Genesi (1)
Genesi
“Se non fosse per quella maledetta passionaccia…” (cit. Andrea Segatta)… Se non fosse per quella maledetta passionaccia, quando chiudo gli occhi e prendo in mano un microfono e faccio un bel respiro prima di cominciare il racconto dal vivo di una gara, allora penserei ad una bicicletta, penserei al giorno in cui da ragazzo di campagna mi sono trasformato in un cittadino. Penserei a quella gara ciclistica, il Campionato del Mondo su strada professionisti del 1975, che rappresenta il momento spartiacque che sempre sarà l’emblema del giorno in cui sono diventato un milanese... Poi mi chiedono perché nella mia mente il Campionato del Mondo di ciclismo rappresenta qualcosa che, trasferte o non trasferte, circuiti appassionanti o non circuiti appassionanti, nazionali italiane forti o meno forti, agosto o autunno che sia, cerco sempre di seguire con un po’ di pathos e di commozione.
Se non fosse per quella maledetta passionaccia… Milano, la grande città, “piena di strade e di negozi e di vetrine e di luce” e di semafori che non ero abituato a vedere (il semaforo più vicino a casa era all’ingresso di Cles!)… anche se dove sono andato ad abitare io non c’erano molte strade, il negozio più vicino era davvero distante, di vetrine e di negozi non ne parliamo e a scuola ci andavo con il pullman e i miei genitori mi affidavano ogni mattina a qualche ragazzo più grande per evitare che io mi perdessi e dimenticassi persino come tornare a casa. Di strade, tra il Morivione e Baravalle, non ce ne erano tante. Il Ticinello e qualche fogna scorrevano a cielo aperto verso la campagna, e dalla finestra della stanza dei miei genitori vedevo ancora le cascine e le pecore come quando stavo a Coredo (lì c’erano le mucche, ma insomma potevano bastare anche le pecore). Il giorno in cui sbarcai a Milano, la domenica pomeriggio del Mondiale di ciclismo. Il salotto della casa dove abitavano i miei cugini fece da “camera di decompressione” per uno che come me spalancava gli occhi sulla città (ostile). Non avevo mai visto una televisione così grossa come quella dei miei cugini più grandi! E non potrò mai dimenticare il 27 agosto 1975 ed Hennie Kuiper ed il modo in cui andò in fuga e vinse il Mondiale del 1975 davanti a Roger De Vlaeminck
Se non fosse per quella maledetta passionaccia… forse allora sarei diventato un ciclista, nel ricordo degli operai che lavoravano al cantiere vicino all’Albergo Pineta di Tavon dove stava la mia amica Manuela; gli operai che sentivano la radio e facevano il tifo per Gimondi (persino in Val di Non arrivavano a lavorare gli operai bergamaschi, e Gimondi era di Selvino o giù di lì). Attraverso le loro voci ho sentito il racconto di come Gimondi vinse il Mondiale sprintando sulla salita del Santuario della Madonna del Montjuich di Barcellona (dove molti anni dopo sarei andato in pellegrinaggio… non al Santuario ma sul rettilineo di quel Mondiale). Di come vinse, ormai anziano corridore, un Giro d’Italia battendo nell’ultima cronometro un belga di nome De Muynck, che poi puntualmente con tutte quelle y e quelle k facevo perdere quando giocando a biglie nel bosco e imitavo le corse ciclistiche. Anni in cui la televisione era quella del bar di Tavon, i racconti di quegli operai erano la cronaca dal vivo degli eventi sportivi… anni in cui persino l’ultima tappa del Giro d’Italia con la sfida tra Bertoglio e Galdos sullo Stelvio la si poteva seguire solo per radio.
Hennie Kuiper andò in fuga, i miei cugini si aspettavano qualche italiano; ma in quell’anno disgraziato, dove forse il migliore azzurro fu un tale Santambrogio (non vado nemmeno a consultare wikipedia, pura memoria e se sbaglio è comunque la mia memoria e la gara me la ricordo così), gli azzurri erano indietro. Come avrebbero potuto riprendere un tale che ,a giudicare dalle riprese televisive in bianco e nero un po’ traballanti che mostravano il ciclista ed il tachimetro della moto al seguito, andava a sessanta all’ora a vincere la maglia iridata? (ho sempre sperato che quella immagine ferma nella mia mente sia legata ad un Kuiper post-scollinamento…). Kuiper andò in fuga nello stesso modo nel quale anche io andavo in fuga dal mio paesello e diventavo un cittadino: ho sempre associato questo momento fondamentale della mia vita ad Hennie Kuiper ed al Mondiale di ciclismo. E per questo il Mondiale di ciclismo è sempre stato un rito che, nei limiti del possibile, negli anni successivi ho sempre fortissimamente voluto vedere fin dai primi chilometri, quando la RAI cominciò a trasmetterne persino la partenza.
Se non fosse per quella maledetta passionaccia, avrebbero avuto un valore diverso gli anni delle corse di Francesco Moser ad Ostuni ed al Nurnburgring (ho sempre avuto un senso di odio per Knetemann), la sua vittoria in bianco e nero nel nulla totale di San Cristobal; la caduta di Battaglin sul rettilineo di Valkenburg e la folle edizione di Sallanches su un circuito fatto apposta perché arrivasse da solo Bernard Hinault. Se non fosse per quella maledetta passionaccia soffrirei di più ancora oggi nel pensare alla sconfitta di Praga in Piazza Venceslao ed allo “sparo nel buio” di Saronni sullo strappo di Goodwood. Ecco… se non fosse per quella maledetta passionaccia… allora penserei che il Mondiale di Saronni a Goodwood rappresenterebbe il momento top dello sport italiano, con quella maglia azzurra che insegue e spegne il sogno di Marino Lejarreta, di Johann Van de Velde, di quei due ragazzotti con una maglia blu-rossa-bianca con le stelle che vedevamo per la prima volta a colori ed a quei livelli, la maglia degli Stati Uniti di tale Eric Boyer e Greg Lemond… che chi li aveva mai visti prima di allora in testa ad un mondiale di ciclismo e chissà quando pensavamo che mai li avremmo rivisti
Se non fosse per quella maledetta passionaccia… allora penserei che quel giorno a Goodwood un immenso Chinetti mise il mondo davanti alla scelta di consegnare la maglia iridata nelle mani di un gregario italiano o lasciare che fosse il capitano della squadra italiana a compiere il capolavoro definitivo negli ultimi 200 metri, e che solo De Zan quel giorno poteva compiere l’errore imperdonabile di dare il microfono in mano a Gimondi (ancora lui) per commentare gli ultimi 50 metri del gesto ciclistico più bello che io abbia mai visto; così ancora oggi qualunque giovane che voglia andare su youtube a rivedere lo “sparo nel buio” si deve sorbire qualche secondo di imbarazzato mugugnìo nel momento di pathos che corona la carriera di un campione del mondo.
Se non fosse per quella maledetta passionaccia… potrei tirare un filo che va da Hennie Kuiper a Moser e Saronni ed Argentin e Fondriest e Cipollini e Bettini e Ballan, potrei passare sopra persino all’errore di De Zan e lasciare che la mia testa pensi al Campionato del Mondo di Goodwood, a Giuseppe Saronni ed alla sua vittoria come al momento più bello che ho vissuto a fianco dello sport italiano.
Ma c’è sempre quella maledetta passionaccia…
5 Comments:
Una brutta notizia Ste': 26 maggio 2013, Coppa Italia Long in Lessinia. E ti assicuro che sarà Long. Adesso come la metti con la passionaccia?
@ Rusky: dimentichi quella volta di ritorno da Helsinki, quando con Grilli cercavamo di trovare un canale P2P che all'aeroporto di Amsterdam trasmettesse gratis il Mondiale!
@ Zonori: tutto si può fare... :-) anche la long più long che c'è, in fondo non gareggio mica per il primo posto ma solo per arrivare
Dicevo per il terreno (che non è il tuo preferito)
zonori
Me lo faro' piacere. Ormai per me non esiste piu' un terreno "non preferito": ho scoperto quest'anno con grande gioia che la cosa che preferisco è "esserci" :-)
Allora ti prometto, una volta tanto, un tempo di partenza "umano"
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