La sottile linea rossa
Il pomeriggio di sabato 26 aprile ero immerso nei miei pensieri stanchi e per l’occasione ancora meno lucidi del solito, e mi sono domandato se mai un giorno Per Forsberg vorrà sapere chi è quel tale che gli è stato appioppato come spalla muta, tipo Fabio di “Fabio e Mingo”, per le cronache live dei WOC 2014 che stanno per arrivare.
Dal pensiero sono passato all’azione, e nel giro di una mezz’ora di lavoro ho messo insieme una specie di curriculum vitae delle mie esperienze al microfono, fresche del Campionato Italiano Sprint appena terminato a Sopramonte e… già che c’ero, del Campionato Italiano Middle che sarebbe andato in scena l’indomani.
Ho compilato la lista di gare che sono state accompagnate, talvolta (spero) allietate ed altre volte (certamente) afflitte dalla mia voce che sale e scende di tono senza un filo logico, che si esalta per un arrivo inaspettato in W14 (Vera Chiusole: il giorno che sarebbe diventata campionessa italiana, qualcuno avrebbe dovuto ricordarsi che io l’avevo pronosticato per primo… e quel giorno è arrivato a Sopramonte!) e si dimentica di Marco Seppi vincitore in MElite. Ho rivisto nel film le immagini della prima volta a Pian del Gacc, gli Altipiani di Asiago, il WRE in Andalusia, i tanti Campionati Italiani. In 10 anni, sono stato dietro al microfono 128 volte! Contate una ad una. In queste centoventotto volte, centoventisette mi hanno visto anche in gara prima della partenza del primo atleta; in due o tre occasioni (Monghidoro sotto la neve, la tappa del Lago di Lavarone alla 5 giorni dei Forti, a Pian del Gacc e forse anche a Lanzo d’Intelvi) non sono riuscito ad arrivare al traguardo in tempo per accogliere il primo concorrente “vero” della gara.
Ho sempre cercato di fare del mio meglio per gareggiare nelle stesse condizioni degli atleti, con una mappa vera in mano, con una categoria vera nella quale figurare in classifica fosse anche solo una classifica valida solo per me perché non ho i punti per fare l’Elite. Questo fatto di correre la gara nella stessa condizioni degli atleti è l’unica molla che mi dà la carica per cominciare a parlare al microfono; spesso ho usato la mia qualifica di “atleta in gara” per permettermi quelle libertà di pensiero e di commento critico che non mi sarebbero permesse, per rispetto verso gli altri atleti, se io non mi fossi cimentato prima di loro nelle stesse condizioni, sullo stesso terreno, tra le stesse pietre o paludi, salite o discese ripide, a cercare i loro stessi punti ed a penare per un errore di parallelo che ti lascia venti minuti a vagare in una zona identica a quella dove pensi di essere (ma uguale per cartografia… se non fosse per quella canaletta non segnata! Ma di sicuro è una dimenticanza del cartografo…) o quando le lanterne sembrano essere state portate via dagli alieni (passi dietro ad un sasso, la lanterna non c’è! Vaghi per cinque minuti per riposizionarti, ritorni allo stesso sasso e trovi la lanterna…).
Ricorderò sempre il commento assolutorio di Klaus Schgaguler dopo la sua vittoria ai Middle di Asiago, quando gli ho fatto notare che il suo tempo era esattamente la metà del mio “Si, ma tu hai corso al buio e sotto il diluvio!”. Ricordo tutte le volte che ho costretto un organizzatore a fare i salti mortali per consegnarmi una mappa di gara alle prime luci dell’alba, a gestire la mia iscrizione in una categoria alla quale non posso partecipare, a prevedere la presenza di un folle solitario nel bosco alle 7 del mattino, o anche prima quando è stato possibile. Ho ricordato poi tutti i commenti “Chi glielo fa fare?”. Ed infine, nella compilazione di quella lista che ha toccato quota 100 – a mia insaputa fino a tre giorni fa - agli European Master Games a Sgonico, ho ricordato quelle volte in cui sono stato io a chiedermi “Che ME lo fa fare?”. La risposta a quest’ultima domanda è sempre la stessa: io sono – ancora – un orientista. Non sono uno speaker. Se fossi uno speaker, proverei a fare il Per Forsberg; ma non mi divertirei così tanto. Sono un orientista, quindi provo a fare l’Alessio Tenani. Non ci riesco, ma mi diverto di più! E poi capitano le occasioni come a Overmountain, nello scorso fine settimana, quando in soli due giorni ho provato a fare sia Alessio Tenani che Christine Kirchlechner in un colpo solo.
Ho fatto fatica, tanta, fino a toccare spesso quella sottile linea rossa dell’indicatore della benzina nel motore che costituisce la differenza tra il divertimento puro e la sofferenza masochistica. Ho impiegato un’eternità a finire le gare, e quella sottile linea rossa è diventato il confine tra una prestazione decente, che però motiva la mia richiesta di correre una categoria superiore alle mie possibilità, ed una indecente che non è altro se non la rivendicazione edonistica di un falso speaker a gareggiare su un percorso che non ho più nelle gambe e neppure nella testa.
Verrà un giorno nel quale non sarò più in condizione (o non ci saranno le condizioni logistiche) di fare la gara E essere lo speaker. Quel giorno dovrò fare una scelta, e non è detto che abbraccerò la causa del microfono. A Overmountain mi è andata ancora bene, e se sono qui a raccontare la mia sfida alle Donne Elite nel Campionato Middle più duro che io abbia mai corso (e ne ho corso anche qualcuno maschile!), allora forse vuol dire che ho ancora un po’ di margine prima di dover gettare la spugna.
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Dal punto di vista orientistico, la difficoltà più grande del fine settimana (ok… ci sarebbe anche la lanterna 2 del percorso di domenica, ma ci arriverò) è stata quella di uscire indenni dal paesino di Roncafort, periferia di Trento, paese che d’ora in avanti chiamerò “lasciate ogni speranza voi che entrate”! Non ho idea di chi abbia disegnato la planimetria di questo posto, ma ad un certo momento ci siamo trovati con il giro del Trentino tutto attorno a noi (e strade bloccate), una serie di stradine che non portano in nessun posto, una simil-tangenziale che ci riporterebbe indietro di qualche chilometro rispetto alla nostra destinazione, ed un navigatore che entra in sciopero suggerendo il fatto che il punto di arrivo è praticamente in mezzo ad una foresta.
A Roncafort esiste, e se mai ne è esistito un altro non lo so, un trivio da cui partono tre strade ognuna delle quali ha un cartello “divieto di transito – vietato l’accesso” all’inizio! Prima di cedere all’esaurimento nervoso, il guidatore PLab riesce nell’impresa di fare un quattrocento metri in retromarcia tra dossi, curve e recinti ed in qualche modo torniamo in carreggiata per arrivare alla promozionale dell’Orientaparco al Quartiere Albere, zona Muse e Stadio Briamasco, di Trento. Orientaparco: la risposta trentina alla “Milano nei Parchi”. Una risposta che, purtroppo per i milanesi, non ammette repliche: decinaia e decinaia di persone al via, gonfiabili, gazebi, punzonatura elettronica ed una carta piccola, piatta, sostanzialmente cittadina, ma divertentissima!
Fin dal primo punto di controllo del mio percorso MElite penso a che figata sarebbe se su quel punto ci fosse una telecamera fissa collegata ad un maxischermo in zona arrivo. Sarebbe bellissimo vedere gli Elite balzare felini nella canaletta che scorre tra i portici, con sbuffi d’acqua ovunque e slow motion, o sbucare tra le siepi o correre tra le persone assiepate attorno all’unica asperità del percorso (una depressione nel parchetto) che ovviamente nasconde la sua bella lanterna che dovrò ripetere due volte! Due volte? Due volte. La mia mente bacata è più instabile di quella del Barone di Muenchhausen, infatti, e non realizza che l’Orientaparco non è la Milano nei parchi, e quindi se c’è la punzonatura elettronica bisogna fare “clear and check”, e non capisce cosa intenda papà Raus quando alla partenza mi dice che la carta è già girata sul lato giusto. Cosa mi importa se è girata giusta? Sono un orientista, la oriento io la carta! L’importanza e la correttezza del suggerimento mi arriva forte e chiara dopo la lanterna 14, quando già in debito di forze ed ansante come un cane malato mi accorgo che il percorso ripassa dalla partenza.
Dopo aver scartato l’idea di dover fare un secondo giro, compio il gesto più ovvio di girare la carta e … sorpresa sorpresa!... c’è proprio un altro giro da fare. Peccato che le energie siano già al di sotto della sottile linea rossa della riserva e quindi il secondo giro (sempre divertentissimo) si trasforma in un piccolo calvario cui assistono purtroppo le tante persone che affollano il parco e che si saranno chieste chi è quella specie di bradipo grasso fasciato nei colori del Lillomarka OL che deambula avanti e indietro superato ad ogni incrocio da qualche ragazzino ben più atletico. Causa dimenticanza del clear and check, in mio tempo finale verrà calcolato con qualche algoritmo della Nasa, o forse è solo “Davide Volpi meno 1 secondo”!
Dal punto di vista della prestazione atletica, non mi va meglio nel caldo ed umido sabato mattina dei Campionati Sprint. Sono fisicamente esausto già prima di partire! Il fatto che le prime tratte di gara si corrano in una classica “erba da elefanti” da sfondare passo dopo passo (chi è partito dietro di me non mi ha nemmeno ringraziato!) abbatte ancora di più il livello del carburante a disposizione; se non sapete il significato di “erba da elefanti”, nessun problema: non avete letto “Il grande affare del sassolino” di James Grady e probabilmente eravate a fondo griglia…
Il percorso di gara è labirintico il giusto, duro il giusto, complicato un po’ troppo oltre il giusto per quanto riguarda quei muretti attraversabili o no (io che non ho problemi di tempo ho sempre fatto il giro largo, ma talvolta più per imperizia tecnica che per effettiva volontà di essere aderente ad un regolamento che non trovo equo). Quello che sicuramente non è al posto giusto è il sottoscritto che arriva al traguardo in un tempo da Campionato Middle dopo aver dato una piccola pettinata anche al campo da fieno posto sotto la zona arrivo, campo nel quale sono posizionate ben tre lanterne e che purtroppo si vedrà benissimo dalla zona spettatori ma dal quale lo speaker Andrea Segatta ed io riusciremo a cogliere i passaggi principali di una gara che è stata sicuramente emozionante e si è davvero chiusa solo con l’arrivo dell’ultimissimo concorrente.
Resta solo la gara di domenica mattina, per la quale Andrea Rinaldi ha in serbo per me una sorpresa: visto che non sono in condizioni di correre la MElite (arriverei al traguardo a mezzogiorno) e nemmeno la M35 (arriverei alle 11.45), e visto che non intendo fare il mio ingresso trionfale in M45 almeno fino a metà luglio (sindrome di Peter Pan, questa sconosciuta)… tanto vale attivare la molla che carica lo speaker con un percorso speciale, quello che per l’occasione non può vedere al via Christine Kirchlechner! Ebbene si. Grazie alla solita burattinata di regime mi è stato consentito di partire sul percorso delle WElite. Cosa che ho accettato di buon grado e anche con un certo spirito di sfida lanciata alle ragazzine ed alle ragazzone più forti della lista base italiana…
(questa è la carta Elite maschile presa dal sito di Alessio, perché NESSUNA WElite ha ancora un suo blog nel quale inserisce le carte di gara... quindi speriamo che prima o poi Larrycette passi in WE!)
… uno spirito di sfida che ha pensato bene di tornare alla base nel momento in cui è diventato palese che il bosco nel quale mi stavo infilando sotto il diluvio era più buio che guardare nel culo di una marmotta! Lo stesso spirito di sfida è poi tornato sotto le coperte a dormire quando mi sono accorto che la prima lanterna era in cima ad una salita terrificante in mezzo al disbosco (“… sembrava che avessero tirato giù gli alberi con le bombe!”). Comunque la prima lanterna l’ho trovata subito.
Non così la seconda. Per festeggiare il gemellaggio con il Semiperdo Maniago, con Clizia Zambiasi nello specifico, il mio tempo sulla lanterna due è di 17’42”! E non ho ancora affrontato la terribile pietraia nel verde che costituirà, penso il leitmotiv delle prossime discussioni orientistiche… Poiché Dario Pedrotti ha già descritto nel suo blog la mia stessa scelta di percorso, risparmio energie e faccio copia&incolla: “tratta lunghissima a scelta multipla (più da long che da middle, ma a me che'mmi frega) che decido di prendere di petto, puntando al sentierino che porta alla forestale che taglia il verdone sassoso, e a uscirne poi dalla strada più corta, diritto verso il punto. Esecuzione da manuale, discesa precisa poco sotto il bivio, saluto festoso alla stradina, discesa a manetta fino al curvone e corsa sgarrupata fra i sassi e il verdino fino a sbucare al sentiero dopo”. Purtroppo la festa finisce quando devo risalire alla mia 5 (la 6 del percorso MElite) tra canalette e fossi profondi che faccio davvero fatica a distinguere da tanto che fa buio (sono davvero nel culo della marmotta!). Attacco la 5 dal basso e non la trovo, poi dall’alto e non la trovo, poi per miracolo ci finisco addosso e piango per la fatica e le energie sprecate.
Da quel punto in poi, diventa quasi una passeggiata di salute.
So di aver fatto la maggior parte della salita, di aver superato il doppio passaggio nella pietraia più fetida e sono ancora in piedi. E’ una passeggiata un po’ masochistica e molto fradicia di pioggia, ma divertente perché non ho nulla da guadagnare e posso permettermi di prestare particolare attenzione nei passaggi tra e sopra le rocce che sono diventate delle autentiche saponette (non potrà essere la stessa cosa per tutti coloro, in tutte le categorie, che gareggiano per le medaglie e che in tanti si frantumeranno tra le rocce… assicuro che anche le mie gambe sono piene di ferite). Vengo a capo del secondo grappolo di punti appoggiandomi alla curva del sentierone posto a sud della 11 (la mia 8, mi pare di ricordare), proprio nessun problema sulla 9 e 10 (la 12 e 13 degli Elite maschili). La mia 11 e 12 sono la 16 e 17 del percorso Elite maschile, e di schiantarmi di nuovo tra i sassi non ne ho comunque voglia, quindi faccio il giro largo scendendo a nord-est e prendendo il sentierino che porta proprio in zona punto (scelta apprezzata da Davide Miori, in particolare per il modo in cui ho trovato la 11, entrando a muzzo dal sentiero…).
Le tratte successive si corricchiano persino bene fino al suggestivo passaggio nella “grotta” con il tavolo da lavoro tutto impolverato. Da lì è tutto facile. Avvicinandomi al traguardo spero di cogliere in lontananza la voce dello speaker, primo contatto umano dopo l’incitamento di Andrea R. al via, ma la pioggia sta costringendo gli organizzatori a fare gli straordinari per approntare una zona arrivo quantomeno regolamentare e la postazione microfonica è l’ultimo dei problemi. Chiudo il mio primo (probabilmente ultimo) Campionato Middle WElite con il ragguardevole tempo di 1 ora, 40 minuti e qualche secondo meno di 23, visto che il finish non era ancora approntato e Davide Miori è stato costretto a corrermi incontro con cavalletto e tutto il resto!
Un risultato che, unitamente a quello della Sprint che ho corso in un temo da Middle, mi consente di mettere in saccoccia una Middle con un tempo da Long se non Ultralong… Federica Negri e subito dopo Sara Liparesi e Anthea Comellini, prime al traguardo tra le vere WElite, mi picconano addosso quasi 30 minuti di distacco. Bravissime loro! Non ci sono più le WElite di una volta… adesso ogni fanciulla che corre in quella categoria non esiterebbe un secondo a scalcarmi via il cuore dal petto con le scarpe chiodate pur di lasciarmi indietro di almeno mezz’ora… Ma devo ammettere che non sono loro ad andare più forte ma io ad andare molto più piano. Però continuo a divertirmi. Verranno giornate migliori per le mie gambe e la mia testa e la sottile linea rossa che mi divide dalla scelta se tornare ad essere un solo-orientista sembra ancor lontana.
E che Per Forsberg si porti dalla Svezia un buon numero di pastiglie per la voce! Ne avrà bisogno…