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Monday, July 28, 2025

GEIUOCC 2025 – Giorno 1: il sole picchia, i cuori battono, gli speaker sbattono

Il primo giorno dei JWOC è sempre un po’ come il primo giorno di scuola: emozione alle stelle, aspettative alle stelle, sbattimento pure quello alle stelle. Solo che qui, invece del grembiulino e del diario nuovo con sopra Paperinik (sono vintage, ok?), ci sono magliette sudate, microfoni carichi e atleti che corrono come gazzelle.

E comunque... è andato tutto troppo bene. Troppo liscio. Talmente liscio che ho passato metà giornata a guardarmi intorno aspettando il meteorite.

Feedback sulla cerimonia d’apertura? Un kolossal. Roba che Via col Vento al confronto sembra un cortometraggio per TikTok. Ma pare che sia stata anche apprezzata, quindi noi zitti e buoni. Samuele Acler, chiamato a tradimento e all'ultimo momento per leggere il giuramento degli atleti (se prendi 100 alla maturità, poi la paghi), è sopravvissuto alla prova senza svenimenti o crisi respiratorie. Bravissimo. Kataliina, tredicenne con l’anima da Navy Seal, ha tenuto il palco con più sicurezza di un politico navigato. Le autorità hanno avuto le loro foto, i discorsi sono scivolati via come prosecco caldo in una giornata torrida, e tutti vissero felici e contenti… la notte prima della battaglia.

E il giorno uno comincia subito con il botto.

Mattina: spectator race in Val di Sella.
Pomeriggio: Sprint Relay a Levico, conosciuta anche come “la tonnara” per il mix esplosivo di calore sahariano, orientisti scatenati e logistica che dovrà essere a prova di SWAT.

La pianificazione di questi JWOC? Da manuale: si parte dai due eventi più lontani, con la gara ufficiale più incasinata, e poi pian piano ci si riavvicina verso il centro operativo. Una specie di strategia alla Risiko, ma con meno carri armati e più bus navetta.

È mattina (non primissima: niente eroismi all’alba per ora), e il team speaker si muove. E si divide, tipo cellule terroristiche ma con le pettorine multicolore.

Alexander ed io prendiamo la strada per la Val di Sella per aprire ufficialmente la 5 Giorni. Io poi mi sgancio in modalità “missione segreta” per tornare a Levico, dove verificherò che la speaker box sia effettivamente più di un gazebo con due sedie e un microfono rotto. Lì troverò Nicole, la cui missione mattutina è: presidiare. Presidiare come se fossimo a Fort Apache. Dopo aver finito prima tappa e premiazioni, Alexander ci raggiungerà per la cronaca della Sprint Relay. Tutto previsto, tutto calcolato, tutto pronto per esplodere alla prima folata di vento.

Primo problema: Alexander non ha mai commentato una gara di orienteering dal vivo.

Prima soluzione: Alexander inizia a parlare e dopo 30 secondi sembra nato con un microfono in mano. E io? Io, il veterano, lo speaker esperto, in confronto a lui sembro Bombolo nei film con Tomas Milian. Provo a sabotarlo. Lo mando ad intervistare atleti sfiniti, distrutti, ustionati dal sole trentino e dal dislivello verticale della Val di Sella. Ma niente. Lui becca bambini scandinavi che parlano lingue indecifrabili e parla con loro. Acchiappa master da RSA che sputano dentiere ed analisi tecniche più dettagliate di una allenatrice norvegese.

Insomma: sono quello che arriva a una festa, capisce che non serve a nulla e si eclissa in silenzio, bevendo la CocaCola sgassata vicino al frigorifero.

Ma attenzione: questo è solo l’inizio. Il pomeriggio ci aspetta la Sprint Relay, la madre di tutte le gare, il caos organizzato, la guerra a colori.

Quando arrivo a Levico, il sole ha deciso di giocare a SimCity - Arid Edition: l’asfalto si piega come plastilina, l’aria frigge, i miraggi cominciano a dare del tu alla gente. L’arena è una padella e noi siamo le fettine panate. Non esiste una singola particella del parco sotto i 3000 gradi Fahrenheit. Ho la polvere della Val di Sella nelle orecchie, nel colletto, dentro l’anima. Sogno una birra ghiacciata. Sogno un ice bucket. Sogno il Polo Nord.

Ma sono anche in modalità speaker. E so che se bevo qualcosa adesso, tra mezz’ora dovrò andare al Toi-Toi. E se c’è una sola cosa peggiore di parlare al microfono mentre ti scappa, è dover dire “scusate torno subito” mentre arriva il momento decisivo della frazione finale di un Campionato del Mondo (è successo… ma non a me! Non c’è di che, Per)

Nicole è già lì. Ha presidiato tutto. L’arena, le mappe, il gazebo, i droni, i possibili cavalli pazzi nascosti dietro i cespugli. Ha già affrontato uno dei rappresentanti IOF, categoria “li metti lì e ti puntano il regolamento addosso come se fosse un lanciafiamme”. Evidentemente il distintivo dà accesso a un superpotere: cercare colpe a caso e distribuirle equamente sullo staff più vicino. Ma Nicole è tosta. E se l’è cavata con grinta e un certo stile da marine che resiste all’assalto della trincea.

Io, intanto, scendo in campo con la determinazione di Keanu Reeves in Matrix, quando Nemo dice con gli occhi infuocati: “Ci servono... armi. TANTE armi.”. E io mi armo. Di calma, sorrisi diplomatici e di tutte le comunicazioni ufficiali salvate sul telefono. Cerco Henrik, il responsabile dell’arena, l’uomo che ha in mano le chiavi dell’ordine cosmico e della diretta TV. Mi aspetto tensione. Mi preparo al duello verbale. Sono pronto al “C’è un problema e c’è una soluzione. Noi siamo dalla parte della seconda. Tu da che parte stai?”. Lo trovo. Lo guardo. Gli parlo. E invece… sorpresa! Henrik è ragionevole. Persino gentile. Cioè, gentile gentile, non “passivo-aggressivo IOF style”.

Io espongo il mio mantra: “Non cambiamo nulla in corsa. Tutto è già definito. Ogni variazione rischia di innescare il caos. Meno tocchiamo, meglio va”. Lui ascolta. Annuisce. Pollice su. Sguardo d’intesa. Tensione evaporata. Basta rimanere in contatto visivo, una specie di muto codice Morse: se lui alza un sopracciglio, io lo rassicuro. Se io faccio il gesto “tranquillo”, lui si fida. È un po’ come ballare il tango senza calpestarsi. Quando, a un minuto dalla partenza, mi si avvicina con fare risoluto e dice: “Dobbiamo dare il via dalla postazione speaker” gli sorrido, ma anche no: dalla postazione speaker non vediamo nemmeno se ci sono ancora le atlete schierate. Non vediamo il cronometro ufficiale. Non vediamo nemmeno il cielo. Potremmo dare il via a caso, magari mentre parte il trenino turistico di Levico. Declino. Gentilmente, ma con fermezza. Il via lo dà lui. Noi ci limitiamo a sopravvivere.

In effetti dalla postazione speaker all’inizio vediamo poco o nulla. Gli spettatori praticamente ci circondano, e non vediamo nulla della gara perché il maxischermo è alle nostre spalle, girato verso la zona pubblico. Ma Alexander e Nicole hanno la soluzione: gli spettatori vengono da noi? Allora noi andiamo da loro! Gli speaker invadono la zona del pubblico!!! Mai visto prima (e mai più si vedrà…). Commentiamo la gara direttamente in mezzo agli orientisti, ascoltando e rilanciando la LORO cronaca, affrontando faccia a faccia quelli che ci dicono eccitati che Tizio sta recuperando e che Sempronia ha sbagliato scelta. In pratica, commentiamo il derby dalla curva.

E il derby, la sprint relay, è semplicemente da urlo.

C’è di tutto. Scenari che nemmeno nei sogni di un regista scandinavo. Collassi, rimontone, scelte azzardate, errori clamorosi e qualche miracolo sportivo. A livello junior, l’uguaglianza competitiva è ancora un concetto vago: alcuni volano, altri barcollano. E se moltiplichi tutto questo per quattro quanti sono i componenti delle squadre, questo significa solo una cosa: DRAMMA.

Norvegia: dispersa nei vicoli di Levico alla prima frazione, riemerge come un Terminator nella terza. Israele: terzi a metà gara. Terzi! In un mondiale! Australia: un bambino biondo con lo sguardo da "oggi mi supero" che si lancia all’inseguimento di Cechia e Svezia e… ci riesce! Li va a prendere e li stacca su una scelta di percorso che nemmeno Carlsen contro Nakamura. E noi lì, a bordo campo, in mezzo alla folla, a fare quello che fanno i cronisti delle radio pirata nelle partite della terza categoria: a commentare, ad alzare il livello di pathos, a sudare, a chiederci ogni venti secondi dove diamine sia finito il team finlandese.

Non vediamo tutto, ma quello che vediamo basta per farci perdere la voce e la dignità. Perché poi, dopo la gara… il collasso. Gli atleti arrivano, tagliano il traguardo e si sciolgono letteralmente per il caldo e le salite. Crolli multipli in zona finish, sembrano i finali delle maratone olimpiche degli anni ’80, ma con più asciugamani bagnati da buttare addosso a chi ha tagliato il traguardo. Alessandro & Crew, in una manovra da M*A*S*H, trasformano il tendone interviste in una tenda soccorsi in 4 secondi netti.

Noi ci guardiamo come quelli che hanno appena visto passare il tornado che ora si allontana. Torno alla postazione ma sono talmente stanco che commento la flower ceremony quasi in trance, sostenuto solo dall’adrenalina. E arriva, inevitabile, il momento dei discorsi. E l’adrenalina serve ancora:

“Il vice aiuto assessore della logistica integrata della frazione di Sfungardo della Cencia vorrebbe premiare…” NOOOOOOOOOOOOOO.

“Ci sarebbe un riconoscimento speciale per il sottosegretario della sezione dei giovani animatori del borgo storico…” NOOOOOOOOOOOOOOOOO. DOPOOOOOOOOO.

“Il Presidente è qui e approfitterebbe dell'occasione per dire alcune cose al microfono prima o durante…”  NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!! SIAMO IN DIRETTA TELEVISIVA!!!

Henrik ci guarda e si fida, sorride appena, fa “Thumbs up” come Fonzie e autorizza la difesa a oltranza della scaletta. La cerimonia fila liscia. La sprint relay è andata. È durata 50 minuti, è sembrata una battaglia epica. Ma ce l’abbiamo fatta. E intorno a noi, spettatori contenti. Alcuni ci ringraziano. Altri dicono che è la prima volta che vedono gli speaker in mezzo alla gente "Only in Italy...".

E allora sì, una è andata.

Il ritorno a cuccia è più lungo del previsto. Sbaglio strada, naturalmente, perché sono bollito. Ho il cervello in modalità frullatore e il corpo in modalità disattivata. E mentre finalmente sto per entrare nella doccia più desiderata dai tempi della maratona di Milano, arriva il messaggio sulla chat degli speaker: “Domani, ore 7:30 a Cembra per la Sprint.” D’altronde, se non c’è pace per tutti quei meravigliosi teams che spostano le transenne, gli arrivi, le partenze e le mille strutture da una parte all’altra della valle, allora non ci può essere pace nemmeno per gli speaker. Almeno, non in un mondo nel quale gli speaker non si limitano a dare tempi, posizioni e risultati finali. Because “We are there not only for that!” (semi-cit.)

D’altronde… Io sono un uomo di mondo: “ho fatto il militare a Cuneo”… ma una sprint relay così, mai vista. E buonasera, signore e signori. Una è andata.

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