Tutto in una notte (parte prima)
Dall’8
ottobre all’11 novembre. Tutto in un fiato, tutto in una notte. Come in uno dei
miei film preferiti, quello con Jeff Goldblum (che è alto esattamente quanto
me) ed una Michele Pfeiffer che non sarebbe mai più stata così bella. Ci sono
periodi dell’anno nel quale guardo il calendario aggiornato delle gare, dove
sono evidenziate quelle nelle quali sarò speaker, e degli impegni di lavoro
all’estero. Fin dall’estate avevo mirato a quel periodo lungo più di un mese
durante il quale si sarebbero susseguiti nell’ordine: Lussemburgo – Toronto –
da qui paracadutato direttamente al weekend di Bobbio e Ceci – vari viaggi a
Parma – poi la 3 giorni a Roma – ancora Parma – il weekend di finali di Coppa
Italia a Bologna. Infine sarebbe arrivato sabato 11 novembre, e avrei potuto
dormire senza dovermi più preoccupare di
mettere la sveglia… (ma domenica 12 novembre ci sarebbe stata la gara alla
Besozza!).
Quando
si profilano all’orizzonte questi periodi, la prima cosa da fare è mettere mano
alla lista. LA LISTA. Stegal’s List.
La lista è l’ancora di salvezza, seconda in ordine di importanza solo
all’Angelo Custode che mi protegge dai guai e dalle cadute. E’ stata redatta in
unica copia in occasione di chissà quale dimenticanza di un oggetto essenziale
per la trasferta, e da allora si è arricchita di ogni cosa che poteva tornare
utile. La Lista è unica: non distingue tra trasferte di lavoro, vacanze non
orientistiche, vacanze orientistiche e impegni da speaker. Soprattutto, la
lista è un lascito della lettura di due libri che ho sempre amato: “Tre uomini
in barca” e “Tre uomini a zonzo”. Credo che sia nel secondo libro la descrizione della famosa lista dello Zio
Podger che, in procinto di partire per un viaggio, al momento di fare la
valigia elencava le cose che sarebbero servite: “Comincia dalla testa. Che cosa si metti? Cappello… SEGNA! Cappello!”
e così via.
Poi
lo Zio Podger perdeva la lista.
Anche
io comincio dal cappello, e a seguire tutto quanto il resto; che sia un vestito
per andare ad un incontro con un cliente o la termica a maniche lunghe per
affrontare le gare invernali, sulla lista c’è tutto. L’unico limite della lista
è che, prima o poi, la disponibilità di materiale si esaurisce. Ho già citato
da qualche parte nel blog che il materiale di consumo a più veloce esaurimento sono le mutande: considerata una
contingency del 30% (per un viaggio di 3 giorni metto in valigia 4 paia di
mutande, più ovviamente quelle che indosso al momento di partire, perché non si
sa mai…), si comincia a mettere da parte il trolley piccolo per andare in
Lussemburgo. Sopra ad esso finiscono i vestiti e le scarpe per il viaggio con
il biglietto delle cose che vanno inserite in bagaglio all’ultimo momento. Poi
si inizia con le due valigie per andare a Toronto, sopra alle quali finiscono
altri vestiti ed un biglietto dove sta scritto ciò che manca e ciò che dal
bagaglio di Lussemburgo dovrà essere trasferito a quello di Toronto.
Poi
è la volta degli zaini per andare alle gare di Bobbio e Ceci, con tutte le cose
dell’orienteering ed il solito biglietto che spiega cosa dovrà essere preso dal
bagaglio di Toronto e ficcato negli zaini. Infine, ma è per puro sfizio, ci
sono le borse per le gare di Roma e poi di Bologna, che sono sostanzialmente
borse quasi vuote con i volantini, i biglietti del treno già acquistati, e
l’elenco di tutto ciò che da Bobbio e Ceci dovrà esservi distribuito. E’ in
questa fase che, tipicamente, terminano le mutande a disposizione (giacché per
le magliette sono disposto a mettere in
borsa reperti bellici del Thermenland Open del 2003 o della 6 giorni di
Scozia del 1999…).
Il
passaggio cruciale per tutta questa operazione della durata di 34 giorni, da
vivere tutti di un fiato, era l’arrivo a casa da Toronto e la immediata (nei
piani) partenza per il campionato italiano sprint relay di Bobbio. Il piano di
volo prevedeva infatti un atterraggio da Toronto via Monaco attorno alle 14.30
di venerdì 20 ottobre, rientro immediato a casa, rapido travaso di valigie,
partenza in auto per Bobbio e crollo sul letto per devastazione da jet lag; non sapevo infatti se sarei stato in
grado di partire da solo sabato mattina: sapere di poter essere a Bobbio
venerdì sera, magari con la prospettiva di provare il percorso middle di Coppa
Italia a Ceci sabato mattina, era tranquillizzante.
(intanto,
visto che non dispongo di una foto della gara che sono riuscito a infilare tra
i mille impegni lavorativi a Toronto, sulle sponde del Lago Ontario con
partenza e arrivo a Coronation Park, vi beccate Michelle Pfeiffer…)
Sfiga.
Frau Merkel e la sua caxxo di compagnia
di bandiera ne
combinano una più di Bertoldo tra
ritardi, stra-ritardi e bagagli smarriti. Di conseguenza arrivo a casa stravolto
venerdì sera tardi, e tutte le aspettative e le pianificazioni sono andate a
ramengo. Catalessi sul letto fino a sabato mattina, affronto il viaggio per
Bobbio in condizioni rivedibili, con l’Ipod a palla nelle orecchie e dandomi pizzicotti
in serie sul braccio per non addormentarmi. A Bobbio è in programma la seconda
edizione del Campionato Italiano Sprint Relay ed io non ho una staffetta con
cui gareggiare ma sono speaker. Speaker e quindi ho voglia di provare il
percorso Elite, di cui mi è stato detto un gran bene, che si sviluppa nella
zona della rocca di Bobbio e del centro storico, poi del ponte romano e della
zona lungo il Trebbia.
(carta
by www.alessiotenani.it)
La
mia partenza, un’ora prima del lancio dei primi frazionisti è spiata da
parecchi concorrenti che vogliono vedere da che parte mi dirigerò una volta
raggiunto il centro della piazza di Bobbio. Per questo motivo, non avendo
appunto una staffetta con la quale gareggiare, mi dirigo volutamente dalla parte sbagliata, ad ovest: faccio il
giro del castello in salita, scendo dalla parte opposta del castello verso il
punto 1 e poi risalgo per affrontare il labirinto del castello. Che tale si
rivela, almeno al mio cervello che ha una concentrazione pari a zero e per il
quale l’orario delle 12.30 corrisponde di fatto alle 5.30 del mattino cui ero
ormai abituato. Per venire a capo del castello ci metto un’era geologica, e per
fortuna che da lì e per qualche punto di controllo si tratta solo di lasciar
andare le gambe in discesa.
Mentre
sto per andare dal sesto al settimo punto, dietro al primo angolo incrocio una
coppia di giovani. Lui è decisamente belloccio, ben piantato e tutto sommato
credo che farebbe la sua porca figura da Abercrombie & Fitch. Lei è semplicemente una fata bionda che
in una scala da zero a cento prende il voto “copertina di Playboy”. Sapete
quelle sensazioni che capitano ogni tanto, no? Beh… io sto correndo la mia gara
e cerco solo di darmi un tono, ma la voce che sento da dietro è femminile e
dice distintamente “Heja! Heja!”. Mumble mumble… se quella è bionda e mi urla
dietro “Heja!”, può venire da un solo paese al mondo, no? Ma chissà se mi
ricapita di incontrarli… e infatti, mentre vado al punto 10, rieccoli! La
ragazza urla più forte “Heja! Heja!” ed io, esalando l’ultimo respiro, chiedo “Where are you come from?”. Lei risponde
con un ovvio “Sweden!” e a questo
punto è il ragazzo che mi indica ed esclama “Ehi! This is the O-Ringen!!!”. Già… perché io sto gareggiando
proprio con la maglietta dell’O-Ringen. Chissà che cosa avranno raccontato di
Bobbio una volta che saranno tornati a casa!
Il
finale di gara, dopo un tratto sulle sponde del Trebbia nel quale rinuncio ad
ogni velleità agonistica, è abbastanza scontato: per tornare in zona arrivo c’è
una sola possibilità di scelta, ma la gara è stata davvero soddisfacente per me
(non come tempo di percorrenza, certo!) per via di tutte le variazioni di
terreno che ho incontrato nel giro di 25 minuti. Passerò poi le due ore
successive a raccontare in campionato italiano nella postazione “da occhi di
mosca”: infatti il passaggio dal punto spettacolo e l’arrivo sono disposti a
180° tra loro, ed è solo grazie all’aiuto di Anita Cozzi ed Irene Tomiello che
riuscirò (non sempre riuscendoci) a non perdere la maggior parte dei passaggi e
degli arrivi). Mi perdo invece del tutto la volata nella categoria under-16
perché la categoria non prevede passaggio in zona speaker e, di conseguenza, mi
accorgo che il titolo italiano è stato assegnato quando ormai tutto i
protagonisti sono arrivati al traguardo.
Poi
arriva sera, ed io finalmente vado a letto distrutto dal sonno. Tappi nelle
orecchie per difendermi da un autentico
Trans Europe Express che dorme nello stesso stanzone (la definizione non è
mia!), fascia sugli occhi, pantaloni imbottiti e pile. La catalessi è ancora
una volta immediata. Alle 5.50 del mattino suonano le varie sveglie per
sbrandare i protagonisti-organizzatori della gara di Coppa Italia in programma
a Ceci. Lungo il trasferimento al rifugio che ospita il centro gare, a 40
minuti di auto, la strada è tutto un susseguirsi di curve, nebbia, curve con
nebbia, talvolta nebbia che non fa vedere se davanti c’è una curva o un
rettilineo. Tuttavia sono anche in grado di distinguere una luce, ed è quella
nella mia testa: sarà che quella appena passata è la prima notte di sonno
autentico da quasi 10 giorni, ma mi sento concentrato al massimo e le gambe una tantum sembrano persino rispondere
bene.
Quello
che mi succede nei 66 minuti successivi è un replay della sensazione di totale
coinvolgimento con la carta di gara, come mi succede ormai sempre più di rado. Ma quando succede… La carta di gara qui
sotto è sempre quella con il percorso di Alessio Tenani ma, fatte salve le due
scelte per andare al punto 3 e al punto 5 dove mi sono appoggiato ai sentieri,
posso tranquillamente dire che fino al punto 10 ho corso sulle tracce di Teno
(o Teno sulle mie… vai a sapere!).
La
sagra delle cose strane comincia sulla strada per il primo punto, quando faccio
una scelta “destra sul sentiero-sinistra sulla traccia” e poi già lungo il
nasone: dal vivo (nel bosco, mentre sto correndo) mi dico da solo che è
pusillanime e da vergognarsi, anzi mi sembra di sentire la voce del mio amico Marco
che mi dice “corri per l’ultimo posto in
classifica e non hai nemmeno il coraggio di buttarti fuori dai sentieri?”.
Quando arrivo al primo punto di controllo, il mio tempo è di 3 minuti e 29
secondi. Che è sempre più del doppio di quanto ci ha messo il primo. In quel
momento non posso sapere però che alcuni compagni di brigata impiegheranno 4
minuti, 7 minuti, 9 minuti, 11 minuti, 16 minuti per venire a capo di quel
punto… Quello che so è che per motivi ignoti sono riuscito a fare il primo
punto proprio bene, e che il mio secondo pensiero è di continuare così senza
inanellare troppe vaccate.
Il
secondo pensiero. Perché il primo pensiero è rivolto al cacciatore che, non
lontano da me, sta sparando a qualche animale… Mentre già vedo il mio nome nei
titoli di cronaca “Cacciatore di frodo
spara nel culo a impiegato orientista panzottello” penso che potrei
palesare a questo sciagurato il fatto che nel bosco stanno transitando anche
persone oltre che selvaggina, mettendomi a parlare da solo. Già, ma che cosa mi
metto a raccontarmi da solo? Potrei canticchiare qualcosa… ma non mi viene in mente
niente! Finché, come nelle migliori tradizioni, non sono io che scelgo la
canzone, ma è la canzone che sceglie me: ed è ovviamente quella che mi ha
ispirato il titolo del pezzo sul blog.
I'm
gonna wait till the midnight hour \ That's when my love comes tumbling down \ I'm
gonna wait till the midnight hour \ When there is no one else around…
Dubito che ci siano caprioli che si mettono a cantare “In the
midnight hour” nel bosco, e se ne accorge anche lo sciagurato che spara, che
incrocio sul sentiero tra la 4 e la 5 mentre se la sta svignando di buon passo
se non abbastanza precipitosamente e con il cappuccio tirato sul viso.
Fino alla 10 il percorso mi sembra persino fin troppo facile per
una Elite middle di Coppa Italia: la lanterna 9 mi era parsa addirittura niente
di più che un punto da esordienti in un classico bosco brianzolo, e la selletta
con la 10 era evidentissima da lontano, soprattutto se ci si arriva passando al
sasso di destra, quello più grosso che ha le dimensioni di un condominio
(oppure se ripenso a tutte le selle e sellette della gara al Cansiglio…). Qui
comincio a pagare cari i primi 45 minuti di gara, perché per andare alla 11
vado tutto a destra fino ad incocciare su un grosso sasso di evidente forma
fallica, e su Francesco Buselli che sta facendo il suo giro di controllo nel
bosco. Dal fallo sasso mi butto a
sinistra e poi di nuovo a destra verso la 12 (facile), e poi per la 13 e la 15
è solo tanta fatica in un bosco disegnato con il colore verde che a me non
sembra offrire grandi ostacoli. Per la 16 si tratta solo di “correre
dietro ai miei piedi”, i quali evidentemente oggi di spingere ne hanno
tanta voglia, ed è con enorme soddisfazione che per una volta posso dire a me
stesso di aver davvero sfidato la velocità più elevata che posso produrre. Alla
17 ci arrivo seguendo le tracce dei posatori, ed è con orgoglio che metto
assieme uno sprint finale degno di questo nome mentre il nebbione comincia ad
invadere la zona arrivo.
Lo stesso nebbione che, una volta smessi i panni del concorrente
“per una volta soddisfatto della sua gara” (ma i più forti ci hanno messo
ugualmente meno della metà del mio tempo… SGRUNT!) e vestiti quelli dello
speaker infreddolito, invaderà ad ondate successive e sempre più pesanti l’arena
di arrivo; la conseguenza è che ad un certo punto, con una visibilità peggio di Stella Rossa Belgrado – Milan al Marakana
di Belgrado, l’arbitro Zonato stava per dare il triplice fischio finale e
mandare tutti quanti negli spogliatoi anzitempo…
Invece la gara riesce ad andare in porto regolarmente e pure le
premiazioni, effettuate con una visibilità ormai da nebbione in Val Padana:
dobbiamo qui ringraziare il Duca Della Vedova del reame di Lombardonia (e anche l’arbitro
Zonato) per essersi piazzato a metà strada tra lo speaker ed il podio, a 10
metri dall’uno e dall’altro, perché dalla mia postazione non vedevo un palmo
dal naso.
Come se tutto fosse successo “In the midnight hour”…