Perchè lo fai?
Forse perché dopo la pioggia viene il sereno, forse perché dopo una gara negativa c’è sempre la possibilità di averne una positiva, forse perché dopo una lanterna trovata per caso dopo aver navigato a vuoto per mezzo bosco ce n’è quasi sempre una che ci viene incontro come se ci chiamassimo Gueorgiou… Forse perché solo all’Oringen può capitare di fare la coda al Toi-Toi avendo proprio alle spalle Anne Margrethe Hausken (tralascio il fatto che per qualche ora ho cullato l’ipotesi di scrivere “Come sono riuscito a stare davanti ad Hausken per 5 minuti…”).
Perché lo fai? Forse la risposta è in quella sorta di lucida follia che prende gli orientisti che hanno passato troppo tempo a mollo nel fango e sotto la pioggia, a faticare per un duecentesimo posto in una categoria di contorno combattendo solo contro se stessi o contro la propria ombra. O forse per un senso di “peterpan-esimo” che fa sentire sempre giovani ed incuranti degli acciacchi, che invece sono lì a manifestarsi proprio nel momento in cui avresti bisogno di avere una risposta dalle tue gambe o dalla tua testa…
Perché l’ho fatto? E soprattutto cosa ho fatto? Semplice. Mi sono iscritto, e sono qui a cimentarmi, nella O-Ringen 2012. Categoria H40. Quella lunga, non le due categorie corte. Proprio quella lunga. Ci sono un paio di cose, o anche di più, che non tornano. La prima: non mi alleno da questo inverno, fatte salve alcune comparsate all’alba quando ero impegnato come speaker. La seconda: la caviglia destra è gonfia come un peperone e non accenna a guarire. La terza: in realtà avrei potuto iscrivermi alla H45, visto che l’anno di nascita è 1967. La quarta: avrei potuto scegliere la categoria “Corta”. La quinta… eccetera eccetera eccetera.
Le ultime due aggravanti sono state già oggetto di battute da parte di Maria Braun “anche io sono qui all’O-Ringen, ma mi sono iscritta alla gara Corta” e soprattutto dell’amicissimo Christian Olivestam dell OK Vimmerby “Ti ho cercato in H45, ma non ho trovato il tuo nome”; basterebbero queste due frasi aa convincere la giuria che non tutte le rotelle sono al posto giusto e a guadagnarmi le attenuanti generiche per insanità mentale.
Poi, a confermare i primi due punti in scaletta, ci pensa il collasso totale che mi ha preso durante la prima tappa (una long distance particolarmente fisica, come dice anche il sito Fiso) quando al punto 8 ho finito completamente la benzina; da lì fino al traguardo, la mia gara si è trasformata in un calvario fatto di passaggi a tutti i ristori per cercare di assumere un po’ di acqua, e di successivi attacchi di vomito tra un ristoro e l’altro; sulla strada per il punto 12 passo per il punto di soccorso (che per fortuna è in pieno sbaraccamento) e resisto alla tentazione di rispondere affermativamente alle domande dei tizi dell’organizzazione che si offrono di riportarmi all’arena in camioncino.
“Perché lo fai?” resta ad aleggiare nell’aria fino al giorno successivo. Guardo i miei piedi, le due vescicazze terribili che mi sono venute sul calcagno (io che non ho mai avuto particolari problemi di questo tipo), le tre unghie che sono già saltate nei contatti con i ruvidi terreni svedesi. Infilo le mie “piote” malmesse in un paio di Inov-8 che sono ancora fradicie della gara del giorno prima (che è finita alle 15 e la partenza della seconda tappa è alle 9), che è come infilare i piedi nelle budella di un pesce… e si riparte.
Riparto per una middle che non vedrà tratte di 19 centimetri di lunghezza (sotto la linea rossa, in realtà molti di più!) ,non vedrà passaggi tra le rocce nei quali ritrovare come alla Capriasca i poteri dell’Uomo Ragno onde evitare di sfracellarsi parecchi metri più in basso (e i concorrenti che mi seguono in quel passaggio sembrano tutto fuorché propensi ad occuparsi della salvezza o dell’eventuale salvataggio dell’Impiegato Panzottello eventualmente sfracellato). La middle del secondo giorno sarà bosco svedese, con un sacco di dettagli. Un bosco da leggere con attenzione, soprattutto i codici delle lanterne, perché in zona punto ogni sasso avvallamento buca cocuzzolo semicurvadilivello hanno la loro brava lanterna; e così capita che l’uscita dalla lanterna svedese sia già l’attacco al primo punto, e l’uscita dal primo punto è l’attacco al secondo punto e così via.
Quando arrivo al nono punto di controllo, codice 106 in una zona dove le tracce dei trattori che hanno recentemente disboscato si confondono con le tracce vere segnate in carta, e dove le paludi hanno sconfinato su tutta l’area, e dove ogni dettaglio ha una lanterna (e dove il mio punto alla fine lo trovo per caso mentre sto cercando di ricollocarmi), ecco che allora penso che la seconda gara è finita ed io sono ancora tutto intero. Perché per il decimo punto basta seguire e poi farsi staccare da Peter Braun ma precederlo sulla sua uscita dal punto (che per me diventa l’ingresso). Perché l’11esimo punto è lì dove te lo aspetti ed il 12esimo è a 100 metri e… cosa ci fanno queste 50 persone attorno al mio punto? Possibile che siano arrivati tutti qui? Noi 5 che cerchiamo proprio questa lanterna ed altri 45 che si guardano intorno per capire dove sono capitati?
Perché il maledetto ponticello di oggi che ti sbarca sull’arena del traguardo non è il “MURO!” del giorno prima e cioè un ponticello metallico alto 5 metri e quasi a picco (la salita ha persino le borchie per riuscire a far fare presa alle scarpe). Oggi persino il ponticello in legno ha un’aria simpatica anche se si arriva già in salita e in contropendenza e solo i migliori, ma veramente i migliori!, riescono ad arrivare in cima correndo.
E lo faccio perché c’è sempre il giorno dopo del giorno dopo. Perché la “tappa bingo” dell’Oringen stavolta è la terza, e si arriva sulla spiaggia ed il bosco è piatto e i piedi sembrano aver voglia di correre un po’ anche se le vesciche e le unghie pulsano da matti. Perché devi stare attento ad ogni stramaledetto dettaglio e chi è arrivato al traguardo ti dice che il punto 1 e 2 sono proprio tecnici, ma io su quei due punti ci sono arrivato come un laser… perché quando il bosco da quasi piatto diventa piattissimo devi tirare quegli azimut da 500 metri nel bosco aperto a cercare una radura 3 metri x 4 metri e se anche la trovi per approssimazioni successive c’è sempre qualcuno ancora più disperso di te.
Perché poi arrivano le dune, il finale più pazzo delle mie 3 Oringen e mezzo fin qui disputate. 5 punti tra le dune di sabbia fronte mare, prima accompagnato soltanto dai compagni di gara che cercano in tutte le buche ed in tutti gli anfratti e poi sempre più “preso” nella parte finale dove non si capisce più se le persone che guardano e fanno il tifo sono i bagnanti venuti a prendere il sole, o gli orientisti che si son trasformati in bagnanti. Sarebbe bastata solo un po’ di cattiveria in più nel finale (o 1 minuto di errore in meno al punto 9) per stare sotto l’ora. Era l’ultima occasione per finire una gara sotto i 60 minuti, visto che domani e dopodomani si ricomincia con le maledette long distance. E pensare che ero riuscito persino a correre tutta la tratta di quasi 400 metri dall’ultimo punto all’arrivo, compreso il maledetto ponticello… (probabilmente l’ultimo di questa edizione 2012).
Domani si ricomincia con le long distance, allora. I piedi sono un disastro, il fisico uno sfacelo. Il terreno è difficile e la tipologia di gara è quella che mi piace di meno. Ma se anche tutto quanto finisse in un maledetto disastro, so che ci sarà sempre un'altra possibilità: dopo la pioggia viene sempre il sereno.
Ecco perché lo faccio.
3 Comments:
e poi, le altre tappe?????
orientisti diventati bagnanti ci dobbiamo sentire presi in causa??
Ma noooooooo... Samuele, cosa mi dici mai! Presi in causa? Voi? E quando mai? :-)
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