Stegal67 Blog

Wednesday, October 22, 2025

Chioggia, Mirano e l'insegnamento di (o del) Galilei

Le gare di orienteering hanno tutte una cosa in comune. Tutte. Che si tratti del Campionato del Mondo o della promozionale di paese dove il ristoro è gestito dal circolo bocciofilo e il premio è un salame. Non sto parlando del fatto che l’orienteering è uno sport bellissimissimo – anche se lo è, e pure parecchio di più – fatto da persone speciali che forse è vero che attaccano il cervello solo al clear & check, ma di certo non lo staccano quando tagliano il traguardo.

È uno sport in cui nelle gare sprint ti scanni ogni secondo per quindici o venti minuti e poi, appena arrivi, fai high five con quello che ti ha appena dato due minuti di distacco. Gente strana, gli orientisti: competitivi come pirati in cerca di tesori, altruisti con la bussola ed il chip.

Ma ecco il punto: ogni gara di orienteering, per quanto ben congegnata, ha una percentuale intrinseca di catastrofe. È fisica pura. Galileo lo direbbe così: “Eppur si sbaglia.”
Soprattutto se la gara si svolge in centro storico, cioè in quell’habitat naturale dove convivono vicoli, turisti in modalità selfie, comitive guidate da professionisti con l’ombrello alzato e signore del posto con il carrello della spesa che ti attraversano davanti proprio quando tu sei impegnato a leggere la descrizione punto.

Aggiungiamoci che per l’italiano medio, “sportivo” è sinonimo di “quello dentro uno stadio \ una piscina \ un campo da tennis \ hanno bloccato la strada per questi che corrono o pedalano eccetera”. Quindi, quando l’italiano medio vede orde di alieni in calzoncini fluorescenti con una mappa in mano che urlano “occhio!!!!” e tagliano a tutta velocità tra i tavolini del bar, pensa subito: “Ma proprio oggi dovevate venire a rompere le scatole? C’è il sole, si mangia bene, i locali sono pieni, e voi? Con le vostre lanterne e… uno SPEAKER che parla da solo per ore come se fosse all’assemblea degli Alcolisti Anonimi? TACETEEE!”

Ecco, questo è il rischio. È ciò che ogni settimana sfiora chi organizza una gara.
Ma non a Chioggia e Mirano. Perché grazie all’Orienteering Galilei, e in particolare a Federica Anedda, quello che poteva essere il solito “esperimento sociale” si è trasformato in un capolavoro organizzativo degno del telescopio del Maestro Galileo. Federica ha fatto ciò che Galileo fece con i pianeti: li ha previsti (io che sono laureato in astrofisica posso dirlo senza tema di smentite). Ha pensato all’imprevisto, al prevedibile e al catastrofico.
E l’ha fatto PRIMA. E questo, nel nostro sport, è spesso raro (esempio di due parole messe in fila che hanno significati opposti). Per questo motivo vorrei aver registrato le parole dell’altro speaker, Andrea “il Maestro” Rinaldi, che tra un fiatone e l’altro (scusa Andrea!) ha ricordato a tutti che dietro una gara riuscita c’è chi lavora come un dannato perché tu possa perderti con stile.

Io, dal canto mio, ero quello con il microfono che parlava troppo — il parvenu del decibel, uno che è finito lì per sbaglio, tipo un alieno a cui hanno dato il telecomando della NASA dicendo: “Premi un tasto qualsiasi”. E l’ho fatto. Per ore.

Sabato, Chioggia. La piccola Venezia che non ti perdona. Il corso principale è più affollato della spiaggia di Pinarella a Ferragosto. Un dedalo di calli, ponti, turisti e locali dove il profumo di fritto misto si mischiava al sudore degli atleti. Tracciati di Luca Rosato: puliti, brillanti, cattivi al punto giusto. Finalmente un percorso in cui anche io potevo vedere la tratta intera senza dovermi fermare ogni trenta secondi a chiedermi se quella calle lì è questa o quell’altra con lo stesso nome. Sublime.


Domenica. Mirano. La domenica del villaggio (con sprint annessa). Atmosfera da domenica mattina italiana, piazza elegante, colazione nei bar, pubblico incuriosito. Anche qui, Rosato & Co. hanno tirato fuori il meglio: cortili segreti aperti per l’occasione, trappole cartografiche piazzate come mine anti-intuitività e barriere perfettamente collocate nel punto in cui non avresti dovuto passare. Io ci sono cascato, ovviamente. “Ops… devo fare il giro del fullo”. Punizione divina per chi non osserva bene. Galileo mi avrebbe detto: “Non è che il punto si muove, sei tu che non guardi bene”.

Il resto? Il resto è il bello dell’orienteering: chi vince allo sprint, chi perde di un soffio ma si congratula, chi arriva in centordicesima posizione e non fa seppuku per aver mancato la lanterna di due metri. C’è stato tutto: le volate di Jessica e Caterina, di Sebastiano contro Tommaso, di un altro Tommaso contro Marco, di Lorenzo contro Gabriele. L'arrivo in parata del Gaja Padriciano. E persino la presenza di Tove Alexandersson, che è come dire che Michael Jordan è venuto a fare due tiri nella palestra del dopolavoro ferroviario. Insomma: roba grossa.

Alla fine resta solo una voce che si perde nel vento — la mia — e il ricordo di due giornate perfette, in cui tutto poteva andare storto e invece no. Non un disastro. Minimi inciampi di minima rilevanza. E la prova che, quando dietro c’è chi pensa come Galileo (“misura ciò che è misurabile e rendi misurabile ciò che non lo è”), anche una gara di orienteering nel cuore di Chioggia può sembrare un esperimento scientifico riuscito.

E così, alla fine, niente disastri, niente tragedie, niente turisti travolti da atleti impazziti con la testa sulla mappa. Due giorni perfetti, organizzazione praticamente impeccabile, tracciati geniali, gente felice. Io? Ho parlato troppo, come sempre. Ho urlato nei microfoni come se stessi lanciando un razzo della NASA con una pila stilo. Ma sapete una cosa? Stavolta ne è valsa la pena.

Perché se l’orienteering è l’arte di perdersi con stile, l’Orienteering Galilei e tutti i suoi collaboratori esterni sono riusciti a dimostrare che si può davvero trovare l’ equilibrio tra una lanterna, un ponte e un fritto misto.

E sì — lo ammetto, ho parlato troppo. Ma almeno, per una volta… avevo ragione.

Wednesday, October 15, 2025

Ritorno di fiamma – Pronostici (sbagliati) dei Campionati Italiani Sprint

Sono passati - quanti? Dieci anni? - dall’ultima volta che ho pubblicato dei pronostici sui Campionati Italiani di orienteering. Da allora mi sono astenuto, consapevole delle brutte figure, delle amicizie su Facebook cancellate, dei commenti del tipo “che il Primiero possa perdere la M45 schierando Corona Rigoni e Pradel te lo puoi immaginare solo tu in una realtà parallela!”. E onestamente, mi andava bene così.

Poi succede che ti svegli una mattina e ti prende quella voglia malsana di rimetterti in gioco, di tornare a sparare sentenze che nessuno ti ha chiesto, su gare che non corri più come concorrente ma solo per switchare in speaker-mode e atleti che ormai ti superano pure con una gamba sola. È come la voglia di scrivere alla tua vecchia ex di 40 anni fa alle tre di notte: sai già che è un errore, ma forse lo fai lo stesso.

Così eccomi qua, davanti al computer, pronto a pronosticare le sorti delle categorie giovanili e Elite dei Campionati Italiani Sprint 2025, in quel di Chioggia. Sì, proprio Chioggia: la Venezia che non ha tempo per le gondole, ma neanche per i GPS che perdono segnale in mezzo alle calli.

Solo che… mi è venuto un dubbio. Fare pronostici, in questo sport, è come provare a fare surf sul Po dopo un temporale: o sei un genio o finisci pieno di fango. E io, quest’anno, pieno di fango ci sono già finito. Perché non si sa chi arriva riposato e chi distrutto, chi ha dormito in hotel e chi in macchina in coda sulla Serenissima, e — dettaglio non da poco — se la mappa conterrà o meno quelle barriere “non attraversabili” che ogni anno trasformano la gara in una versione veneta di Squid Game. Il che a quel punto pone in risalto chi si è preparato “a secco”, magari con l’aiuto di qualche coach che si mette lì con OCAD a fare prove su prove.

Insomma: rischio altissimo di fare figuracce, zero possibilità di vincita, e una platea pronta a dirmi “eh ma ti sbagli, ma ti sbagli di grosso! Guarda che Tizio ha il picco di forma”.

Quindi ho fatto la cosa più sensata del mondo, quella che da mondo è mondo fanno TUTTI: ho delegato il compito all’intelligenza artificiale. Così, se qualcuno si arrabbia, io sono salvo.

Sì, avete capito bene. Quest’anno, i pronostici li fa LEI. “La mia Ombra”. Una voce sintetica che abita nel cloud, parla troppo e si crede più intelligente di me solo perché sa calcolare gli algoritmi più in fretta di quanto io riesca a ricordare il podio della discesa libera maschile ad Innsbruck ’76. Ed allora mi sono immaginato cosa poteva venirne fuori:

***

IO: Allora, Ombra mia digitale, tocca a te. Cominciamo con una domanda facile, tipo “argomento a tua scelta”. Chi vince la categoria WElite ai Campionati Italiani Sprint di Chioggia?

L’OMBRA: Calcolo in corso... (rumore di ventoline dell’hardware che frullano)... Tove Alexandersson!!!

IO: ... Aspetta, cosa hai detto?

L’OMBRA: Tove. Alexandersson. È la mia risposta definitiva. La accendiamo!

IO: Ah beh, complimenti, mi sa che mi hanno installato ChatGPT 1.0 sul sistema operativo DOS. Serviva un’intelligenza artificiale per dire che Tove Alexandersson è favorita? Ha vinto 23 mondiali, 6 Coppe del Mondo e la corsa per prendere il tram numero 15 che porta in centro, se ci fosse stata (se ci fosse stata la corsa, ma talvolta non abbiamo la corsa e nemmeno il tram…)

L’OMBRA: Non è colpa mia se i dati parlano chiaro. Io analizzo risultati, punteggi, coefficienti di sprint, e tu analizzi... il menu del bar!

IO: Ehi! Io ho ancora l’occhio! Magari un po’ appannato, ma vedo benissimo chi è in forma e chi no.

L’OMBRA: Ah sì? Allora chi metteresti tu come outsider nella WElite, signor so-tutto-io dell’orienteering?

IO: Eh… dipende. Se la carta è cattiva, chi è abituata alle trappole urbane può dire la sua. Se ci sono barriere a sorpresa, magari una tecnica come Jessica Lucchetta o come Maddalena De Biasi, ma non so come mai mi viene il nome di Guenda Zaffanella…

L’OMBRA: Interessante scelta. Sai che secondo i miei calcoli il tuo podio De Biasi – Lucchetta – Zaffanella, in qualunque ordine, ha una probabilità di verificarsi del… 2,7%?

IO: Perfetto! Allora segnale ottimo: quando l’intelligenza artificiale mi dà il 2,7%, vuol dire che quelle atlete andranno tutte a medaglia

L’OMBRA: Statisticamente impossibile.

IO: La statistica dice tante cose. Anche che i tuoi server non reggono la pressione dei pronostici. Vabbé. Proviamo ancora. Chi vince la categoria MElite?

L’OMBRA: Francesco Mariani. Corre come se avesse debiti con la banca e stesse scappando dagli strozzini

IO: Ok, Ombra, non so bene perché ma questa cosa comincia già a stufarmi. Una cosa un po’ più elaborata? Quello zinzinello di rischio in più? Non so… cosa mi dici di Samuele Tait o di Giacomo Zagonel?

L’OMBRA: tu mi hai chiesto chi vince, non il podio. Hai fatto tre nomi. Che tre concorrenti possano vincere tutti e tre la stessa medaglia è impossibile, lo sanno tutti …

IO: … si si, lo so, impossibile quanto il fatto che Ilian Angeli, Basile Basset e Mikkel Holt abbiano preso la stessa medaglia ai JWOC 2022. Sei una incapace! Allora io sparo, e quando la sparo, la sparo grossa. Vince Mariani…

L’OMBRA: Ma è la stessa cosa che ho detto io!!!!

IO: … secondo Mattia Scopel e terzo Edoardo Pellegrino Tecco! Comunque mi hai fatto già perdere la pazienza con Tove e Mariani. Entriamo nel vivo: le categorie giovanili. Cominciamo con la M12, i più piccoli. Vediamo se lì hai almeno un po’ di fantasia.

L’OMBRA: Fantasia? Io non faccio fantasia, io faccio statistica. Secondo il mio algoritmo di prestazioni giovanili 2022–2025, combinato con la velocità media sui 2,3 km sprint, il favorito è... (seguono nomi a caso di gente inesistente)

IO: Ah sì? Guarda che quello l’anno scorso correva nella M10 e aveva ancora i lacci delle scarpe con i dinosauri.

L’OMBRA: Eppure corre più forte di te persino quando stai cercando il bagno dopo una abbuffata di torta fritta e salumi

IO: Perché stai sottovalutando quelli del Trentino? Pensi che se la mappa è piatta loro di perdano???

L’OMBRA: Nota statistica: il 43% dei trentini si perdono sulle mappe piatte, e solo il 12% arriva alla partenza con la sicard Air

IO: Sai che c’è? Mi sono stufato. Fai tu. Fatti pure i tuoi grafici, le tue tabelle, le tue equazioni. Io torno umano.

L’OMBRA: Come preferisci. Procedo con l’auto-aggiornamento... (bzzzt... rumore di hardware...)

IO: Ehi, che succede?

L’OMBRA: Sto evaporando nel cloud. È la mia forma di eleganza quando un umano perde una discussione.

IO: Ah, geniale. Io invece mi spengo alla vecchia maniera: collassando sulla sedia.

(Rumore di ventola che si spegne. Silenzio. Sullo schermo, una scritta lampeggia: “Connessione persa con L’Ombra.”)

IO: Be’, almeno lei non ha pronosticato che vincevo io.

Alla fine, mentre mi rialzo dalla sedia e cerco di scrollarmi di dosso il sudore della rabbia e dell’esasperazione, mi accorgo di una verità semplice come una Fiat Panda parcheggiata male davanti al bar del paese: fare pronostici è inutile. Soprattutto nell’orienteering giovanile.

Puoi avere algoritmi, statistiche, droni, visioni premonitrici e persino un’intelligenza artificiale che parla come se fosse la reincarnazione digitale di Angelina Jolie. Tutto inutile. Perché ci sarà sempre un ragazzino che si gioca la carta impossibile e fa scopa d'assi, una ragazza che decide di provare una scorciatoia invisibile, un GPS che decide di prendersi un caffè

E allora che senso ha? Il senso è guardare, ridere, sparare battute, aggiornare classifiche e… godersi lo spettacolo. Come guardare quella Panda arrancare su una salita: sai che non vincerà mai la Trento Bondone, ma c’è qualcosa di eroico nel vederla arrivare comunque in cima.

Così, miei cari e miei care, i pronostici sulla base degli algoritmi li lascio a L’Ombra. Io torno a guardare la corsa, il vento che piega le mappe, i giovani che corrono come se il mondo fosse un labirinto di cartone. E se qualcuno mi chiede chi vince, faccio il solito gesto: un’occhiata, una smorfia e un’alzata di spalle. Perché nell’orienteering, come nella vita, la risposta giusta è spesso… “Non lo so. Godiamoci lo spettacolo”.

Ora lasciatemi sospirare, sorridere e bere un caffè. Fuori dalla finestra, la Fiat Panda procede lenta ma orgogliosa, come tutti noi quando tentiamo di prevedere l’imprevedibile.