5 days of Tesino
Ci sono tanti modi diversi per trascorrere una settimana di
ferie: la maggior parte dei miei colleghi si trasferisce in spiaggia, dove
l’unica decisione da prendere consiste nello scegliere dove piazzare
l’ombrellone, oppure in montagna a fare passeggiate rilassanti o crogiolarsi in
qualche spa; io quest’anno ho deciso di andare sull’Altopiano del Tesino,
dormendo nella struttura comunale di Cinte Tesino, mangiando i pasti preparati
da Marco Bezzi e dormendo in una piccola mansarda con Eddy Sandri, o talvolta
da solo.
La mia 5 giorni di Italia: 6 giorni di gare, 10
competizioni, 5 premiazioni, per 5 volte sono stato dietro al microfono a
commentare le gare. Non è stata una
passeggiata di salute, probabilmente non lo è stata nemmeno per alcuni degli
atleti che già il terzo giorno dimostravano di mal sopportare il mio pessimo
inglese e il diluvio di parole che li sommergeva per 5 ore al giorno; solo per
fare un confronto, lo speaker della 6 giorni di Svizzera si limita a dare gli
aggiornamenti dei primi tre classificati nelle categorie Elite ed under-20 e a
fare gli annunci di servizio che servono agli organizzatori. Io ho snocciolato interi
alberi genealogici, fatto molto gossip, enunciato piazzamenti in classifica oltre
la X-esima posizione (con X anche molto alto). Devo ammettere che alla lunga
tutto questo potrebbe anche aver stancato le orecchie degli ascoltatori…
insomma: devo imparare a darmi una calmata!. Tuttavia ogni sera, rientrando
nella mia cuccia a Cinte Tesino, ho pensato di essermi meritato la cena
preparata da Marco o le mani di carte a Whist, sollevato per il fatto di essere
riuscito a fare il meglio che potevo. Da un punto di vista strettamente
sportivo, devo invece ammettere che la maggior parte delle mie gare non hanno
avuto l’esito che speravo… si, diciamo proprio che ho fatto abbastanza schifo
in tutte le gare!
Gare che cominciano il 2 luglio a Drio Castello, subito dopo
aver provato con molta infamia e scarsissima lode nonché infiniti gradi di incomprensione
il percorso di trail-O. Il cielo non promette nulla di buono, ma le previsioni
del tempo fornite da quell’autentico ufficio meteorologico che sono le ossa del
Sig. Gozzer dicono che la pioggia dovrebbe salvare la prima tappa degli atleti.
Degli atleti, appunto: di quelli che partono nell’orario canonico di gara. Ma
io parto prima (e non so nemmeno se sono un atleta!).
E’ circa mezzogiorno quando vengo lanciato nel bosco da
Alessandro Conci. Nel bosco… la mia scelta per la prima lanterna della prima
tappa della 5 giorni prevede una abbondante dose di strada asfaltata, percorsa
fino a raggiungere la linea tra il punto 1 ed il punto 2: Emil Wingstedt, il
tre volte campione del mondo che doveva gareggiare contro di me (astenersi dalle
risate, prego!) in H40 e che, poi, ha preferito rifugiarsi in Elite, mi dirà
che la mia scelta è giusta, e che la sua scelta sotto la linea magenta lo ha
costretto ad aprire la strada nella vegetazione fitta a tutti quanti gli altri.
Dopo la salita violenta al terzo punto, affrontato
dall’avvallamento situato molto più in basso, vado via abbastanza tranquillo
fino al punto 9, cercando soprattutto di stare sul sicuro perché i posatori non
sono ancora passati nella zona con le rocce e ci sono solo i paletti. Alla 9
vivo il momento “sgurz” della giornata: l’idea originale è quella di uscire dal
punto in direzione nord-ovest, andare a prendere la strada, girare in senso
orario attorno alla grande parete rocciosa e raggiungere il punto 10 per la
strada più lunga ma più facile. Dal divano, però, è sempre facile… nella realtà
vado in direzione nord, infilo il sentierino che sta nell’avvallamento tra due
alte pareti di bosco e capisco che sto tornando verso la partenza. Come sanno
bene gli amici del GOK, io sono campione del mondo nell’arte di ripassare dalla
partenza durante la mia gara! Non “in zona partenza”… ma proprio dai cancelli e
dal gazebo delle partenze. Ancora non mi è stato mostrato un articolo del
regolamento (e di articoli ne abbiamo mille milioni) che me lo vieta! E poi il
triangolo di partenza è, solitamente, un punto certo sulla mappa. Mentre corro
verso il basso ed elucubro tutto ciò, vedo un nastro bianco e rosso che
attraversa il sentierino, ed anche un cartello “DON’T CROSS” rivolto verso di
me che sono nel bosco; i successivi pensieri sono due: UNO: non esiste da
nessuna parte che io faccia dietrofront in salita DUE: non so leggere, sono
analfabeta, non conosco l’inglese… Quindi tiro dritto fregandomene del cartello.
La 10 la raggiungo dal prato a sud, scalando tante curve di
livello e contraddicendo la mia scelta di percorso originale. Per la 11
rifaccio il giro dal campo di calcio, ripassando nella zona della 1, e infine
per la 12 passo nella zona delle case dove la gente normale sta già mangiando e
mi guarda come se io fossi un miraggio o una allucinazione (ma nessuno che mi
offre neppure un bicchiere di acqua!). A proposito di acqua, da qualche minuto
piove che Dio la manda: il bosco viene rischiarato ogni tanto dai lampi sempre
più vicini, ed i botti che seguono parlano di un temporale che si sta
sviluppando a non più di qualche centinaio di metri da me che sono in mezzo
agli alberi e sto cercando dei paletti metallici conficcati nel terreno (la
legge 626 mi fa un baffo…). Dalla 12 alla 16 bisogna solo scendere un migliaio
di curve di livello, e poi per arrivare alla 17 bisogna affrontare sotto il
diluvio torrenziale una zona (quella sotto alla linea elettrica) dove le felci
e la vegetazione mi arrivano letteralmente al mento; felci fradicie, il che
vuol dire che è come farsi largo in una , foresta di asciugamani zuppi d’acqua:
se casco per terra qui mi troveranno solo in primavera se verranno a falciare la
zona. Il finale di gara è poi quantomeno insensato perché nella tratta 17-18
occorre attraversare una profonda palude di acqua sporca, liquami vari e fango
che ricorda solo e purtroppo certi film sulla battaglia delle Ardenne, e non
c’è diluvio che tenga per farmi arrivare al traguardo almeno un po’ pulito…
(l’abbigliamento è da “partenza con il sole”… e notare le
scarpette da corsa)
Anche la seconda tappa parte con propositi di gara bagnata
(durante la notte si è abbattuto sul Tesino un mezzo nubifragio che ha fatto
rimbombare le pareti della mia mansardina, o era Marco Bezzi che russava???),
ma in realtà alla fine il tempo terrà per tutta la giornata. Monte Mezza è
proprio una bella carta di gara, che ricordavo dai tempi della finale dei
Campionati Italiani Middle. Di tutte le prime 13 lanterne, la parte più
difficile consiste nel salire lungo il sentiero pieno di fango fino al
triangolo di partenza (mi chiedo in che razza di “fanghéo” abbiano messo i
piedi gli ultimi). E’ veramente un bel bosco, amichevole, senza pendenze difficili
e con una ampia visibilità… c’è da chiedersi a che velocità potrebbe correrci
uno come Wingstedt! Incontro al punto 3 il coach Cristian Bellotto che sta
posando i punti, poi nessun problema sui rimbalzi fino al punto 9, ed al punto
10 incontro il Campione del Mondo di trail-O Michele Cera che sta controllando
il percorso. Arriviamo insieme alla 11, in una zona nella quale il numero di
sassi cartografati è decisamente inferiore a quelli presenti sul terreno, e ci
separiamo definitivamente sulla strada verso la 13.
O sono andato un po’ troppo allegro nella prima parte di
gara, oppure sono veramente scarso; spendo infatti le ultime energie per
risalire le curve di livello fino alla 14 (il sasso si vede benissimo da fondo
valle, ma li mortacci non ho la ragnatela dell’Uomo Ragno per tirare verso di
me la lanterna…) ed alla 15 non ne ho più. E qui comincia la parte difficile
della giornata, perché la 16 e la 17 sono posizionate ad una quota molto più alta,
e soprattutto si trovano in una zona nella quale felci ed erbacce sono alte
tanto quanto il paletto: tocca quindi come al solito a me, e poi anche ai primi
a partire, aprire la strada a tutti quanti gli altri che troveranno sicuramente
delle autentiche autostrade per arrivare al punto. Percorro quindi tutto il
sentiero che porta fuori carta arrivo al punto 18, poi cammino penosamente nell’erba
alta ed invadente fino alla radice che sta tra la 17 e la 16… scendo alla 16
(per fortuna i miei piedi trovano la canaletta prima ancora che io la veda); a
questo punto posso risalire ancora più penosamente alla 17 (chissà perché
l’immagine che mi viene sempre in mente è quella di Sean Connery ne “La collina
del disonore”), ritorno alla 18 trovando per fortuna le stesse tracce che avevo
fatto all’andata e poi è solo discesa.
Segue poi una giornata al microfono durante la quale il
momento clou è quello nel quale devo annunciare della “scomparsa” del piccolo
Marek, 7 anni, arrivato dalla Repubblica Ceca: quando invito qualche
partecipante di quella nazione a venire al microfono per lanciare un appello in
lingua autoctona (sono già intervenuti anche i vigili del fuoco e sono tutti un
po’ agitati…) la risposta che ricevo è di questo tenore: “Si è perso un bambino? Ma chi è… per caso è Marek? Lasciatelo fuori per
carità e non cercatelo più, che forse è la volta buona che ce ne liberiamo!!!
Quello ormai lo conosce tutta quanta la Repubblica Ceca e non solo!”.
Diciamo che mi segno nome e cognome del bambino, e aspetto di leggerne il nome
in cronaca.
Il terzo giorno ha un connotato decisamente turistico, perché
la 5 giorni arriva sulla spiaggia del lago di Levico Terme per la sprint. Io arrivo
a Levico un po’ con il fiatone, ma anche con il morale sotto i tacchi dopo aver
preso parte alla gara a staffetta di Trail-O del mattino, nella quale riesco
nell’impresa di far naufragare una squadra che oltre a me schiera ben due
campioni europei in carica (potrei anche dilungarmi a parlare dell’atteggiamento
poco sportivo di alcuni partecipanti, ma ormai non mi meraviglio più di
niente…)
(il Gabibbo…)
I ragazzi dell’organizzazione Crea Rossa mi consentono di
partire molto presto (umidità fuori scala) ,a per fortuna posso archiviare in
fretta la mia pratica, la mia gara sprint, prima che i pensieri e la delusione
per la gara del mattino possano avere il sopravvento.
Levico è ovviamente ben nota ai più per il finale “filante”
lungo il torrentello fino alla spiaggia, spiaggia che si anima nel corso del
pomeriggio con tanti orientisti arrivati a gareggiare (forse finalmente) in una
vera località turistica. Ci sono parecchi nordici che non perdono occasione per
fare il bagno, o per stendere le loro stuoie sul prato per prendere il sole. I
più sfortunati sono quelli dell’MS Parma (i finlandesi che nel nome del team
ricordano quel delizioso insetto che dalle nostre parti prende il nome di
“tafano”) che si trovano proprio nel cono degli altoparlanti che partono
sparando a bomba la musica dei Black Eyed Peas e che si allontanano
decisamente infastiditi e contrariati nei confronti dello speaker.
Per la quarta e la quinta tappa si sale fino a Monte Agaro,
sugli ultimi tornanti del Passo Brocon che volge verso la Valle del Vanoi dove
abbiamo disputato quest’anno i Campionati Italiani Sprint e Middle. E’ una
località del tutto nuova per me, e forse anche per gli ultimi 20 anni di
orienteering italiano; una valle sicuramente suggestiva per paesaggi e quasi
totale assenza di antropizzazione, e l’organizzazione è aiutata da un tempo che
si manterrà clemente per i due giorni di gara che dobbiamo fare in questa zona
abbastanza disabitata e quasi desolata del Trentino. Sicuramente è il momento
nel quale anche noi andiamo a “mettere il culo sulla possibile pedata”: se
avesse piovuto a Monte Agaro non so come ce la saremmo cavata con il piano
parcheggi e la possibilità di dare riparo a centinaia di orientisti, ma la
fortuna ci aiuta e tutto bene quel che
finirà bene.
Quella che per gli altri Xcentonovantanove orientisti in
gara è il giorno della quarta tappa, per me è il giorno della quinta e
viceversa: la quinta tappa è troppo lunga per essere corsa in solitaria il
mattino del’ultimo giorno all’alba, e quindi (dato che tutti i punti sono già
marcati sul terreno) decido di approfittare del giorno di riposo per correre la
quinta tappa, sempre dopo la consueta “avventura” nel trail-O.
Devo ammettere che il “diavolo” è più brutto a vederlo che a
percorrerlo. Quella che dal divano di casa sembrerà sicuramente una follia, dal
vivo si rivela solo una mezza follia… il trucco consiste nell’andare piano, con
calma, mantenendo sempre il dito sulla posizione in carta e senza lasciarsi
prendere dai facili entusiasmo del tipo “la lanterna è sicuramente là!”. E io
sono campione nel mondo di “andare con calma”… Una volta scalata per la via più
breve la pista da sci che mi porta in partenza, l’inizio è abbastanza
tranquillo: anche alla lanterna 3 che sembrava posizionata oltre le Colonne
d’Ercole ci si arriva percorrendo tutta la mulattiera etrusca e poi andando a
cercare l’ultima propaggine di bosco. Decisamente impegnativa la discesa verso
il punto 4, perché il bosco bianco è in realtà un autentico merdaio di felci,
avvallamenti, buche piene di vegetazione ed un terreno che più irregolare non
si può. Mi fermo alla 5 a prendere il primo carbogel prima di affrontare il
punto 6 (che non è sbagliabile) ed il 7 (che ovviamente lo è ancora meno), prima di prendere una “stringa” terribile scontrandomi
con il recinto elettrificato tra la 7 e la 8.
Secondo carbogel al punto 10, salvifico sia perché sto per
affrontare nell’ora più calda della giornata la salita al punto 11 (ma so o immagino,
sbagliando, che è l’ultima asperità di giornata), sia perché il punto 12 è
introvabile! Dal divano sembra facile, dal bosco è un casino! Per raccapezzarmi,
dopo aver girato a vuoro per qualche minuto, devo tornare ad ovest fino a
vedere di nuovo le rocce che sovrastano la mulattiera… Non mi piace, ma quando
mai mi può piacere?, la discesa che dalla 14 porta alla 15, una discesa che mi
mette paura solo a guardare giù (mannaggia a me che mi ostino a correre con le
scarpe da jogging lisce…), e a quel punto non mi resta altro da fare se non risalire
la fila delle ultime lanterne verso l’arrivo.
Se non fosse che nella zona della 16 incontro alcuni
concorrenti della gara di trail-O che stanno facendo l’esame post-mortem alle
piazzole di gara e si chiedono chi io sia e perché ci sia un matto che sta
gareggiando alle due del pomeriggio; cerco di darmi un contegno e di assumere
l’andatura di un vero atleta (ma quando mai?!?!?!?), ma è evidente che la zona
non è proprio adatta per alimentare le mie personali ambizioni di sembrare figo
(remember Lago di Calaita)… cerco di dileguarmi alla loro vista verso la 17
scendendo nel bosco, ma quel bosco bianco e quel dolce avvallamento che compare
in cartina è nella realtà un oceano terrificante di felci alte così, quella
classica situazione dove il primo che passa è un eroe. E il primo che passa
sono io, cazzarola!
Impossibile sperare di restare in piedi a lungo nonostante
tutte le mie speranze e le mie preghiere… infatti non ho nemmeno il tempo di
pensarlo che sto facendo un volo olimpionico tra le felci e nelle ortiche! Mentre
rotolo senza possibilità di fermarmi, disegnando una autostrada tra le ortiche,
vedo gli occhiali che partono in una direzione, la testa che va dall’altra ed
un masso che viene proprio incontro ad essa: in un nanosecondo mi chiudo come
una testuggine, mi viene in mente nel successivo nanosecondo il ricordo di
Tavernaro che si schianta contro un masso in preparazione dei Mondiali e viene
portato via in elicottero, ma alla fine finisce tutto bene e ritrovo pure gli
occhiali (andrà bene anche alla farmacia di Pieve Tesino, che svaligerò acquistandone
tutta la scorta di Polaramina per dare sollievo alla mia pelle). E non è ancora
finita… perché avrò ancora occasione di vomitare le ultime energie sulla tratta
20-21, su quei 40 metri di dislivello, messi lì gratis nel finale.
Avendo messo in saccoccia con due giorni di anticipo la
quinta tappa, posso concentrami il giorno successivo a correre la quarta tappa sulla
media distanza. Come avevano anticipato sia Antonio Loss che Fabio Hueller, i
tracciatori, avrei potuto giovarmi dell’esperienza del giorno prima al primo
impatto con Monte Agaro per correrci nel secondo giorno consecutivo. In effetti
fino al quinto punto mi sembra di essere a casa mia: la roccetta dove c’è il
punto 4 la avevo identificata durante le mie peregrinazioni attorno al 12esimo
punto del giorno prima, e dal punto 5 ci ero addirittura già passato e avevo
visto già il paletto. Tuttavia le energie cominciano ad essere al lumicino: il tratto
di bosco dopo la linea elettrica per arrivare al sesto punto è ancora uno di
quelli del tipo “impossibile restare in piedi”. La scalata al punto 7 è
impietosa anche se, grazie a Dio, almeno si tratta dello stesso punto che avevo
già trovato il giorno prima…
Raduno le penultime energie per andare alla ricerca del
punto 8, che mi sembra l’ultima importante insidia orientistica, dove Marco
Bezzi e Carlo Cristellon stanno “lavorando” (e si stanno cristonando l’un
l’altro) per posare le stazioni e controllare i punti; infine mi metto di buzzo
buono per l’ultima salita davvero penosa della 5 giorni, quella per arrivare
alla stessa quota del punto 9 utilizzando il sentiero. Il parziale di circa 13
minuti, con molte soste, per andare dal punto 9 al punto 10 mi mette
direttamente nell categoria “bradipi in decomposizione che farebbero meglio a
giocare a whist”. Da lì è soltanto fiatone, allucinazioni che spero siano dovute
solo all’altitudine (e non avevo ancora fatto la 6 giorni di Svizzera!), pietre
ed ulteriori scivolate nell’erica alta per scendere al dodicesimo punto. Con le
scarpette da corsa a suola liscia, stabilisco che è meglio mettere il culone
per terra nella discesa al punto 14 (che era uno dei punti a tempo della gara
di Trail-O) e “remare” con i piedi per arrivare fino al punto 16.
Dopodiché posso dichiarare chiusa anche questa avventura…
(anche se mancherebbero ancora il commento al microfono della gara che ho
appena concluso, l’ultima gara di trail-O a Cinte Tesino – andata anche questa in
modo pessimo! – ed il commento dell’ultima gara). Il premio per la mia
caparbietà? Questo:
Perché dopo 5 giorni di commento dietro al microfono,
ho scoperto che c’è un ragazzino norvegese - che un giorno sarà un campione - che
andrà a raccontare ai compagni di classe di uno speaker italiano che diceva che
il suo Halden Skiklubb è il Real Madrid dell’orienteering; e raccontava al
microfono che se l’Halden SK è il Real Madrid dell’orienteering, allora suo
papà Emil Wingstedt non può che essere il Cristiano Ronaldo dell’orienteering…
Sempre per la serie “Shakespeare mi fa una pippa”, e chissà quante altre ne
devo aver raccontate durante questa 5 giorni d’Italia 2016…!
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