Garette Estive. Capitolo 1: O-Ringen (prima parte)
Bisogna che qua ci diamo una mossa. Bisogna che IO mi dia
una mossa! Da oltre confine di Brogeda arrivano infatti richieste perentorie di
notizie sulLa Gara Dell’Anno appena disputata, ma la cronologia del blog mi
impone di riprendere la narrazione estiva da dove la avevo lasciata, andando a
riprendere anche il filo di quelle garette minori che fanno da riempitivo tra
una gara regionale e l’altra. Insomma, proprio come il blogger più famoso d’Italia
quando scrive delle gare del CSI tra una Trans d’Havet e l’altra. O come la ex
orientista più famosa d’Italia quando si accorge di non poter vivere senza una
bussola ed una cartina…
Capitolo 1. O-Ringen. Da leggersi con quella faccia un po’
così quell'espressione un po’ così che abbiamo noi che andiamo in Svezia per la
sesta volta (la terza negli ultimi quattro anni) e ci troviamo di fronte senza
preavviso 20.000 (ventimila) persone. Ventimila calcolate alla svedese, cioè
ventimila teste cada-giorno; non ventimila calcolate alla (purtroppo) italiana,
cioè contando tutte le estremità (4 o 5 a seconda del genere) di tutti coloro
che moltiplicato per tutti i giorni di gara hanno anche soltanto sentito
parlare dell’esistenza di una gara. Ventimila
è un numero che fa sempre un certo effetto, il solito porco incredibile meraviglioso
e sublime effetto! Anche perché poi il tutto rimane collocato in uno scenario
che, paradossalmente, fa sembrare le cose come se fossero tutte “a misura d’uomo”.
E se nelle due edizioni passate del 2012 e del 2014 avevamo potuto cogliere
qualche sbavatura organizzativa in un paio di aspetti logistici, l’edizione
2015 rimane per me un perfetto esempio organizzativo dalla A alla Z, anzi dalla
A fino a quelle vocali strampalate dell’alfabeto svedese con i pallini in cima
e che seguono la Z nell’ordine alfabetico.
Non abbiamo vissuto la situazione
paradossale della prima tappa del 2012, con i chilometri di coda per entrare
nei parcheggi per via del “pedaggio” che pochissimi avevano versato in
anticipo; non abbiamo subìto la situazione al limite del “disorganizzato
pesante” dell’ultima tappa 2014 quando il parcheggio era in fondo ad una zona
tipo imbuto, con code in entrata ed in uscita da apocalisse autostradale
ferragostana. E’ andato tutto, incredibilmente ma nemmeno troppo, liscissimo a
cominciare dal ritiro dei pettorali al sabato, quando i 20.000 iscritti sono
stati gestiti in tempi rapidissimi da un numero di addetti paragonabile a
quello che svolge lo stesso compito nelle nostre gare regionali… che però hanno uno “00”
di iscritti in meno!
La prima tappa, domenica, è come noto la più dura di tutte.
Lo è perché è l’impatto dell’impiegato panzottello con il terreno svedese della
West Coast, con le paludi, le colline rocciose, i massi enormi che non sono
segnati perché non sono orientisticamente rilevanti oppure sono segnati come
cocuzzoli perché in cima ci è cresciuta un po’ di vegetazione.
Lo è perché,
peccando come sempre di scarsa lungimiranza, sono iscritto in H45… non Kort,
non Motion. La H45 vera! Alcuni amici locali, che mi conoscono e che mi salutano, chiedono la categoria.
“H45” rispondo.
“Ah… Kort, vero?”
“No”.
“Ah… allora Motion,
vero?”.
“No. H45, H45 e basta. E tu?”
“Ah… io H45 Kort (o Motion…)! La H45 è
troppo dura!”.
E si tratta sempre amici che, nello scontro diretto, mi rifilerebbero
30 minuti di distacco a botta, e che in H45 Kort\Motion arrivano comunque nella
parte medio\bassa della classifica.
Quando arriva il mio minuto di partenza, domenica, sento il
bip bip bip… biiiiip! che mi manda nel bosco, giro la carta e mi viene un
triplo infarto carpiato. La carta è questa “cosa” qua…
Una carta ed un percorso che non corrispondono a nulla di
lontanamente paragonabile a ciò che faccio in Italia. Apparentemente, la carta
è pubblicizzata come un terreno nel quale è possibile tracciare una linea retta
di dimensioni “Rocco Siffredi” senza mai incontrare un sentiero. Sentieri no, ma paludi tantine. Con mio sommo dispiacere, quando arrivo al triangolo rosso di
partenza il gruppetto di master partito al mio minuto tira dritto verso nord.
Io il mio punto ce l’ho ad ovest… Mi armo di bussola e, arrampicandomi con le
mani, scavallo la parete di roccia davanti a me, salgo in cima alla collina e
scendo dall’altra parte…
SCIAFF!
Prima lezione di paludismo applicato.
Le paludi svedesi della West Coast sono diverse da quelle
che si incontrano alle nostre latitudini, diciamo per fare un esempio in Alto
Adige, carta di Nova Ponente. Ma forse è meglio fare un esempio pratico… Quando
l’impiegato panzottello affronta la palude nostrana, il rumore di sottofondo
(lasciando perdere i vari PANT! e PUFF!)
è il seguente: pat pat pat pat pash pash pash PASH PASH! POSH! POSH!
PASH! Pash pat pat pat…
Spiegazione per i meno avvezzi: l’impiegato panzottello
arriva corricchiando (pat pat pat) su un terreno abbastanza solido, comincia ad
incontrare qualcosa di bagnato (pash) che si dimostra essere una palude dapprima
compatta e di profondità quasi nulla (PASH), poi di minima profondità (PASH!),
poi di media profondità (POSH!) e infine si torna al pat pat pat iniziale, fino
alla palude successiva.
Il rumore della palude svedese è il seguente: drip drip drip
sciaff! sciaff! SCIOFF! CIUFF!!!
Segue qualche secondo di silenzio, rotto solo
dalle imprecazioni. Ri-spiegazione per i meno avvezzi: l’impiegato panzottello
arriva slittando e scivolando come Bambi sul ghiaccio (drip drip drip) lungo la
discesa rocciosa; quando crede che cominci il pianetto, in realtà mette già il
piede in mezzo metro d’acqua torbida, fangosa e puzzolente (sciaff!). Cerca di
andare avanti di qualche passo mentre attorno a lui finnici, norgici e svedici
volano sulle acque, ma presto deve cominciare a mulinare le braccia
vorticosamente per mantenere una andatura peraltro penosa (SCIOFF!); la forza necessaria
per andare avanti è pari a 3 Hulk, ma grazie alla prorompente azione delle
braccia il baricentro rimane ancora tra i due piedi.
Qualche passo dopo,
nemmeno il mulinare di una pala eolica è più sufficiente! I 10 Hulk necessari
per andare avanti non sono nel motore dell'impiegato panzottello, la testa ed il tronco (e la pancia) si
spostano in avanti rispetto ai piedi, finché il baricentro finisce troppo in
avanti rispetto a questi ultimi. Finale prevedibile: CIUFF! I nordici attorno
alzano le palette con i voti per il tuffo (Greg Louganis è un dilettante) e se
ne vanno via veloci come il vento senza sentire le imprecazioni.
Prima palude, primo CIUFF! Il tutto avrebbe pure rischiato
di essere immortalato sul nuovo gadget del team GOK: una telecamera frontale di
cui sono stato dotato fin dalla prima tappa. Purtroppo la mia imperizia proverbiale con tutto ciò che
esiste di tecnologico ha fatto sì che non sono disponibili immagini della mia
prima tappa (ma dalla seconda ci sono eccome!).
La telecamerina ha svolto un
ruolo fondamentale nello svolgimento della mia O-Ringen, perché il fatto di
immortalare la gara avrebbe consentito ad amici e detrattori di profondersi in
commenti sarcastici sui miei evidenti errori tecnici di orientamento. Il mantra
che mi ha accompagnato per la prima ora di gara, quindi, è stato: non fare
caxxate che poi gli altri rideranno di te! Una imprevista conseguenza è che
fino alla quinta lanterna compresa, ho fatto la gara orientisticamente perfetta
dell’anno!
“Scusa… vuoi dirci che hai trovato la 1 subito in quel
frattale di rocce?”. SI.
“Vuoi dire che la 2 l’hai tirata come...” Come Sgiorsgiù!
“E la 3 in fondo a quel puttanaio di paludi e collinette?” Sotto
la linea rossa! Come la 4. E la 5 attorno alla palude e poi al punto come se
fossi all’aiuola sotto casa!
Purtroppo, dopo la cinquina, si fa presto a fare tombola! La
6, come buona parte del mondo, la affronto da nord, dal sentiero con i benedetti
ristori. Sarebbe facile dire che dal
penultimo ristoro prima della 7 si viene giù dritti a sud, si prende l’attraversamento
fettucciato “)(“ e si risale la collina
fino al punto… Arrivo invece a dire in questo momento del racconto che obiezioni del
tipo “bastava fare così e cosà” sono valide solo se dette da chi era lì in quel
posto a fare le stesse cose.
Dal divano di casa e all’asciutto, non vale! (“Eh!
Gara facile… Bastava seguire le paludi!” me lo dice solo Attilio che ha fatto
la stessa gara e che è riuscito non so come a seguire effettivamente le paludi!).
Il gruppone che si compatta al rifornimento, omini done veci e putèi, scende
verso sud ma rimbalza sulla vegetazione dura ed attraversa la palude in
corrispondenza di un ponticello di pietra che sarebbe arduo anche per il Cirque
du Soleil, però è fettucciato anch’esso! Essendo per l’appunto fettucciato, siamo
tutti convinti di essere passati proprio dove volevamo (le bussole in quel
momento le avevamo tutti impegnate al mercatino delle pulci…). Si finisce così
per andare per qualche minuto, tutti insieme, su e giù per le isolette che
sembrano tanto quelle del Mar di Giava nel sud est asiatico.
Le curve di
livello non tornano tanto, ma il ponticello fettucciato l’abbiamo attraversato! Ci sono anche dei ragazzi che continuano imperterriti a
tornare alle fettucce del ponticello per fare il punto, ma della lanterna
nessuna traccia (e siamo lì almeno in 15 a cercarla). Dopo qualche minuto, un
finnico targato Tampere Pyrinto, alto e pelato, comincia a sbroccare in inglese
che la lanterna non c’è più e l’hanno portata via (all’O-Ringen? E’ più
probabile che all’arrivo trovo Victoria Silvstedt che mi invita ad una notte di
follie!). Lo dice in inglese per farsi capire bene da tutti: il finlandese
ormai lo parla solo Zonato! Tra gli sguardi di disapprovazione degli astanti
che continuano a cercare, mi si accende improvvisamente il cervello e scopro
che forse quel pixel nero in mappa è un ponticello e siamo passati da lì.
Affronto il finnico e lo prendo letteralmente per il bavero della maglietta
rossa: se la smette di far casino lo porto io al punto! Mi segue poco convinto,
ma quando attraversiamo la palude e sbarchiamo sulla collina giusta, urla che
ho ragione e mette il turbo, allontanandosi per sempre dalle mie mani
dalla mia vista.
Dopo lo scampato disastro, la gara si chiuderebbe anche
senza infamia e senza lode anche se con tanta fatica. Purtroppo, nella tratta
8-9, ad un centinaio di metri dal punto è in agguato la madre di tutte le
paludi… io arrivo in bussola un po' deconcentrato, giro attorno ad un cespuglio e non mi accorgo della
presenza (in mappa) del segno che indica che lì è proprio profon…
SBATACIUFFFFF!!!!
Dentro fino alle spalle! Non riesco quasi a muovermi ed ho
per un istante la visione del sottoscritto nei panni del cattivo di turno del
fumetto di Tex Willer che finisce ingoiato dalle sabbie mobili per non aver
seguito bene le tracce. Qualche secondo e sento un altro rumore di piedi, ed
urlo “NOT HERE!!!”. Riesco a girare il collo di 90 gradi e mi trovo davanti uno
sbarbatello norvegese (Savedalens IK è Norvegia?) che ha girato attorno allo
stesso cespuglio, si è fermato appena in tempo e mi guarda con gli occhi
sbarrati e la bocca che sta per scoppiare a ridere. Mi allunga un ramo, io mi
aggrappo, lui tira, io esco dalla palude e lui scoppia effettivamente a ridere.
Da quel momento in poi, correre sarà ancora più difficile: i colori tirchesi
dell’AGET Lugano sono scomparsi sotto uno spesso strato di fango e torba, ed
all’arrivo saranno in parecchi a fare le foto a quello strano mostro della
laguna che è emerso dalle paludi della prima tappa dell’O-Ringen 2015!
(continua…)
3 Comments:
Non eri il solo ad essere finito dentro fino alle spalle. Questo posto restera' nella memoria di noi italiani, poco avezzi von le paduli svedesi😂😂
Sei padrone di non crederci, ma quando ho allargato la carta ho riso tantissimo.
Tantissimo.
Hanno messo ristori a ogni piè sospinto su una tratta tutta uguale così non ti potevi neanche basare su quelli (io costruisco strategie di gare intere basandomi sulla posizione dei ristori), sono dei geni del male.
Apprezzo molto anche la chicca del vietare l'unico appezzamento di terra asciutta in mezzo alla carta, hai visto mai che uno resti in piedi.
Ad ogni modo, il miglior ritiro pettorali cui abbia mai preso parte è stato a Edimburgo, nella CS notturna di prologo della Race the Castles u.s.: elenco degli iscritti con relativo numero di pettorale attaccato su un albero, mazzi di pettorali in ordine di numero attaccati sugli altri; uno arriva, cerca il suo nome, scopre che numero ha, lo stacca dall'albero e se lo attacca sulla pancia. È indispensabile che i partecipanti sappiano leggere, mi rendo conto che non possa funzionare dappertutto...
E comunque io a Klanac non ho messo piede, è la gara di Zzi.
Quelli del Tampereen Pyrintö sono sempre da prendere con le molle (e per il bavero). Sono forti in ogni specialità sportiva (si, anche nel basket) ma tra gli orientisti qualche figura folkloristica la trovi facilmente. La prossima volta all'amico capellone digli in Meneghino di non infastidirti con i sui perkkele.
Per Larry (che ha smesso che cosa?): quel tipo di ritiro pettorali è in vigore già dal primo dopoguerra, a nord del Baltico. Il problema è quando chiamano il tuo numero in partenza (KOLME-NOLLA-KAHDEKSAN-KUUSI !!!)
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