Garette Estive. Capitolo 2: O-Ringen (seconda parte)
La seconda tappa dell’O-Ringen è, come universalmente noto,
la più dura perché le tossine della prima tappa sono ancora in giro a fare la
loro movida tra i muscoli che è già
tempo di presentarsi nuovamente alla partenza. Il pensiero di tutti va al fatto
che, se la carta sarà anche lontanamente simile a quella del giorno prima, so’ caxxi! Il tourbillon degli orari di partenza ci
proietta direttamente a fondo griglia, con Attilio posizionato sul fondo che
più fondo non si può, quindi si verifica quella strana situazione logistica e mentale
che avviene quando, arrivando con ampio
anticipo ai parcheggi della gara, si vedono già tante macchine che tornano a
casa. Il cervello (il mio) fa uno strano click! Provo infatti un misto di
invidia per chi ha già affrontato la sua gara ed il bosco e può già tornare a
casa a leccarsi le ferite o semplicemente a rilassarsi.
La cosa potrebbe essere interpretata dal profano come un
chiaro indice del fatto che non mi piace andare per boschi a fare le gare; il che ovviamente non
è! Eppure ogni volta provo la stessa sensazione di disagio. Dopo tanti anni di
gare, posso solo concludere che ciò che realmente non mi piace è rimanere da solo e per ultimo nel bosco
a finire il mio percorso; “per ultimo” va aggiunto per forza, perché “da solo”
è la condizione nella quale gareggio ogni volta che faccio lo speaker. Il fatto
è che quando parto all’alba so che dietro di me poi arrivano tutti gli altri e,
per qualche motivo, sono molto più tranquillo… Un secondo problema è legato
alla domanda cruciale “che tipo di terreno troveremo oggi?”; per questo motivo
cerchiamo di studiare le scarpe e gli abiti di quelli che hanno già finito la
gara: il fango si vede, ma non sembra così onnipresente come nella prima tappa.
Sembra invece che l’arrivo sia decisamente in salita!
Stavolta riesco a far partire la telecamera, cosa che
provocherà reazioni diverse in molti tra coloro che sono presenti alla partenza:
ci sono quelli che bisbigliano all’amico, indicandomi, poi ci sono quelli che
fanno apposta a mettersi davanti a me e guardare dritto nella camera e fare le
boccacce; infine ci sono quelli accelerano a velocità warp quando entrano nel
raggio d’azione della camera, per non farsi vedere, come se io poi tornassi in
Italia al solo scopo di prendere in giro gli svedesi…
La prima lanterna non è un problema (vero Gianluca Carbone?):
la microcollinetta dietro alla quale è posta la palude spicca nel verdone come
una guglia del Duomo. La seconda offre un comodo punto di attacco (la cima
della collinetta pelata) ed un confortevole punto di stop in caso di errore (il
sentiero). Purtroppo, al momento di prendere la direzione per andare alla tre,
commetto l’errore di scendere anziché rimanere o risalire leggermente di quota:
il sentierino nel verde fitto o non c’è o lo salto a pié pari mentre cerco di
stare in piedi nella rumenta, e l’aggiramento + risalita dell’avvallamento mi
costa tempo e fatica; alla lanterna 3 ci arrivo da ovest, e bene o male fanno da
ottimi punti di riferimento gli alberi caduti a terra che, in carta, sono
indicati come piccoli segmenti verdi. Passaggio dal primo e dal secondo
rifornimento (gli addetti vedono la telecamera e bisbigliano tra di loro… al
che io dico “Smile, you are on Candid Camera!”), sentiero verso sud, al bivio prendo
la sinistra portandomi sull’altro sentiero; nel video si vede chiaramente che
sto correndo, e altrettanto bene si vede chiaramente il ragazzetto svedese che
mi supera a velocità assurda! All’altezza del masso, scendo nel semiaperto e vado
a cercare la palude che porta al punto, nascosto dietro al solito sasso enorme
che è segnato come collina perché c’è un poì di erba in cima.
Sbaglio alla 5, facendomi portare dalle curve di livello
fino alla strada, il che mi costringe ad arrampicarmi sulle rocce per arrivare
al punto (cosa che mi riesce incredibilmente bene), mentre per la 6 si va
dritto in bussola a cercare il passaggio tra le file di rocce e la palude; poi
è il sentiero, le tracce altrui, e quella piccola zona di verde con il mezzo la
paludina che fanno sbarcare dritti sul punto. 7-8-9 si tratta solo di non fare cavolate. La 10 mette un
po’ paura per la lunghezza, ma è una difficoltà solo apparente: basta solo
usare la bussola e navigare da un isolotto all’altro senza farsi respingere
dalle ultime curve di livello in salita, fino a sbarcare sul sentiero con i
ristori in corrispondenza di uno qualunque di
essi; da lì si fa il periplo in senso orario fino alla 10 (stando
attenti, perché nel cerchietto della 10 ci sono 4 lanterne!), e poi ci si fa
portare dal gruppo… o nel mio specifico da Edoardo Tona… fino al traguardo in salita,
sulla quale mi permetto persino di sprintare!
La terza tappa, come ha capito pure Bjorn Persson, è la più
dura di tutte perché è quella che arriva dopo il giorno di riposo e, prima di
cedere alle mollezze dell’estate svedese, bisogna subito rientrare in ottica
O-Ringen! Il tourbillon degli orari ci catapulta direttamente nella prima
fascia delle partenze, ma siamo fortunati perché la nostra cuccia è proprio ai
margini della carta di gara e, se non corressimo il rischio di fare cose non
previste dal regolamento (tipo farci trovare in mezzo alla carta dai posatori),
potremmo provare persino a fare a piedi i 2 km che ci separano dal centro gare.
Nello specifico, il mio letto sta a 20 metri da una parte di bosco che con
tutti i sentieri, cocuzzoli, avvallamenti e rocce consentirebbe a Marco
Giovannini di tracciare non una ma tre gare di Coppa Italia di trail-O.
La carta è bellissima, un autentico festival di rocce,
roccette, roccioni e piccoli e grandi movimenti del terreno. Ovviamente ci sono
anche le paludi: un saluto particolare a quella che dal sentiero con i ristori
porta alla 5, che si deve fare anche in senso opposto per tornare ai ristori ed
alla 6. Proprio ad uno di questi ristori avviene la “carrambata” dell’anno:
passo correndo vicino al tizio che sta picchiettando nel terreno i pali “sista pinnen” per consentire agli atleti
di appoggiare i bicchieri usati al ristoro, e sento che urla “Stefàno!!!”.
Poiché l’unico Stefàno nei paraggi dovrei essere io (anche se, a dre il vero,
ho appena superato il mio amico Stephan Wiberg…), mi giro e lo guardo: è Olle
Hermansson! Il mio amico dell’YK Ymer
che conosco fin dai tempi della 5 giorni della Val di Non 1998. Rapida
inversione di marcia, abbracci e baci e pacche sulle spalle e promesse di
rivedersi ad una prossima multi-days, il tutto a volume da concerto rock e
sotto gli sguardi increduli di quelli che escono dalla palude.
Decido di affrontare la tratta “Rocco Siffredi” che porta
alla 7 in senso orario (Attilio opterà per il giro in senso antiorario);
escludendo questo pezzo molto da “corri, mona!” (ma nel mio caso è sempre “datti
almeno un contegno, mona!”) è una tappa molto bella perché almeno fino
all’ottavo punto bisogna sempre rimanere molto concentrati e guardare bene la
mappa: il rischio di trovarsi, come succede a me alla 5, a tre metri dal punto
e non vederlo è sempre elevatissimo… anche se nello specifico del punto 5 sono
anche convintissimo del fatto che il punto fosse posato sulla roccetta a 1 mm
dal sasso. Infatti tutti quanti finivano lì!, compreso il russo che poi farà un
volo a planare nella palude, in uscita dal punto, sotto gli occhi miei e del già
citato Stephan Wyberg, che non scoppiamo a ridergli in faccia perché non si sa
mai che potrebbe capitare (o essere già capitato) anche a noi.
Dalla 8 in poi il terreno è sempre molto interessante, il
bosco molto vario, ma la presenza delle case e delle zone vietate costringe gli
organizzatori a far passare tutti i percorsi in una specie di imbuto sempre più
stretto, e quindi ogni tanto sembra di trovarsi in Corso Vittorio Emanuele
all’ora di punta, a farsi largo tra veci e putéi… In ogni caso questa volta
siamo noi a poter sfruttare l’orario di partenza all’alba per poterci andare a
rifocillare e riposare ad un orario nel quale tanti concorrenti affrontano
l’arrivo al centro gare.
(... continua ...)
1 Comments:
Ma quindi c'è vita dopo la 11? Se ne esce?
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