Stegal67 Blog

Wednesday, October 22, 2025

Chioggia, Mirano e l'insegnamento di (o del) Galilei

Le gare di orienteering hanno tutte una cosa in comune. Tutte. Che si tratti del Campionato del Mondo o della promozionale di paese dove il ristoro è gestito dal circolo bocciofilo e il premio è un salame. Non sto parlando del fatto che l’orienteering è uno sport bellissimissimo – anche se lo è, e pure parecchio di più – fatto da persone speciali che forse è vero che attaccano il cervello solo al clear & check, ma di certo non lo staccano quando tagliano il traguardo.

È uno sport in cui nelle gare sprint ti scanni ogni secondo per quindici o venti minuti e poi, appena arrivi, fai high five con quello che ti ha appena dato due minuti di distacco. Gente strana, gli orientisti: competitivi come pirati in cerca di tesori, altruisti con la bussola ed il chip.

Ma ecco il punto: ogni gara di orienteering, per quanto ben congegnata, ha una percentuale intrinseca di catastrofe. È fisica pura. Galileo lo direbbe così: “Eppur si sbaglia.”
Soprattutto se la gara si svolge in centro storico, cioè in quell’habitat naturale dove convivono vicoli, turisti in modalità selfie, comitive guidate da professionisti con l’ombrello alzato e signore del posto con il carrello della spesa che ti attraversano davanti proprio quando tu sei impegnato a leggere la descrizione punto.

Aggiungiamoci che per l’italiano medio, “sportivo” è sinonimo di “quello dentro uno stadio \ una piscina \ un campo da tennis \ hanno bloccato la strada per questi che corrono o pedalano eccetera”. Quindi, quando l’italiano medio vede orde di alieni in calzoncini fluorescenti con una mappa in mano che urlano “occhio!!!!” e tagliano a tutta velocità tra i tavolini del bar, pensa subito: “Ma proprio oggi dovevate venire a rompere le scatole? C’è il sole, si mangia bene, i locali sono pieni, e voi? Con le vostre lanterne e… uno SPEAKER che parla da solo per ore come se fosse all’assemblea degli Alcolisti Anonimi? TACETEEE!”

Ecco, questo è il rischio. È ciò che ogni settimana sfiora chi organizza una gara.
Ma non a Chioggia e Mirano. Perché grazie all’Orienteering Galilei, e in particolare a Federica Anedda, quello che poteva essere il solito “esperimento sociale” si è trasformato in un capolavoro organizzativo degno del telescopio del Maestro Galileo. Federica ha fatto ciò che Galileo fece con i pianeti: li ha previsti (io che sono laureato in astrofisica posso dirlo senza tema di smentite). Ha pensato all’imprevisto, al prevedibile e al catastrofico.
E l’ha fatto PRIMA. E questo, nel nostro sport, è spesso raro (esempio di due parole messe in fila che hanno significati opposti). Per questo motivo vorrei aver registrato le parole dell’altro speaker, Andrea “il Maestro” Rinaldi, che tra un fiatone e l’altro (scusa Andrea!) ha ricordato a tutti che dietro una gara riuscita c’è chi lavora come un dannato perché tu possa perderti con stile.

Io, dal canto mio, ero quello con il microfono che parlava troppo — il parvenu del decibel, uno che è finito lì per sbaglio, tipo un alieno a cui hanno dato il telecomando della NASA dicendo: “Premi un tasto qualsiasi”. E l’ho fatto. Per ore.

Sabato, Chioggia. La piccola Venezia che non ti perdona. Il corso principale è più affollato della spiaggia di Pinarella a Ferragosto. Un dedalo di calli, ponti, turisti e locali dove il profumo di fritto misto si mischiava al sudore degli atleti. Tracciati di Luca Rosato: puliti, brillanti, cattivi al punto giusto. Finalmente un percorso in cui anche io potevo vedere la tratta intera senza dovermi fermare ogni trenta secondi a chiedermi se quella calle lì è questa o quell’altra con lo stesso nome. Sublime.


Domenica. Mirano. La domenica del villaggio (con sprint annessa). Atmosfera da domenica mattina italiana, piazza elegante, colazione nei bar, pubblico incuriosito. Anche qui, Rosato & Co. hanno tirato fuori il meglio: cortili segreti aperti per l’occasione, trappole cartografiche piazzate come mine anti-intuitività e barriere perfettamente collocate nel punto in cui non avresti dovuto passare. Io ci sono cascato, ovviamente. “Ops… devo fare il giro del fullo”. Punizione divina per chi non osserva bene. Galileo mi avrebbe detto: “Non è che il punto si muove, sei tu che non guardi bene”.

Il resto? Il resto è il bello dell’orienteering: chi vince allo sprint, chi perde di un soffio ma si congratula, chi arriva in centordicesima posizione e non fa seppuku per aver mancato la lanterna di due metri. C’è stato tutto: le volate di Jessica e Caterina, di Sebastiano contro Tommaso, di un altro Tommaso contro Marco, di Lorenzo contro Gabriele. L'arrivo in parata del Gaja Padriciano. E persino la presenza di Tove Alexandersson, che è come dire che Michael Jordan è venuto a fare due tiri nella palestra del dopolavoro ferroviario. Insomma: roba grossa.

Alla fine resta solo una voce che si perde nel vento — la mia — e il ricordo di due giornate perfette, in cui tutto poteva andare storto e invece no. Non un disastro. Minimi inciampi di minima rilevanza. E la prova che, quando dietro c’è chi pensa come Galileo (“misura ciò che è misurabile e rendi misurabile ciò che non lo è”), anche una gara di orienteering nel cuore di Chioggia può sembrare un esperimento scientifico riuscito.

E così, alla fine, niente disastri, niente tragedie, niente turisti travolti da atleti impazziti con la testa sulla mappa. Due giorni perfetti, organizzazione praticamente impeccabile, tracciati geniali, gente felice. Io? Ho parlato troppo, come sempre. Ho urlato nei microfoni come se stessi lanciando un razzo della NASA con una pila stilo. Ma sapete una cosa? Stavolta ne è valsa la pena.

Perché se l’orienteering è l’arte di perdersi con stile, l’Orienteering Galilei e tutti i suoi collaboratori esterni sono riusciti a dimostrare che si può davvero trovare l’ equilibrio tra una lanterna, un ponte e un fritto misto.

E sì — lo ammetto, ho parlato troppo. Ma almeno, per una volta… avevo ragione.

Wednesday, October 15, 2025

Ritorno di fiamma – Pronostici (sbagliati) dei Campionati Italiani Sprint

Sono passati - quanti? Dieci anni? - dall’ultima volta che ho pubblicato dei pronostici sui Campionati Italiani di orienteering. Da allora mi sono astenuto, consapevole delle brutte figure, delle amicizie su Facebook cancellate, dei commenti del tipo “che il Primiero possa perdere la M45 schierando Corona Rigoni e Pradel te lo puoi immaginare solo tu in una realtà parallela!”. E onestamente, mi andava bene così.

Poi succede che ti svegli una mattina e ti prende quella voglia malsana di rimetterti in gioco, di tornare a sparare sentenze che nessuno ti ha chiesto, su gare che non corri più come concorrente ma solo per switchare in speaker-mode e atleti che ormai ti superano pure con una gamba sola. È come la voglia di scrivere alla tua vecchia ex di 40 anni fa alle tre di notte: sai già che è un errore, ma forse lo fai lo stesso.

Così eccomi qua, davanti al computer, pronto a pronosticare le sorti delle categorie giovanili e Elite dei Campionati Italiani Sprint 2025, in quel di Chioggia. Sì, proprio Chioggia: la Venezia che non ha tempo per le gondole, ma neanche per i GPS che perdono segnale in mezzo alle calli.

Solo che… mi è venuto un dubbio. Fare pronostici, in questo sport, è come provare a fare surf sul Po dopo un temporale: o sei un genio o finisci pieno di fango. E io, quest’anno, pieno di fango ci sono già finito. Perché non si sa chi arriva riposato e chi distrutto, chi ha dormito in hotel e chi in macchina in coda sulla Serenissima, e — dettaglio non da poco — se la mappa conterrà o meno quelle barriere “non attraversabili” che ogni anno trasformano la gara in una versione veneta di Squid Game. Il che a quel punto pone in risalto chi si è preparato “a secco”, magari con l’aiuto di qualche coach che si mette lì con OCAD a fare prove su prove.

Insomma: rischio altissimo di fare figuracce, zero possibilità di vincita, e una platea pronta a dirmi “eh ma ti sbagli, ma ti sbagli di grosso! Guarda che Tizio ha il picco di forma”.

Quindi ho fatto la cosa più sensata del mondo, quella che da mondo è mondo fanno TUTTI: ho delegato il compito all’intelligenza artificiale. Così, se qualcuno si arrabbia, io sono salvo.

Sì, avete capito bene. Quest’anno, i pronostici li fa LEI. “La mia Ombra”. Una voce sintetica che abita nel cloud, parla troppo e si crede più intelligente di me solo perché sa calcolare gli algoritmi più in fretta di quanto io riesca a ricordare il podio della discesa libera maschile ad Innsbruck ’76. Ed allora mi sono immaginato cosa poteva venirne fuori:

***

IO: Allora, Ombra mia digitale, tocca a te. Cominciamo con una domanda facile, tipo “argomento a tua scelta”. Chi vince la categoria WElite ai Campionati Italiani Sprint di Chioggia?

L’OMBRA: Calcolo in corso... (rumore di ventoline dell’hardware che frullano)... Tove Alexandersson!!!

IO: ... Aspetta, cosa hai detto?

L’OMBRA: Tove. Alexandersson. È la mia risposta definitiva. La accendiamo!

IO: Ah beh, complimenti, mi sa che mi hanno installato ChatGPT 1.0 sul sistema operativo DOS. Serviva un’intelligenza artificiale per dire che Tove Alexandersson è favorita? Ha vinto 23 mondiali, 6 Coppe del Mondo e la corsa per prendere il tram numero 15 che porta in centro, se ci fosse stata (se ci fosse stata la corsa, ma talvolta non abbiamo la corsa e nemmeno il tram…)

L’OMBRA: Non è colpa mia se i dati parlano chiaro. Io analizzo risultati, punteggi, coefficienti di sprint, e tu analizzi... il menu del bar!

IO: Ehi! Io ho ancora l’occhio! Magari un po’ appannato, ma vedo benissimo chi è in forma e chi no.

L’OMBRA: Ah sì? Allora chi metteresti tu come outsider nella WElite, signor so-tutto-io dell’orienteering?

IO: Eh… dipende. Se la carta è cattiva, chi è abituata alle trappole urbane può dire la sua. Se ci sono barriere a sorpresa, magari una tecnica come Jessica Lucchetta o come Maddalena De Biasi, ma non so come mai mi viene il nome di Guenda Zaffanella…

L’OMBRA: Interessante scelta. Sai che secondo i miei calcoli il tuo podio De Biasi – Lucchetta – Zaffanella, in qualunque ordine, ha una probabilità di verificarsi del… 2,7%?

IO: Perfetto! Allora segnale ottimo: quando l’intelligenza artificiale mi dà il 2,7%, vuol dire che quelle atlete andranno tutte a medaglia

L’OMBRA: Statisticamente impossibile.

IO: La statistica dice tante cose. Anche che i tuoi server non reggono la pressione dei pronostici. Vabbé. Proviamo ancora. Chi vince la categoria MElite?

L’OMBRA: Francesco Mariani. Corre come se avesse debiti con la banca e stesse scappando dagli strozzini

IO: Ok, Ombra, non so bene perché ma questa cosa comincia già a stufarmi. Una cosa un po’ più elaborata? Quello zinzinello di rischio in più? Non so… cosa mi dici di Samuele Tait o di Giacomo Zagonel?

L’OMBRA: tu mi hai chiesto chi vince, non il podio. Hai fatto tre nomi. Che tre concorrenti possano vincere tutti e tre la stessa medaglia è impossibile, lo sanno tutti …

IO: … si si, lo so, impossibile quanto il fatto che Ilian Angeli, Basile Basset e Mikkel Holt abbiano preso la stessa medaglia ai JWOC 2022. Sei una incapace! Allora io sparo, e quando la sparo, la sparo grossa. Vince Mariani…

L’OMBRA: Ma è la stessa cosa che ho detto io!!!!

IO: … secondo Mattia Scopel e terzo Edoardo Pellegrino Tecco! Comunque mi hai fatto già perdere la pazienza con Tove e Mariani. Entriamo nel vivo: le categorie giovanili. Cominciamo con la M12, i più piccoli. Vediamo se lì hai almeno un po’ di fantasia.

L’OMBRA: Fantasia? Io non faccio fantasia, io faccio statistica. Secondo il mio algoritmo di prestazioni giovanili 2022–2025, combinato con la velocità media sui 2,3 km sprint, il favorito è... (seguono nomi a caso di gente inesistente)

IO: Ah sì? Guarda che quello l’anno scorso correva nella M10 e aveva ancora i lacci delle scarpe con i dinosauri.

L’OMBRA: Eppure corre più forte di te persino quando stai cercando il bagno dopo una abbuffata di torta fritta e salumi

IO: Perché stai sottovalutando quelli del Trentino? Pensi che se la mappa è piatta loro di perdano???

L’OMBRA: Nota statistica: il 43% dei trentini si perdono sulle mappe piatte, e solo il 12% arriva alla partenza con la sicard Air

IO: Sai che c’è? Mi sono stufato. Fai tu. Fatti pure i tuoi grafici, le tue tabelle, le tue equazioni. Io torno umano.

L’OMBRA: Come preferisci. Procedo con l’auto-aggiornamento... (bzzzt... rumore di hardware...)

IO: Ehi, che succede?

L’OMBRA: Sto evaporando nel cloud. È la mia forma di eleganza quando un umano perde una discussione.

IO: Ah, geniale. Io invece mi spengo alla vecchia maniera: collassando sulla sedia.

(Rumore di ventola che si spegne. Silenzio. Sullo schermo, una scritta lampeggia: “Connessione persa con L’Ombra.”)

IO: Be’, almeno lei non ha pronosticato che vincevo io.

Alla fine, mentre mi rialzo dalla sedia e cerco di scrollarmi di dosso il sudore della rabbia e dell’esasperazione, mi accorgo di una verità semplice come una Fiat Panda parcheggiata male davanti al bar del paese: fare pronostici è inutile. Soprattutto nell’orienteering giovanile.

Puoi avere algoritmi, statistiche, droni, visioni premonitrici e persino un’intelligenza artificiale che parla come se fosse la reincarnazione digitale di Angelina Jolie. Tutto inutile. Perché ci sarà sempre un ragazzino che si gioca la carta impossibile e fa scopa d'assi, una ragazza che decide di provare una scorciatoia invisibile, un GPS che decide di prendersi un caffè

E allora che senso ha? Il senso è guardare, ridere, sparare battute, aggiornare classifiche e… godersi lo spettacolo. Come guardare quella Panda arrancare su una salita: sai che non vincerà mai la Trento Bondone, ma c’è qualcosa di eroico nel vederla arrivare comunque in cima.

Così, miei cari e miei care, i pronostici sulla base degli algoritmi li lascio a L’Ombra. Io torno a guardare la corsa, il vento che piega le mappe, i giovani che corrono come se il mondo fosse un labirinto di cartone. E se qualcuno mi chiede chi vince, faccio il solito gesto: un’occhiata, una smorfia e un’alzata di spalle. Perché nell’orienteering, come nella vita, la risposta giusta è spesso… “Non lo so. Godiamoci lo spettacolo”.

Ora lasciatemi sospirare, sorridere e bere un caffè. Fuori dalla finestra, la Fiat Panda procede lenta ma orgogliosa, come tutti noi quando tentiamo di prevedere l’imprevedibile.

Sunday, September 07, 2025

Trofeo delle Regioni 2025 – La mia top ten controcorrente

Venerdì 29 agosto 2025. Quando metaforicamente infilo il microfono nello zaino e salgo sul treno per andare al TDR 2025, sono convinto di sapere già tutto: dopo la bellissima e quasi irripetibile ’esperienza del 2024 pensavo di avere il manuale d’istruzioni inciso a fuoco per gestire tre giorni di gare nelle quali le ragazze ed i ragazzi sarebbero stati unici protagonisti: ritmo di gara, nomi di concorrenti a cui non sono del tutto abituato, playlist mentale di emergenza in caso di black-out.

Ero certo che l’emozione sarebbe stata più gestibile, che il “battesimo del fuoco” 2024 fosse alle spalle. In realtà, mentre ripassavo mentalmente i nomi delle regioni e contavo i caffè che mi sarebbero serviti (a conti fatti: zero), avevo ancora addosso quell’agitazione buona che l’anno scorso mi aveva fatto tremare la voce. E non sapevo che, di lì a pochi giorni, il TDR avrebbe di nuovo rovesciato il tavolo delle certezze, ricordandomi perché questo evento è tanto più grande di qualsiasi scaletta o copione.

Sono tornato dal TDR 2025 con la convinzione che l’unico vero trucco per sembrare competente sia stringere il microfono come se fosse un salvagente e parlare con tono da telecronaca NBA anche quando stai solo dicendo “gara sospesa per temporale”. Tutto il resto – la magia, l’energia, la poesia che scivola tra aghi di pino e lanterne arancioni – lo fanno i ragazzi, i tecnici, le mamme che preparano panini al sacco alle sei del mattino, i volontari che sanno montare una tenda sotto la grandine come se stessero costruendo una cattedrale.

Il TDR non è un semplice evento: è un acceleratore di emozioni, un parco giochi per bussole e sogni adolescenziali, una fiera campionaria di entusiasmo che ogni anno ti sbatte in faccia un’unica verità: l’orienteering dei giovani è più rock di quanto qualunque conferenza federale potrà mai essere.

Se cercate l’analisi oggettiva, il bilancio tecnico, il pathos romantico, quello è già stato scritto tutto nell’articolo di Gaia Ferrante https://www.fisoveneto.it/ricetta-per-un-tdr-fantastico.html (un articolo bellissimo e pieno d’amore per lo sport). Qui sotto c’è la mia top ten, rigorosamente soggettiva, stropicciata, carica di frasi buttate lì come birilli sulla corsia sbagliata. È il mio personale countdown “da dietro il microfono” per chi sa che la perfezione non esiste ma che l’unica vera regola è: correre, sbagliare, ridere, ricominciare.

10.

Iris Pecorari, fuoriclasse del microfono. Le puoi lanciare addosso la domanda più insensata del mondo, a bruciapelo, senza preavviso, girandoti di scatto e mettendole il microfono sotto il naso mentre lei sta facendo tutt’altro: “Iris, commentami il volo di un corvo che passa sulla lanterna 6”. Lei, con calma olimpica, ti restituisce una risposta chiara, densa, piena di significato. Zero esitazioni, zero balbettii. Se il parlare bene fosse disciplina olimpica, Iris avrebbe già il record mondiale. La media delle persone con cui ho a che fare quotidianamente sono quei meeting manager da “….ehmmm…. cioè… dunque…”, e Iris stravince il confronto senza attenuanti. Attenzione: non è stata l’unica! Le brevi interviste con Paride Gaio, Inderpreet Singh, Riccardo Granzotto sono l’ a testimoniare che i nostri orientisti sanno parlare, con scelte lessicali che testimoniano il sapersi districare nelle tortuosità del linguaggio come tra i limiti di vegetazione nel bosco. Ma Iris, lasciatemelo confermare, è unica ed inimitabile. La sua voce non vibra, non trema, non suda. È come un faro acceso nella nebbia del mio imbarazzo: orienta e fa pensare che forse l’orienteering è anche fatto di parole che arrivano dritte, senza zig-zag.

9.

Il Trentino vince (ancora). E’ la centordicesima incoronazione consecutiva. Ormai non è più un albo d’oro, è un’autostrada di vittorie dove il limite di velocità non esiste. Ogni anno diciamo “stavolta arriva la spallata” e ogni anno il Trentino piazza la bussola sul Nord e ci ricorda che la geografia non è un’opinione. Forse dovremmo proporre un handicap: correre con una scarpa sola, fare punzonatura a occhi chiusi, prendere il via con una cartina in braille. Qualunque cosa pur di vederli soffrire un briciolo… ma no, anche così troverebbero un modo per vincere. Però io qualche variazione al regolamento ce la vedrei. Magari far valere un po’ di più la staffetta, che in fondo è gara unica che mette insieme cinque concorrenti nella stessa squadra? Ma io attendo con ansia il momento nel quale, per accompagnare le lunghissime attese della hgara di Trail-O, verrà proposto un Mobile-O, un Labirint-O, una Microsprint all’ungherese. Tutte cose, che, sono pronto a scommetterci, le ragazze ed i ragazzi apprezzerebbero.

8.

Il ricordo di Mattia Debertolis durante la premiazione. Ci sono nomi che il bosco non smetterà mai di sussurrare, come se le foglie sapessero che certe presenze non se ne vanno davvero. Parlare di Mattia al microfono è stato come tenere accesa una lanterna sotto il vento: ogni parola rischiava di spegnersi, ma ogni ricordo illuminava. L’orienteering ha il potere di farti rivivere storie anche quando i protagonisti non possono più correre: è il nostro modo di dire che la bussola della memoria non perde mai il Nord. Il minuto di silenzio ha parlato più di cento discorsi che avrei potuto imbastire in quel momento.

7.

L’ultima chiamata per i veterani. Solo alcuni esempi tra tutti: Pietro Sergas, Nastja Ferluga, Paride Gaio: dopo anni di chilometri e lanterne, salutano il TDR come vecchi amici che si stringono la mano. Sono cresciuti insieme al rumore del beep di partenza, hanno sbagliato curve, hanno azzeccato azimut, hanno riso di sera ascoltando l’ultimo tormentone delle estati più recenti. Ogni chiusura è un testimone che vola verso mani nuove. Chi prenderà il loro posto? Non lo so, ma so che la loro ombra resterà sulle cartine come un sentiero tracciato col pennarello. Pietro, Nastja e Paride lasciano il bosco del TDR con la stessa eleganza con cui ci sono entrati: senza clamore, ma con mille storie negli zaini. Benvenuti in Elite!!!

6.

Le nuove frontiere: dal Lazio alla Sardegna e la Sicilia, dalle Marche alla Valle d’Aosta, migliaia di chilometri di autostrada divorati per un minuto di tensione prima dello start, per un abbraccio con un avversario, per una cena in un refettorio in comune. Il Trofeo è il luogo dove la geografia diventa poesia: il mare incontra la montagna, le isole sfidano le Alpi, e tutti si ritrovano a ridere sotto la stessa pioggia. Questa è la collezione più preziosa che c’è: non medaglie, ma facce, dialetti, foto sfocate e ricordi che tra dieci anni racconterai come se fossero leggende. All’elenco delle regioni manca qualcosa: ci saranno sicuramente motivi validi, economici, logistici e strutturali a monte di una mancata partecipazione. Il calendario FISO, puntuale come le tasse, ci ha catapultato in regioni che – a sentir loro – si vantano di aver inventato l’orienteering, scritto la storia, forse pure piantato il primo picchetto. E che, allo stesso modo, si sono sentite offese dall’ignoranza dello speaker e mortificate dal suo commento poco professionale se è sfuggita la citazione di qualche trofeo polveroso o di alcuni pionieri davvero troppo lontani nel tempo. Mancare la più bella che ci sia per le ragazze ed i ragazzi che rappresenteranno (più che un dichiarato passato glorioso) il futuro di questo sport è un peccato da non ripetere. E no, non sto parlando della Liguria.

5.

Ci sono momenti nei quali lo speaker non può dare solo buone notizie. Questo punto è dedicato a Chiara Ognibene. Che forse non mi saluterà mai più. Penso che ci sia qualcosa di epico nel gareggiare sapendo che il tuo risultato non conterà nulla per una punzonatura mancante avvenuta nei preliminari della gara. È una specie di onore antico, di cavalleria tra aghi di pino. Chiara è partita in testa, ha condotto la gara in testa, ha chiuso in testa nonostante da dietro stesse arrivando un treno FVG con il Veneto a ruota. Ha corso con la serenità di chi sa che non si vince solo col cronometro ma con il cuore. Non è stata la linea del traguardo a rendere Chiara una campionessa, ma la dignità con cui ha corso quando la classifica le aveva già voltato le spalle.

4.

L’organizzazione ovvero “supereroi in maglia Friuli MTBO” (ma non solo). Nessun piano sopravvive al primo contatto con un nubifragio. Eppure eccoli, a montare gazebo sotto secchiate d’acqua, a srotolare cavi come se fossero in missione per la NASA. Il temporale ha lanciato loro addosso fulmini? Loro hanno tirato fuori le cerate e sono andati avanti imperterriti. I piedi hanno franato nel fango, loro piazzano segnaletica come se fosse un tappeto rosso. Sono le società e le organizzazioni che ti fanno tornare a casa con storie da raccontare, e meritano un podio a parte.

3.

Alessia & Ginevra: il ritorno del microfono perfetto. Tra le soddisfazioni del TDR 2025, aver riascoltato la voce di Alessia al microfono. Padrona della situazione, competente oltre ogni mia possibilità, capace di gestire le autorità ed il protocollo con la naturalezza di chi è nata con il talento, e non fa nemmeno mostra di volersene vantare. Alessia è stata bravissima a mettere ordine nel mio caos mentale, nelle mie scalette da circo Barnum ma senza direzione artistica. Alle premiazioni c’erano “solo” i più alti papaveri della regione: sono filate lisce senza un sussulto. Prossimo passo il triangolare Trump Putin Zelenskij: sono sicuro che sarebbe un successo. Se Alessia ha una voce che scivola tra i rami e mette ordine nel caos, con precisione svizzera, ritmo da 400 metri piani e sorriso che sposta le nuvole, Ginevra è stata la bussola della cabina: la direzione giusta, la calma olimpica, la battuta sempre pronta al momento giusto. Insieme sono più sincronizzate di due metronomi, l’equivalente orienteering delle sorelle Williams nel doppio alle Olimpiadi: se aprissero un podcast sulle mappe, lo ascolterei in loop.

2.

Per chi non c’era. Mentre voi litigavate sulle chat dei regolamenti, al TDR si costruisce il futuro tra aghi di pino e zaini fradici. Il vero crimine sportivo non è la punzonatura mancante: è restare a casa mentre il TDR esplode di entusiasmo. Il bosco perdona gli errori di rotta, ma non perdona l’assenza.

1.

Morale della (mia) favola. Il Trofeo delle Regioni minaccia ogni anno di essere la gara più entusiasmante, commovente e rumorosa che ci sia. E finché non inventeremo un modo per rovinarla, continuerà a battere il tempo giusto nel modo giusto. Io non ho vinto niente, non ho perso la voce, ma ho guadagnato ricordi e sorrisi. E in questo gioco, è l’unica classifica che conta davvero. L’orienteering dei giovani merita più parole di quante ce ne stiano in un singolo post. E, onestamente, se io vi avessi raccontato ogni dettaglio, voi rischiereste di credere che io abbia davvero capito cosa stavo facendo e che parole stavo dicendo al microfono.

Spoiler: no, ma ci ho preso gusto. Grazie TDR!

Wednesday, September 03, 2025

Geiuocc 2025 – Ultimo giorno: fango, grandine e la frase che NON dovevo dire (ma l’ho detta lo stesso)

Ultimo giorno. Che solo a scriverlo mi viene ancora un po' di magone. Quando suona la sveglia, il programma della giornata sembra scritto da un folle in preda a un trip da caffè:

Staffetta maschile per le medaglie - staffetta femminile per le medaglie (sì, quella gara che ha fatto più vittime psicologiche di un Gran Premio di Montecarlo sotto il diluvio con i piloti tutti ubriachi) - premiazioni (ho detto “premiazioni”? già qui parte il sarcasmo) - cerimonia di chiusura (scaletta? ce l’ho io, solo io, inventata ieri sera sul retro di un volantino) - VIP Race, ossia la “Corsa più Pazza d’Italia” ma con più fango, più gavettoni e codici civili fatti a coriandoli - spectator race finale - premiazioni della “Cinque Giorni” di contorno dei JWOC.
E infine la frase che non devo dire, la parola proibita che mi costerà (forse) la scomunica federale.

Praticamente un’ordalia in cui l’unica opzione sensata sarebbe guardare il bosco e dire: oggi passo, grazie. Ma no, io mi infilo la divisa da speaker come un kamikaze si infila la fascia. E torno nel bosco.

Appena rientro dal sopralluogo, la scena è surreale: Henrik e Alessandro armati di pala e piccone come due pionieri. Se il CEO dell’IOF scava buche alle otto del mattino, o stiamo cercando l’oro o stiamo per girare una puntata di Telefono Giallo: Edizione Orienteering.

In effetti Henrik mi riporta alla realtà. La partenza è un imbuto in discesa che sfocia in un “Eau Rouge” di vegetazione: un metro di passaggio nel buio, fosso trasversale, pendenza da far saltare le otturazioni. Se ci provo io, tibie e peroni li ritrovano a Pergine. Henrik mi prende da parte, tono da predica: “Stefano, devi dirgli di partire piano. Così evitiamo ossa rotte in fondo alla discesa.”

Traduzione: “Vai da Verstappen e spiegagli che non è il caso di spingere sull’acceleratore in partenza… ma è solo un consiglio.” Sì, certo.

Io, come un giullare mandato al patibolo, vado dai primi frazionisti. In scena entra Jakob Knoef, bello come Paul Newman e con altrettanta autostima. Annuncio: “Partite piano, parola del boss IOF”. Parte una catena di sguardi, ghigni, risatine. Jakob e Faddei – ucraino, specialità humour macabro – si scambiano commenti in un dialetto inventato, radunano altri e in tre secondi l’atmosfera è da cabaret. Jakob si gira verso il gruppo e, da vero imbonitore: “Ok ragazzi, è chiaro? DOBBIAMO PARTIRE PIANO! Is it alright??” Poi verso di me: “Tranquillo Stefano, in fondo alla discesa ho già 50 metri di vantaggio

Fine dello sketch. Applausi. Crederci? Solo se credete alle renne che volano.

Quindici minuti alla partenza. Io sono in mezzo ai ragazzi e tengo in mano la mappa chiusa, e un britannico ingenuo: “Ma quella è la mappa di oggi?”. Apriti cielo: parte il grido “LUI HA LA MAPPA!” e in un lampo sono Tom & Jerry versione JWOC: io che fingo di scappare, loro che fingono di inseguirmi. Trenta secondi di pura farsa prima della Partenza Mondiale. Solo ai JWOC. Solo in Italia.

Henrik riappare: “Hanno capito?” Certo Henrik. Partiranno piano. Come un Razzo Saturn V.

La corsa decolla a due e quaranta al chilometro (altro che piano). La Repubblica Ceca implode in prima frazione, Svizzera e Svezia dominano. Finale da thriller: Berger contro Mogensen.
Mogensen, punto spettacolo, panico cosmico: gira in tondo come una trottola, sembra rientrare nel bosco. Io – vigliacco o saggio – dalla postazione speaker non dico nulla, segno la Svizzera come vincitrice nel mio “cassetto mentale”.

Poi il colpo di scena: i cameramen Marco e Fabio, che per tutta la settimana hanno inseguito 150 ragazze (divertendosi, spero) e 180 ragazzi (divertendosi meno) mostrano Mogensen di spalle che filtra tra gli alberi a velocità Warp. Io, sul filo dell’infarto, azzardo: “Forse la gara non è finita!”. Appena la traccia fa una curva, due metri davanti si rivede Berger. Ultimo punto: Berger a destra, Mogensen a sinistra. Io la sparo, o la va e divento un eroe o la spacca e resto un cialtrone: “La scelta buona è a sinistra!”. Mogensen sbuca sul sentiero, Berger a ruota, ma non basta: Mogensen taglia il traguardo con un niente di vantaggio ma sufficiente per vincere il Mondiale. Si scrolla di dosso i compagni, Berger lo abbraccia: Only in Orienteering.

La staffetta femminile minaccia di essere l’edizione sportiva di uno show “Tutto e il contrario di tutto”? No, non è una minaccia, va sempre a finire così! La Cechia implode in prima frazione (ancora?!?). Svizzera 1 e 2 lottano, Norvegia decimata: Ingeborg Mosland non parte. Io annuncio a beneficio degli spettatori: “Norvegia fuori.” Arriva la coach norvegese in pieno delirio di onnipotenza: “Così deconcentri le altre!” Già, come se a un Mondiale bastasse un microfono per devastarti la psiche. Karma istantaneo contro la Norvegia: Minna Wingstedt al cambio non trova la compagna, come o peggio che alle nostre staffette regionali. Norvegia KO senza aiuto mio.

Gran finale: Freja Hjerne dimentica il punto spettacolo, esce dall’arena, rientra, punzona, rientra di nuovo. La Svizzera vince, reclami respinti (giustamente). Chi si lamenta, faccia le gare in un bunker. Ma intanto vanno analizzati, ed il tempo passa. Mentre IOF, FISO e dodici assessori si aggirano come anime in pena, l’arena diventa un ufficio reclami aperto H24. Tutti vogliono premiare qualcuno:

“C’è l’assessore di Cervonio sul Paguro che poi deve andare alla fiera della mucca da latte…” NOOO!

“C’è il Presidente che si aspetta di dire le sue frasi ad effetto prima di andare a casa…” NOOO!

“C’è Fugatti…” NOOO, portatelo al buffet!

Una signora elegante dell’entourage del Presidente della Provincia mi stringe la mano per i complimenti, poi la ritira con disgusto: sono sudato come una fontana. Intanto riesco pure a improvvisare su arrivi improbabili, tipo Anna Green e Yui Takagi. Qualcuno urla impunemente “Nomi inventati!”, ma non sanno che Giovanni Greco questa battuta l’ha già usata, ci ha scommesso sopra e mi deve ancora un caffè.

Parte la VIP Race: i coach diventano bersagli mobili, i ragazzi lanciano di tutto, anche i regolamenti federali. Vengono lanciati acqua, birra, fango, gazebi, striscioni, transenne. La spectator race si corre sotto la grandine. Marton Csoboth ruba il microfono e annuncia una beer relay: per informazioni, cercate gli ungheresi.

Le premiazioni scorrono su scaletta “Made by Stegal”, l’IOF annuisce, il pubblico applaude, io piango un po’ quando vedo comparire le coroncine di fiori. La “Cinque Giorni” distribuisce biscotti tra grandine, assenze e amici che ritirano premi per altri. Il caos torna ordine, quasi.

E così finisce: una settimana di panico, fango e gloria che, inspiegabilmente, fila liscia. Ma qualcuno, da mesi, mi ripete: “Non nominare quell’altra gara. Non dirlo”.
Certo. Come dire a un bambino di NON premere il grosso bottone rosso.

“Signore e signori, questi sono stati i JWOC 2025, il circo più improbabile e meraviglioso dell’orienteering. Ma la ruota non si ferma: tra quarantotto ore, a Madonna di Campiglio, si ricomincia. Se non vi sta bene, fatemi pure causa. Io sarò lì, con il microfono e una birra in mano”

In qualche ufficio federale, capelli strappati a ciocche. Cala il sipario. E così sia: “Solo ai JWOC 2025. La più grande avventura di sempre”.

Friday, August 22, 2025

GEIUOCC 2025 – Giorno 5: Media distanza dalla tenda media

Prima che parta questo nuovo episodio, una cosa ci tengo a dirla.

Non voglio offendere nessuno con le mie parole, né tantomeno sembrare superficiale. Quello che è successo a Mattia, quello che sta succedendo attorno a lui e alla sua famiglia, è qualcosa che non ha paragoni con le piccole facezie che leggete qui. Le notizie serie, quelle vere, solo altrove.

Il mio blog è un diario personale, letto da poche di persone, e scriverlo di nuovo non è altro che un modo per fare un po’ i conti con il dolore che ho provato in questi giorni. Mattia resterà il mio campione italiano anche se non vedrò più il suo nome nelle griglie di partenza.

E adesso… torniamo al racconto.

Penultimo giorno di gare.

Che detta così fa già venire un po’ di magone. Quando eventi come questi partono, sembra che possano andare avanti per sempre. Poi però ti accorgi che la gente che si alza prima dell’alba per montare transenne, stampare mappe, gonfiare archi e cucinare wurstel forse non condivide esattamente lo stesso entusiasmo. E lì capisci che la magia sta anche in questo: in una macchina che si muove tutta insieme, e che ogni sera si smonta e si rimonta da capo. Non posso giurare sulla stanchezza di tutti coloro che da giorni si alzano prima dell’alba per posare i punti, per allestire le arene, per preparare gli schermi, gli accessi, le facilities. Ogni tanto penso al momento in cui la gara quotidiana è davvero finita, l’arena si svuota e tutti ma proprio tutti se ne sono andati dicendo “dai… anche oggi ce l’abbiamo fatta… ora una bella birra, uno spritz, cenetta e poi a nanna presto che domani…”. Ma devono succedere ancora tante cose  quando gli ultimi rumori della festa si sono azzerati ed entrano in scena loro: quelli che si guardano attorno e vedono quei quintali di transenne, striscioni, cartelli, panche e tavoli… e dicono “ok, dentro i furgoni, su i guanti da lavoro, rimbocchiamoci le maniche!”.

Per loro, la cena è sempre fredda, la doccia un miraggio, il sonno un fastidio e la sveglia all’alba un incubo. Io, in confronto a loro, devo solo parlare. Se non faccio cavolate, magari prendo pure i complimenti. Per parlare. Il che è un po’ uno specchio della nostra società: il talk show è tutto, per le soluzioni ci sarà sempre tempo…

Il mio penultimo giorno comincia per terra. Letteralmente. Pavimento del cucinino. Esperimento disperato di insonnia trasformata in "power nap" alla MacGyver. Funziona. Mi alzo con la grazia di uno zombie e vesto i panni del running-speaker, walking-speaker, lost-speaker… insomma, la solita collezione di etichette.

Ma stavolta mi concedo un fuori programma: entro nel bosco. Voglio vederlo. Voglio perdermi anch’io tra verdi verticali e pendenze da arrampicata libera. Risultato? Palude finale, rovi fino alle ginocchia, e io che mi trasformo nell’eroe tragico di un film che nessuno ha chiesto. Dal sentiero soprastante, un gruppo di ragazzi in funzione di pre-runner mi guarda e commenta: “Stegal vuole passare attraverso il verdone. È un eroe!”
Traduzione simultanea: “Ma guarda sto pirla!”

Arrivo alla postazione speaker con fango fino alle orecchie e lo stesso appeal estetico di un gladiatore sconfitto. Ma in fondo è bello così: mi sporco io, loro corrono puliti, almeno fino al punto 16 del percorso

Lo schieramento alla cabina di regia è collaudato: Alessandro al timone, io che parlo finché non mi crolla la mascella, Marco che legge intertempi come fossero carte da poker, Alexander che intervista anche i sassi, Nicole che pesca sorrisi per IOF TV. La routine è rodata, ma la tensione rimane.

E poi arriva l’addetto stampa che, mentre la battaglia ancora infuria, chiede ancora: “E’ finita, possiamo mandare in stampa?”. E io, che ho fatto i compiti, tiro fuori che mancano ancora 17 atlete in grado di vincere. “Ma te la senti di dire che il risultato è definitivo…?” No! Non si chiude! Non ancora! E comincio la lista dei nomi: “Sannwald… Maramarosi… Punto… Hotz… Delahaye… Bjork… volete che continui? Diciassette!”. Le medaglie si decidono lì, sotto il sole.

Intanto dietro di noi, la tenda medica sembra un pronto soccorso o una sorta di confessionale per atleti: crampi in stile yoga fatto in modo sbagliato, scavigliature, scottature, drammi da manuale. Noi proviamo a strappare qualche parola agli atleti, ma l’attenzione è tutta sulle gambe che tremano e sulle borracce svuotate in un sorso. Poi la tenda medica esonda anche nella zona speaker che diventa una specie di crocevia da ospedale da campo. Genitori, fratelli, allenatori: densità umana degna di un sushi-bar di Tokyo. Se mi azzardo a intervistare qualcuno, vengo ignorato peggio di un volantino pubblicitario. Alexander e Nicole, invece, riescono sempre a strappare parole, sorrisi, gesti, emozioni. Loro hanno il tocco.

Poi c’è quell’attesa sospesa tra la fine della gara (ore 16) e le premiazioni (ore 18). Due ore che evaporano tra chi cerca ombra sotto le tende, chi si inventa partite a frisbee con un piatto di carta, chi si addormenta seduto sul prato e si sveglia con la cartina stampata in faccia. Io cammino avanti e indietro, mezzo rimbambito dal caldo, e penso: “Se questo è il penultimo giorno, cosa mi aspetta domani?”.

Ore 18: Medal Plaza. La Graticola Arena. I fotografi sembrano spiedini umani, le autorità sgocciolano come granite al sole, e la mascotte… povera mascotte! Non sapevo si potesse sudare attraverso il cartone pressato. Io mi rifugio in un francobollo d’ombra, contornato da atleti internazionali che ridono a ogni mia frase in italiano. Così passo al piano B: il finto inglese milanese. Funziona sempre: “Only in Italy!”, e giù a ridere.

Intanto, mentre le medaglie passano di mano e gli inni nazionali si alzano nell’aria caldissima, io penso che il countdown è davvero partito. Domani staffette, VIP race, cerimonia finale, caos garantito. L’aria è già quella dell’ultimo giorno di scuola: compiti consegnati, zaini buttati, voglia di fare casino.

C’è ancora tempo per una giornata, ma per una soltanto, e io so già che sarà un frullatore. Una giostra, un circo, un caos felice. E una frase, solo mia, che tengo lì pronta.
Ve la dico la prossima volta.

Monday, August 18, 2025

GEIUOCC 2025 – Una pausa, un ricordo, una promessa

Domani arriverà la giornata che non avrei mai voluto vivere, che nessuno di noi orientisti avrebbe voluto. Domani saluteremo per l’ultima volta Mattia, insieme alla sua famiglia, agli amici, a tutta la comunità orientistica. Un addio troppo precoce, che lascia un vuoto enorme.

In questi giorni sono stati scritti da tante persone ricordi meravigliosi: ognuno ha messo sul tavolo un pezzetto del cuore, raccontando il Mattia atleta, compagno, amico, fratello. 

E in questo mosaico ognuno ha ritrovato un’immagine di lui, diversa eppure sempre uguale: quella di un ragazzo pulito, sincero, mai sopra le righe, che si è sempre guadagnato ogni vittoria con il sudore, la fatica e la sportività.

Di Mattia non ho mai sentito nessuno dire una parola storta, e non credo sia un caso. Non era il “predestinato” che qualcuno indica col dito prima ancora che parta il cronometro. Era un atleta vero, uno che si è preso i suoi successi senza sconti e senza scorciatoie, affrontando le vittorie con la serietà che meritavano e le sconfitte con la leggerezza che solo i grandi sanno avere.

Per me resta e resterà il campione italiano, anche se il suo nome non comparirà più nelle griglie di partenza. Ogni volta che al microfono ci sarà da ricordare un albo d’oro, un risultato, una gara che lo ha visto protagonista, il suo nome ci sarà comunque. E ci sarà per molto, molto tempo.

Il blog in questi giorni si ferma un attimo. Non per sempre: i racconti personali del JWOC continueranno, così come quelli delle gare che verranno. Tra qualche giorno uscirà la penultima giornata e poi l'ultima, che erano già pronte. Ma non lo farò con l’idea di essere un po' dissacrante a tutti i costi, di far riemergere dalle nebbie di un passato ancora recentissimo (inizio luglio) qualche fotogramma di una avventura organizzativa enorme per sforzi profusi e per risultati ottenuti. Lo scriverò, come ho spesso fatto, nella forma di un diario di bordo personale. Non voglio invadere con battute e toni scherzosi un momento che per tanti di noi è solo tristezza.

Grazie, Mattia, per i ricordi che ci hai lasciato. Io ne tengo stretti alcuni, molto personali, che mi fanno sorridere anche adesso. Se dico "Alpe Adria a Kastav" non posso che vedere la tua immagine nei miei occhi. 

Ma soprattutto grazie per averci insegnato, col tuo modo di essere atleta e persona, che la vittoria più bella è quella che nessuno ti regala, ma che nessuno può portarti via.

Monday, August 11, 2025

Mattia 1996 - 2025

Stasera è arrivata la notizia che nessuno di noi avrebbe mai voluto leggere.

Mattia ci ha lasciati.

Non trovo parole che possano davvero contenere il dolore, l’incredulità e il senso di vuoto che sento in questo momento. So solo che è difficile accettare che quel sorriso, quella determinazione, quella capacità di rendere tutto più leggero non ci accompagneranno più nelle gare e nei momenti insieme.

In questi giorni avevo sperato, come tutti, che ci fosse un altro finale, che questa fosse solo una brutta parentesi da raccontare poi ridendo, davanti a una birra o durante un viaggio verso qualche bosco lontano.
Non sarà così.

Il mio pensiero va alla sua famiglia, alle amiche ed agli amici più vicini, a chi con lui ha condiviso non solo una passione sportiva ma un pezzo di vita.

Ciao Mattia, grazie per quello che sei stato per tutti noi.