Once upon a time... O-Ringen 2014 (the 1st part)
In questa estate che latita, ed in una Milano anche oggi
bagnata da qualche acquazzone sotto un cielo prevalentemente coperto, occorre
andare a cercare il sole nei ricordi più o meno lontani. Per mia fortuna, sole
e mare e cielo azzurro non sono così distanti nel tempo da aver già fatto
sbiadire le sensazioni più belle. Curiosamente, però, lo scenario che
costituisce il contorno geografico di questi ricordi non è un’area
mediterranea, ma la più inconsueta Svezia con le sue spiagge sul Mar Baltico!
Non può dirsi proprio una estate normale se, una volta ritornato a casa (dopo
un autentico “viaggio della speranza”… speranza di arrivare a destinazione e
speranza di ritrovare i bagagli), ho ringraziato il clima per avermi fatto
trovare a Milano finalmente un po’ di fresco. Ok, ho ringraziato abbastanza:
adesso potrebbe anche smettere di piovere!
L’O-Ringen, ormai, non rappresenta più una sorpresa per
nessuno. Quando, nel 2004 ho partecipato per la prima volta alla classicissima
svedese, avevo dovuto affidare la preparazione di tutto quanto va sotto la voce
“cose che tanto vale sapere prima” ai vaghi e talvolta non del tutto
attendibili ricordi di qualche compagno di squadra che era già volato a nord.
Sbarcare all’O-Ringen senza preparazione, in quegli anni prima di Facebook e di
tutti i blog, voleva dire ritrovarsi come Totò e Peppino alla Stazione Centrale
di Milano, a guardare la nebbia che non si vede… Ora, arrivato alla mia quinta
O-Ringen dopo il 2004 2007 2010 e 2012, mi posso considerare praticamente un
veterano della Svezia. Eppure… Eppure continuo ad avere la faccia come quella
di Totò e Peppino alla vista dell’arena di arrivo della prima tappa,
dell’O-Ringen Town, dei mega-parcheggi che accolgono 22.000 partecipanti che a
fine gara escono dal bosco senza soluzione di continuità per affrontare uno
degli 8-9 corridoi di arrivo!
L’edizione 2014, almeno per me, è nata sotto una strana
stella. In primo luogo è arrivata a soli 6 giorni di distanza dalla conclusione
della fatica dei WOC: tutto quello che la lavatrice terminava di lavare (ed il
fresco di Milano terminava di asciugare) finiva nuovamente nella valigia che
avevo lasciato strategicamente aperta in corridoio; ho il vizio di pensare
sempre e soltanto alla prossima gara, e quindi soltanto mercoledì (tre giorni
dopo il termine dei WOC) mi sono “accorto” che avrei cominciato a gareggiare di
lì a poche ore all’O-Ringen (mica alla promozionale del Monte Stella), ed ho
dovuto cominciare a fare mente locale alle cose basilari come bussola, taping,
porta descrizione, sicard, book delle gare con le indicazioni stradali…
Il secondo motivo per il quale l’O-Ringen 2014 “è partita
male” è che sembrava impossibile che si potesse ripetere una situazione
meteorologica come quella del 2012: ad Halmstad infatti avevamo avuto il sole,
il caldo, le paludi praticamente asciutte, e negli album dei ricordi
fotografici di 20.000 orientisti-bagnanti ci devono essere ancora le foto della
terza tappa con l’arrivo in riva al Mar Baltico (sponda ovest) che avevano
scatenato l’invidia di tutti coloro che erano rimasti a casa, soprattutto di
tutti i ragazzotti che si erano persi una autentica sfilata di vichinghe in
bikini. Una situazione meteo che, pensavo, difficilmente si sarebbe potuta
verificare ancora.
Come diceva Nero Wolfe in non so quale libro, il vantaggio
dei pessimisti è quello di poter restare piacevolmente sorpresi: l’edizione
2014 infatti non ha visto scendere dal cielo una sola goccia d’acqua, non ha
visto comparire in cielo mai nemmeno una nuvola! Sette notti a dormire fuori
dal lenzuolo e con la finestra aperta, sette giorni ai 27-28 gradi con i quali
abbiamo corso tutte le tappe.
Una situazione inimmaginabile che ha richiamato
alla mente i racconti di Henning Mankell, quelli del commissario Kurt
Wallander, quelli nei quali i poliziotti della squadra di Ystad (a pochi
chilometri dalla nostra “cuccia” svedese) si lamentano spesso per il caldo
dell’estate svedese della Scania… e noi lettori italiani a pensare a questi che
si lamentano per un nonnulla! Non è un caso se, in quasi tutte le tappe
disputate, molte scelte di percorso le ho fatte sulla base della possibilità o
meno di incrociare “bicchierini” stampati sulla mappa, quei punti di ristoro in
mezzo al bosco che all’O-Ringen sono frequenti tanto quanto le cappelle da 5
minuti!
Un altro fattore da tenere presente, perché anche questo ha
avuto il su peso, è che quella 2014 è stata l’edizione numero 50 dell’O-Ringen;
il buon PLab aveva scovato, nell’invero non leggibilissimo sito della gara,
l’annuncio di una tal “Nostalgia Race” o “Nostalgica Race” secondo le varie
accezioni: una gara speciale, senza classifica (e invece ci sarà!) da disputare
sulla stessa carta… anzi CON la stessa carta e soprattutto CON lo stesso
percorso della terza tappa della prima O-Ringen di cinquanta anni prima. La
classica ori-minkiata che nessun esponente del GOK si farebbe mancare… ma avrò
modo di raccontare come è andata a finire!
Racconto che comincio adesso, ben conscio del fatto che
l’O-Ringen meriterebbe di essere accompagnata dalle parole di ben altro Bardo
o, in mancanza del very-original-Dario, anche di un Dario-dopolavoristico… ma
sembra che ormai costoro non apprezzino le “uscite” se non sono almeno di 50
chilometri e 5.000 metri di dislivello ciascuna.
L’O-Ringen 2014 avrebbe dovuto costituire il mio ingresso
ufficiale nella categoria H45. L’iscrizione fatta in un periodo dell’anno nel
quale le gambe proprio non giravano, la preoccupazione di dover fare 5 gare ad
una sola settimana di distanza dalla fatica dei WOC, la consapevolezza che la
posizione finale in classifica sarebbe stata comunque a fondo scala in
qualunque categoria. Perché non fare compagnia ad Attilio, allora, che alla H45
si era iscritto fin dall’inizio senza se e senza ma? Poi il destino ha voluto
che le cose andassero diversamente, e che il mio ingresso in H45 (evento che
senz’altro sarà citato nei libri di storia come lo sbarco di Colombo nel Nuovo
Mondo o la caduta del muro di Berlino) si sia verificato in realtà al
Campionato Trentino di Forte Kerle, con la carta H45 consegnatami in pompa
magna nel parcheggi da Matteo Sandri… anche se a pensarci bene non so nemmeno
se mi hanno messo in classifica! Comunque H45 doveva essere, almeno per
rispetto verso la carta di identità, e H45 è stata; ma tutto potrei dire della
mia categoria, tranne che sia stata una passeggiata di salute!
*** ***
La prima tappa si è disputata sulla carta di Vanga Ostra,
che sarebbe da scrivere con quale “A” con il pallino sopra e qualche “O” con il
doppio puntino… ma a me che mi frega? Tappa a lunga distanza, che per qualche
motivo “battezzo” come una cosetta da meno di 6 chilometri e con poco
dislivello. Primo errore! Intanto la lunghezza delle long distance in H45,
all’O-Ringen, è sempre superiore ai 7 chilometri in linea d’aria, o esattamente
7 km come in questa tappa. Secondo errore! Questi avranno anche inventato
l’orienteering, ma il dislivello non lo calcolano proprio: che ci sia o che non
ci sia, non gliene può fregare di meno… che andrebbe anche benone se la gara la
faccio al Parco di Trenno dove il marrone è utilizzato solo per le canalette,
ma se corro in un posto che il book dell’O-Ringen recita come “very hilly”…
ecco, diciamo che ancora una volta il vostro onorevole Stegal sembra essersi
cimentato nella specialità nella quale è un vero Elite: ndare a cacciare il
culo sulla pedata.
Vedo partire Attilio qualche minuto prima di me e comincio a
pensare “questi qui sono capaci di aver piazzato 14 lanterne su 7 km… cioè un
punto ogni 500 metri almeno… qualche punto sarà molto vicino agli altri, e
quindi ci sarà qualche tratta lunga più di un chilometro. Proprio quello che
NON piace a me… Ma cosa vado a pensare, saranno sicuramente più di 12 punti! Dai…
15, 16 punti, magari 18 o 20…”. Quando arriva il mio turno e recupero la
descrizione punti al minuto meno 2, trovo l’amara sorpresa: 14 punti! Dopo una
partenza quantomeno da rimanere PERplessi, con un punto K piazzato sotto una
roccia a strapiombo al quale ci si arriva sulle tracce di chi è già passato di
lì, arriva il turno della prima lanterna dell’O-Ringen, che è sempre la Prima
Lanterna Dell’O-Ringen e come tale va trattata con rispetto! Mi arrampico con
cautela sulle prime “very hilly” curve di livello, attacco la collinetta come
se fossi Sgiorsgiù, do una occhiata di sufficienza alla paludina alla mia
destra e miro all’avvallamento nel quale dovrebbe essere la roccia con la mia
lanterna. Mi meraviglio di non vedere attorno a me decine di altri orientisti,
o perlomeno cinquine di altre lanterne che non sono le mie, ed entro
nell’avvallamento: incredibile a dirsi, c’è anche una lanterna… ed è la mia!
Non ci sono più le O-Ringen di una volta, quelle nelle quali trovavo le
lanterne “per approssimazioni successive”… qui c’è la 270, lì la 271, ecco la
272… 273… 274… 276! 276!!! Chi si è fottuto la mia 275???
La seconda tratta è la prima “Corri Mona!” dell’O-Ringen, e
la affronto risalendo il sentiero in senso orario. Le paludi sono praticamente
asciutte, tranne quando sono solcate dalla linea retta azzurra (in tal caso
trattasi di fango maleodorante di torbiera…) ed il percorso continua a rimanere
abbastanza hilly da non consentire mai un attimo di riposo fino alla seconda
tratta “Corri Mona!” (11-12) nella quale risalgo tutta la fila dei bicchierini
perché, con il caldo che c’è, anche i mitici ristori dell’O-Ringen nel bosco
sono rimasti senza recipienti per tutti: l’acqua nei vasconi c’è, ma non è
rimasto nulla con cui attingere… se non un tappeto di plastica calpestata per
metri e metri!
All’arrivo, dopo una volata da onorare perché ci sono
comunque un paio di migliaia di persone che guardano (e non hanno la minima
idea di chi ogni concorrente sia, ma guardano ed applaudono lo stesso), prendo
fiato e non mi accorgo che appena al di là della linea c’è Per Forsberg in
persona, il quale mi vede, sorride e fa segno a me ed al suo microfono…. No,
dai! Per! Non è proprio il caso… “Ah si?!? Fridaaaaa… c’è lo speaker italiano
del mondiale da intervistare!”. Ed ecco che dal nulla compare Frida…
biondissima, svedesissima, microfonatissima e sorridentissima. E io chi sono
per rifiutare una intervista???
Per la seconda tappa si rimane nella stessa arena di arrivo,
ma si corre nella parte nord, altrimenti detta Vanga Norra. E’ il momento più
duro dell’O-Ringen, perché il corpo subisce la stanchezza del viaggio da
Milano, della prima tappa con partenza presto e della seconda tappa ancora con
partenza presto. E’ un’altra tappa long distance, e sarà ancora più dura perché
si sviluppa su 7,7 km, ed io penso tristemente alle 14 lanterne… una ogni 500
metri. Il vantaggio dei pessimisti, però, è quello… di essere già pronti a
tutto: stavolta le lanterne sono solo 12, come scopro al minuto meno 2, e dal
punto K mi separano la bellezza di 350 metri, che si sommano ai 3,5 km che ho
già fatto per arrivare in partenza. Se non fossi all’O-Ringen, mi sarei già
rotto le balle di brutto! Anche perché i 350 metri che mi separano dal punto K
non sono su un comodo sentiero ma su un unico ininterrotto “bordo palude” pieno
di sassi, roba disboscata, fango, rami sporgenti ad altezza 1 metro da terra…
quando arrivo al punto K, il primo dei “tori” della partenza del minuto
successivo mi ha già raggiunto, ed in mezzo a quel delirio non sono stato
nemmeno in grado di vedere lo sviluppo del percorso… che mi regala già al primo
punto un altro bel tiro lungo da 20 centimetri di lunghezza.
Il bello (ovvero brutto) della faccenda è che la prima parte
si sviluppa tutta in una porzione di bosco che, in Italia, ci faremmo almeno un
campionato italiano sprint da tanti dettagli che ci sono… e a me tocca
attraversarla tutta con la testa spenta, tanto devo solo raggiungere il prato,
guadare il fiume, superare il sentiero, arrivare all'area privata e seguire il
muretto (superando la classica zona impenetrabile sotto la linea elettrica)
fino ad arrivare al primo punto. Quando ci arrivo, ne ho già piene le balle, il
cervello l’ho lasciato staccato per tutto il tempo e infatti canno di brutto il
punto 2; mi rimetto in sesto per la 3, alla quale non so bene se arrivo perché
è facile o perché è l’unica lanterna dietro alla parete di rocce e quindi ci va
un intero treno di 15-20 concorrenti; stessa cosa alla 4 e alla 5. Alla 6 opto
per una scelta in sicurezza che mi costa ancora un’iradiddio di fatica per
oltrepassare la linea elettrica, mentre alla 7 vado dritto su per la collina
“che a me la salita mi fa una pippa” (cit.).
Molto bella ma emblematica la lanterna 8: che si trova in
una zona dove si fanno le gare di motocross o di speedway: il fondo è sabbioso
che sembra di essere in spiaggia = non si va avanti nemmeno a piangere, in
compenso fa un caldo che sembra di essere in un forno. Ci saranno almeno 100
orientisti che si aggirano a vista nella conca che precede la mia 8: io salgo
preciso, trovo due lanterne a bordo bosco che non sono le mie e finalmente
trovo il mio cocuzzolo… tempo di punzonare e di fornire indicazioni sulla
posizione del punto a tre orientisti che mi si presentano con le cartine in tre
scale diverse (una preghiera per il poveraccio che aveva la scala 1:15.000) e
davanti a me compare Attilio, partito pochi minuti prima di me e che aveva
mancato di pochi metri, all’andata ed al ritorno, la 9. Con lui a fare il ritmo
o “a coprirmi le spalle” (auto-cit.), l’ultimo tirone lungo per la 10 dura meno
di quanto paventato, anche se lungo il sentiero il caldo si fa davvero sentire,
e la 11 e la 12 non danno problemi. La seconda long distance dell’O-Ringen è
passata!
La terza tappa è quella “balneare”, ed è quella middle prima
del giorno di riposo (che tale non sarà). E’ forse la tappa più bella e più
divertente del 2014 perché, rispetto alle precedenti, sembra di correre una
sprint. Da buon pessimista, mi accontenterei di terminare con un tempo attorno
all’ora di gara, ed invece mi scopro a mordermi le mani per un “53” che avrebbe
potuto essere anche sotto i 50 minuti se non fosse per un errore sopraggiunto
nel finale, per stanchezza. E’ la tappa nella quale il ritrovo è a pochi metri
dalla spiaggia sul Mar Baltico, nella quale per andare in partenza si percorre
la spiaggia e si finisce per bagnare scarpe, piedi e… massì dai facciamoci un
bel bagno fino alle cosce… nel Baltico, e si parte dalla spiaggia, dalla quale
si vede una specie di pineta marittima piatta nella quale compaiono, talvolta
PERplessi, alcuni concorrenti alle prese con l’equidistanza a 2,5 metri che
rende molto pronunciati in mappa anche quei movimenti del terreno che… insomma…
Una bellissima tappa, corsa tutta all’attacco sotto la linea
rossa (almeno in tutte le tratte nelle quali non era più consigliabile tenere i
piedi sulle tracce che solcano la pineta), ed uno svarione alla 10 per
stanchezza al quale cercherò di rimediare tirando (le gambe ed anche qualche
moccolo) per la 11, prima di sbagliare la 12 praticamente nei pressi
dell’arrivo in una zona nella quale vagano tanti orientisti quanta gente c’è in
Piazza del Duomo a luglio…
(... continua...)
6 Comments:
Dalla 9 alla 10 (3^ tappa) potevi passare dalla partenza, visto che per te non è una novità!
"Continua?"
Come "continua"?
E quando?
Vogliamo sapere subito come!
(Il verde ti dona moltissimo, lo dico in maniera del tutto disinteressata)
E l'intervista com'è andata? Cos'hai raccontato ai 22.000? Sei diventato famoso anche in Svezia?
Anka
Ste, la gente vuole sapere!
@Marco: si, lo so, sono uno specialista nel ripassare dalle partenze (che se non altro hanno il pregio di essere ben identificate sulla mappa), ma avrei dovuto sfidare quella autentica fornace! (e non avrei saputo che punto di attacco prendere).
Certo, con il senno di poi e del mio errore alla 10, forse sarebbe stato meglio... :-(
@Larry e @Anka: prima di diventare famoso in Svezia devo concludere il racconto! Quando la gente saprà cosa ho combinato alla Nostalgica Race... mi chiuderanno le porte della Scandinavia in faccia!!!
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