5 giorni dello (S)Carso in Elite
“Oggi potete essere venuti fin
qui per partecipare o per vincere. Se siete qui per partecipare, siete i
benvenuti e nessuno potrà rimproverarvi per un piazzamento lontano dal
vincitore. Uno solo vince la gara. Ma se siete qui per cercare di essere quell’uno,
allora dovete essere pronti ad arrivare al traguardo con la maglia sporca ed i
pantaloni strappati, stringendo i denti e respingendo la fatica e le lacrime.
Questa è Gropada signori! E Gropada non perdona. A voi la scelta, se farne un
enorme parcheggio fino al confine con la Slovenia ed oltre, o se farne una
carta da orienteering… io propendo ancora per la carta da orienteering.”
Così parla l’Angelo Sterminatore.
Poi parte la musica di “Welcome
to the jungle” dei Guns ‘n Roses.
E pensare che eravamo solo al primo pomeriggio
di venerdì, ancora nella prima metà di quella che si sarebbe dimostrata una
faticosa, lunga, a tratti interminabile, esaltante “5 giorni del Carso”. Per
fortuna che dietro al microfono c’era anche Wolfgang Poetsch, altrimenti le
cose sarebbero andate in modo molto diverso; in primo luogo credo che non avrei
potuto terminare la mia gara a lunga distanza in MElite, forse l’ultima MElite Long della mia carriera? In secondo luogo il
tasso di follia, che parte dalle vene del cervello ed arriva alla mia bocca e
si travasa nel microfono, stava già mostrando un ingresso in piena “zona
pericolo” ed eravamo appena alla terza gara… addirittura solo alla prima gara
con il pienone di atleti e pubblico. Se fossi rimasto al microfono da solo,
temo che avrei potuto dire cose irripetibili.
Adesso l’obiettivo del diario dovrebbe essere quello di spiegare come sono arrivato fino a Gropada e come
l’avventura è proseguita fino al traguardo.
Comincio con il dire che, anche
questa volta, il mio arrivo in zona gara martedì sera è stato tra il delirante
ed il drammatico. Tre giorni prima, avevo infatti annunciato la mia rinuncia
alla trasferta a causa delle condizioni del papà che non potevano lasciarmi
assolutamente tranquillo (ed il Carso non è purtroppo all’angolo della
strada…). Poi c’è una schiarita nelle condizioni, mio padre comincia a tornare
(almeno come spirito) quello che fino ad un paio di anni fa si faceva 100
vasche a delfino ogni giorno, mia madre si mette tranquilla e tutti insieme
decidiamo che posso partire. Con un orecchio sempre al cellulare, ma con una
concreta speranza di arrivare fino al termine della 5 giorni. Risultato:
martedì sera tardi, dopo 5 ore di viaggio solitario in auto, mi accascio sul
letto a Duino ma sono pronto per aprire le danze il mattino dopo al Villaggio
del Pescatore, prima tappa, in Elite.
Questa faccenda dell’Elite era
una boutade che avrebbe dovuto
servire più che altro come stimolo mentale, non tanto fisico. Nel bollettino di
gara avevo letto: middle, middle, middle (a
Gropada… quindi mica tanto middle), campionato italiano lunga distanza, poi
sprint e staffetta. Per la sprint non c’è problema. Per la staffetta sono
iscritto in M45 con Paolo e Lucia. Le tre middle, trattandosi di tappe di una 5
giorni, non saranno così insidiose (Gropada a parte). Quindi lascio perdere le
mie velleità, che sono poi semplici speranze destinate ad infrangersi sulla
carta di gara, di completare la gara Long e mi iscrivo in Elite: se devo
commentare le gare degli Elite, meglio essere nelle condizioni di sapere cosa
faranno, dove andranno, quanto patiranno. Cosa… dove… perché. Il “chi” di un
normale pezzo di cronaca rimane il sottoscritto. Il “perché” è sempre nascosto
nelle nebbie della follia.
Mercoledì mattina, con un vento di borino che lévati, inizio
dunque la mia avventura sulle rive del Timavo. Sarà la tensione accumulata nei
giorni precedenti, sarà la prima notte di sonno profondo che ho appena passato,
sarà che finalmente mi sento pervaso da un po’ di tranquillità che manca da più
di un mese… affronto la gara con un piglio decisamente pimpante e
l’orienteering mi sembra tutto facile.
Probabilmente non si tratta del
terreno più difficile del mondo, ma appoggiandomi a tutte le tracce di sentiero
ed a tutti i gialli (prati) e giallini (prati appena più grezzi) riesco a
venire bene a capo di tutte le lanterne. Mi azzardo persino a dire che l’errore
più grosso di giornata (le indecisioni, al mio livello, non si contano come
errori) lo faccio alla 8, che è a bordo strada e che pensavo di vedere da
lontano; invece è dietro un cespuglio, ed i 20 secondi che resto lì come quello della maschèrpa ad aspettare
che salti fuori lei da sola mi sembreranno alla fine un errore gravissimo.
Dalla 9 fino al passaggio al punto spettacolo si tratta di scegliere con cura
il sentiero da percorrere, Dio mi scampi
che io mi metta a correre fuori dai sentieri!, e magari soffermarsi un
attimo a guardare la piccola insenatura ed il mare alla 10, in quello che è
davvero il punto spettacolo della gara ma solo per le categorie che hanno la
fortuna di arrivarci. Poi (sembra incredibile) per arrivare alla 15 non c’è
niente di meglio da fare che raggiungere la trincea e correrci agevolmente
dentro fino al punto. Sbaglio, quella si, la 16 arrivando fino a vedere la linea
elettrica che sta oltre la 17, ma mi riprendo bene ed addirittura mi posso
bullare della mia tratta 19-20, tutta in bussola e dritta sotto la linea rossa
(lasciando invero molta pelle sul ginepro ed i rovi di quella zona verde),
laddove parecchi concorrenti che sentirò nel dopo gara cercano di fare il giro
da sotto e finiscono per perdersi in un labirinto di cespugli che invero è più
fitto dell’aperto brullo che compare in mappa.
1 ora e 13 minuti di gara per me
e possiamo mettere un “fatto!” sulla prima tappa. Il migliore è un ragazzino
austriaco alto, molto magro (secondo i miei parametri), molto bello (secondo
tutte le ragazzine della Punto Nord Monza) che ci mette 48 minuti, ma in fondo
lui è l’ottavo del mondiale junior mentre io sono solo l’ottavo del mondiale di
“cene a base di schifezze” dietro a
Ciccio di Nonna Papera e davanti al John Belushi di Animal House, quindi torno
a cuccia con un bel po’ di fierezza in testa.
La magia orientistica del primo
giorno sembra però abbandonarmi già durante la seconda tappa, nella quale devo
lottare come un ossesso per arrivare al traguardo. Ennesima carta di gara nuova
, per me, quella del Santuario di Monte Grisa.
Parto al mattino con un bel
freschetto e la prima parte di gara è velocissima, e si si può anche appoggiare
ai sentieri. Oddio… velocissima… per dire che io sono velocissimo dovrei
perlomeno dimenticare i 3 minuti passati
a girare come un allocco nella zona della 1, al centro di un’area
delimitata da un-sentiero, una-strada, una-bucaconsassi: tutte cose
evidentissime, perché o ci corro sopra (il sentiero), o la guardo da pochi
metri (la strada) o ci butto un occhio dentro (la buca con i sassi). Ma ci
metto pur sempre 3 minuti per trovare la buca giusta! Riparto come un centravanti inseguito da Franco Baresi e picchio
dritto sulla 2, la 3, la 4 e la 5 (il bellissimo “menhir” che in realtà serviva
per il puntamento a nord dei cannoni dal forte di Trieste, a ricordo di tempi
passati molto brutti e di un Carso completamente brullo). Dritto alla 6 “come
faccio ad arrivare al mio punto se sta al centro di una zona delimitata dalle
fettucce rosse?!?!?... ah! Le fettucce sono solo dalla mia parte della buca…”.
Dritto alla 7 che per fortuna ha una specie di scivolo per scendere in fondo
alla dolina. Dritto alla 8 che Poetsch non sarà in grado di trovare (ARH! ARH! ARH!) e sentiero fino alla 9,
con il bosco dalla parte sud della collina che sembra una pineta di Bedolpian.
Qui finisce il mio paradiso
orientistico. Per andare alla 10, il mio piano prevede di scendere fino alla
strada, bucare di slancio (diciamo pure “con il mio peso e la forza della
gravità”) quel sottile strato di verde1, entrare in una zona di bosco che mi
aspetto paragonabile ai Mille Pini di Bedolpian e raggiungere facilmente il
punto. Purtroppo il “sottile strato di verde1” è pura giungla del delta del
Mekong, e fino al muretto è solo un verde2 da parolacce e brutte cose dette
sulle mamme altrui. Conservo un indimenticabile ricordo di me stesso che corre
con il vento a favore e l’erba leggermente mossa dal borìno, come in una
pubblicità della Nike, sul pianetto che dalla 11 porta alla 12. Poi arriva il
momento di affrontare il loop 13-18 di cui conservo dimenticabili ricordi, e
milioni di abrasioni! Cerco invano di contare i muretti, di stare in piedi sul
terreno carsico che di più non si può, di dire a me stesso “coraggio!
E’ il primo impatto con il Carso! Ti servirà per i prossimi giorni!”
laddove però impatto vuol dire con i sassi sul terreno, con i muretti che
franano sotto di me, e con i rovi e le spine di ogni maledetto cespuglio. Perdo
5 minuti e mezzo alla 14, perché la mia mappa non riporta in corrispondenza del
punto 61 la relativa descrizione: con il senno di poi (e l’ingrandimento al
250% di uno scan 300x300dpi massima risoluzione) mi accorgo che quella che
dovrei cercare è una buca. Nella realtà mi ritrovo in un anfiteatro di muri,
muretti, sassi e curve di livello: non so cosa cercare e su che cosa
concentrarmi! Guardo dietro ogni sasso, muretto e roccia, e solo dopo vane
ricerche per disperazione mi accorgo di una buca dietro ad un sasso, che
nasconde la lanterna.
Lo chiamo “effetto funghi o fragole”: da bambino, quando mia madre mi mandava
nel bosco, se andavo con il cestino ed il coltellino era per i funghi che
servivano al risotto, e l’occhio rimaneva concentrato a scorgere scodellette e
vaciotti tra il muschio e l’erba. Se mi mandava con il contenitore lungo di
plastica per le fragole della macedonia, l’occhio riconosceva ogni pixel rosso.
Non mi è mai capitato di trovare, nella stessa spedizione, funghi E fragole!
Inutile: devo sapere cosa vado a cercare, e quella descrizione punto mi sarebbe
proprio servita.
Dalla 18 ad andare verso sud è un
altro attraversamento di un verde2 terribile; le energie vanno rapidamente in
riserva ed il mio tempo di gara di 85 minuti sarebbe menzionabile solo se gli
altri Elite facessero ancora cilecca. Invece arriva il solito ragazzino austriaco alto e magro (e bello… si! Ho capito
Alessia Eleonora e Anita! E’ bello…) e mi dice il suo tempo “....ty-eight”. Io penso “forty-eight” e dico “not
bad!”. E lui “Not …tyeight, …ty-eight!”. E io “Yes, forty-eight, understood”. E
lui “NOT FORTY-EIGHT! THIRTY-EIGHT! THREE EIGHT!” e mi fa segno anche
con le dita. Lo calmerò spedendolo immediatamente a fare l’intervista con la
RAI.
Una cosa curiosa è che a Monte
Grisa non c’è stato speakeraggio. Avevamo già capito, vista la sacralità della
zona, che avremmo dovuto limitare il contributo di rumore al minimo; non ci
aspettavamo, nessuno degli organizzatori si aspettava, che non avremmo potuto
montare l’impianto audio perché proprio quel giorno e all’ora di gara (e dopo
TRE ANNI di attesa) gli alti prelati del luogo avevano deciso di far arrivare
la processione con la nuova mega statua del vescovo che aveva inaugurato tanti
anni prima il santuario. Niente speaker, quindi, ed un po’ di delusione quando
la “processione” si è rivelata essere un camion che portava la sola statua da
innalzare e nessun altro. Forse qualcuno non voleva proprio sentirci blaterare!
Venerdì si arriva dunque a
Gropada, carta con la quale ho un conto in sospeso da saldare ampiamente. Nella
mia unica apparizione da queste parti, non ero riuscito a concludere la gara,
ubriaco di muretti e in ritardo per dare il benvenuto come speaker agli atleti
in gara per la Coppa Italia. La middle di Gropada parte alle 14, unica volta in
cui riesco a dormire fino ad un orario decente e arrivare con calma in zona
gara, e vengo accompagnato in partenza da tutta una serie di raccomandazioni e
consigli: pare che ciò che ho patito nella seconda parte di gara a Monte Grisa
sarà nulla rispetto a quello che affronterò a Gropada; e che, per continuità,
Gropada non sarà nulla rispetto al terreno di Sgonico. Io continuo a pensare
“andiamo bene!”, che finirà nuovamente con un risultato Stegal 0 – Gropada 1 e
che l’Elite a Sgonico è un passo troppo lungo per le mie gambe.
In effetti, guardando la carta di
gara…
… non si fa alcuna fatica a
capire che la gara di Gropada è divisa in due parti distinte: una nella quale
mi sembra di viaggiare bene, di “essere in carta”, di fare bene il mio compito
e tutto sommato di non patire proprio le difficoltà del percorso. L’altra è la
parte nella quale tiro giù svariati mòccoli, mi pento e mi dolgo di aver scelto
la categoria Elite, mi chiedo se ce la farò a finire il percorso, eccetera.
La cosa strana è che la parte in cui mi sento fìgo è la prima
metà del percorso, quella nell’inferno. La parte in cui mi sento il solito
inguardabile impiegato panzottello è la seconda, dalla lanterna 14 in poi!
Ok… non è che io abbia viaggiato
all’inizio alla velocità del TGV (Thierry Gueorgiou Velociraptor): sono andato
a prendere tutti i sentieri , ed anche la strada per andare dalla 2 alla 3 e
poi dalla 5 alla 6. Anche per andare dalla 12 alla 13 ho fatto la scelta
“sentiero verso est e poi verso nord”; dalla 14 alla 15 ho fatto il sentierone
verso nord-ovest e poi quello verso est (dopo aver accoppato a pacche su tutto
il corpo un nugolo di mosche cavalline… le odio!), ma la missione era
sopravvivere e credo di esserci riuscito abbastanza bene. 93 minuti per una
middle sono una roba tremenda, soprattutto se confrontato con il tempo del
ragazzino austriaco altomagrobelloeoraancheantipatico,
ma mi ha confortato il fatto che 93 minuti per due sono tre ore e 6 minuti, e
che la middle di Gropada era la metà della Long di Sgonico. Avrei messo nel
mirino della Long le tre ore di gara, e poi vediamo che succede (tanto Wolfgang
Poetsch può dare il benvenuto a tutti alle 9 del mattino e proseguire da solo
fino al mio arrivo).
Così venerdì sera si va a dormire
presto con il solo conforto di una Pleskavica preparata da Peter Ferluga in
persona. Dormire presto perché l’indomani si prospetta decisamente impegnativo:
- Sveglia ore 5.30, dal letto salto direttamente nella tuta da gara
- Faccio il taping rinforzato ad entrambe le caviglie
- Alle 5.50 scendo a svegliare Goggi e a cercare di mangiare qualcosa, ma è praticamente impossibile visto l’orario (il mio stomaco si rifiuta di incamerare qualsiasi cibo, nonostante io lo minacci con la prospettiva delle tre ore di gara)
- Alle 6.15 saliamo in auto.
- Alle 6.25 siamo davanti alla zona arrivo. Parcheggio l’auto dove capita (memore di quanto feci l’anno scorso a Pietranera, dove al buio lasciai l’auto nello stesso modo e rischiai di bloccare tutto il traffico veicolare…)
- Alle 6.35 prendo la strada già fettucciata verso la partenza (tutto il percorso è già predisposto)
- Alle 7.03 parto verso l’ignoto
Non starò ovviamente a raccontare
il mio peregrinare per i boschi di Sgonico step by step. La mia tattica per
sopravvivere fino al traguardo è una sola: sentieri
e sentieri, tracce e tracce. Tutte. Anche a costo di allungare parecchio la
strada. Conosco la zona della 1 dagli europei master di qualche anno fa, e la 2
non è sbagliabile. Il terreno mi sembra persino meno insidioso di come lo
ricordavo o era stato descritto, e per la 3 si può fare un ampio giro su
sentiero fino a sotto il punto, ugualmente non sbagliabile.
Per andare alla 4 devo solo
seguire con calma e pazienza ogni piccolo sentiero; mi “perdo” nella zona del
Triangolo delle Bermude che inghiottirà in uno strano e invisibile bivio verso
sud anche i due Scalet, Pezzati, Negrello, Bettega e (se non vado errato)
Tenani, ma dopo un interminabile numero di minuti arrivo alla 4, che affronto
larga cercando di stare il più possibile sul sentierino. Sbaglio la 6, che
trovo più per culo che per anima, ma mi rifaccio alla 7 dalla quale ero già passato
prima in uno strano impeto da “passiamoci
adesso, che magari dopo mi ricordo dov’è”. Adesso si tratta solo di far
passare la seconda ora di gara, dopo che la prima è andata via liscia e con
fiducia: è un’ora cruciale perché arriva con le energie già ampiamente spese e
con il pensiero che ce ne sarà una terza assai più dura subito dopo.
La 8 una collinetta larga più o meno quanto uno
sputo: infatti la manco, arrivo sul sentiero, risalgo fino al prato e da lì
devo remare duro per ritrovarla. E’ come la sequenza 6-7: sbaglio la 8 ma
faccio bene (piano ma bene) la 9, la 10 e la 11 perché sono tutte disposte
lungo la “Santa Traccia prega per noi
poveri orientisti”. Utilizzo tutto il sentiero che gira attorno al prato (e
il ristoro, maledizione, non c’è ancora) per arrivare alla 12, e poi ne combino
di tutti i colori alla 13: penso che quel muretto non sia sbagliabile, e invece
finisco per girare come una gallina
senza testa attorno a tutti i cespugli, i verdini, gli alberi caduti… preso
dalla disperazione, quando credo di aver identificato il sentierino ad ovest
del punto, lo percorro scendendo fino al bivio (sono già più vicino alla 14 che
alla 13), risalgo il sentiero che sta ad est fino a che incrocio il muretto e
da lì il punto torna ad essere facile.
Per gli amanti dell’orrido:
- In rosso la parte dalla partenza alla 4 e dalla 14 alla 15
- In blu la parte centrale, dalla 8 alla 12.
Dalla 14, per arrivare alla 15
impiego poco meno del tempo della tratta 3-4: sono davvero stanco (prenderò il
terzo carbogel troppo tardi, alla 15) e non mi fido più del mio orientamento;
bussola ad ovest fino al sentiero che ripercorrerò verso sud per andare alla
18, poi su lungo il sentiero fino a trovare l’altra carrabile, ma le ultime
curve di livello sono terribili. Ancora più terribili quelle che devo fare per
andare alla 16, in quel pezzo di gara che si rivela una autentica “salita delle lacrime e delle bestemmie”
(ma io non sono blasfemo e mi devo limitare alle lacrime). Per fortuna c’è la
traccia di sentiero ad ovest della 16 e 17, altrimenti ero ancora lì a cercare.
Poi è (quasi) solo discesa. Ancora una volta passo da un ristoro (quello della
18) e non trovo nulla. La 19 è banale, la 20 di più e da lì si gode una vista
sensazionale sulla arena di gara che si è animata di 1000 orientisti che si
vedono, si fanno sentire e mi sembra addirittura di percepire che qualcuno mi
ha visto e sta facendo il tifo per me. Per la 22 affido l’anima al mio Angelo
Custode, che deve essere andato a lezione da Gueorgiou perché arrivo al punto
dritto sotto la linea rossa! Poi è soltanto fatica, in mezzo ai recinti ed alle
vigne fino all’ultimo attraversamento del terreno grezzo che mi porta al punto
24. Sento le voci degli atleti, le macchine che passano per la strada ma i
piedi fanno davvero fatica a muoversi mentre l’orologio ha già scollinato le
tre ore di gara.
Sbuco sul pratone in discesa e
cerco di correre un po’ dandomi un contegno. Nessuno sa a che ora sono partito,
nessuno sa che sono in giro da 3 ore e 4 minuti. Forse la mia andatura davvero
stanca non è il massimo che ci si aspetta di vedere dal primo che arriva al
traguardo, ma mentre affronto l’ultima discesa sento distintamente tra il
brusio e gli incitamenti una voce che arriva direttamente da dentro la mia
testa: “Ce l’hai fatta stavolta!!!”. Quello che non ero riuscito a fare
l’anno scorso in Liguria, me lo sono ripreso con gli interessi ad un anno di
distanza a Sgonico.
Poi ci sarà un commento
interminabile della Long Distance fino al finale thrilling in volata tra Misha
e Klaus per il titolo italiano. Ci sarà il trasferimento a Gradisca d’Isonzo
per una sprint davvero carina ma affrontata con i piedi e le gambe che
all’inizio SI RIFIUTANO di muovere altri passi di corsa.
Ci sarà una premiazione
interminabile e, a 18 ore di distanza dalla sveglia, sarò in grado di tornare a
letto a stomaco vuoto.
L’indomani rientro nei passi più
agevoli di un over-45 per la mia frazione a staffetta, che mi fa ripercorrere
buona parte degli ultimi 40 minuti della gara long.
E ci saranno altri commenti al
microfono, altre premiazioni ed infine il “rompete
le righe e tutti a casa”. In tutta onestà una parte di me si sta ancora
chiedendo se sia un segnale più di coraggio o più di follia pensare, alle 6 e mezzo
di un mattino di inizio autunno, di muovermi dalla zona di arrivo per andare a
fare una gara che non ho più nelle corde da un pezzo. La risposta che mi do è
sempre la stessa, ed è molto semplice: non potrei mai pensare di commentare al
microfono la gara di qualcuno, se prima
non ho provato io stesso a vivere quella medesima gara. So che al microfono
ci sono esperti più bravi di me, che non si lasciano nemmeno cadere nella
tentazione di fare qualche battuta sulla performance di questo o quella atleta.
A me capita di sicuro di sbilanciarmi in qualche commento che può risultare non
molto felice ma nessuno, fino ad ora e da dieci anni (infatti non è mai
successo), può dirmi “provaci tu se ne
sei capace”.
Forse non ne sono del tutto
capace, ma almeno ci ho sempre provato.
4 Comments:
grazie Stegal... leggere delle tue gesta in Elite nel Carso mi carica ancora di più per tornare presto alle gare con tutti voi. :-)
mi mancate !
a presto. TommiC
PS niente di grave solo un ginocchio ricostruito..
Grazie Stefano! Per il tuo commento sul blog, per il tuo speakeraggio, per la fatica che hai fatto ogni giorno in gara e poi nel commentare le gare, per la tua competenza! Per me era importante sentire in anteprima ogni tuo commento......da quello che dicevi sapevo se la gara, se il percorso sarebbe andato bene! Grazie di cuore Stefano! Mauro
grande stegal!
davvero una grande impresa, solo chi ci passa davvero in queste cartine si rende conto che dovrebbero chiamarsi: 'valle di lacrime' o 'inferno di pietra' =) =) EROE!
alla prossima!
uno degli artefici delle tue sofferenze, ahimè di quella più lunga e massacrante ;)
Grandissimo Stefano, sei il migliore!!
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