Stegal67 Blog

Saturday, August 04, 2007

Un paio di scarpe.

Non è il titolo di uno dei primi gialli di Ellery Queen, tra l’altro uno dei meno nobili e di quelli che meno mi hanno colpito di tutta la produzione di Lee e Dannay. No, si tratta dell’oggetto cui mi sono dedicato per completare le pratiche relative all’O-Ringen 2007: il mio paio di scarpe, il mio paio di Botas bianche e azzurre (che con la tuta “Finlandia 1965”, come dicono Dalen e il Brusa, mi fanno tanto gelataio…) che si sono quasi, spero non, definitivamente distrutte nel corso dell’O-Ringen. Poverette. Sono sopravvissute al mio dolce peso ancora per le 5 tappe svedesi, hanno attraversato con me paludi, acquitrini e pianure di fango. Le ho pulite ad ogni tappa fino all’ultima: l’attraversamento della palude per la malefica lanterna 46 le ha lasciate coperte di uno strato di guano che è tornato il Italia con me, chiuso in un sacchetto. Fino a stamattina. Quando ho preso il coraggio (e il doccino “getto violento”) a due mani e mi sono deciso a concludere anche questa pratica.

Penso che nel mondo dell’orienteering ci siano poche persone legate alle loro scarpe quanto il sottoscritto. Anche Plab, nel suo blog, ha scritto qualcosa dell’”Orientista con i problemi alle scarpe”. Quelle Botas arrivavano da lontano, per la precisione dalla 3 giorni di Boemia di tanti anni fa. Mi lasciano adesso nelle mani (strano da dirsi per un paio di scarpe) dell’ultimo paio di Falcon acquistato due anni fa in Scozia alla 6 giorni. Se faccio fuori anche queste, avrò seri problemi!
E pensare che il commento, arrivando in terra di O-Ringen, era: “Pensi di non trovare il tuo numero al tendone Team Sportia all’O-Ringen?” Ci ho sperato, ma alla fine non ho trovato nulla. Mi sono aggirato tra mura di scatole di scarpe puntando ai numeri più alti: niente! Ho chiesto a tutti gli espositori: niente! Un paio di loro mi hanno messo in mano i pezzi più grossi della collezione: niente! Sempre corte di un numero o di mezzo numero. Attorno a me, frotte di persone provavano scarpe potendo scegliere il mezzo numero in più o in meno, il colore, il modello, il prezzo… io niente! Avrei preso ogni cosa che avessi trovato, indipendentemente dal colore o dal modello…

Il bello è che all’inizio i venditori non capiscono. Vedono queste scarpe che a loro sembrano enormi, e pensano che sia impossibile che un piede non ci entri. Vedono me, che non sono altro 3 metri ma sono comunque abbastanza proporzionato, ed il mio piede non spicca certo come quelli di Pippo. Poi vedono che io scuoto la testa e pensano al solito cliente rompicog…oni che fa solo perdere del tempo senza decidersi per l’acquisto. Col tempo, ho imparato a scuotere la testa e a piazzare piede e scarpa sotto il naso del venditore, per far capire dove finiscono o in che stato sono le mie dita. Così mi risparmio tempo e fastidi. Negli anni, la difficoltà di trovare le scarpe ha assunto talvolta connotati divertenti e talvolta anche frustranti, ed è stata fonte di avventure.

La storia delle scarpette da ginnastica l’ho già raccontata. Quando ho cominciato a giocare a pallacanestro avrei potuto trovare le scarpe da AllBasket, vicino alla sede dell’Olimpia. Ma costavano una cifra! Le mie prime scarpe da basket sono state di una marca mai più sentita: BS. Mai sentita? Neppure io fino e dopo allora. Scarpe pesantissime. Due macigni, come disse il mio allenatore. Ma solide e forti che ci avrei potuto tirare giù un muro a pedate. Passato al Billy Milano, ebbi bisogno di scarpe alte, per fasciare le caviglie (le BS erano basse). Le trovai, assurdità, al mercatino di Pesaro dove eravamo in trasferta: un tale aveva in stock delle scarpe alte di un’altra marca mai sentita: PONY. Ne aveva 5 paia del 49 e mezzo, bianche e rosse come i colori della Scovolini Pesaro, e costavano niente. Gliele comprai tutte. Tutte… ci provai. Quello non me le voleva vendere tutte: mi diceva che non poteva restare senza nel caso in cui fosse arrivato un altro acquirente… ma che razza di venditore era? Se arrivava un altro avrebbe venduto l’ultimo paio e sarebbe rimasto senza lo stesso! Niente… ho insistito per 20 minuti, perché ho la testa dura, ma lui ce l’aveva di più. Spero che quel paio di scarpe gli sia rimasto sul gozzo fino a quando ha chiuso bottega!

Con queste paia di Pony tirai avanti parecchio (resistenti: l’ultimo paio ce l’ho ancora, un po’ massacrato ma ce l’ho: se le metto in valigia non ci sta altro). Finché non cominciammo ad allenarci in una palestra con il fondo in cemento. Io a quell’epoca avevo sviluppato un modo di difendere che mi aveva illustrato Bianchini, e l’avevo un po’ affinato e fatto mio. Lo chiamavo “timone”, anche se lui lo chiamava “ancora”. Dovevo usare un bel po’ di “timone” per difendere sui giocatori più piccoli e veloci, ma ce la mettevo tutta. Sul campo in cemento, quel modo che ormai era diventato congenito provocava il rapido deperimento e distruzione delle scarpe. Dopo avere distrutte rapidamente due paia (duravano, non esagero, 4 allenamenti), i miei genitori provarono a dirmi che era il caso di cambiare tattica: non potevo giocare distruggendo due paia di scarpe al mese! Ma ormai erano alcuni anni che giocavo in quel modo, e se dovevo correre dietro alla guardia o al play non potevo mica pensare “Pensa a salvare le scarpe”. Anche la società era perplessa, perché nessuo sapeva evidentemente cosa fare. A salvare la situazione di pensò mio padre: si mise di buzzo buono e divenne calzolaio, con colla, pellami e battiscarpe e tutto! Ogni volta mi sistemava le scarpe in modo da offrire una protezione più forte e le sistemava dopo l’uso. Funzionò, prova ne è che giocai ancora a lungo e l’ultimo paio di Pony resiste ancora adesso a distanza di 25 anni.

Certo, le scarpe sportive rappresentano molto quando sei a scuola, ma quando hai una fidanzata e ci esci la sera… Quante litigate con A. per via del fatto che non potevo mai mettere quelle belle scarpe stile inglese che le sarebbero piaciute tanto: sembrava che fosse un mio sgarbo, il non voler comprare quelle scarpe. Quante volte siamo andati su e giù per Corso Vercelli per trovare una scarpa che mi andasse bene. Nei negozi mi proponevano dei 45 o 46, chiedendomi se volevo provare ugualmente. Più la ricerca non dava frutti, più lei si imbufaliva. E la colpa era mia!!! Feci uno sforzo quella volta che andammo (l’unica volta) a pattinare sul ghiaccio; anche quella volta non c’era il mio numero, ma dovendo solo affittare gli attrezzi, mi accontentai di un 46 e passai il pomeriggio come sulle uova, non per il ghiaccio ma per i pattini strettissimi. Questa prodezza mi costò una tendinite pazzesca che mi portai dietro per due mesi. Al primo allenamento, il coach mi vide arrivare conciato male e mi chiese cosa avessi combinato. Spiegai la situazione, dicendo che “forse” la causa erano i pattini stretti. “Ma va???” rispose, e mi caccio dal campo in malo modo.

Quando ho iniziato a praticare l’orienteering, le prime volte ho usato proprio le famose Pony. A suola liscia che più liscia non si può. Diciamo che non ero “un bel vedere” dal punto di vista estetico… Decisi di fare qualcosa dopo una gara corsa al Monte Maddalena, una continua costa sul fogliame umido: ero sempre per terra. I compagni di squadra avevano le famose scarpe da ori, ma si compravano alle gare nazionali e nei miei primi anni di attività non uscivo praticamente mai dalla Lombardia. Ripiegai sulle scarpe da calcetto, con i tacchetti più sottili. Funzionarono abbastanza bene ma furono giorni difficili per le mie caviglie: con le suole lisce il piede e la caviglia scivolavano via insieme; con i tacchetti, scivolava via solo la caviglia… il piede restava ancorato al suolo! Prima gara con le scarpe da calcetto e prima mega-distorsione, a Sesto Calende ad una lanterna dal traguardo. Lavoravo in Comitsiel (era il 1995) e fui costretto a stare a casa 3 giorni dall’ufficio. Quando rientrai, con la stampella, il direttore del personale mi venne a parlare: forse, diceva, lo sport che praticavo “non si attagliava con un ruolo di responsabilità nel lavoro, ruolo al quale parevo essere destinato”. Figuriamoci se potevo lasciare perdere con l’orienteering. Sarei stato più attento… Guarito, andai a gareggiare al Family Trophy a Sfruz. Seconda mega distorsione. Questa volta, però, nei primi punti. Poiché partivo per ultimo in griglia e sui quei punti avevo raggiunto almeno 10 concorrenti partiti davanti a me (praticamente tutti sul primo punto) feci tutta la gara, correndo sulla caviglia malandata. Al rientro a Milano, nemmeno più camminavo.

Ma non potevo certo presentarmi in ufficio zoppicando. Arrivai in ufficio lunedì mattina prestissimo, attraversando il cortile lentamente e facendo finta di niente, come se mi stessi guardando in giro. Speravo di non avere riunioni, per poter rimanere seduto alla mia scrivania tutto il tempo… DRIIIIINNNN…. Suona il telefono. Riunione presso il cliente (dall’altra parte del cortile). Mannaggia! Prendo su le mie cose e, con buon anticipo, attraverso il cortile, sempre lentamente. Partecipo alla riunione, e ritorno con ancora maggiore lentezza facendo finta di guardare per aria, leggendo tutti gli avvisi e stringendo i denti. Giunto a metà cortile, mi accorgo di una tenda scostata al primo piano: è l’ufficio del direttore del personale, e a fianco della tenda c’è lui, e mi sta guardando! Continuo a far finta di niente, arrivo agli ascensori, salgo al secondo piano, la porta si apre… e trovo lui: il direttore
“Dottor Galletti, come sta oggi…”
“Bene Dottore, bene. Ha visto che bella giornata?”
“Dottor Galletti, mi pare che lei non abbia ascoltato i miei consigli…”
A quel punto deve essere partito il mio sguardo alla Klaus Kinski. L’ho squadrato e sono partito in uno dei miei “numeri” cui accennava Plab.
“Dottore. Se le dico che sto bene vuol dire che sto bene. Anzi, mi sento così bene che potrei sfidarla in questo momento a fare una corsa a chi prima arriva in fondo al corridoio (che era lungo n.d.r.). Però mi rendo conto che la sfida sarebbe impari. In fondo io sono allenato e sono il campione di corsa nel corridoio, e lei no. Allora facciamo così: si trovi il suo campione, e me lo porti, e io lo sfiderò immediatamente. E vediamo chi vince!”
E lo pianto lì.
Quella volta non mi ha licenziato…

Per fortuna alla gara di Sfruz qualcuno mi parlò del taping (che non era da applicare dopo la gara, come avevo creduto di capire, ma prima!): non potevo mica sfidare il Direttore del Personale dopo ogni gara di orienteering. Da quel giorno in avanti sono stato abbastanza fortunato: le prime Silva acquistate alla 6 giorni di Svizzera, resistentissime, con una suola che dopo centinaia di gare è come nuova. Peccato che la scarpa non stia attaccata alla suola, ma io quelle Silva le uso ancora oggi per la MTB-O! Ho distrutto 3 paia di jalas (non ne faccio la pubblicità, perché io proprio non mi ci sono trovato bene), un paio di Falcon e adesso queste Botas. Mi restano un paio di Falcon, un paio solo… Ho sguinzagliato i miei agenti all’Avana: spero che Roland Vogl o Tiziano Serafini o qualcuno, rovistando tra qualche stock in disuso, mi procuri le scarpe che mi porteranno all’O-Ringen 2052 e 2053! Se avete qualche notizia per me, il mio indirizzo e-mail lo conoscete: diventate miei agenti, trovatemi le scarpe. Misura minima: 49 e mezzo o 50. E non fidatevi di chi vi propone scarpe “enormi”: nella maggior parte dei casi sono dei piccolissimi 48 o 48 e mezzo che possono andare bene solo al grande capitano Denny Pagliari, al grande primierott-brianzolo Marco Ongaro o a Thierry Gueorgiou (scusate, Danny e Marco, per l’irriverente accostamento...).

8 Comments:

At 12:44 AM, Blogger Pierlabi said...

E se proprio volete far alterare Ste sull'argomento, potete fare come il tizio del noleggio sci che alla risposta su quale numero serviva ("49 e mezzo") osò dire "Ma è proprio sicuro?"...

 
At 9:53 AM, Anonymous Anonymous said...

"Si! Sono proprio sicuro!"
"Ma di quella misura fanno solo le Samsonite!"

Ma gli spiritosoni li incontro tutti io ...?!?

 
At 8:06 PM, Anonymous Anonymous said...

nooooooo scrivi i tuoi post su word e poi li incolli sul blog... vediamo se indovini come ti ho sgamato...

 
At 10:33 PM, Anonymous Anonymous said...

Non lo so... forse con qualche lettera accentata o con gli a capo? Sono curioso!
Il post è stato scritto "in trasferta", non potevo mica stare collegato aggratis in casa d'altri mentre facevo andare la tastiera per il post più lungo del secolo :-)

 
At 9:11 PM, Anonymous Anonymous said...

è un errore nel quale sono incappato anch'io qualche volta... Scovolini Pesaro... maledetto correttore automatico!
che poi, quando mai capita di usare la parola "scovolino"???

 
At 9:11 PM, Anonymous Anonymous said...

è un errore nel quale sono incappato anch'io qualche volta... Scovolini Pesaro... maledetto correttore automatico!
che poi, quando mai capita di usare la parola "scovolino"???

 
At 10:46 PM, Anonymous Anonymous said...

... mi hai sgamato puntando sul cavallo sbagliato :-)
E' proprio un errore di stompa: io non so nemmeno metterlo il correttore automatico! Il pezzo di oggi sulla gara di MTB-O è stato scritto sul NOTEPAD !!!
(pensa te in che mani siamo messi...)

 
At 12:32 AM, Blogger Andrea Segatta said...

Mi fai venire in mente le mie ultime "SILVA". Inconfondibili.... erano quelle tutte rosse, che le riconoscevi indossate a 50 metri di stanza. Una scarpa magnifica, sotto tanti punti di vista :
- una calzabilità di un altro pianeta rispetto alle tradizionali scarpe "ferro da stiro" che purtoppo imperversano incontrastate sul mercato;
- la sensibilità al piede : un vero corridore deve "sentire" il terreno su cui corre. Le scarpe che oggi trovo in vendita pare abbiano solette di calcestruzzo. Non prendetemi per un esaltato della corsa ma da istruttore FIDAL vedendo molti giovani correre temo che non gli abbiamo insegnato a "sentire" la spinta del piede e l'importanza che ha nella meccanica di corsa;
- La comodità dell'allacciatura : per chi non le ha provate, avevano una cerniera che "chiudeva" superiormente la scarpa e nascondeva i lacci con il fantastico risultato che non si slacciavano praticamente MAI.
Ovviamente.... quella scarpa adesso non la fanno più ed io ne ho una nostalgia matta: se i tuoi procacciatori ne hanno un paio 42 1/2 in magazzino.....
Ultima nota : ultimamente, per avere una scarpa che mi faccia sentire almeno un po' la spinta del piede.... sto usando un vecchio paio di scarpe da calcio... Sembrerà impossibile ma mi trovo benissimo!!! La scarpa è morbida, tiene bene anche in costa avendo 13 tacchetti di gomma;
- non ti fa volare sulle rocce (al colle di Villa ho rischiato la pelle.... o meglio l schiena!!). Ultimo dettaglio.... costano la metà (MIGA BAE!!)

 

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