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Monday, August 04, 2025

GEIUOCC 2025 – Giorno 4: la giornata di riposo (che non lo è mai)

Riposo? Ma per chi?

Nel giorno ufficiale di riposo dei JWOC, quello in cui gli atleti tirano il fiato dopo la long e si preparano per la middle e le staffette, c’è un piccolo dettaglio trascurabile: lo speaker non riposa.

Si torna a Pian del Gacc, e l’effetto è quello di rientrare in casa dopo essere stati ospiti in villa. Guardi attorno e ti accorgi che ogni angolo ha memoria: “Quello non è il punto dove Rita ha annunciato al mondo il suo orgoglio?” E lì… "Lì non è dove Daniel ha urlato la sua gioia al cielo, con le braccia larghe come le Alpi?” Sì, è proprio qui. Stesse transenne, meno scenografia, ma gli stessi colori e la stessa gente. Gente vera. Non più pubblico da Mondiale, ma protagonisti “di contorno” che, almeno oggi, sono al centro della scena.

Anche il mio ruolo cambia pelle: oggi sono lo speaker del popolo, che parla direttamente a te, sì proprio a TE, che hai corso la categoria open, la W50. la M20 ma non sei tra i convocati del Mondiale, la M65, la MW10. Quello che ti aspetti quando arrivi non è un’analisi tecnica, ma un commento da un amico che ti accoglie ad una festa tra pochi intimi.

Sono più sciallo oggi, dopo la cerimonia di premiazione di ieri sera la voce va e viene come un modem 56k, ma bisogna tenere la postazione. Perché Alexander parte fortissimo, con una cronaca all’arrivo di Alberto Zambiasi che è pura archeologia dell'orienteering: la 5 Giorni della Val di Non 1998, “quella gara che ha cambiato tutto”. Un monologo da brividi. Io ascolto, zitto e mosca, perché vedo che Alexander non ha preparato nulla di scritto ma, come cerco di fare anche io (però peggio) va a braccio, un puro flusso di coscienza, infila una principale ed una subordinata dietro l'altra in un discorso ordinato, empatico, enfatico e preciso. Poi lui deve andare al lavoro, io resto. 

Resto ma vado. Vado io verso le persone. Le chiamo, le cerco. Mi alzo, muovo panche, transenne, cambio l’assetto. È la mia versione del “servizio al tavolo”. Non sono IOF oggi, non ci sono protocolli, oggi siamo noi.

E poi succedono le cose belle. Quelle che non ti aspetti.

Marie Luce Romanens si avvicina. La riconosco. È praticamente Simone Luder prima di Simone Luder. Che, con tutto il rispetto, oggi è come dire Tove Alexandersson + Simona Aebersold, sommate e portate in dote da un’altra epoca. Una leggenda. Sorride. Sempre. Le chiedo due parole al microfono, e quando le ricordo che i suoi JWOC del 1993 erano a meno di 80 km da qui, il suo sorriso si fa ancora più largo. Un regalo.

E se c’è Marie Luce, non può mancare Thomas Buehrer. Quattro titoli mondiali, un gigante silenzioso. Gli chiedo “Come va con gli scacchi?” — e lui capisce tutto. Sorridiamo. Perché prima ancora che speaker e atleta, siamo stati due chiacchieroni in un’intervista per una rivista di scacchi. E parliamo come due vecchi amici al bar: delle gare, dell’Italia, delle vacanze. Il microfono? Quello c'è ma è come se non ci fosse. Solo parole cordiali.

Ma Thomas non è solo. Qualche minuto dopo, ricompare con un ragazzo al fianco: Matthieu, suo figlio. L’uomo dei JWOC 2024. Tre ori e un argento. Sarebbe stato il re anche qui, se non fosse per quell’infortunio. Ma oggi è sereno, pedala, si allena. E accetta l’intervista. Si racconta. È un adulto in mezzo a ragazzi. È già grande.

Sul traguardo passa una tuta. I colori del Tesla Brno. Mi scatta un riflesso condizionato: “Dov’è lo SKOB Zlín? Dov’è Michal Smola?” C’è una cosa che devo dirgli. Chiedo ai ragazzi di Brno: “Me lo portate, se lo vedete?”. Loro, con le birre in mano, mi dicono “Certo”.

Lo vedo arrivare. È lui. È l’uomo nella fotohttps://commons.wikimedia.org/wiki/File:Team_Fairplay.jpg (grazie a Jan Kochbach per non dimenticare mai). Se non sapete cos’è, siete ancora in tempo. Il mio podcast vi aspetta:
https://open.spotify.com/episode/2kU86vGqRw8bjGYAssPHN7  

Team Fairplay. Forse il gesto più puro e straordinario che l’orienteering abbia mai vissuto. E mai celebrato abbastanza dall'IOF. Michal si avvicina. È schivo, umile, corre la M40 perché in fondo è in vacanza, ma potrebbe fare del male a tutti gli altri partecipanti dell’élite. Lui sa. Sa già che voglio ricordargli quella cosa. Non so se vorrebbe sentirne ancora parlare, se fa ancora male. Ma gliela dico, con tutto il garbo del mondo: “So che forse non ne vorresti sentir più parlare. Ma per me… tu sei un eroe. Eri nel posto giusto, al momento giusto. E hai fatto la cosa giusta.”

Poi i francesi si avvicinano. Hanno la bandiera. Mi chiedono se ieri, mentre il loro beniamino Antoine Derlot rimontava posizioni su posizioni, quell' “Alors peut-être” l’ho detto per caso. Io dico di sì. Tirano un sospiro. Ma poi rilancio: “Neanche voi avreste creduto a Florence Guay, staccata e in quarta posizione a 120 metri dall’arrivo. Ma Patrick Montel sì, lui ci ha creduto”. Occhi sgranati. Montel? Ma dove siamo? In che realtà parallela? Siamo ai JWOC in Italia, e lo speaker cita l’uomo che ha fatto piangere mezza Francia con un “elle va le faire”??? Link d’obbligo: https://www.youtube.com/watch?v=G-VYwC28KXI (0:44)

Forse pensano “Seulement en Italie”, e stavolta avrebbero proprio ragione.

Cominciano a succedere cose che non dovrei fare, ma ho in mente solo lo sport, il nostro sport. Passa una tuta di Israele, intervista d'obbligo. Lasciate che poi vengano a dirmi, alternativamente, che non dovevo farlo, o che sono stato coraggioso. Qui è solo sport.

Serve una dose di realtà. Qualcosa che mi riporti coi piedi per terra. Una lamentela, una critica, una polemica…

Invece mi arriva Christian-O. L’uomo più alto di Daniele Pagliari, più grosso di Marco Bezzi, più gentile di tutti. Un ginocchio a pezzi ma gioca a tutto ciò che comprende l'uso di una racchetta e di una pallina. Sorride sempre. È un amico. Come quella volta all’O-Ringen. Per un attimo, persi. Poi ci guardiamo: “Uniamo le forze?” “Ok!” Dritti al punto, dritti a tutti gli altri.

E ora siamo qui, ogni tot anni. Ci si vede, ci si abbraccia, e quell’abbraccio basta per tutti gli anni che verranno.

La giornata scivola via. Finisce anche la long. Mi offrono un gelato. Poi torno a Baselga e arriva il turno del seminario IOF sull’antidoping. Il relatore mostra il primo prodotto vietato. Io tiro fuori il portafoglio: “Ce l’ho”. Poi ne nomina un altro. Sussurro a Nicole, seduta di fianco a me: “Ce l’ho sul comodino”. Il relatore mi sente, mi guarda perplesso: “Li usi tutti e due?”

“Eh sì…”

Scuote la testa. Forse si chiede se è stato sicuro affidarmi il microfono per una settimana.

Si chiude l’ultimo Team Officials Meeting e torno a cuccia. Faccio i conti. Mancano meno di 48 ore alla fine. Mancano 5 gare. Mancano 3 premiazioni ufficiali. Manca una cerimonia di chiusura tutta da inventare.

Robetta da niente.

Eppure non ho paura. Sono in sintonia con me stesso. Con il pubblico. Con l’orienteering.

E poi c’è una frase.
Quella che mi hanno detto mille volte che non posso dire.
Che non devo nominare.
Ma loro non lo sanno… che io la dirò. E sarà il mio ultimo atto ai JWOC.

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