Per una volta, il pre-MOO
E anche quest’anno, il giorno è arrivato. Il giorno del MOO.
Dicono che le tradizioni siano rassicuranti, che diano un senso di continuità, di stabilità. Ma poi capita che anche le tradizioni vengano messe in discussione, che ogni tanto sorga il dubbio: e se fosse l’ultima volta? Se quest’anno fosse quello in cui tutto si interrompe per cause di forza maggiore?
Dieci anni di MOO. Dieci anni in cui abbiamo macinato chilometri, sfidato il freddo, la pioggia, il traffico, la stanchezza, i ritardi dei mezzi pubblici, le interruzioni sulla linea delle metropolitane, i diabolici quesiti di Remo e, ultimamente, anche gli anni che passano inesorabili. Eppure, ancora oggi, non posso fare a meno di chiedermi: cosa sarebbe successo se, in quella prima edizione, Marco non avesse avuto un paio di scarpe di ricambio e non avesse potuto cambiare i mocassini e l'abbigliamento da semplice passeggio con il quale si era presentato al via? Se quel giorno non avesse piovuto, rendendo il tutto ancora più epico? Se il tram su cui erano assiepate le squadre che lottavano con oi per una posizione ai piani alti non si fosse fermato e noi non avessimo deciso, all’ultimo, di correre davanti al tram per una manciata di chilometri?
Queste sliding doors della vita mi tormentano, perché so bene che ogni piccolo dettaglio avrebbe potuto cambiare tutto. Senza quella serie di coincidenze, senza quel gran genio di Remo e la sua capacità di creare un evento che è molto più di una gara di orienteering, oggi non saremmo qui. Forse non saremmo mai diventati “Quelli del ‘67”, i SENATORI del MOO.
Già, i senatori. Un titolo che ci siamo guadagnati con le scarpe infangate, con i polpacci doloranti, con il fiatone dopo l’ennesimo sprint improvvisato per non far scendere la media sotto il livello di guardia. Ma anche un titolo che, forse, l’anno prossimo non avremo più. Per cause di forza maggiore, si dice in questi casi. Per cause che, almeno per quanto mi riguarda, potrebbero anche essere davvero belle (una richiesta per Remo: visto il caos che ci sarà e lo spiegamento di controlli, evita di mettere il MOO in corrispondenza dei Giochi Olimpici... chiedo per un amico!). È presto per dirlo, ma il pensiero rimane lì, scomodo come un sassolino nella scarpa.
E allora mi chiedo: come sarà questo MOO? Sarà l’ennesima avventura da raccontare con il sorriso, oppure avrà il sapore amaro delle cose che si fanno con il dubbio che sia l’ultima volta?
So solo che Milano, quest’anno, mi sembra diversa. Non è più la città che mi accoglieva con le sue luci e il suo fermento, con la sua energia un po’ caotica ma in fondo familiare. Milano mi sembra più cupa, più inquieta, più dannatamente pericolosa.
La gente è sempre più nervosa, pronta a esplodere alla minima scintilla. Una volta si sfogava al bar, discutendo per un rigore non dato o per l’ennesima assemblea di condominio (a proposito: nel 2024 ho partecipato a due distinte riunioni di condominio, in due condomini diversi, ed entrambe hanno visto l'intervento delle forze dell'ordine chiamate per sedare una rissa o per raccogliere le denunce post schiaffi). Oggi, invece, basta una suonata di clacson nel traffico per rischiare di essere trascinati fuori dall’auto e presi a pugni. E allora mi viene da pensare che forse ho meno paura ad andare nei boschi da solo all’alba, tra gli orsi e i sentieri nascosti, che ad attraversare la strada nel mio quartiere con il semaforo verde e sulle strisce.
Eppure, il MOO è sempre stato un antidoto contro queste inquietudini. Perché ogni anno, lungo la strada, abbiamo trovato qualcosa che ci ha fatto ridere, che ci ha fatto sentire vivi, parte di qualcosa di grande.
Penso ai turisti giapponesi che ci guardavano increduli, che ci fotografavano mentre correvamo con le mappe in mano, convinti forse di aver assistito a qualche bizzarro rito milanese. Penso ai passanti che ci fermavano per chiedere cosa diavolo stessimo facendo, e alla nostra risposta, sempre un po’ vaga e sempre un po’ fiera: "Stiamo facendo il MOO". Penso alle turiste eleganti di Montenapoleone, che ci scrutavano perplesse mentre sfrecciavamo accanto a loro, sudati e ansimanti, immersi nella nostra folle caccia al prossima quesito. Penso a quei momenti in cui tutto sembrava surreale, eppure tutto perfettamente naturale.
E penso a Remo, a "quel gran genio di un mio amico", che ogni anno riesce a sorprenderci con percorsi sempre più folli, sempre più imprevedibili. Sarà un caso che l’anno scorso una delle mappe fosse “Corvetto odia”? Forse no. Forse, in fondo, Remo sa che il MOO è anche questo: un modo per esorcizzare le paure, per attraversare la città con occhi diversi, per riscoprirla anche nei suoi angoli più oscuri.
Chissà cosa succederà domenica. Magari troveremo ancora turisti incuriositi, magari ci ritroveremo a commentare le nuove mode milanesi, o forse ci limiteremo a correre, come sempre, seguendo le indicazioni sulle mappe e cercando di battere il tempo. Spero solo che, nel momento in cui avremo quelle dieci mappe in mano, ogni dubbio, ogni inquietudine scomparirà. Ci sarà solo il MOO, e il primo “MUOVITI!!!” urlato da Marco a spezzare ogni esitazione. E per un giorno, almeno per un giorno, il tempo smetterà di pesare sulle mie spalle. Saremo ancora noi, "Quelli del ‘67", quelli che corrono, quelli che ridono, quelli che non si arrendono. E se anche questa fosse davvero l’ultima volta, beh, che sia una dannata ultima volta da ricordare!
Ci rileggiamo dopo il MOO. Se l’ispirazione prenderà il sopravvento. Se avrò ancora fiato per raccontarlo.
1 Comments:
Sempre un piacere leggerti, Stefano! Ci vediamo domenica quando i nostri percorsi si incroceranno 😉
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