Stegal67 Blog

Monday, July 22, 2024

Tre più sei meno (quasi) due: i miei COM e 5 days

Non tutti i bravi orientisti sono anche bravi matematici. E non tutti gli orientisti devono fare somme e sottrazioni come quella del titolo, per dimostrare di essere bravi. Io non sono stato bravo: ho scritto l’equazione, ma non ho saputo risolverla. L’equazione originale diceva 3 (tappe del Cansiglio Orienteering Meeting) + 1 (prologo della Five Days ad Andalo) + 5 (tappe della Five Days alla Paganella). Il totale fa nove. Sono arrivato a sette tappe, più due parziali, perché le forze sono quelle che sono ed i percorsi Elite non li fanno più corti perché lo speaker si ostina a partire all’alba. Ma è stata ancora una volta una avventura completa, piena di episodi strani, bizzarri, divertenti, al limite della fantascienza o del fantaorienteering.

Si comincia al Cansiglio, prima tappa della prima edizione del Cansiglio Orienteering Meeting, ed il percorso è sul terreno “bianco che più bianco non si può” di Vallorch. Non mi è servito andare a rileggere le pagine del blog per ricordarmi di quella volta che a Vallorch avevo corso bene, mi ero sentito in forma, avevo trovato i punti in bello stile. Peccato, forse avrei dovuto rileggere bene. La mia gara al Vallorch è andata bene per 4 punti, poi è cominciata la sofferenza. Mi sono ripreso un po’ a tratti, e ho pagato con un errore di 45 (quarantacinque!!!) minuti alla 13, che non era affatto difficile ma probabilmente ci sono andato con troppa sicurezza e alla fine ho vagato per tutto i costone senza sapermi raccapezzare

Resterebbe da raccontare il fatto che alla fine sono riuscito a tornare su un sentiero, che mi ha riportato sulla strada, dove ho trovato il passaggio di una auto del Tarzo che mi ha riportato alla zona del ristoro, e che sono ripartito da lì. Ho ovviamente trovato subito la 13 e poi mi sono detto “da qui, tutta discesa!”. Per fortuna Roland Pin mi aveva elargito della mappa della zona delle rocce in scala 1:4000, che così è quasi una banalità (se avevo ancora il 15000, stavo ancora lì a cercare i punti). E per fortuna che avevo ancora un carbogel, perché il “tutta discesa” si è rivelato essere una serie di passaggi nei quali spesso dovevo affrontare nuovamente salite per uscire dai valloni. Non c’è di che, punto 18. Forse aveva ragione Tobia, che la 18 era meglio prenderla dal basso.

Finite le fatiche di Vallorch, è già tempo di pensare ad Archeton. Il nome della carta è sempre diverso (quest’anno “Bus de la Lum” e “Col Brobon”) ma il terreno è sempre quello, amato ed odiato, o meglio dovrei dire noto, rispettato e temuto, che in orienteering non c’è spazio per la parola “odio”. Io temo molto Archeton, ma senz’altro non lo rispetto abbastanza. Non so spiegarmi altrimenti come sia possibile che per la seconda volta affronto una gara con partenza dalla zona del Bus de la Lum, salita a sinistra, bivio, tengo il Bus di fianco, lo aggiro, entro nella zona delle prime depressioni andando verso est… e mi perdo! Mi perdo drammaticamente, mi perdo senza sapere dove sono finito! Stessa cosa era successa ai campionati italiani qualche anno fa: Stefano Raus mi partiva dietro e non capiva perché non mi avesse visto lungo tutta la gara: semplicemente mi aveva superato e staccato già per andare al primo punto.

Vabbé. Tanto prima o poi capirò, giusto? No, sbagliato. Ad Archeton se non capisci "nel durante" non puoi sperare di capire quando ti fermi a guardarti intorno spaesato. Al secondo punto incrocio Enrico De Noni (posatore) che mi dice “bravo! Sei arrivato in zona punto! La lanterna si vede da qui”. Il fatto è che non ho idea di dove sono e non ho idea di dove sia la lanterna. Mi metto al suo fianco, gli dico di guardare sempre nella stessa direzione, e a quel punto vedo anche io il telo a pochi metri da me. Bene ma non benissimo (cit.). E via discorrendo. Trovo il punto 6 ma sto ancora cercando il punto 5, poi affronto la salita durissima (per me) e la tratta lunga… la faccio tutta sul sentierino che passa nella parte sud della carta. Archeton (o Bus de la Lum): respinto con perdite, peggio che all’esame di Analisi 1 quando andavo senza nemmeno aver aperto il libro e facendo scena muta.

Però il terzo giorno c’è Archeton 2, la vendetta, che quest’anno si chiama “Col Brobon” ma è la zona della gara middle alle finali di Coppa del Mondo 2021 dove avevo fatto (diciamo così) da apripista. La faccio breve: vengo respinto anche la seconda volta. Non si può che spiegare così un’altra middle che finisce dopo più di due ore. Sbaglio di 90 gradi la tratta lunga, e mi ritrovo in zona arrivo, così che per andare alla 17 percorro tutto il sentiero a bordo recinto (dove l’organizzazione sta posando le fettucce che indicheranno agli MW12 la direzione per la partenza) e rientro nel bosco da nord, sotto lo sguardo esterrefatto di Erik Nielsen che mi chiede che cosa diavolo ci in quella zona.


Non faccio in tempo ad uscire mentalmente dall’incubo di Archeton che mi calo nel prologo della 5 Days ad Andalo. Il percorso prevede una tratta speciale per l’assegnazione del premio “king and Queen of the Stairs”: dalla partenza al punto 1, ci sono 187 gradini da fare tutti di un fiato per vincere il premio. Oppure da fare tutti di un fiato per vomitare la colazione ed il pranzo dietro al cespuglio vicino al punto 1. Io sono per la seconda opzione (scena brutta, ma brutta davvero). Il percorso del prologo non deve rispettare strani algoritmi del tipo “è sprint, quindi deve essere lungo al massimo tot minuti, ma se non può essere più lungo di tot minuti a te che sei lento posso far fare solo il giro del primo capannone e quindi non ti accorgerai mai quanti passaggi belli, insidiosi, divertenti, incasinati ci sono e tornerai a casa con l’idea che sei venuto a spendere soldi per girare attorno al primo capannone” (si, io sono per le middle urbane) e quindi Jessica Lucchetta mi fa girare avanti e indietro come una trottola per ogni possibile insidia del percorso.



Scena madre del mio giro da apripista: la signora che alla 17 impugna saldamente il cavalletto con due mani e urla al figlio per sapere perché gli ha messo davanti a casa quel coso. Io arrivo in quel momento ed alzo lo spiegometro al livello “parola per parola”. Poi pronuncio la parola magica “RAI”… c’è la RAI che fa le riprese della trasmissione (non c’è). Scusa Pietro ma la parola RAI apre tutte le porte… la signora appoggia il trespolo, allude al fatto che aveva visto “persone che facevano foto in giro”, manca solo che corra in casa a farsi la messa in piega in vista di una possibile comparsata.

Giorno 1 della 5 Days ed io approfitto della partenza pomeridiana per portarmi avanti con il lavoro e farmi in sequenza, proprio una dietro l’altra, le tappe 1 e 2 che hanno l’arrivo nello stesso posto. Partenza verso ovest, loop della tappa 1 (quella lunga), ritorno al traguardo, passaggio dalla macchina per ritirare la mappa 2 e farmi una pera di carbogel, ripartenza verso est e ulteriore ritorno ad Andalo Life dove praticamente svengo e ci metto un’ora a riprendermi.


Considerazioni varie. La vegetazione del primo loop 1-4 della prima tappa… boh?!? Tornava, non tornava? Il mio fuori-carta per andare alla 5: ma chi me lo ha fatto fare di puntare dritto al termine sud-ovest del sentiero forestale? Le aree vietate\impraticabili sul costone… c’erano davvero o non ci sono passato nemmeno vicino? Il costone per andare alla 10: c’era un masso grosso quanto una Smart (l'automobile!) che non è segnato in mappa, una mega-radice con annesso mucchio di sassi non segnata in mappa.

Avendo fatto lo sforzo il giorno prima, nel secondo giorno della 5 Days posso limitarmi a fare l’apripista della quinta tappa che si svolge in ambiente urbano soprattutto nella zona nuova di Fai della Paganella. Credo che sia stata una buona scelta, perché nei fatti passerò la serata a mandare foto di punti dove la mappa non torna più con la realtà delle cose. Il “credito” guadagnato a Pieve di Cadore 2023 mi consente di chiedere l’intervento di Tait padre e figlio con decespugliatore, ed il loro intervento consentirà a tutti di avere un ottimo riscontro mappa-terreno evitando di scartavetrarsi nelle ortiche o contro i boschi che all’improvviso sono cresciuti cresciuti fitti. Memorabile l’incontro con un gruppo di master da oltreoceano che passeggiano nella zona del sentiero panoramico, che mi vedono correre (… correre…) con la mappa e mi chiedono cosa sto facendo lì, finché tra un Pant! Puff! e l’altro uno degli stranieri esclama “ma lui è lo speaker! Ha intervistato mia figlia qualche anno fa!”. E’ il padre di Samantha Saeger, intervistata in effetti all’arrivo della prima tappa della Primiero o-Week di qualche anno fa, quando lo speaker chiese come mai una atleta di livello assoluto faceva la open corto e lei era visibilmente incinta.

Ma le energie si spengono qui. La terza tappa al Fausior è in un posto fisicamente challenging, che non ho mai “domato” quando ero un atleta, figuriamoci adesso. Dopo il primo loop, e dopo aver scalato la parete della montagna di fianco alle rocce per andare alla 4 (mi vengono incontro in discesa caprioli e quadrupedi di ogni tipo, ma sono io che sto facendo la cosa sbagliata),  decido di affrontare qualche lanterna in modalità sequenza libera e di provare almeno a riprendermi sul loop finale. Lo faccio anche benino, ma solo perché è in discesa in una parte di bosco tutto sommato normale

La quarta tappa, ultima fatica per me, è sulla carta di “Prati di Gaggia” (ma non era “Chalet Forst” una volta?), su una carta che digerisco proprio poco. La vegetazione è a tratti opprimente, i verdini barrati sono una autentica sfida per il primo (o i primi?) che ci passa, il francobollo tutto puntinato di rocce sono anni che dico che sarebbe meglio “esploderlo” su un quadrato di mappa 1:2500 perché altrimenti per molti è una zona bingo. Nel finale, il ritorno dalla 18 prevedrebbe secondo me il passaggio dall’arena di gara in mezzo alle tende dei partecipanti, l’attraversamento dell’area piatta all’arrivo della ovovia (che però è recintato perché lo stanno seminando) ed il passaggio a fianco della piccola collina che porta al punto (dove però è in piena azione una ruspa che ha già sbancato mezza collina). Le mie forze… semplicemente non ci sono più, e mi accontento di fare ancora qualche punto random per portare a casa un’altra PM.

Forse sono più bravo come speaker? Forse, almeno a giudicare dal numero di bambini che mi verranno a trovare. Il vero kindergarden della gara sono stato io!!! Per l’anno prossimo… vediamo cosa succederà e come andrà








Friday, June 21, 2024

O-MMAMMAMMAMMAMARATHON 2024

Il web non dimentica nulla. Nemmeno i commenti. Oggi, mentre andavo a vedere se sul blog di Dario Pedrotti era già stato pubblicato qualcosa sulla gara di Millegrobbe 2024, il suo link a “Tre post a caso” mi ha portato alla O-Marathon 2018. Dove, tra i commenti, si legge questo:

Sono passati 6 anni da quando scrissi quel commento, e non mi sembra cambiato nulla, salvo il fatto che sono diventato più vecchio, più bolso, più grasso, più permaloso. A Millegrobbe è stata corsa di nuovo la O-Marathon degli Altipiani 2024. E, come alla prima edizione o sei anni fa o dieci anni fa o l’anno scorso, mi sono ritrovato al via nella categoria Elite. Io che di Elite ho solo l’appetito a tavola. E, come ogni volta, sono arrivato al traguardo ampiamente (abbastanza ampiamente) entro il tempo massimo dopo aver passato una giornata di “teambuilding” con Marco tra i boschi di Millegrobbe a cercare lanterne, fare scelte di percorso, chiacchierare di tutto e di tutti (soprattutto di tutte quelle e tutti quelli che vedevamo passare).

Chi ci ha visto in gara avrà potuto ascoltare, se avesse prestato attenzione a me e non al percorso, il commento “in stile Stegal” come se ci fossimo trovati tutti in una enorme arena di gara, con i droni che volteggiavano sulle nostre teste a seguire ora l’uno ora l’altra. E chi ci ha visto al traguardo, i pochi rimasti diciamo, avrà notato che a dispetto della distanza e del dislivello il sottoscritto non era moribondo.

Quante volte ho sentito dire “mi piacerebbe provare una volta nella vita l’Elite alla O-Marathon”? Tante volte. Io sono la dimostrazione che SI PUO’ FARE (cit.). Basta volerlo, basta essere pronti a soffrire un po’ più della solita distanza, basta non volersi ostinare a cercare il proprio nome in cima alla classifica, perché quella cima è fatta per i vari Dallavalle (chapeau!), Amadesi, Franco e compagnia.

Marco, eravamo forse nella quarta ora di gara, ha detto qualcosa sul modo in cui noi interpretiamo l’”avventura lunga un giorno” pensata da Luigi Girardi, realizzata da Roberto Sartori e dal Gronlait e tenuta in vita dal team di Fabrizio Boneccher (che se a posare mette Tait, Acler e Dal Follo… ok allora puoi coprire anche mezzo Trentino!). La frase di Marco è stata “ci sono due momenti all’anno nei quali il team Quelli del ’67 scende in campo con l’idea di godersi una avventura: il MOO e la O-Marathon!!!”.

Poi, chiaramente, ci sono i momenti di difficoltà come in ogni O-Marathon. C’è l’uscita dalla 10 o dalla 13 che mette un po’ paura anche se sono poche curve di livello. C’è la salita alla 7 lungo la linea di massima pendenza che “speriamo di arrivarci al primo colpo”. La tratta 24-25 che questa volta è andata via liscia come l’olio anche se Marco ha voluto affrontarla sulla linea di massima pendenza salvo poi “eh… potevamo anche farla di traverso”. Giusto in tempo per la vera grande difficoltà: la salita alla 30, che sono sempre poche curve ma lì la forza di volontà ed i cinque secondi di Zanardi hanno dovuto venirmi in aiuto. Ed il loop 31-34, in uno dei boschi più belli dell’universo.

Marco è stato davanti per il … diciamo il 99% del tempo, io gli sono rimasto accanto il 50% del tempo (stima per eccesso). Però il mondo deve sapere che 11 14 18 26 36 40 ce l’ho portato io! (si, è sempre la stessa lanterna). Anche alla 15 dai… e poi alla 20, che quando abbiamo visto la tratta ci siamo un po’ messi a ridere.

Ecco. Risate, chiacchiere, ricordi (non solo orientistici) e commenti su tutto e tutti. E tanta pazienza da parte del team Gronlait, che ci ha aspettato (ma eravamo nel tempo massimo!) e ci ha mandato incontro Samuele Tait per vedere se eravamo ancora vivi, e Samuele ha cercato di gabbarci con la scusa che era in giro a cercare un bambino che si era perso (salvo poi seguirci ed entrare nel circolo dei commenti per tutta l’ultima parte di gara) “scusate eh… ma mentre voi (Marco e Samuele n.d.r.) parlate, io mi porto avanti col lavoro!”.

Ma che bella O-Marathon è stata!!!!

 

Saturday, June 08, 2024

La mia World Cup

Non sarei stato in grado di fare un solo sforzo in più, non avrei voluto fare un solo sforzo in meno. Non  un solo chilometro in più o in meno. Non una lanterna in più o in meno. Non una parola detta in più o in meno.

Flashback: un inverno di un po' di tempo fa, poco dopo Capodanno. Sette di sera, sto guidando sul raccordo tra la fine della tangenziale ovest e l’inizio della tangenziale est di Milano. Suona in telefono. Numero sconosciuto. Rispondo: è Andrea Immovilli. “Stefano, abbiamo avuto il mondiale 2026”. Me lo dice così, a freddo, dal nulla. Io quasi sbando. Cosa Come Chi Dove Quando???

Poi furono sere e furono mattine, e come dice Bennato quando parla del tempo che passa “Va piano ma non lo si può fermare” (Rockcoccodrillo - dal bellissimo album "Sono solo canzonette"). Fast forward. Nell’ultima settimana di maggio, è chiaro che Andrea mi aspetta come speaker alla Tre giorni degli Appennini di contorno alla World Cup. E’ altrettanto chiaro che Gianluca mi aspetta come co-speaker alla World Cup di Voltri e di Nervi. Ed è evidente a tutti che ci sono delle sovrapposizioni. Ma come il mio mitico compagno di squadra Sandro Serra aveva dimostrato alla Milano dei Parchi del Monte Stella:

IO SONO UNO E TRINO !!!

Ultima sera e primo mattino: venerdì 31 maggio. Parto, direzione Praglia. L’autostrada è quella a me indigeribile che porta a Genova. La coda allucinante preventivata ed annunciata comincia per fortuna (solo mia, non degli altri in coda) 500 metri dopo l’uscita di Masone, che è quella che devo prendere per arrivare a Praglia. con lo stomaco in subbuglio ma senza attese epocali sull’asfalto. L’ospitalità ligure al ristorante del passo è quella messa in scena da Andrea Ceccon ed Enrique Balbontin negli sketch di Torta di Riso...

La prima gara che mi vede al via è quella di TrailO, arrivata quasi a tradimento sul groppone di Andrea. Partenza prevista ore 10.30, si parte alle 11.40 circa, senza aver visto l'ombra di una segreteria gara. Chiedo di essere mandato fuori per primo, visto che poi mi aspetta il percorso Elite della Tre Giorni. Ok da parte di tutti, anzi… “Stegal… vai tu per primo… se lungo il percorso vedi qualcosa che non ti quadra, torna indietro a dircelo!”. Vorrei rispondere con la voce di Carlo Verdone "In che sssenso???". In una gara di TrailO? Cos’è che dovrei fare io?

Cercherò comunque di tornare indietro, dopo aver visto che (a mio parere) il quinto punto non è proprio posato e che (per quel che posso aver visto) il sesto punto è caduto a terra dietro un cocuzzolo e quindi lo vedrò solo io dal mio 1.95 di altezza. Torno indietro, ma il resto dei concorrenti è già in gara ed è inutile fare casino. Finisco il percorso il più velocemente, in modalità sprint.

Mi cambio altrettanto velocemente e mi incammino dall’altra parte del passo. Praglia è una carta che o la ami o la odi. E di solito lei ed io ci stiamo amabilmente sui cogl…ni. Però questa volta Valter Pallaver in partenza mi gasa, le ragazze del team OriCuneo sono sul pezzissimo, il percorso di Michele Caraglio non è né così terribile né così incasinato. Certo, si sale e si scende sempre, in mezzo a quei semiaperti infidi, e si deve fare attenzione al fondo del terreno che è davvero ruvido e ti piazza la pietra nascosta dall’erba dove meno te l’aspetti. Ma si può fare! In lontananza tuona. Poi il cielo diventa scuro. Sui pendii il vento soffia come ad una regata nautica ed i lampi ed i tuoni si avvicinano.

Per venire fuori dal punto 9 dico parolacce forti, mi arrampico con le mani sulla linea di massima pendenza. Ao’ Michi! Ma chi te l’ha fatto fare di piazzare una lanterna proprio lì? Perché mi vuoi così male? Esco dal punto 9, sbarco sul pianoro, il cielo è nero seppia e mi investe la grandine! Piccola, fitta, una doccia gelata. La mappa, che già mi stava mostrando le prime sbavature sulle pieghe create dal modo in cui la tengo in mano, diventa presto una specie di bolo masticato dal cane. Dopo un altro paio di punti non posso procedere oltre, non vedo più interi pezzi di mappa. Prendo la direzione nord e so che prima o poi sbarcherò sulla strada. Mi scontro con le aree private e non so bene in che direzione aggirarle, e mi prende un po’ di panico, ma le gambe vanno ancora, l’ultima rampa mi porta sulla strada e sono in grado di tornare al parcheggio.

La mia mappa, ricostruita pezzetto per pezzetto

Dove, e mi prendo ogni responsabilità, mostro lo stato della carta (non il tracciato, comunque illeggibile). Temo per tutti quelli che partiranno dopo di me: che piova o non piova, la mappa si spappolerà nelle loro mani. Per fortuna Andrea (Immovilli), Andrea (Roberto) e Valter (Pallaver) hanno la soluzione: imbustare nella plastica in fretta e furia! Così la gara è regolare, e lo speakeraggio è appena decente. Quella stessa sera, all’arrivo nel posto dove dormo, prima ancora di aver mostrato la carta di identità il gestore dell’Albergo Turchino mi dice “sbaglio o la sua voce è quella che ho sentito ieri su RaiSport?”. Era la trasmissione delle gare in Val di Sella.

Sono diventato all’istante alto quattro metri e mezzo!

E fu sera e fu mattino.

Secondo giorno. Sveglia alle 5.15. L'ho deciso la sera prima. Se sono lo “speaker del popolo”, lo speaker deve provare almeno qualche tratta del percorso del Passo del Faiallo. Anche se odio questo posto, profondamente, inesorabilmente, ed è un odio ricambiato. L’ultimo volta che sono stato qui, l’Elite l’aveva vinta Marco “zaino protonico” Bezzi. Salgo sulla terribile strada del passo con il buio, il nebbione, nell’infuriare degli elementi. Alle sei meno cinque prendo il via (partenza a 3 minuti dall'arrivo, siano benedetti!) e cerco di venire a capo dei primi punti. Adriano Galliani avrebbe già chiesto la sospensione della partita: non si vede a 20 metri!!! Faccio arrivo in qualche modo fino alla 6, poi salto il loop nella parte più infida ed arrivo alla 14, e lì decido di mollare. Come tentativo che sapevo essere vano fin dall’inizio, ho fatto già abbastanza.

Alle sei e quarantacinque sono di nuovo in auto, scendo in hotel, rapido cambio di vestiti, colazione e discesa verso Genova Nervi. Lo squadrone Masi + tanti altri volontari capitanato da Alessio Tenani, luogotenenti Samuele e Lucia Curzio, è inquadrato e serio come poche altre volte ho visto le squadre dello staff. Ognuno sa cosa fare, non si scherza e non si gioca. Alessio mi passa la carta della World Cup Sprint indicandomi i punti in cui non dovrò farmi vedere da chi, potenzialmente, non è ancora andato in quarantena e potrebbe scorgermi nei varchi tra una casa e l’altra mentre corro lungo i caruggi.

Su dritto fino in cima, fino alla partenza gestita dal team IK Prato (io ci sono andato a piedi, cari i miei campioni e campionesse!!! Mica in pullmann). Primi punti nel bosco, una lanterna 3 che mi sembra invisibile sulla carta: capisco che c’è perché vedo il cerchio della 2 e della 4 e tiro una interpolazione fino alla posizione della 3. Poi comincio ad incrociare lo staff che sale a posizionare lanterne, cavalletti e postazioni di controllo. Questo vuol dire che da quel punto in poi incrocerò tante amiche ed amici che faranno il tifo per me e si “godranno” lo spettacolo del dell’OriBarbaPapà in gita a Voltri.

Il percorso prosegue con lo straordinario passaggio dietro la cascata, i gradini per uscire da Villa Duchessa: vado su? Vado giù? Vado a destra?... gli stessi dubbi che attanaglieranno Daniel Hubmann, ripreso in diretta a vagare all’uscita dai giardini come un esordiente alle prese con il labirinto di Rotondella.

Arrivo al traguardo e cerco di non dare troppo nell’occhio. Mi cambio e vado a fare compagnia a Per Forsberg alla postazione speaker. Che dire della gara della World Cup? Arriva tra i primi in griglia Runefors, sesto alla Coppa del Mondo della settimana prima. Forsberg si gasa ma si capisce subito dai tempi degli altri che non sarà festa per lui come ad Olten. Solo che… chi l’avrebbe detto che uno dei due speaker avrebbe potuto spaccare i timpani a mezza Genova per Mattia De Bertolis? E quando dico “mezza Genova” so quello che dico: la citazione della “discesa lungo l’intestino crasso” di Tove Alexandersson verrà sentita da metà della crew di controllori! (che si chiederanno "ma cosa sta dicendo quel matto?!?")

E poi arriva Mariani, il suo tempo sarebbe ancora una volta ex aequo con Tino Polsini, sarebbe quinto posto in Coppa del Mondo. Ma il nome scompare dalla prima schermata tenuta sotto controllo dagli speaker. Se ne accorge Forsberg ma devo andare io a frugare in fondo alla lista, sperando che sia solo un baco del programma. Punzonatura Mancante, una questione di centimetri. Passano sul maxischermo le immagini del passaggio di Mariani dal punto, con la mano distante… 10 centimetri?... dalla stazione che registra i passaggi. Non era una bolla di 60-70 centimetri quella che circonda il punto? Niente da fare. Reclami, proteste. "Se fosse successo ad  uno svedese…" poi la voce che comincia a circolare: “è stato troppo veloce a punzonare”. Signore e signori, se è così ABBIAMO UN PROBLEMA SERIO.

Sono così carico che non mi ricordo nemmeno chi vince. Fosser, mi pare, poi forse Regborn, poi Krivda. Mi tornano i ricordi. Ed è il momento di tornare al Faiallo, perché le ragazze ed i ragazzi della Coppa Italia mi aspettano. Mi metto sulle code della macchina di “una brutta persona” (no, è una persona meravigliosa!) e ci accingiamo a salire per la mulattiera etrusca non asfaltata che porta al Faiallo. Solo che c’è un blocco più avanti, alcune auto scendono in retromarcia. Davide De Nardis mi guarda attraverso il finestrino abbassato e dice “vieni dietro a me”. Ed io “sarò la tua coda”. Davide parte come la nazionale italiana al mondiale di Zolder: semafori, svolta a sinistra, inizia la salita, la strada è stretta ma Davide si fa largo attraverso le maglie di tutte le auto che scendono. Sembriamo Giovanni Lombardi e Mario Cipollini, e dietro le curve Davide si fa largo fino al parcheggio del Faiallo, dove lascio la macchina in una posizione “esplodibile” da parte della polizia stradale. Carico a pallettoni come sono, il commento che ne esce risulterà decisamente sopra le righe.

E fu un’altra sera, e fu l’ultimo mattino.

Campo Ligure, domenica mattina. Il primo problema è capire dove parcheggiare la macchina. Il secondo problema è capire che i vicoli del centro storico sono cartografati per essere letti sulla mappa ma sono talvolta così stretti che bisogna entrarci di traverso e il cielo ci aiuti se qualcuno risale il vicolo dall’altra parte. Il terzo problema è capire qualcosa delle lanterne nel castello di Campo Ligure: lasciamo stare il bernese che cerca di mangiare la mia mappa, ma che ne è della buona vecchia abitudine di fare un ingrandimento delle parti più incasinate e che davvero risultano agli occhi dei più come un frattale di Mandelbrot? (grazie per aver confermato la mia impressione, Yannick Michiels). Il quarto problema è il profumo di focaccia ligure che esce da varie botteghe del centro, e non è facile tenere la concentrazione sulla mappa!

Per i partecipanti alla Tre giorni, il quinto problema sarà la “arena di arrivo” cche obbliga a fare una gimkana tra i birilli per arrivare alla linea del traguardo come non la vedevo dalle ore di ginnastica alle elementari. Prima fa caldo, poi arrivano tuoni e lampi, che passano senza lasciare centimetri d’acqua sul terreno mentre arrivano le notizie che a Bolzaneto diluvia.

Le notizie che arrivano dopo sono ben più assurde: le mappe della gara Sprint Relay degli Europei sono state pubblicate sul sito della IOF e sono state scaricate da più di qualcuno. La notizia dovrebbe essere nota ai meno, ma alla postazione speaker arriva chiunque a chiedere se la gara degli Europei si farà, se è il caso di scendere a Genova Nervi, dove sono le premiazioni, quando ci saranno, chi sarà premiato? le gare singole o la somma dei tempi o la somma dei punti?

Lascio Campo Ligure quando mi rendo conto che non sono più in grado di dare una mano all’organizzazione della Tre giorni, e scendo a cannone verso i Parchi di Nervi. La polizia all’ingresso della zona di Nervi non lascia più passare nemmeno “hai un pass dell’organizzazione? Sei lo speaker? Circolare… da qui non facciamo più entrare nessuno”. Ma riesco ad arrivare in tempo per commentare (insomma… per entrare in velocità con una frase di senso compiuto di 10 parole nelle pause di Forsberg, ma non aspettatevi che lo rifaccio ai JWOC perché è una cosa che porta allo stremo) una delle gare di sprint relay più belle degli ultimi anni.

Natalia che vola in prima frazione, il gruppo che non riesce a recuperare Riccardo “un uomo solo contro tutto il mondo” Rancan (e scusate se io sono solo lo speaker italiano e posso parlare poco), Joey Hadorn che fa tanto casino e ributta l’oro della Svizzera nel pentolone della fonduta perché poi la Svezia in quarta frazione ha Tove. 

Poi succede che prima Venla Harju si perde tra i cespugli nei parchi, in diretta mondovisione, peggio che se fosse alla Milano nei Parchi. E quando tutto è apparecchiato in tavola per Tove Alexandersson, Tove si accorge che adesso odia l’Italia, odia la Liguria, odia il tracciatore Alessio Tenani, odia lo speaker locale, si perde in un altro “intestino” più domabile rispetto a quello di Voltri ma che le risulta ugualmente indigesto e la Svezia dopo centordici sprint relay internazionali non sale nemmeno sul podio.

E chi vince? Vince la Svizzera, Simona Aebersold non fa bruciare la fonduta e arriva al traguardo tutta bella pulita e sola ed allo speaker non resta da dire che stavolta i piatti li pulisce Kasper Fosser.

Il ritorno a casa è punteggiato di code, incidenti in autostrada, grandine, temporali sparsi.

E fu sera e fu di nuovo mattino. Lunedì. Suona la sveglia. Si va in ufficio. “Come è andato il fine settimana lungo, Stefano? Ti sei riposato? Questa sarà una settimana pesante e devi andare a Varsavia…”.

Non sarei stato in grado di fare una briciola di più, ma non ho voluto spendere una stilla di energia in meno.

Monday, May 06, 2024

Legnano nel parco - buona la prima

Sparpaglio oche, accumulo scoiattoli. E mi diverto. Domenica 5 maggio, "Ei fu... scudetto immobile...", passo dal ruolo di tracciatore a quello di concorrente di una "Ovunque sia, nei parchi". E mi diverto.

La Punto Nord Monza da sempre, con i vari Giorgio ed Anna, con le varie Cristina e Anita e Lisa e Sofia, partecipa attivamente e con passione alle gare di Milano nei Parchi, anche quando sono piazzate il sabato che precede una gara importante ed il buon senso consiglierebbe di tenere le gambe a riposo. Potevo io esimermi, dopo le fatiche a Maniago e Valerioano descritte nella puntata precedente, dall'andare a Legnano al Campionato Regionale Sprint, che si sarebbe tenuto su un terreno 80% prato e 20% sterrato, senza un metro su strada? No, non potevo esimermi. In 30 minuti si arriva al ritrovo ed in 30 minuti si torna a casa con un bonus per mangiare i meritati 3 piattoni di pasta con il ragu. C'è tempo di fare quattro chiacchiere in amicizia. La giornata è caldamente primaverile. Non c'è nulla che possa andare storto.

Nel mio ruolo di apripista, prendo in parola un altro pezzo del comunicato gara che dice di non disturbare le oche (che stazionano in abbondanza sulle sponde del laghetto) e di non farsi aggredire dagli scoiattoli che potrebbero essere a caccia di cibo.


A parte che essere aggredito dagli scoiattoli, animaletti coccolosi e puccettosi come pochi, potrebbe accadere solo in una brutta scena da film horror di serie C (ma io non sono la classica bionda americana svampita e tuttetette destinata a crepare male alla prima scena del film), ci sono solo due possibilità: o la Punto Nord pensa che io me ne vada in gara con una biova ripiena di mortadella che potrebbe risultare appetibile anche per un qualunque passante, o gli scoiattoli potrebbero scambiare ME per cibo.

Quello che succede è che le oche mi guardano passare come se niente fosse, anche quando passo davvero a mezzo metro dalle loro penne, e gli scoiattoli che dovrebbero essere pure timorosi e timidi non fanno un plissé nemmeno se punto dritto al loro codino.

Ed io, correndo per quello che posso sul mio piede malandato, vedendomi passare a fianco qualche giovane torello, stando attento a non disturbare tutti gli altri frequentatori del parco (dove per "disturbare" intendo "lasciare una immagine raccapricciante di un botolo che rotola") arrivo al traguardo e mi godo anche la bella foto qui sotto, by Nadia Galimberti.


Una.

Bella.

Giornata.

Saturday, May 04, 2024

Perdendo colpi a Maniago

 Sto perdendo colpi? Si, decisamente. E, presumibilmente, non da ieri. Ma i segnali ci sono tutti. Alcuni indizi: è domenica, Roberto Dallavalle taglia il traguardo in testa alla gara middle, nella mia mente si sovrappone l'immagine di Beppe Bezzi e Laura Incerti sul prato di Schia e me ne esco con un "Dallavalle... GS Monte Giner" che fa rabbrividire Fabrizio Boneccher. Segue discussione surreale tra Fabrizio e me, dove lui mi dice "Gronlait!", io penso di aver detto "Grònlait" e che lui mi stia correggendo l'accento (va sulla "o" o sulla "a"?) e buonanotte ai suonatori.

Sto perdendo colpi.

Per tutta la cronaca sprint di sabato a Maniago menziono nomi a caso, tempi a caso, sommo secondi, sottraggo secondi, gestisco a fatica la postazione microfonica. Il risultato è che, al di fuori delle prime 3 posizioni in classifica, tutto il narrato rimane appeso ad un racconto raffazzonato, una serie di boh e mah, una roba da sperare che tutti siano concentrati sugli arrivi e nessuno mi stia ascoltando. I miei capelli si rifiutano di stare sopra la mia testa e cercano di trovare un’altra collocazione.

Sto perdendo colpi.

Premiazioni... tante categorie... "al terzo posto del campionato italiano, è medaglia d'argento ma prende il premio del terzo, del quarto, del chissàchi...". Basta guardare la foto scattata da Davide De Nardis, e lo stato dei miei capelli. Io mi stavo sicuramente mettendo le mani nei capelli, come tanti altri (si può ancora dire "mettersi le mani nei capelli" senza il rischio di fare body shaming nei confronti di chi non li ha più???).

Forse ho speso troppo affrontando, alla mia veneranda età, i percorsi della tre giorni di gare? Forse si. Cominciamo da venerdì sera. SOM Cup alle Peschiere di Maniago. Tra le varie cose che non mi piacciono delle gare di orienteering (la salita, la discesa, la pianura, i punti in costa, i punti nascosti, i rovi, i pratoni, le tratte noiose, le tratte troppo difficili... ho dimenticato qualcosa?) ai primi tre posti della mia classifica del "non sono capace, cosa lo faccio a fare???" ci sono: le notturne, le gare a sequenza libera, le partenze in massa. La SOM Cup è una notturna a sequenza libera con partenza in massa. Evvai!!! Ma io faccio il percorso nero perché mi vergognerei se qualche bambino iscritto al percorso Bianco mi battesse. Ho fatto del mio meglio finché ho potuto, ovvero finché nell'andare al punto boh??? al bordo di una palude sono inciampato, in un volo a planare dentro la peggiore rumenta di Maniago (semi-cit.). Quando ne sono uscito, la mia cartina era diventata quella di Mani-entos ovvero "una mappa con il sorriso intorno".

Risultato finale: PM ovvero Presuntoso Minchione. Quando imparerò mai?

Sabato si corre la sprint di Maniago. Bellissimo percorso! La mia testa comincia a lavorare (e a sbagliare strada) già alla 1, ma non posso permettermi di staccare il cervello fino alla 21. Ogni tratta è una scoperta, ad ogni punto cerco la strada migliore tra la prima opzione che mi viene in mente, la seconda che riesco ad identificare, e spesso poi mi accorgo o opto per la terza opzione che è spesso quella meno banale e più redditizia. Ma che mal di testa! Maurizio Todeschini mi manda ufficialmente knock out lungo la tratta per andare alla 16 (90 gradi di errore non sono mica uno scherzo), ma avendo provato il percorso posso permettermi di dire all'inizio della cronaca (nel disinteresse più totale di chiunque) che la gara avrebbe dato filo da torcere a tutti, e che per venire a capo del percorso non si sarebbe potuto sottovalutare alcuna tratta del percorso.



Una bella prova di tracciatura da parte di Maurizio, ma che fosse capace di questo i lombardi lo sapevano già dai tempi della bi-sprint di Angera.

Domenica per gli orientisti è il giorno del Campionato Italiano a Media Distanza. Per me però la gara si svolge al sabato mattina, a caccia di paletti gialli e fettucce bianche. Il Bosco di Valeriano mi era stato descritto come "da uscirne con le stìmmate". Sarà... ma, come segnalatomi da un paio di atlete che si sono ritrovate avviluppate dalla vegetazione, loro hanno trovato i rovi solo perché se li sono andati a cercare, proprio come aveva detto lo speaker.

Già, perché il povero fortunato speaker vuole SEMPRE andare a vedere come il percorso si sviluppa nel bosco, come è stato progettato, quali insidie presenta. Lo speaker vuole provare il percorso anche solo per ebbrezza di attraversare il fiume proprio nel punto dove l'acqua è alta e mi arriva all'altezza del birignao, vuole provare a correre sulle traversine del treno fantasticando sul fatto che potrebbe trovarsi in una situazione Wile.E.Coyote e vedersi sbucare in faccia la locomotiva con comignolo fumante (tranquillizzo i miei due lettori che non si chiamano Dario: la ferrovia era palesemente segnalata come dismessa da molti anni).

Voto alla gara: mega alto + lode, con bonus track(s) alla 8, 9 e 10. Alla 8 identifico la depressione giusta, entro in velocità per cercare di tenere l'abbrivio anche per l'uscita, e non trovo il paletto. Guardo attorno a me e vedo paletto e 20 centimetri di fettuccia bianca a bordo depressione, in alto. L'ottimo tracciatore Nicolò Liva verrà convinto (mica da me, ma dalla descrizione punto) che il punto esatto di posa era il fondo della depressione e non il bordo esterno. Se avevate sul percorso il punto 95 (ma a questo punto eravate sui percorsi "a lunga gittata") avete fatto 3 metri in più di dislivello per colpa mia!

Esco dal fine settimana con un piede malconcio e con il dubbio che la mia testa cominci a trovarsi in difficoltà sotto il diluvio di informazione degli arrivi di una sprint nazionale, con un numero di punti radio mai visti. Questa settimana per due volte a cena ho mancato la presa sul bicchiere, rovesciando tutto sulla tovaglia della cucina: non mi era mai successo. Forse sto perdendo colpi.

Friday, April 19, 2024

L'ultima. Ma anche no

Ogni volta che ci penso, mi dico: "Questa è l'ultima". L'ultima in Elite, intendo. Poi, quando i dolori alle gambe sono passati, quando restano solo i ricordi e soprattutto le sensazioni provate nei momenti chiave del percorso, mi dico che no, che forse non è l'ultima. Nonostante le 3 ore e passa di fatica, anche 4 ore in qualche occasione. Una volta scrissi una cosa sulla maratona: "Qualche ora fa ero là, adesso sono qui a 42 km di distanza, e ci sono arrivato con le mie sole forze".

Il fatto che le gare di orienteering partono e terminano nello stesso posto (il ritrovo, intendo) non cambia la sensazione: quando sono partito da "qui", in quel "qui" non c'era nessuno, il parcheggio era vuoto, l'alba non era ancora arrivata, io ero solo. Poi arrivo "di nuovo qui" ma il sole è alto nel cielo (anche quando piove), ci sono un sacco di macchine, sento le voci di chi si sta preparando, di chi sta cercando il posto dove mettere il telo con le borse o la tenda tunnel, di chi mi scatta una fotografia, di chi ricorda improvvisamente che un folle era andato nel bosco quando la sua sveglia non era ancora suonata.

(foto by Andrea Bruno)

Lunga distanza... per quelli come me... che sono pochi, lo so, sono sempre meno. Intendo che sono in pochi ormai quelli scarsi e poco allenati. Oggi, quando mi guardo in giro, vedo ragazzi con i quali una volta potevo fare un confronto sui tempi di gara, ma adesso ci mettono 20 minuti, 30 minuti, 60 minuti, 90 minuti meno di me e arrivano al traguardo senza aver vomitato l'anima. Vedo ragazze sorridenti e minute che affrontano gli ultimi metri della lunga distanza con lo sguardo di quelle che non esiterebbero a scavarmi il cuore con le scarpette chiodate se solo io mi frapponessi tra loro e la lanterna.

Lunga distanza è quando ti dici da solo che è l'ultima, davvero, questa è l'ultima. Ma quando è stata l'ultima volta? A Lavarone? Si, ma l'ho corsa praticamente a sequenza libera. Livigno? L'ho fatta in due tappe (entrambe sotto il diluvio)… Col Margherita? Non finita! (e come avrei potuto, gareggiando sulla Luna?) Tai di Cadore??? Ecco, si. Tai di Cadore. Quando la sveglia era suonata alle 4.50, in pratica allo stesso orario del taxi che prendevo per andare in aeroporto prenotato quando partivo per il Lussemburgo. Tai di Cadore: partenza alle 5.25. Allora questa è l'ultima. Dai! 5.25 non si può sentire! A Schia la sveglia suona alle 5.45 perché tanto, anche se mi alzo prima, il sole sta ancora illuminando un altro fuso orario.

Gancio cielo prima delle premiazioni (by Davide De Nardis)

Lunga distanza è quando nel parcheggio non c'è nessuno, ma quindi guardiamo al bicchiere mezzo pieno: c'è un sacco di posto! Non ci sarà nessuno neppure in partenza, dove stavolta non trovo neanche i legnetti per disegnare sul terreno l'orario di partenza (cosa di cui NESSUNO si è mai accorto!!!). Lunga distanza è la carta 1:15.000, cioè un frattale indistinto di linee confuse... e io dovrei cercare un avvallamento poco accentuato ed una canaletta al centro di quel microcerchietto rosso che vedo appena, quando in mappa quasi non distinguo nemmeno le curve di livello? Ma lunga distanza a Schia è quando, per fortuna, l'avvallamento e la canaletta sono vicine al bordo del prato e sono passato in quella zona il giorno prima, durante la middle.

La prima ora della lunga distanza è solo l'antipasto e l'ago della benzina è già vicino al rosso: è tempo di prendere il primo carbogel. La seconda ora è solo l'anticamera della sofferenza vera e propria, e a Schia comincia con quei tre numeri 9 - 10 - 11 che vorrei tanto dimenticare (sarebbe stato meglio avere una carta con le curve di livello corrispondenti alla realtà). La terza ora... la terza ora hai voglia a dire che è quella che ti avvicina al traguardo, hai voglia a cercare nella memoria tutti i possibili speech motivazionali, perché il cervello riesce a malapena a concepire qualcosa di sensato

La terza ora è anche è la tratta lunghissima su strada, con gli amici e le amiche che passano in auto e ti chiedono se vuoi un passaggio. E la razionalità direbbe si, che potrei chiedere un passaggio, ma poi vengono in mente le immortali parole di Dario Stefani "Se ce la fa Hubmann, allora ce la faccio anche io". E allora no, grazie. Proseguo di corsa. Anche se sulla macchina guidata da Roberto Larotella ci sono Giulia, Stella, Nastja e Arianna... (Roberto viaggia con stile!!!).

In fondo si tratta solo di fare finta di niente, ripassare dal parcheggio, aprire l'auto, prendere altri due carbogel, e continuare a fare finta di niente... "disinvolto, mi raccomando!!!" (cit.) Che poi arriva Roland Pin e mi chiede "Ma hai fatto la gara?" e a gesti, mentre mi ingozzo di carbogel, cerco di fargli capire qualcosa che intende solo Erik Nielsen "No, non l'ha fatta, la sta ancora facendo! E’ ancora in gara!".  La terza ora finisce con la scelta fuori mappa per andare dalla 18 alla 19 aggirando il recinto (che ogni tanto c'è e ogni tanto no) in senso antiorario. Ed è tempo della quarta ora, per tornare alla 20 (siano benedetti i sentieri!), per tornare alla base, per pensare che il cocuzzolo della 21 sarà introvabile, nascosto, c'è la roccia, c'è il bosco, ci sarà di tutto. Invece la collina è lì davanti a me, la lanterna è proprio davanti alla collina, e quindi è proprio finita. Una sensazione che vorrei imbottigliare e mettere da parte per i momenti difficili

Ed alla 61 è l'ultimo momento per dirmi "E' l'ultima". Per chiedermi "E' l'ultima?". E per rispondermi "Forse non è ancora l'ultima". Vediamo cosa succede la prossima volta…

(la middle)

(anchilosato nel gancio cielo alle premiazioni - si, la maglietta è la stessa della gara!)

(con Sofia Cozzi, bravissima e sfortunata protagonista della middle)


Monday, March 18, 2024

Vergate a Vergiate

Dal vocabolario della Treccani, la parola "vergare" può assumere diversi significati: 1. Fustigare con una verga 2. Redigere per scritto. Io faccio tutte e due le cose. Domenica 17 marzo mi reco a Verg(i)ate a prendere botte da orbi da un bosco quasi impenetrabile nel quale la maggior parte delle (poche) aree bianche sono già verdine, e quelle verdine lo sono vieppiù. Poi penso bene di scrivere una nuova puntata del blog, dal momento che altrove c'è gente che gioca nel campionato di basket, poi corre l'Ultrabericus e infine vince le gare di orienteering a distanza di poche ore.

Io no.

Io sabato concludo l'esperienza invernale 2024 di Milano nei Parchi, da non confondere con "Parchi di Milano sott'acqua" di cui abbiamo dato ampia dimostrazione al Trofeo Lombardia di domenica 10 marzo a Porto di Mare, e poi domenica vado a cimentarmi io stesso nel bosco hard del varesotto, concupito dal fatto che potrò rimettere mano per la prima volta al microfono. Dato che non ho né molto tempo né molte energie a disposizione, evito i percorsi più lunghi e mi accomodo in una tranquilla categoria Azzurro insieme ai miei quasi coetanei.

Il play-by-play della mia gara a Cimbro di Vergiate non farà riscrivere le classifiche dei premi giornalistici, ma io sto diventando vecchio e c'è il rischio che tra qualche settimana riguarderò la cartina dicendomi "ma io sono andato davvero a fare questa gara? e come ci sono andato da qua a là?". A questo, anche a questo, serve il blog.

Partenza - 1: già lungo il sentiero che porta in partenza ho capito che è il caso di avventurarsi fuori dai sentieri solo a tre precise condizioni: 1. si è capaci di volare sopra ai rovi ed alle ramaglie basse continue 2. si è dotati di armatura pesante 3. si vogliono espiare tutti i peccati. Forte di questa convinzione, mi perdo la scelta da fare tenendo la destra ed il prato e mi convinco che fare tutto il giro dei sentieri a sinistra sia meglio. E poi c'è anche il termine del recinto che fa da punto di riferimento per guardare in su e vedere come andare al punto. Solo che quando guardo in su vedo solo rami e rovi e rami di rovi. E al termine del recinto ci sarei arrivato anche dall'altra parte. Poiché sono lento e grasso, mi fermo in salita ad ogni canaletta chiedendomi dove sto sbagliando. Poi salgo qualche altro passo e vedo il punto. Un po' più di fiducia, suvvia!!! Rivedibile

1-2: Quello di prima era "bosco bianco"? Bene, da qui alla 2 non ce n'è proprio, e quindi stiamo freschi. Cerco di raggiungere la traccia a nord ovest del punto, ma forse la supero senza nemmeno accorgermene: va bene che sono lento e grasso e quindi vado piano in salita, ma dopo un po' capisco che la traccia è già alle mie spalle. Vedo la palude e sbarco con fiducia su un sentiero appena più accentuato. Il piano prevede di seguirlo fino al punto in cui devierò a destra per andare a sbattere contro il punto. Ma pecco di superbia e lo manco. Dopo aver vagato in zona per una manciata di secondi, giro sui tacchi, vedo la buca ed il punto è lì che mi aspetta. Rivedibile al quadrato.

2-3: se riesco a beccare la traccia che porta giù dalla collina, diventa pure un punto facile. Certo, dovrei essere capace di... ecco la traccia! Da lì in poi è tutto facile fino al punto. Fortuna sfacciata.

3-4: la prima idea è quella di girare in senso antiorario, ma non capisco bene la differenza tra il verde privato ed il verde 2. Meglio tornare indietro per evitare di incorrere nelle ire degli indigeni. Giro largo sui sentieri per arrivare al punto da sopra. Solo che la zona a nord dell'angolo del recinto è puro disbosco di lavori forestali. La traccia non la vedo, la bussola mi dice che anziché a "ore 1" sto andando a "ore 11". Poi la riguardo e mi conferma che sto procedendo a "ore 11". Quando la guardo per la terza volta e sto ancora andando nella stessa direzione, mi insulto da solo, giro di 90 gradi ed affronto il verdone. Era un punto facile, l'ho trasformato in una cosa penosa. Rivedibile al cubo e quasi esordientizio.

4-5: se avessi le gambe, girerei i tacchi verso sud in salita per riprendere i sentieri. Ma non ho né le gambe né il trolley. Quindi scendo, poi risalgo, poi risalgo ancora, il tutto rigorosamente su sentiero (l'ultimo pezzo di bosco prima della 5 era verdino chiaro solo ai tempi del meteorite che ha estinto i dinosauri, poi la vegetazione ha preso il potere). Pusillanime e impreciso.

5-6: se non ci fosse quell'orrido vallone da scendere e risalire, sarebbe da andare verso sud-ovest e fare un solo boccone di tutto il sentiero. Tutto facile, quando mai mi hanno fatto paura 4 curve di livello? Ecco: ieri! Vado quindi a riprendere il sentiero lasciato poco prima e lo percorro tutto fino al bordo del pratone, autoconvincendomi della scelta che mi permette ad un certo punto di guardare verso la 7. Ma dal sentiero vedo solo rovi, rami e rami rovosi. Lento, pusillanime e 4 curve di livello non dovevano farmi paura.

6-7: dopo tutta quella "corsa", bisogna pur rifiatare, camminando dal secondo sentiero al punto. Vergognoso a vedersi

7-8: sentiero verso sud, sentiero verso nord-est e traccia verso sud-est. Poi viene il momento di lasciare anche la traccia ed entrare nella giungla del delta del Mekong. Un minimo di ravanamento in zona punto, dove la traccia di sentiero è diventata un tondo che ci chiude su se stessa. Sono preciso come un neofita alle prese con la carta di Archeton, ma almeno mi sono lasciato dietro le spalle la salita ed i rovi

8-9: da fare solo in bussola, il punto non si vede da lontano per via delle ramaglie basse, ma non è sbagliabile. Vai che i punti corti in discesa sono il mio pane! (se non avessi in terrore di inciampare e spatassarmi la faccia sul terreno). Impaurito e perplesso.

9-10: giù dritto fino al punto, senza farmi ingolosire dal sentierino che mi devierebbe verso la 11. Tanto c'è la forza di gravità che mi aiuta a superare i rovi. Vai che la "forza-peso" mi aiuta! Vedi che mangiare schifezze non è sempre un male? Orgoglioso e supponente.

10-11: girare a sinistra di 90 gradi, seguire il muretto, arrivare alla fine del muretto, non trovare la lanterna. Ma come?!? Ah già... l'avvallamento è a 5 metri dal termine del muretto: leggere la descrizione punto talvolta aiuterebbe. Novizio

11-12-13-arrivo: bisogna solo evitare le aree retinate per evitare di incorrere nelle ire dei proprietari e correre a più non posso. Solo che io non ne posso più e maledico il tracciatore che non ha voluto mettere l'arrivo all'altezza della prima strada tra la 11 e la 12. Atletismo a zero e troppa fatica. All'ultimo punto vedo che mancano 140 metri di imbuto di arrivo e mi convinco a contare fino a 70 doppi passi prima di tirare le cuoia. Taglio il traguardo a 68 e va bene così.

In classifica sono settimo, con UN solo intermedio in quinta posizione (tratta 9-10, unica fatta decentemente) e per il resto tre ottavi tempi, tre noni tempi, sei decimi tempi e un undicesimo tempo. Le classifiche in orienteering sono davvero una roba strana. Come tutti quei tagli e lividi che stazioneranno sulle mie gambe per un bel po' di giorni.