Milano vista con gli occhi di Remo
“Mi chiamo MOO. Milanio Orbitalio Orientistico, fulgido
esempio di confronto agonistico, punto di approdo per legioni di felici corridori,
icona memorabile dell'unico vero genio Remus Madellus. E avrò la mia vendetta, in questa edizione o nell'altra!”
Si. Io sapevo che il MOO avrebbe avuto la sua vendetta. Su di
me, intendo. Solo su di me. La prima edizione del MOO, di cui scrivevo su
questo blog circa un anno fa ancora inebriato dall’adrenalina, è corsa nelle
mie vene per 12 mesi, trascorsi in attesa di una nuova edizione nella quale
cercare di fare ancora meglio che all’esordio. Una edizione 2016 davvero tanto
esaltante, tanto memorabile, e persino tanto epica era stata per me (e per la
squadra di cui facevo parte), terminata con una incredibile lunghissima corsa
sotto la pioggia battente in compagnia del mio compagno di squadra Marco. Proprio
lui: Marco... quello che tanti anni fa riuscì nell’impresa, che non fu quella
di vincere due campionati italiani a staffetta in squadra con altri atleti
forti quanto lui, ma di vincere un campionato regionale a staffetta da solo, a
tal punto che persino il cronista dell’archivio federale FISO scrisse che era
inutile citare il nome del suo compagno di squadra perché Marco - matematica
alla mano, mica opinioni - con il suo tempo di gara avrebbe vinto insieme a
qualunque altro staffettista. Che andrebbe detto pure, per inciso, che il
cronista ero io: venni pure ricoperto di insulti per aver lasciato nell'ombra,
senza neppure uno straccio di citazione, quel povero orientista che aveva corso
con Marco e che comunque quel titolo regionale in qualche modo lo aveva vinto
lui pure!....
MOO 2016 era rimasto memorabile per tante cose. Due di queste:
il quinto posto in classifica finale ed il il pezzo che scrissi sul blog; a
detta di alcuni amici presenti all'edizione 2017, un pezzo che aveva contribuito
a dare loro motivazione e carica per iscriversi e prendere parte alla seconda edizione,
che si sarebbe presentata sicuramente come ancora più dura (atleticamente) e ancora
più ricca di insidie (tecnicamente e mentalmente) rispetto alla prima edizione.
Ed un pezzo che, nella mente di alcuni pazzi lettori, aveva immediatamente catapultato
Marco e me nella ristretta cerchia dei favoriti per la vittoria della seconda
edizione (oh! Io continuo a dire che il pezzo più bello che ho letto sul MOO
2016 è quello scritto da Alessandro Di Pace sul sito del Varese Orienteering…).
Purtroppo per questi pazzi lettori, ahimé!, nulla di tutto
ciò che avevo fatto per prepararmi al MOO 2016 l’ho potuto (o voluto) ripetere nel
2017. Ripensando a 12 mesi fa, in questo periodo scrivevo dei miei allenamenti
costanti, di quel po' di dieta che aveva contribuito a riportare il mio peso ad
una quota tale da evitare di farmi imbarcare nella stiva come bagaglio ingombrante.
A distanza di 12 mesi, sbarcato sul 2017, potrei scrivere un blog dedicato alla
fascite plantare (ed ai rimedi suggeriti per guarire: il primo è sempre
"stai fermo!"), ad un peso fuori controllo, agli stati ansiogeni al
limite del classico tòpos fantozziano
"manie di persecuzione e miraggi". Ogni giorno che passa, il diario
degli allenamenti resta desolatamente vuoto: d'altra parte, dopo le 12 o 13 ore
quotidiane in ufficio, le forze residue non sono dedicate ad uscire a correre
ma solo ad aprire il primo barattolo che passa per le mani (irrespective of whether the expiration date
has passed or not).
Ma poi arriva la data del MOO, ed i casi sono due: o si resta
a letto a dormire ed invidiare tutti gli altri, oppure ci si convince che
almeno quel giorno i piedi bisogna essere pronti a muoverli per 5 ore o giù di
lì, sperando che la fascite plantare non si faccia sentire sul più bello.
"I pali della darsena" (Marco ed io) si sono
schierati al via del MOO 2017 con la stessa formazione 2016; in realtà avevamo
in serbo (ma sarebbe più credibile dire: in sloveno) una sorpresa per tutti. Un
terzo elemento che si sarebbe inserito in squadra all'ultimo momento, ma uno in
grado di spostare le sorti della tenzone a nostro favore. Il nome "I Pali
della darsena" era un richiamo al nostro unico errore del 2016 (nonostante
ci sia stato qualcuno che, ironizzando, ha pensato che fosse una specie di allusione
a determinate doti amatorie...), ma anche un evidente richiamo alle doti di mobilità
e di elasticità del sottoscritto, soprattutto nella zona articolare inferiore.
A questo punto devo ammettere che non so ancora con che nome potrei iscrivermi
alla terza edizione del MOO 2018, anche se temo che potrebbe venire fuori qualcosa
di troppo lungo: una prima opzione suggerita dallo sponsor Luxottica potrebbe
essere “quello che in metropolitana preferisce guardare le ragazze perché non
ha abbastanza diottrie per guardare fuori dai finestrini”, ma lo sponsor
Zanichelli potrebbe ribattere con “quello che dopo 4 ore di corsa non capisce
più la differenza in italiano tra le parole quali e quanti”. Alla fine penso
che potrebbe prevalere l’impresa di pompe funebri San Siro con un bel “quello
che gli tocca invadere il cimitero per andare a leggere le scritte sui vetri
della chiesetta” (sempre in collaborazione con Samoiraghi).
Ma noi non eravamo quelli che avevano in squadra LA SORPRESA?
Che è come dire che in una partitella tra amici avremmo schierato in campo Ibrahimovic
a sorpresa (oh! Io di calciatori sloveni non ne conosco...). E sfido chiunque a
non ammettere che Ibra è uno che, se scende in campo adesso con qualunque
squadra, decide le sorti di qualunque partita. Purtroppo lo schieramento a
sorpresa è saltato per aria sabato pomeriggio, a poche ore dall'inizio del MOO:
mi chiama infatti lo stesso "Ibra" per dirmi che ha deciso di
cambiare squadra. Che ha deciso che parteciperà al MOO ma non con noi, bensì in
una squadra che schiera già (tanto per continuare con un esempio calcistico) un
attacco con Cristiano Ronaldo e Leo Messi. Però "Ibra" mi dice anche
che siccome questi due non sono non sono bravi come me a fare goal… è meglio se
va a dare una mano a loro anziché a noi, così le sorti del MOO non sono troppo
squilibrate a favore di me e Marco, che ci liberiamo liberi da una presenza ingombrante
come la sua a centro area e possiamo manovrare meglio sulle fasce. Io resto lì
come se fossi Gonon e qualcuno mi avesse detto a poche ore dal via dei WOC che
la staffetta Gonon-Basset-Gueorgiou è diventata Gonon-Basset-Gallettì (con
l'accento).
A questo punto è tornato buono il mio pronostico della prima
ora. Nei giorni precedenti il MOO avevo studiato la composizione delle varie squadre,
concentrandomi soprattutto su quelle che avevano in squadra nomi di orientisti.
Suddividendo le squadre in varie fasce, avevo capito da subito che con ogni
probabilità 8 squadre ci sarebbero finite sicuramente davanti. Con altre 6 ci
saremmo giocati le posizioni di rincalzo. 8 + 6 = 14… Di conseguenza il mio
animo negativo e pessimista (e ansioso) avrebbe puntato tutti i soldi della
scommessa su un quindicesimo posto del tutto anonimo rispetto ai fuochi
artificiali del 2016. Tuttavia... mano a mano che si avvicinava il MOO, ho
cercato di farmi coraggio e quindi… dai!... magari non tutte le squadre di
orientisti ci sarebbero finite davanti! Diciamo sicuramente le 8 più forti e magari
solo 3 (su 6) tra quelle di orientisti meno accreditati. Risultato finale
dell'elucubrazione: dodicesimo posto. Questo, ovviamente, senza contare le squadre
composte da soli non-orientisti. Così è successo che, quando nel parterre del
MOO 2017 ho visto attorno a me volti mai visti (come succede sempre alle
elezioni federali FISO) ma fisici tonici con gambe guizzanti ed abbigliamenti
super-tecnologici da Marathon des Sables, ho rapidamente messo da parte
qualunque velleità di poter puntare alla top ten.
***
Diciamo che alla fine arriva la domenica mattina del MOO. L'unica
MOOmenica mattina in questo 2017. Siamo all’o la va o la spacca, insomma... Succede
che già mentre sono sul tram, e mi accingo ad attraversare la città, capisco
che la situazione non è delle migliori: penso infatti di essere sul 15 che mi
porta a Missori, e poi da lì con la metro gialla alla partenza di Dergano, ed
invece guardando attorno a me mi accorgo dopo un po’ di fermate che sono sul 3,
che non incrocia mai nemmeno per sbaglio la linea gialla! Il senso di vertigine
che mi prende mentre cerco, a mente, di raccapezzarmi con i collegamenti tra le
linee metropolitane è paragonabile solo al panico che mi prende pensando che di
lì a poco dovrò cimentarmi con lo stesso tipo di problemi, ma in corsa (o
meglio: rantolando dietro a Marco) e in pieno acido lattico. Lo sbandamento che
mi prende sul tram farebbe venire voglia di tornare a letto sotto le coperte, con
le tapparelle chiuse e la stanza completamente al buio; oppure trovare un modo
per non vedere nulla di quello che succede attorno a me…
Alla fine arrivo a Dergano. Dove in vita mia sono stato solo
due volte. La prima volta ero molto giovane: ero andato in Via Candiani al solo
scopo di comperare una stecca da biliardo per un amico di Piedicastello, una
"fraschetta arlecchino" da trecentomila lire che per l'epoca, era un
botto di soldi da far accapponare la pelle; ricordo che andai in Via Candiani
con i soldi nelle mutande (giuro!) per evitare che me li rubassero (mia madre, sapendo
che un mio amico era pronto a spendere 300 carte per una stecca da biliardo,
pensava che io stessi frequentando una compagnia di delinquenti...). Il
venditore di stecche da biliardo non ha mai saputo dove erano state fino a poco
prima le banconote che mi avevo messo in mano…La seconda volta ci ero andato dopo
il funerale della povera Mary D'Amelio, per accompagnare una amica. Di conseguenza non è una zona che mi metta di ottimo umore. Mentre
sono perso nei miei pensieri e vedo da lontano il ritrovo, si affianca una
macchina: è quella del "Perfido". Un flashback. L'anno scorso, dopo che sul blog avevo
decantato tutti i miei allenamenti, alla prima gara in notturna al Lago Nord di
Paderno Dugnano, il "Perfido" aveva chiosato: "Beh...? Non gli
fate i complimenti per tutti i chili che ha perso e per quanto è allenato??? E
pensare che se non lo avesse scritto sul blog, a vederlo non mi sarei nemmeno
accorto che si è messo in forma!”. Quello che il "Perfido" mi ha
detto quest'anno, dopo aver parcheggiato la macchina e fatto scendere moglie ed
eredi, non è riferibile...
***
“Ma il MOO? Il MOO dove è finito??? Basta con queste
descrizioni di quello che pensi e di quello che hai fatto 10, 20, 30 anni fa!!!
E le cartine? Dove sono le cartine?? E le scelte di percorso???”
Cosa vi devo dire? Il MOO è Milano vista con gli occhi di
Remo. Nel bene e nel male. O forse anche “nel bello e nel brutto”. Il MOO
è una cosa che bisogna fare almeno una volta nella vita perché, soprattutto per
chi a Milano ci vive, il MOO è sempre un po’ un viaggio dentro a sé stessi. Remo
ci ha fatto vedere tante facce di Milano durante il MOO 2017. Qualcuno potrebbe
tornare a casa pensando che il "bello" è il quadrilatero della moda
con via Montenapoleone e via della Spiga, dove corrono le Ferrari e parecchia
polvere bianca; qualcun altro potrebbe rispondere che il "bello" è il
quadrilatero multietnico di Segesta (Remo è riuscito a farci utilizzare la
stessa mappa per correre in entrambe le zone... là dove si diceva "il
genio"), di cui ormai le cronache cittadine nemmeno si occupano più e che
è ormai noto come "il quadrilatero del degrado a due passi
dall'Eden".
Con l’altro palo della Darsena ho affrontano la prima tappa
nel quartiere di Prato Centenaro, non lontano dall'Università Bicocca, in uno
scenario post-atomico da domenica mattina in un qualunque posto nel quale è
stato indetto il coprifuoco totale, dove Marco ha mostrato subito di avere un
passo completamente diverso dal mio, ed i minuti di ritardo sul piano di volo hanno
cominciato ad accumularsi. Poi ci siamo trasferiti nel quadrilatero del degrado
di Segesta, dove una delle domande prevedeva il riconoscimento di un frutto che
penzola da un albero... ed ancora una volta meno male che c’era Marco perché chiedere
a me di riconoscere un frutto che penzola da un albero è come chiedermi di
riconoscere un’automobile dal logo sul portello posteriore. Zona monumentale,
con Marco che continua a correre imperterrito ed io che ormai sono in totale
debito di ossigeno, e passaggio dal “punto orario” del Rock Burger dove
incrociamo tante altre squadre che sono convenute lì da ogni punto della città. Poi
il lungo trasferimento fino a Cascina Gobba (dove perdo la tessera del tram), e
a quel punto dobbiamo ammettere che non ce la faremo mai a completare il
percorso e quindi dobbiamo rinunciare o al quadrilatero di Montenapoleone o a
quello di Porta Romana e Porta Vittoria. Per stare sul sicuro ci fermiamo a
completare le punzonature della zona centrale di Milano (dove comincia a manifestarsi
la fascite plantare) ma la delusione per non essere riusciti a completare il percorso
è davvero troppo forte.
Alla fine siamo di ritorno in via Candiani in 4 ore e 46
minuti. Un tempo molto simile a quello dell’edizione 2016, solo pochi secondi
di differenza, ma un risultato finale che va decisamente stretto alle doti
orientistiche di Marco che ha corso e si è orientato per tutti e due: quindicesimo
posto (vedi le considerazioni sopra). Purtroppo le squadre si muovono alla
velocità del bisonte più lento, ed in questo caso era palese fin da subito che
quel bisonte ero proprio io.
Mi rimangono del MOO 2017 tante cartine, ancora tanta
adrenalina, bei ricordi e soprattutto la convinzione che Il MOO è Milano
vista con gli occhi di Remo. Il mio invito, a tutti gli orientisti e non
solo, è che l’anno prossimo veniate ancora in tantissimi a vedere la città con
gli occhi di un orientista che definisco un po’ sognatore e un po’ genio, un po’
fuori dagli schemi e con un modo di pensare alle cose quotidiane un po’ diverso
dal mio. Ma che nel MOO riversa tantissime energie e trova sempre il modo di
sorprenderci. Così che anche io, l’anno prossimo e se tutto andrà bene, sarò
ancora una volta al via del MOO 2018. Anche se non ho ancora deciso con quale
nome…
(mappa generale)
1 Comments:
Mah! Se dovessi dire la mia proporrei una seria revisione della regola del fuorigioco. Già è abbastanza complicata quella del calcio, figuriamoci quella del Rugby, dove di linee di offside ne esistono innumerevoli versioni, a seconda della situazione di gioco. In realtà c'è il pericolo che nessuno ci capisca più nulla e che siano gli arbitri a determinare il risultato dell'incontro. Quello che è successo a Twickenham lo definirei comico (anche se Poite ha interpretato bene le regole) perché ben pochi hanno capito qualcosa, Ale e Franz (Raimondi-Munari)compresi. Diciamo che vedere i Lancaster spaesati in casa e la coppia Venter-O'Shea ridersela a crepapelle non è stato così male. Per la Calcutta Cup la vedo interessante ...
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