Stegal67 Blog

Tuesday, August 09, 2016

5 days of Tesino


Ci sono tanti modi diversi per trascorrere una settimana di ferie: la maggior parte dei miei colleghi si trasferisce in spiaggia, dove l’unica decisione da prendere consiste nello scegliere dove piazzare l’ombrellone, oppure in montagna a fare passeggiate rilassanti o crogiolarsi in qualche spa; io quest’anno ho deciso di andare sull’Altopiano del Tesino, dormendo nella struttura comunale di Cinte Tesino, mangiando i pasti preparati da Marco Bezzi e dormendo in una piccola mansarda con Eddy Sandri, o talvolta da solo.

La mia 5 giorni di Italia: 6 giorni di gare, 10 competizioni, 5 premiazioni, per 5 volte sono stato dietro al microfono a commentare le gare.  Non è stata una passeggiata di salute, probabilmente non lo è stata nemmeno per alcuni degli atleti che già il terzo giorno dimostravano di mal sopportare il mio pessimo inglese e il diluvio di parole che li sommergeva per 5 ore al giorno; solo per fare un confronto, lo speaker della 6 giorni di Svizzera si limita a dare gli aggiornamenti dei primi tre classificati nelle categorie Elite ed under-20 e a fare gli annunci di servizio che servono agli organizzatori. Io ho snocciolato interi alberi genealogici, fatto molto gossip, enunciato piazzamenti in classifica oltre la X-esima posizione (con X anche molto alto). Devo ammettere che alla lunga tutto questo potrebbe anche aver stancato le orecchie degli ascoltatori… insomma: devo imparare a darmi una calmata!. Tuttavia ogni sera, rientrando nella mia cuccia a Cinte Tesino, ho pensato di essermi meritato la cena preparata da Marco o le mani di carte a Whist, sollevato per il fatto di essere riuscito a fare il meglio che potevo. Da un punto di vista strettamente sportivo, devo invece ammettere che la maggior parte delle mie gare non hanno avuto l’esito che speravo… si, diciamo proprio che ho fatto abbastanza schifo in tutte le gare!

Gare che cominciano il 2 luglio a Drio Castello, subito dopo aver provato con molta infamia e scarsissima lode nonché infiniti gradi di incomprensione il percorso di trail-O. Il cielo non promette nulla di buono, ma le previsioni del tempo fornite da quell’autentico ufficio meteorologico che sono le ossa del Sig. Gozzer dicono che la pioggia dovrebbe salvare la prima tappa degli atleti. Degli atleti, appunto: di quelli che partono nell’orario canonico di gara. Ma io parto prima (e non so nemmeno se sono un atleta!).

E’ circa mezzogiorno quando vengo lanciato nel bosco da Alessandro Conci. Nel bosco… la mia scelta per la prima lanterna della prima tappa della 5 giorni prevede una abbondante dose di strada asfaltata, percorsa fino a raggiungere la linea tra il punto 1 ed il punto 2: Emil Wingstedt, il tre volte campione del mondo che doveva gareggiare contro di me (astenersi dalle risate, prego!) in H40 e che, poi, ha preferito rifugiarsi in Elite, mi dirà che la mia scelta è giusta, e che la sua scelta sotto la linea magenta lo ha costretto ad aprire la strada nella vegetazione fitta a tutti quanti gli altri.

Dopo la salita violenta al terzo punto, affrontato dall’avvallamento situato molto più in basso, vado via abbastanza tranquillo fino al punto 9, cercando soprattutto di stare sul sicuro perché i posatori non sono ancora passati nella zona con le rocce e ci sono solo i paletti. Alla 9 vivo il momento “sgurz” della giornata: l’idea originale è quella di uscire dal punto in direzione nord-ovest, andare a prendere la strada, girare in senso orario attorno alla grande parete rocciosa e raggiungere il punto 10 per la strada più lunga ma più facile. Dal divano, però, è sempre facile… nella realtà vado in direzione nord, infilo il sentierino che sta nell’avvallamento tra due alte pareti di bosco e capisco che sto tornando verso la partenza. Come sanno bene gli amici del GOK, io sono campione del mondo nell’arte di ripassare dalla partenza durante la mia gara! Non “in zona partenza”… ma proprio dai cancelli e dal gazebo delle partenze. Ancora non mi è stato mostrato un articolo del regolamento (e di articoli ne abbiamo mille milioni) che me lo vieta! E poi il triangolo di partenza è, solitamente, un punto certo sulla mappa. Mentre corro verso il basso ed elucubro tutto ciò, vedo un nastro bianco e rosso che attraversa il sentierino, ed anche un cartello “DON’T CROSS” rivolto verso di me che sono nel bosco; i successivi pensieri sono due: UNO: non esiste da nessuna parte che io faccia dietrofront in salita DUE: non so leggere, sono analfabeta, non conosco l’inglese… Quindi tiro dritto fregandomene del cartello.

La 10 la raggiungo dal prato a sud, scalando tante curve di livello e contraddicendo la mia scelta di percorso originale. Per la 11 rifaccio il giro dal campo di calcio, ripassando nella zona della 1, e infine per la 12 passo nella zona delle case dove la gente normale sta già mangiando e mi guarda come se io fossi un miraggio o una allucinazione (ma nessuno che mi offre neppure un bicchiere di acqua!). A proposito di acqua, da qualche minuto piove che Dio la manda: il bosco viene rischiarato ogni tanto dai lampi sempre più vicini, ed i botti che seguono parlano di un temporale che si sta sviluppando a non più di qualche centinaio di metri da me che sono in mezzo agli alberi e sto cercando dei paletti metallici conficcati nel terreno (la legge 626 mi fa un baffo…). Dalla 12 alla 16 bisogna solo scendere un migliaio di curve di livello, e poi per arrivare alla 17 bisogna affrontare sotto il diluvio torrenziale una zona (quella sotto alla linea elettrica) dove le felci e la vegetazione mi arrivano letteralmente al mento; felci fradicie, il che vuol dire che è come farsi largo in una , foresta di asciugamani zuppi d’acqua: se casco per terra qui mi troveranno solo in primavera se verranno a falciare la zona. Il finale di gara è poi quantomeno insensato perché nella tratta 17-18 occorre attraversare una profonda palude di acqua sporca, liquami vari e fango che ricorda solo e purtroppo certi film sulla battaglia delle Ardenne, e non c’è diluvio che tenga per farmi arrivare al traguardo almeno un po’ pulito…

(l’abbigliamento è da “partenza con il sole”… e notare le scarpette da corsa)

Anche la seconda tappa parte con propositi di gara bagnata (durante la notte si è abbattuto sul Tesino un mezzo nubifragio che ha fatto rimbombare le pareti della mia mansardina, o era Marco Bezzi che russava???), ma in realtà alla fine il tempo terrà per tutta la giornata. Monte Mezza è proprio una bella carta di gara, che ricordavo dai tempi della finale dei Campionati Italiani Middle. Di tutte le prime 13 lanterne, la parte più difficile consiste nel salire lungo il sentiero pieno di fango fino al triangolo di partenza (mi chiedo in che razza di “fanghéo” abbiano messo i piedi gli ultimi). E’ veramente un bel bosco, amichevole, senza pendenze difficili e con una ampia visibilità… c’è da chiedersi a che velocità potrebbe correrci uno come Wingstedt! Incontro al punto 3 il coach Cristian Bellotto che sta posando i punti, poi nessun problema sui rimbalzi fino al punto 9, ed al punto 10 incontro il Campione del Mondo di trail-O Michele Cera che sta controllando il percorso. Arriviamo insieme alla 11, in una zona nella quale il numero di sassi cartografati è decisamente inferiore a quelli presenti sul terreno, e ci separiamo definitivamente sulla strada verso la 13.

O sono andato un po’ troppo allegro nella prima parte di gara, oppure sono veramente scarso; spendo infatti le ultime energie per risalire le curve di livello fino alla 14 (il sasso si vede benissimo da fondo valle, ma li mortacci non ho la ragnatela dell’Uomo Ragno per tirare verso di me la lanterna…) ed alla 15 non ne ho più. E qui comincia la parte difficile della giornata, perché la 16 e la 17 sono posizionate ad una quota molto più alta, e soprattutto si trovano in una zona nella quale felci ed erbacce sono alte tanto quanto il paletto: tocca quindi come al solito a me, e poi anche ai primi a partire, aprire la strada a tutti quanti gli altri che troveranno sicuramente delle autentiche autostrade per arrivare al punto. Percorro quindi tutto il sentiero che porta fuori carta arrivo al punto 18, poi cammino penosamente nell’erba alta ed invadente fino alla radice che sta tra la 17 e la 16… scendo alla 16 (per fortuna i miei piedi trovano la canaletta prima ancora che io la veda); a questo punto posso risalire ancora più penosamente alla 17 (chissà perché l’immagine che mi viene sempre in mente è quella di Sean Connery ne “La collina del disonore”), ritorno alla 18 trovando per fortuna le stesse tracce che avevo fatto all’andata e poi è solo discesa.

Segue poi una giornata al microfono durante la quale il momento clou è quello nel quale devo annunciare della “scomparsa” del piccolo Marek, 7 anni, arrivato dalla Repubblica Ceca: quando invito qualche partecipante di quella nazione a venire al microfono per lanciare un appello in lingua autoctona (sono già intervenuti anche i vigili del fuoco e sono tutti un po’ agitati…) la risposta che ricevo è di questo tenore: “Si è perso un bambino? Ma chi è… per caso è Marek? Lasciatelo fuori per carità e non cercatelo più, che forse è la volta buona che ce ne liberiamo!!! Quello ormai lo conosce tutta quanta la Repubblica Ceca e non solo!”. Diciamo che mi segno nome e cognome del bambino, e aspetto di leggerne il nome in cronaca.

Il terzo giorno ha un connotato decisamente turistico, perché la 5 giorni arriva sulla spiaggia del lago di Levico Terme per la sprint. Io arrivo a Levico un po’ con il fiatone, ma anche con il morale sotto i tacchi dopo aver preso parte alla gara a staffetta di Trail-O del mattino, nella quale riesco nell’impresa di far naufragare una squadra che oltre a me schiera ben due campioni europei in carica (potrei anche dilungarmi a parlare dell’atteggiamento poco sportivo di alcuni partecipanti, ma ormai non mi meraviglio più di niente…)

(il Gabibbo…)

I ragazzi dell’organizzazione Crea Rossa mi consentono di partire molto presto (umidità fuori scala) ,a per fortuna posso archiviare in fretta la mia pratica, la mia gara sprint, prima che i pensieri e la delusione per la gara del mattino possano avere il sopravvento.

Levico è ovviamente ben nota ai più per il finale “filante” lungo il torrentello fino alla spiaggia, spiaggia che si anima nel corso del pomeriggio con tanti orientisti arrivati a gareggiare (forse finalmente) in una vera località turistica. Ci sono parecchi nordici che non perdono occasione per fare il bagno, o per stendere le loro stuoie sul prato per prendere il sole. I più sfortunati sono quelli dell’MS Parma (i finlandesi che nel nome del team ricordano quel delizioso insetto che dalle nostre parti prende il nome di “tafano”) che si trovano proprio nel cono degli altoparlanti che partono sparando a bomba la musica dei Black Eyed Peas e che si allontanano decisamente infastiditi e contrariati nei confronti dello speaker.

Per la quarta e la quinta tappa si sale fino a Monte Agaro, sugli ultimi tornanti del Passo Brocon che volge verso la Valle del Vanoi dove abbiamo disputato quest’anno i Campionati Italiani Sprint e Middle. E’ una località del tutto nuova per me, e forse anche per gli ultimi 20 anni di orienteering italiano; una valle sicuramente suggestiva per paesaggi e quasi totale assenza di antropizzazione, e l’organizzazione è aiutata da un tempo che si manterrà clemente per i due giorni di gara che dobbiamo fare in questa zona abbastanza disabitata e quasi desolata del Trentino. Sicuramente è il momento nel quale anche noi andiamo a “mettere il culo sulla possibile pedata”: se avesse piovuto a Monte Agaro non so come ce la saremmo cavata con il piano parcheggi e la possibilità di dare riparo a centinaia di orientisti, ma la fortuna ci aiuta e tutto  bene quel che finirà bene.

Quella che per gli altri Xcentonovantanove orientisti in gara è il giorno della quarta tappa, per me è il giorno della quinta e viceversa: la quinta tappa è troppo lunga per essere corsa in solitaria il mattino del’ultimo giorno all’alba, e quindi (dato che tutti i punti sono già marcati sul terreno) decido di approfittare del giorno di riposo per correre la quinta tappa, sempre dopo la consueta “avventura” nel trail-O.

Devo ammettere che il “diavolo” è più brutto a vederlo che a percorrerlo. Quella che dal divano di casa sembrerà sicuramente una follia, dal vivo si rivela solo una mezza follia… il trucco consiste nell’andare piano, con calma, mantenendo sempre il dito sulla posizione in carta e senza lasciarsi prendere dai facili entusiasmo del tipo “la lanterna è sicuramente là!”. E io sono campione nel mondo di “andare con calma”… Una volta scalata per la via più breve la pista da sci che mi porta in partenza, l’inizio è abbastanza tranquillo: anche alla lanterna 3 che sembrava posizionata oltre le Colonne d’Ercole ci si arriva percorrendo tutta la mulattiera etrusca e poi andando a cercare l’ultima propaggine di bosco. Decisamente impegnativa la discesa verso il punto 4, perché il bosco bianco è in realtà un autentico merdaio di felci, avvallamenti, buche piene di vegetazione ed un terreno che più irregolare non si può. Mi fermo alla 5 a prendere il primo carbogel prima di affrontare il punto 6 (che non è sbagliabile) ed il 7 (che ovviamente lo è ancora meno),  prima di prendere una “stringa” terribile scontrandomi con il recinto elettrificato tra la 7 e la 8.

Secondo carbogel al punto 10, salvifico sia perché sto per affrontare nell’ora più calda della giornata la salita al punto 11 (ma so o immagino, sbagliando, che è l’ultima asperità di giornata), sia perché il punto 12 è introvabile! Dal divano sembra facile, dal bosco è un casino! Per raccapezzarmi, dopo aver girato a vuoro per qualche minuto, devo tornare ad ovest fino a vedere di nuovo le rocce che sovrastano la mulattiera… Non mi piace, ma quando mai mi può piacere?, la discesa che dalla 14 porta alla 15, una discesa che mi mette paura solo a guardare giù (mannaggia a me che mi ostino a correre con le scarpe da jogging lisce…), e a quel punto non mi resta altro da fare se non risalire la fila delle ultime lanterne verso l’arrivo.

Se non fosse che nella zona della 16 incontro alcuni concorrenti della gara di trail-O che stanno facendo l’esame post-mortem alle piazzole di gara e si chiedono chi io sia e perché ci sia un matto che sta gareggiando alle due del pomeriggio; cerco di darmi un contegno e di assumere l’andatura di un vero atleta (ma quando mai?!?!?!?), ma è evidente che la zona non è proprio adatta per alimentare le mie personali ambizioni di sembrare figo (remember Lago di Calaita)… cerco di dileguarmi alla loro vista verso la 17 scendendo nel bosco, ma quel bosco bianco e quel dolce avvallamento che compare in cartina è nella realtà un oceano terrificante di felci alte così, quella classica situazione dove il primo che passa è un eroe. E il primo che passa sono io, cazzarola!

Impossibile sperare di restare in piedi a lungo nonostante tutte le mie speranze e le mie preghiere… infatti non ho nemmeno il tempo di pensarlo che sto facendo un volo olimpionico tra le felci e nelle ortiche! Mentre rotolo senza possibilità di fermarmi, disegnando una autostrada tra le ortiche, vedo gli occhiali che partono in una direzione, la testa che va dall’altra ed un masso che viene proprio incontro ad essa: in un nanosecondo mi chiudo come una testuggine, mi viene in mente nel successivo nanosecondo il ricordo di Tavernaro che si schianta contro un masso in preparazione dei Mondiali e viene portato via in elicottero, ma alla fine finisce tutto bene e ritrovo pure gli occhiali (andrà bene anche alla farmacia di Pieve Tesino, che svaligerò acquistandone tutta la scorta di Polaramina per dare sollievo alla mia pelle). E non è ancora finita… perché avrò ancora occasione di vomitare le ultime energie sulla tratta 20-21, su quei 40 metri di dislivello, messi lì gratis nel finale.

Avendo messo in saccoccia con due giorni di anticipo la quinta tappa, posso concentrami il giorno successivo a correre la quarta tappa sulla media distanza. Come avevano anticipato sia Antonio Loss che Fabio Hueller, i tracciatori, avrei potuto giovarmi dell’esperienza del giorno prima al primo impatto con Monte Agaro per correrci nel secondo giorno consecutivo. In effetti fino al quinto punto mi sembra di essere a casa mia: la roccetta dove c’è il punto 4 la avevo identificata durante le mie peregrinazioni attorno al 12esimo punto del giorno prima, e dal punto 5 ci ero addirittura già passato e avevo visto già il paletto. Tuttavia le energie cominciano ad essere al lumicino: il tratto di bosco dopo la linea elettrica per arrivare al sesto punto è ancora uno di quelli del tipo “impossibile restare in piedi”. La scalata al punto 7 è impietosa anche se, grazie a Dio, almeno si tratta dello stesso punto che avevo già trovato il giorno prima…

Raduno le penultime energie per andare alla ricerca del punto 8, che mi sembra l’ultima importante insidia orientistica, dove Marco Bezzi e Carlo Cristellon stanno “lavorando” (e si stanno cristonando l’un l’altro) per posare le stazioni e controllare i punti; infine mi metto di buzzo buono per l’ultima salita davvero penosa della 5 giorni, quella per arrivare alla stessa quota del punto 9 utilizzando il sentiero. Il parziale di circa 13 minuti, con molte soste, per andare dal punto 9 al punto 10 mi mette direttamente nell categoria “bradipi in decomposizione che farebbero meglio a giocare a whist”. Da lì è soltanto fiatone, allucinazioni che spero siano dovute solo all’altitudine (e non avevo ancora fatto la 6 giorni di Svizzera!), pietre ed ulteriori scivolate nell’erica alta per scendere al dodicesimo punto. Con le scarpette da corsa a suola liscia, stabilisco che è meglio mettere il culone per terra nella discesa al punto 14 (che era uno dei punti a tempo della gara di Trail-O) e “remare” con i piedi per arrivare fino al punto 16.

Dopodiché posso dichiarare chiusa anche questa avventura… (anche se mancherebbero ancora il commento al microfono della gara che ho appena concluso, l’ultima gara di trail-O a Cinte Tesino – andata anche questa in modo pessimo! – ed il commento dell’ultima gara). Il premio per la mia caparbietà? Questo:
Perché dopo 5 giorni di commento dietro al microfono, ho scoperto che c’è un ragazzino norvegese - che un giorno sarà un campione - che andrà a raccontare ai compagni di classe di uno speaker italiano che diceva che il suo Halden Skiklubb è il Real Madrid dell’orienteering; e raccontava al microfono che se l’Halden SK è il Real Madrid dell’orienteering, allora suo papà Emil Wingstedt non può che essere il Cristiano Ronaldo dell’orienteering… Sempre per la serie “Shakespeare mi fa una pippa”, e chissà quante altre ne devo aver raccontate durante questa 5 giorni d’Italia 2016…!

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