrea Rinaldi in persona, lungo il “breve falsopiano” tra il cambio e la svedese, la cartina di gara di una edizione del campionato regionale trentino. Ho affrontato con caparbietà insieme ad Attilio un’altra edizione del campionato trentino a Roncegno, nella pietraia infernale pre-realizzazione del reticolo di sentieri, laddove in nostro unico scopo era quello di riuscire a rimanere nel tempo massimo di gara. Ho stupito gli organizzatori teutonici dell’Arge Alp bavarese con una staffetta Borroni-Kollock-Galletti, ed in un’altra Arge Alp ho gareggiato nella fittizia staffetta “Lombardei” quando il Comitato Regionale aveva boicottato apertamente la partecipazione alla manifestazione.
Ho vinto persino due medaglie regionali in staffetta M35. Ed in entrambi i casi non per merito mio! A Pianfei feci una prima frazione di staffetta disastrosa, soprattutto nella parte finale, facendo partire Attilio con grande ritardo rispetto a tutti gli altri; fu con un certo grado di sconcerto che scoprimmo, già sulla strada del ritorno in zona Alessandria, che una seconda frazione di Attilio veramente tosta ci aveva riportato al terzo posto! E poi ovviamente l’edizione torinese del Parco della Pellerina, affrontata da me in modalità “sciallo che più sciallo non si può”: quel giorno, conti alla mano, Marco Giovannini avrebbe vinto la staffetta M35 gareggiando con qualunque frazionista di qualunque altra staffetta fino al… credo di ricordare… settimo posto, cioè con chiunque scelto tra altri 13 concorrenti. Scelse me, e diventai così mio malgrado persino campione regionale a staffetta.
Nel 21° secolo sono diventato famoso più come il “José Mourinho delle staffette” o come “tatticone”, che per le mie performances. Il mio acume tattico e la mia conoscenza delle altre squadre ha aiutato l’Unione Lombarda a conquistare due titoli di campioni italiani M35, a Passo Coe ed a Passo Radici; laddove, per dimostrarsi un genio della tattica, il sottoscritto non ha dovuto fare altro che declinare all’ultimo momento la “convocazione” per la staffetta “A”! A Passo Coe ci giocavamo il posto di secondo frazionista Andrea Battelli ed io; io però gareggiai il sabato in una durissima H35, mentre Andrea aveva privilegiato l’HB. Sapevo che Andrea era più coriaceo di me in una gara a staffetta e decidemmo nel pomeriggio che avrebbe gareggiato lui. Fu una giusta intuizione: Andrea fece “la gara della vita” e quando in seconda frazione lo vedemmo attraverso il pratone che declinava verso il bosco rimontare e staccare l’US Primiero, capimmo che quel giorno qualcosa di buono avrebbe potuto succedere. A Passo Radici il terzo posto in staffetta era conteso tra me ed Oscar, inamovibili Marco e Remo, e nelle gare precedenti io avevo forse mostrato di andare più forte di Oscar; una settimana prima dei campionati italiani, alla Due Giorni della Valsugana, misi insieme delle pascolate non indifferenti e ad ogni secondo perso mi veniva addosso il peso della staffetta che avrei dovuto correre una settimana dopo. Al traguardo, dichiarai convinto che il terzo frazionista sarebbe stato Oscar, che era più veloce di me in un arrivo ristretto, più bravo di me, più tranquillo di me… e tutti sappiamo come è andata a finire, no? Oscar in ultima frazione rimonta nelle ultime tratte di gara e vince quasi in volata. L’Unione Lombarda vince il suo secondo ed ultimo titolo italiano ed il mio “gran rifiuto” fa di me l’eroe di giornata ed un genio tattico.
Ma una gara a staffetta è stata anche protagonista di una cosa che, in negativo, non dimenticherò mai. A Jenesien fui terzo frazionista di una staffetta Unione Lombarda “B” che pure così tanto scarsa non era (erano anni nei quali l’UL gareggiava sempre per il titolo con i vari Giovannini, Brambilla, Madella, Deligios, Bozzola, eccetera variamente amalgamati). Partii in terza frazione in una virtuale settima posizione, virtuale in quanto il nostro primo frazionista aveva fatto una PM (per la quale nessuno se l’è mai presa… le staffette sono fatte così: come dice il maestro Andrea Rinaldi “si corre alla velocità del treno”). Ma alla seconda lanterna mi ritrovai in una virtuale quarta posizione! Ricordo ancora i tre staffettisti delle squadre partite davanti a me: passavano più tempo a guardarsi tra loro per non “perdere il treno” che a fare le cose fatte bene, e se per caso uno dei tre partiva all’improvviso in qualche direzione (sbagliata!) gli andavano tutti dietro. Quel giorno a Jenesien mi feci del gran ridere con Anna Piola (Interflumina, poi protagonista anche lei a Passo Radici nel bronzo Elite con Corinne Somenzi e Daniela Poete): più lei restava esterrefatta del comportamento di quei tre, più io ridevo, più lei rimaneva ancora più esterrefatta: in pratica eravamo noi due a trovare i punti per quei tre duellanti! Poco prima del punto spettacolo, la salita rimasta scolpita nelle parole del narratore per il sito Fiso (
http://www.fiso.it/notizia/forestale-e-us-primiero-1-1-gli-ori-a-staffetta "tra lo stupore un po’ generale, dalla curva sbuca la tuta bianca e gialla di Nicole Scalet, che avanza in salita ad un ritmo insostenibile per chiunque, e colpisce soprattutto per la sua tranquillitá ed imperturbabilitá quando Roberto Pradel le segnala che é in fuga da sola nella gara per il titolo assoluto"), uno dei tre mi fece capire con un giro di parole che la mia presenza era abbastanza invadente (sapevamo tutti che facevo parte di una staffetta squalificata). La gentile perifrasi fu all’incirca questa: “Galèti! G’hai roto i cojoni!”. A quel punto mi fermai, feci la salita verso il punto spettacolo camminando e parlando con Paolo Mutterle e completai il secondo giro in modalità molto “scialla”. Il risultato fu ovviamente un tempo di gara rivedibile; non avevo ancora cominciato a cambiarmi che un mio compagno di squadra mi affrontò dicendomi che “Tizio e Caio (i primi due frazionisti) avrebbero meritato un terzo staffettista ben più forte!”. Da quel giorno non ho più corso in staffette dell’Unione Lombarda che hanno ambizioni di classifica (e il fatto di essere diventato più noto come speaker che come orientista, mi aiuta alquanto…). Anche questo episodio, tuttavia, va letto in chiave positiva: ero talmente infuriato che abbandonai subito la zona gara e me ne andai in solitaria a gareggiare al “Trofeo della Grotta di Villazzano” che l’Orienteering Pergine e la famiglia Fasani organizzavano proprio il pomeriggio del campionato a staffetta. In una gara di meno di 3 km con un dislivello di quasi 300 metri (d’altra parte Villazzano è fatta così) vinsi la MA…
*** ***
Quando in calendario compare una gara a staffetta, il mio primo atteggiamento è quello di guardare altrove ogni altra possibilità. L’ho sempre fatto, e figuriamoci quali potevano essere i miei pensieri in questo anno di (poca) grazia! Marco G. ha insistito per correre insieme la staffetta (pensavamo di poter gareggiare in M40, ci siamo dovuti accontentare dell’Open corsa sotto i colori OK Trzin+Aget Lugano), ma per tutta la giornata del sabato di gara la vecchia scimmia mi ha tormentato, tenendomi per due volte forzatamente a letto, facendomi venire un attacco di panico, scatenando tutta la tristezza che potevo sentire nelle canzoni che ascolto in questo periodo. Lo dico chiaramente: se Daniela Putzu e Luca Battistoni non avessero parcheggiato proprio di fronte a me, e se non fossi arrivato al ritrovo con loro (già in totale acido lattico), Marco e Mary avrebbero dovuto venire a cavarmi dall’auto con la forza! Poi però è successa una cosa straordinaria: tutto quanto è andato mediamente bene! Ho fatto una fatica dannata a correre nei pratoni di Parco di Monza sotto il primo sole cocente della stagione, non ho avuto cattivi pensieri, mi sono maledetto da solo quando ho cercato di disegnare una nuova traccia nell’erba alta 60 centimetri di un prato a bordo Lambro (il primo che è passato di lì, o è Mats Haldin con le sue gambe-circonferenza-tronco o ha fatto davvero una fatica assurda ed è un eroe)… insomma, non ho avuto altri pensieri se non quelli che un (quasi) normale orientista impiegato panzottello dovrebbe avere.
Il che mi ha dato abbastanza morale per andare a correre domenica scorsa a Mezzago nel “centro storico degli asparagi”. Mezzago è un posto carino, nella Brianza che sta per diventare bergamasca, piccolo e tutto piatto, con la cartina che ad est digrada verso i campi di asparagi che rendono famoso il borgo. La gara che si rinnova da qualche anno (il terzo o il quarto) è sempre simile a se stessa: partenza a 10 metri da ritrovo, arrivo al ritrovo e pressione nervosa pari a zero. E’ una gara per il “trofeo centro storici lombardi” (mica pizza e fichi!), ma l’atmosfera tra i concorrenti è sempre quella di qualche decina di amici che hanno preso il pallone, lo hanno portato a gonfiare dal benzinaio del paese ed hanno messo giù le magliette a mo’ di pali della porta.
Forse questa è l’atmosfera giusta per il sottoscritto. Perché a Mezzago, pur tra tutte le paure ed i fantasmi che popolano i miei sogni, è successa una cosa strana tra la lanterna 3 e la lanterna 4. Anziché fare una scelta sicura a bordo carta, mi sono impelagato in una scelta più tortuosa anche se alla fine più corta. Ma non è la “scelta” la cosa importante. Quello che è successo tra la 3 e la 4 è che la vecchia scimmia si è ripresentata a sussurrarmi nell’orecchio tutte quelle cose che mi diceva anche a Carrega, e che avevano come unico effetto quello di far inceppare il motore: “Vedi come è facile? Come è sempre stato facile? Cosa ci vuole a far tornare a galla il vecchio Stegal di due anni fa?”.
La vecchia scimmia sa che lo Stegal di due anni fa non tornerà più, e che certe cicatrici sono dure da far passare. E sa benissimo che farmi tornare indietro con i pensiero è il modo migliore per mandarmi in crisi. Se non lo sapesse, non sarebbe la vecchia scimmia… A Mezzago però, mentre superavo il buon Stefano Boveri che spero non si sia accorto di tutto questo travaglio interno che stavo vivendo, la mia testa non ha reagito facendo calare quel buio che ho vissuto ad Alzate, a Corvara ed in altre occasioni. La risposta è stata vagamente ricorsiva: “Scimmia! G’hai roto i cojoni!”. E ho tirato dritto per la mia gara. La scimmia se ne è rimasta vagamente offesa, seduta sul sedile di fianco al guidatore (la scimmia mette anche la cintura di sicurezza) nel viaggio di ritorno a casa sotto la grandine. Non so perché, da una settimana la scimmia è ancora zitta, e la vedo qui in giro sempre meno spesso.
Forse, ma forse, anche io sono “Back in business!”.