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Sunday, December 15, 2024

Per il futuro che verrà (pensiero post Lavarone)

La sera cadeva lenta sul Monte Tablat. Un manto d’argento avvolgeva l’arrivo delle piste da sci e nascondeva i boschi, con le loro pendenze, le mille insidie, i dolci movimenti del terreno che diventano talvolta bruschi e terribili. Il campo gara è ormai deserto. L’osservatore, ormai troppo in là con gli anni per poter competere ancora a buoni livelli, guardava tutto questo con lo sguardo perso verso l’orizzonte. Era stato coinvolto nel suo sport per oltre trent’anni, prima come atleta, poi come speaker e come osservatore attento e appassionato. La sua vita nei boschi era stata un susseguirsi di fallimenti e sorprese, di delusioni frequenti e di inaspettati piccoli successi, in un’altalena di situazioni che lo avevano reso più forte ma non insensibile, lasciandogli il gusto salato e saporito delle lacrime in gola quando le emozioni prendevano il sopravvento.

Le voci continuavano a discutere poco lontano e lo riportarono alla realtà. Stavano litigando. Stavano litigando ancora, su qualche questione politica di poco conto. Ciascuno fermo sulle proprie posizioni, incapace di cedere, incapace di comprendere, incapace di lasciarsi il passato alle spalle, incapace di capire come quelle energie usate per mantenere posizioni ormai stantìe potessero invece essere usate per aiutare una nuova generazione. Erano sempre gli stessi, compagni di tante avventure che avevano tra loro condiviso traguardi e sudore, ma che fuori dall’arena di gara spesso si trasformavano in ombre testarde e rancorose.

Si sentì sopraffatto da una profonda malinconia. Com’era possibile che le persone, col passare del tempo, si abbandonassero a tali meschinità? Si ricordò delle gare passate, delle battaglie sportive dove non c’era spazio per inganni o risentimenti. Sul campo, ogni sforzo era autentico, ogni caduta un insegnamento. La vita, pensò, avrebbe dovuto essere vissuta così: con la stessa schiettezza di un confronto leale.

Si alzò lentamente e camminò verso un edificio, ora immerso nella penombra. In lontananza, sembrava che le stelle fossero più brillanti, come se fossero vicine, sempre più vicine. Fu così che vide arrivare dal fondo della strada un gruppo di giovani atlete ed atleti che alla luce delle loro frontali ridevano e si allenavano con una energia che non poteva essere altro che contagiosa. I loro volti erano illuminati non solo dai led delle loro lampade, ma da una luce più pura, ancora lontani dalle complicazioni della vita adulta. In quegli occhi brillava la speranza, quella che lui credeva di aver perso solo pochi minuti prima.

Le parole di una vecchia canzone affiorarono nella sua mente: “I did it my way”. Il suo percorso, come i percorsi che tante volte aveva affrontato nel suo sport, era stato tortuoso, pieno di errori e assurdità. Ma era stato il suo, vissuto con autenticità e passione. Si rese conto che ogni salita, ogni caduta, ogni volta che aveva perso la strada e si era ritrovato con non poca fatica, lo avevano portato quasi a comprendere, sebbene non avesse ancora imparato ad evitarlo, il modo in cui l’ovvia giusta direzione era stata sopraffatta da una scelta assurda, da una svista marchiana, da una cantonata banale. Ma tutto questo aveva contribuito a renderlo la persona che era, nel bene e nel male. Le montagne russe emotive della vita non potevano essere evitate, ma solo affrontate con coraggio. E che le sconfitte fanno parte della vita, in misura ancora maggiore delle vittorie.

Si fermò sulla strada e osservò ancora quei giovani che entravano nell’edificio a riprendere fiato, dopo un nuovo allenamento. In loro c’era un futuro che lui non avrebbe mai visto compiersi del tutto, che esisteva sicuramente grazie agli insegnamenti del passato ma che il passato non doveva andare a gravare. La vita andava avanti, con tutti i suoi alti e bassi, i suoi giorni di gloria e di rimpianto.

Con un ultimo sguardo a quel gruppo, si voltò per andarsene, portando con sé una nuova serenità. Il futuro poteva essere migliore. E se anche le piccole meschinità della vita adulta avrebbero continuato a esistere, bastava un solo sogno, un solo giovane che credeva ancora, per dare un senso a tutto.

E mentre si allontanava, un sussurro interiore gli ripeté dolcemente: “I faced it all and I stood tall, and I did it my way”.

1 Comments:

At 10:39 PM, Blogger Dopolav-ori said...

uh, che criptico-filosofico-esistenzialista...

 

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