Appunti a un'ori-lover
Mentre mi godevo le meritate ferie sulle carte dell'O-Ringen, è apparso su un rotocalco online troppo glamour per noi orientisti (RunLovers.it) un cialtronesco articolo di una nostra conoscenza, che disprezza apertamente l'orienteering.
In questo maldestro tentativo di nascondere il suo spiccato debole per gli orientisti, l'autrice ne descrive i tratti distintivi con i medesimi pressapochismo e faciloneria con cui pratica l'orientamento, ottenendo un risultato altrettanto inconcludente (anche se non privo di qualche verità, imputabile al caso), in linea con l'estraneità della povera signora allo sport dei boschi.
Dato che insegnarle l'orienteering è una causa persa, provo almeno a spiegarle meglio gli orientisti.
Primo assunto: l'orientista è solito indossare tenute bizzarre.
Gli occhi del bosco dicono:
Esistono, ad onor del vero, fior di tute ipertecnologiche che sono anche in grado di mostrare che sotto il suddetto indumento si nasconde un fisico di tutto rispetto (considerazione valida sia per i maschietti che per le femminucce). Tuttavia, se parliamo della massa di orientisti della domenica, vale quanto detto al punto 1.Ci sono, però, sensati motivi per giustificare anche gli orientisti della domenica che, in gara, vestono divise societarie con non meno di 6 colori male abbinati sparsi dalle spalle alle caviglie:
a) L’orienteering nasce, si diffonde, e proviene dalla Scandinavia, regione che senz’altro ha dato i natali a fior di architetti moderni, ma che quanto a “fashion” deve ancora mangiare bistecche! Basta vedere come sono conciati alcuni manichini nelle vetrine delle città svedesi, finlandesi e norvegesi… E questo lo dice uno che, al mattino prima di andare in ufficio, sembra che prenda la camicia ed i pantaloni al buio rovistando a caso in un cassetto: assicuro che pure io sembro un figurino quando passeggio in alcune città del Nord Europa
b) Farsi vedere da lontano, nel bosco, ha più vantaggi che svantaggi. Non fosse altro che per evitare di essere scambiati per selvaggina pregiata dai cacciatori con cui, in alcune fasi dell’anno, gli orientisti condividono il territorio.
Deve essere considerata anche la variante “staffetta”: sia nell’Estremo Nord che alle nostre latitudini, l’orienteering si disputa anche nella tradizionale formula della staffetta. Mentre in pista, tuttavia, il numero dei concorrenti è limitato ed è facile scorgere se il proprio compagno di squadra sta arrivando, nell’orienteering i concorrenti arrivano alla “zona cambio” da ogni dove, con tempi di gara tra i più imprevedibili; i tracciatori dei percorsi di orienteering, riconoscibili per lo sguardo sempre altéro e sdegnato con cui si aggirano nel “paddock”, dovrebbero premurarsi di inserire lungo i percorsi il cosiddetto “spectator control”, ovvero un punto di passaggio per i concorrenti dal quale gli spettatori (ovvero gli altri orientisti) sono in grado di scorgere il compagno di squadra che si sta approssimando al traguardo in un tempo un po’ più definito; spesso però le “zone cambio” sono tra le meno interessanti per lo sviluppo di un percorso di orienteering… il risultato è che lo “spectator control” talvolta è posizionato a 300-400 metri dalla zona in cui sostano gli atleti che attendono di ricevere il cambio.
Le tute sgargianti servono egregiamente allo scopo di mostrare in modo chiaro chi sta arrivando.
Secondo assunto: l'orientista appare privo di olfatto, data la nonchalance con cui tollera il reciproco afrore.
Il naso del bosco dice:
“L’orientista ha da puzzà!”. Non può che essere così. Gli organizzatori di molte gare di orienteering non si fanno problemi a mettere il ritrovo di una gara a chilometri e chilometri di distanza dalla doccia più vicina, dallo spogliatoio più vicino, dalla palestra più vicina, se queste “facilities” cozzano contro la possibilità di dare ai concorrenti una gara più tecnica e più avvincente: vale il concetto che “palestra-spogliatoio-eccetera” significa “urbanizzazione”, e urbanizzazione non fa quasi mai rima con “bosco”. Inoltre i percorsi prevedono talvolta attraversamenti di paludi maleodoranti, di zone disboscate infestate da qualunque tipo di vegetazione putrescente, di ampie praterie fangose… tutte aree facilmente aggirabili, al prezzo però di percorrere qualche centinaio di metri in più (che l’orientista della domenica “non ha nelle gambe”) e di dover sentire gli sfottò degli amici per non aver affrontato di punta la “parte più tecnica” del percorso. Solo gli svizzeri fanno il ritrovo della gara in una zona con palestra, spogliatoi e docce, e poi ti dicono “per arrivare in partenza ci sono 30 minuti di bus-navetta e 45 minuti a piedi, per tornare dall’arrivo 70 minuti a piedi”.Terzo assunto: l'orientista non bada più di tanto alla propria alimentazione
Il palato del bosco dice:
Quanto al mangiare, vale sempre il paragone con gli inventori dell’orienteering: le cose che mangiano gli orientisti scandinavi, a qualunque ora del giorno, fanno impallidire “Hell’s kitchen”. Ragazzotti e ragazzotte che divorano panini moscissimi ripieni di salse multicolori, che svuotano alle 10 del mattino contenitori dalla chiusura a pressione (ma assai poco sigillati) con dentro insieme pasta di colore indefinibile, carne di bestia non identificata e dolci dalla glassa più colorata di un cartone animato della Pixar. Tutto insieme. L’orientista italiano, al paragone, è un fine gourmet innaffiato di Chanel n. 5.Quarto assunto: l'orientista ha sviluppato un socioletto che usa anche al di fuori delle occasioni sportive
L’accademico della Crusca del bosco dice:
Una volta alla fermata della metro di Cordusio ho sentito due tizi che più o meno discutevano così: “Ma se tu hai rannato pre-flop da bottone dopo che l’u-ti-gi aveva limpato…”. Quindi il problema non deve essere tanto il lessico, quanto la fermata della metropolitana di Cordusio (a due passi da Piazza Affari, fate voi i conti di che genere di persone può girare da quelle parti…).Scherzi a parte, gli orientisti costituiscono un gruppo molto chiuso, che d’estate impiega le ferie per partecipare alle “multi-days” all’estero e d’inverno si ritrova per una pizza a parlare di gare passate e propositi futuri: il neofita o il non facente parte del gruppo è tagliato fuori irrimediabilmente dalle discussioni, dai giochi, da tutto. Comunque uno che vi parlasse come nell’esempio citato, è da considerare come “malato” anche per gli stessi orientisti fanatici: per arrivare in Galleria Vittorio Emanuele da Cordusio, infatti, c’è un solo punto di attacco e tutti gli altri sono dei diversivi con i quali si sta cercando di camuffare una scelta di percorso poco felice, con perdita di tempo valutabile tra i 10 secondi ed i due minuti. In ogni caso non si vede come non si possa considerare la facciata del Duomo come “linea di arresto”, ed in definitiva il vostro nuovo amico non si perderebbe troppo in ciance e direbbe semplicemente “a nord ovest per 250 metri”.
Quinto assunto: l'orientista disprezza l'asfalto
Il Dr. Scholl del bosco dice:
Asfalto significa “gara in città”. E gara in città significa “Corri, Mona!”. Fatti salvi alcuni esempi come Venezia, Trieste e Roma, che abbinano difficoltà di orientamento a quelle altimetriche (non fosse altro per i ponti sui canali) per anni si è gareggiato nel cosiddetti “centri storici, che finché si tratta di zone dalla effettiva mappa storica come Bergamo, Genova, Milano in parte, passi…Poi ci sono i paesini del Gargano e della Lucania abbarbicati sulle montagne, Matera, Subiaco e tanti altri borghi medioevali di cui il nostro patrimonio culturale è ricco, e va ancora benone. Ma da un po’ di tempo in qua agli orientisti vengono spacciate come “gare in centro storico” quelle che si disputano tra i capannoni e i centri commerciali della Brianza, o in posti nei quali bastano tre incroci non esattamente ad angolo retto perché qualcuno li addìti come “labirintici”. E questo all’orientista della domenica non va sempre bene; anche perché queste garette spesso sono molto corte e l’orientista della domenica ci mette tre secondi netti a fare il calcolo “euro per chilometro di gara”. Quindi, sempre di più: “asfalto = male”. E poi i nostri antenati hanno passato secoli a camminare e correre sullo sterrato e sull’erba, e mica avevano tutti la tendinite!Sesto assunto: l'orientista non ama che una stupida macchina gli dica dove deve andare
Il Ferdinando Magellano del bosco dice:
Non mi sembra il caso di fare di tutta l’erba un fascio solo perché sul sedile posteriore della mia Ford Fusion c’è l’atlante “Nord Italia” del TCI stampato l’anno del terremoto in Friuli! E comunque, con quello, sono sempre andato a fare tutte le gare e sono sempre arrivato tranquillo senza troppi commenti di sottofondi del tipo “alla rotonda… svoltare… a destra…”. So ben io come si arriva alle gare!È vero, nel 1997 siamo andati a fare una gara in Svizzera tutta per stradine di campagna, perché su quell’atlante l’autostrada del Laghi finiva a Sesto Calende, ma in fondo si è trattato di una sola volta in 22 anni di orienteering.
L’uso del navigatore può indurre in errore. Ecco due casi emblematici:
a) Gara nel posto X, nota o meno nota località di montagna sotto la cui egida politica e gestionale ricade un’area molto ampia. Spesso va a finire che il navigatore ci porta a centro paese quando il ritrovo era stato pensato al limitare del bosco, un limitare che può trovarsi qualche chilometro più lontano (vedi punto 2) ma anche dalla parte opposta della montagna che abbiamo di fronte (è successo…).
b) Gara alle coordinate Y-Z da inserire in Google Maps.
Se l’organizzatore ha messo le coordinate del limitare del bosco, Google Maps vi farà vedere un punto in mezzo al nulla, con la strada più vicina (una mulattiera etrusca non ancora asfaltata) a parecchi chilometri di distanza. Quando non c’erano i navigatori satellitari, gli organizzatori si premuravano di mettere agli incroci ed ai bivi delle principali vie di avvicinamento dei cartelli ben identificabili con una freccia a mostrare la direzione da prendere fino alla svolta successiva. Quindi le informazioni si diffondevano simili a “uscite dall’autostrada ad Arsago Seprio, da lì seguire le indicazioni”. Avvantaggiate le auto con 5 orientisti a bordo, quattro dei quali intenti a vivisezionare la strada centimetro per centimetro per dare al quinto (quello al volante) le indicazioni sulla strada da prendere. Questa modalità è sempre più in disuso, da quando ogni disciplina sportiva, festa di paese, matrimonio ha capito che i pali che reggono i cartelli segnaletici sono lì per essere usati, e da quando i cartelli orientistici (sempre quelli per 15 anni, stessi colori e stesse forme) sono stati sostituiti da altri più belli per chi li fa al computer ma più anonimi per gli orientisti stessi che non li distinguono più dal “matrimonio di Sara e Patrick” o dal “festival della birra”. Da quando Sara e Patrick hanno visto arrivare al pranzo di nozze torme di orientisti, e da quando la birra è stata esaurita alle 11 del mattino dalla stessa torma, sono tutti molto più attenti a come si usano i segnali. In definitiva, navigatore o cartelli che siano, la gara di orienteering comincia nel momento stesso in cui si esce di casa!
2 Comments:
Dopo l'arringa del PM e dell'avvocato ci vuole il giudice!
Mi appello alla clemenza della corte.
E buon compleanno <3
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