Per il futuro che verrà (pensiero post Lavarone)
La sera cadeva lenta sul Monte Tablat. Un manto d’argento avvolgeva l’arrivo delle piste da sci e nascondeva i boschi, con le loro pendenze, le mille insidie, i dolci movimenti del terreno che diventano talvolta bruschi e terribili. Il campo gara è ormai deserto. L’osservatore, ormai troppo in là con gli anni per poter competere ancora a buoni livelli, guardava tutto questo con lo sguardo perso verso l’orizzonte. Era stato coinvolto nel suo sport per oltre trent’anni, prima come atleta, poi come speaker e come osservatore attento e appassionato. La sua vita nei boschi era stata un susseguirsi di fallimenti e sorprese, di delusioni frequenti e di inaspettati piccoli successi, in un’altalena di situazioni che lo avevano reso più forte ma non insensibile, lasciandogli il gusto salato e saporito delle lacrime in gola quando le emozioni prendevano il sopravvento.
Le voci continuavano a discutere poco lontano e lo
riportarono alla realtà. Stavano litigando. Stavano litigando ancora, su
qualche questione politica di poco conto. Ciascuno fermo sulle proprie posizioni,
incapace di cedere, incapace di comprendere, incapace di lasciarsi il passato
alle spalle, incapace di capire come quelle energie usate per mantenere
posizioni ormai stantìe potessero invece essere usate per aiutare una nuova
generazione. Erano sempre gli stessi, compagni di tante avventure che avevano
tra loro condiviso traguardi e sudore, ma che fuori dall’arena di gara spesso
si trasformavano in ombre testarde e rancorose.
Si sentì sopraffatto da una profonda malinconia.
Com’era possibile che le persone, col passare del tempo, si abbandonassero a
tali meschinità? Si ricordò delle gare passate, delle battaglie sportive dove
non c’era spazio per inganni o risentimenti. Sul campo, ogni sforzo era
autentico, ogni caduta un insegnamento. La vita, pensò, avrebbe dovuto essere
vissuta così: con la stessa schiettezza di un confronto leale.
Si alzò lentamente e camminò verso un edificio, ora immerso nella penombra. In lontananza, sembrava che le stelle fossero più brillanti, come se fossero vicine, sempre più vicine. Fu così che vide arrivare dal fondo della strada un gruppo di giovani atlete ed atleti che alla luce delle loro frontali ridevano e si allenavano con una energia che non poteva essere altro che contagiosa. I loro volti erano illuminati non solo dai led delle loro lampade, ma da una luce più pura, ancora lontani dalle complicazioni della vita adulta. In quegli occhi brillava la speranza, quella che lui credeva di aver perso solo pochi minuti prima.
Le parole di una vecchia canzone affiorarono
nella sua mente: “I did it my way”. Il suo percorso, come i percorsi che
tante volte aveva affrontato nel suo sport, era stato tortuoso, pieno di errori
e assurdità. Ma era stato il suo, vissuto con autenticità e passione. Si rese
conto che ogni salita, ogni caduta, ogni volta che aveva perso la strada e si
era ritrovato con non poca fatica, lo avevano portato quasi a comprendere,
sebbene non avesse ancora imparato ad evitarlo, il modo in cui l’ovvia giusta
direzione era stata sopraffatta da una scelta assurda, da una svista marchiana,
da una cantonata banale. Ma tutto questo aveva contribuito a renderlo la
persona che era, nel bene e nel male. Le montagne russe emotive della vita non
potevano essere evitate, ma solo affrontate con coraggio. E che le sconfitte
fanno parte della vita, in misura ancora maggiore delle vittorie.
Si fermò sulla strada e osservò ancora quei
giovani che entravano nell’edificio a riprendere fiato, dopo un nuovo
allenamento. In loro c’era un futuro che lui non avrebbe mai visto compiersi
del tutto, che esisteva sicuramente grazie agli insegnamenti del passato ma che
il passato non doveva andare a gravare. La vita andava avanti, con tutti i suoi
alti e bassi, i suoi giorni di gloria e di rimpianto.
Con un ultimo sguardo a quel gruppo, si voltò per
andarsene, portando con sé una nuova serenità. Il futuro poteva essere
migliore. E se anche le piccole meschinità della vita adulta avrebbero
continuato a esistere, bastava un solo sogno, un solo giovane che credeva
ancora, per dare un senso a tutto.
E mentre si allontanava, un sussurro interiore gli
ripeté dolcemente: “I faced it all and I stood tall, and I did it my way”.
1 Comments:
uh, che criptico-filosofico-esistenzialista...
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