Ritorno alla Orienteering Marathon
Ci sono
coloro che affermano che ormai se si corre meno di due ore non va la pena fare
lo sforzo nemmeno di allacciare le scarpe. E poi ci sono quelli che se si corre
più di due ore hanno già finito la benzina alla prima ora. E’ ovvio che in un
mondo normale i primi non parlerebbero mai ai secondi, e nello stesso mondo
normale i secondi invidierebbero da morire i primi. Ma c’è una gara, una sola nel calendario orientistico, che fa
sentire gli uni e gli altri come appartenenti ad un solo unico gruppo: quelli
della Orienteering Marathon degli Altipiani.
Andrea
Segatta nel suo blog
lo ha scritto come meglio non si potrebbe, e vito che il plagio è una forma d’arte
ma non è molto sportiva, oltre al link mi permetto anche di riportare qui le
due frasi che mi hanno davvero fatto tornare con la mente sul pratone di Forte
Cherle, dove era posta la partenza della edizione 2017: “La O-Marathon è davvero una gara diversa da tutte le altre, altrimenti
non mi spiegherei come si possa provare addirittura soddisfazione nel
cimentarsi in una competizione che già in partenza sai che può durare dalle 3
alle 4 ore (…) L'atmosfera che si respira prima della partenza della O-Marathon
è comunque particolare. Si respira un clima di quasi solidarietà generale,
sapendo già la sofferenza che ti sta per aspettare, e quindi è più naturale che
il clima competitivo lasci spazio alla goliardia e al reciproco incoraggiamento”.
Parole sante
Andrea! Per parte mia devo solo rettificare uno zinzinello la stima “dalle 3
alle 4 ore”: la mia Orienteering Marathon, e di edizioni ne ho fatte parecchie,
ha sempre abbattuto la barriera delle 4 ore, spesso delle 5 ore. In questa
occasione avrebbero potuto diventare anche 6 se non avessi avuto la fortuna di
trovare fin da subito un compagno di viaggio. Ma come in tutte le altre occasioni, la fatica è valsa davvero la
pena! Credo che la Orienteering Marathon sia una di quelle gare in grado di
esaltare allo stesso modo sia le doti di chi si allena tutti i giorni, i
campioni e tutti quelli veramente bravi che impiegheranno meno di 3 ore per
fare un percorso assurdo, sia le doti di chi magari è appena meno preparato e deve
mettere in conto le 4 ore, sapendo che come nella maratona vera ogni piccolo
miglioramento può essere fatto solo al prezzo di sforzi inimmaginabili in
allenamento.
Ma vorrei
anche spendere qualche parola per coloro che arrivano al traguardo dopo 5 o 6
ore. Questi sono (siamo…) i tapascioni della domenica, quelli che non si
allenano, quelli che si iscrivono alla Orienteering Marathon mentre un brivido scorre
tra le dita che digitano sulla tastiera il proprio nome e cognome: siamo noi, quelli delle 5 o 6 ore, che
diamo il senso maggiore alla “avventura lunga un giorno” nata nella mente di
Luigi Girardi e che il Gronlait Orienteering Team mette in scena ogni anno.
Diciamo
subito che l’edizione 2017 non poteva che celebrarsi sotto i migliori auspici.
Innanzitutto, nonostante l’anno in corso, ci arrivo a distanza di 10 giorni
dalle gare long in Primiero; di conseguenza sono abituato, o meglio so come ho
reagito solo pochi giorni prima, a uscite di quasi 3 ore in bosco (la follia è
nel fatto che so già che la Orienteering Marathon durerà il doppio…). La carta
di gara ideale per la O-Marathon è da sempre quella di Forte Cherle, appena
davanti nelle mie preferenze a Millegrobbe: dove si gareggia nel 2017? A Forte
Cherle. E poi c’è il sole: si parte con il fresco alle 9 e si arriva dopo le 14
ma non si dovrebbe patire né il caldo né la bufera. Infine quest’anno si parte
e si arriva nello stesso posto, il che magari fa perdere un po’ di fascino a
quel tipo di gara che prevedeva trasferimenti dai monti alle valli e poi ancora
ai monti fino ai paesi, ma consente (a chi non ha la fortuna di avere dalla
propria parte una “auto ammiraglia”) di poter lasciare gli indumenti in auto e
di ritrovarli appena tagliato il traguardo, cosa che a me avverrà dopo 5 ore e
35 minuti di gara in ottava posizione nella categoria over-35 maschile.
Due parole a
parte per le sante parole di Dario Pedrotti, vincitore
nella stessa categoria: “Il fatto che il manipolo non aumenti vuole
probabilmente dire che qualcosa nella formula non ha funzionato, ma chi c'è si
diverte sempre molto”. Io non sono così egocentrico da credere che ciò che
piace a me debba piacere per forza a tutti gli altri; assicuro però che io alla O-Marathon mi sono sempre divertito un
sacco: ci ho sempre scoperto qualcosa di me, ci ho sempre riversato un
sacco di energie (anche quelle che non sapevo di avere) e che il mio consiglio
è che tutti devono provare almeno una volta questa gara. Il fatto che io riesca
a finirla dovrebbe da sempre essere un indizio del fatto che chiunque, davvero
chiunque, la può finire!!! Non cambierei mai nemmeno la collocazione temporale
durante l’anno: è una gara estiva, è una avventura tra le montagne da fare
quando le possibilità di bel tempo sono più elevate. E’ una avventura e va
presa come tale, e sono davvero felice quest’anno di aver visto la
partecipazione di Gianni Guglielmetti, che non è allenatore della nazionale
svizzera per caso! Ovviamente è una gara nella quale quelli come me salutano
gli amici presenti al via PRIMA della partenza. Perché, come si è dimostrato
anche quest’anno, la stragrande maggioranza di coloro che sono schierati alla
partenza hanno preso la strada di casa, o hanno già le gambe sotto il tavolo,
prima del mio arrivo.
La gara, un paio di parentesi a parte, è stata
davvero bella. Sui pratoni per andare al triangolo di partenza mi sono trovato
già in coda al gruppo, ma il primo punto era posizionato esattamente dove
sapevo che fosse. I punti 2 e 3 li ho trovati un po’ per caso (con il senno di
poi devo dire che avevo proprio mirato giusto, ma nelle zone di rocce basta
girare attorno al sasso giusto nella direzione sbagliata per perdersi). In
uscita dalla 3 ho visto arrivare dall’alto anche Attilio e Roberta, e così da
quel momento abbiamo deciso di viaggiare “in trenino”. Per andare al punto 4
siamo scesi lungo il sentiero fino al recinto, per poi prendere la “tangenziale” fino al ristoro e poi risalire il costone
fino al sentiero che ci ha portato alla 4. Nuovo trasferimento aggirando il
costone e le rocce fino al punto 8, dove siamo arrivati un po’ troppo a
sinistra ma ci siamo riposizionati subito, e poi nessun problema fino alla 18.
Dalla 18 alla 22, ma direi in
particolare sulla 20 e sulla 21, sono stati problemi grossi, di dimensioni
paragonabili a quelli dei massi che popolano “la Norvegia del Kerle”. I primi
due punti sono andati via ancora ancora abbastanza lisci, ma per arrivare alla
20 abbiamo dovuto attraversare una zona allucinante di sassi, scalate e discese
in corda doppia nelle spaccature tra un sasso e l’altro, ed il punto lo abbiamo
trovato veramente per caso. Alla 21 la frase “c’era il sentiero” non me la può
dire nemmeno chi guarda la carta dal
divano di casa: semplicemente il punto era irraggiungibile e lo abbiamo
trovato solo gettando uno sguardo nel vuoto (per chi non soffre di vertigini)
da tutti i sassoni soprastanti. Dopo che abbiamo trovato a 21 e tirato un
sospiro di sollievo (soprattutto per la nostra incolumità… in fondo eravamo già
a 3 ore di gara e quindi con una lucidità limitata), la 22 è andata via quasi
liscia.
Al cambio carta Roberta si ferma,
mentre Attilio ed io proseguiamo dopo esserci assicurati l’un l’altro che non
avremmo forzato troppo con il rischio di ritrovarci esausti a tre quarti di
gara. Sostenuti dal tifo di alcuni amici che avevano già finito la gara,
ritorniamo sul pratone della malga e poi nel bosco. Tra la 3 e la 4, dopo aver
passato la borraccia a Fabio Daves che stava completando la sua gara in Elite,
riprendiamo la “tangenziale” e la 4 va via liscia. Capisco che sto avendo
problemi mentre vado alla 5 perché sento distintamente che il cervello si sta spegnendo, cosa che diventa palese alla 6 che
trovo solo grazie ad Attilio. La 7 per fortuna è sopra il sentiero, ma il
cervello si spegne del tutto mentre vado alla 8 (che è il punto 4 fatto
prima!): il bosco improvvisamente diventa buio e alieno, e mi prende una crisi di panico che riesco a placare soltanto con una
decisione drastica: tornare al rifornimento posizionato a nord.
Ritornare alla luce, fuori dal bosco e
in una zona “facile” mi calma e mi fa tornare quel poco di lucidità per
ritornare nel bosco e tornare alla 8 rifacendo la stessa strada fatta prima.
Alla 9 trovo Attilio che, visibilmente preoccupato, mi sta aspettando; da lì in
poi procediamo di conserva lungo i chilometri che ci separano dal traguardo,
evitando a malincuore di saccheggiare i
barbecue dei gitanti che troviamo nei pratoni a sud della strada: il
profumo di quelle costine, di quelle salsicce e di quella verdura grigliata avrebbe
potuto far fermare persino un maratoneta lanciato alla conquista della medaglia
d’oro olimpica!
Sbuchiamo insieme dal bosco prima del
traguardo proprio durante le premiazioni (e non è la prima volta nelle mie
O-Marathon!), in tempo per sentire Roberto Sartori che annuncia al microfono il
mio arrivo, poi quello di “Stefano
Galletti e un altro!” e poi quello di “Stefano
Galletti con un suo amico!”. Da quel momento abbiamo deciso che candidiamo Attilio
per il posto di Milite Ignoto!
E così mi sono messo in saccoccia un’altra
O-Marathon. Dall’anno prossimo potrei persino pensare di iscrivermi in over-50…
ma poi che ne sarebbe della mia (e non solo mia) “Avventura lunga un giorno”?
2 Comments:
Aspe', se ci sono le salsicce in campo gara, cambia tutto.
Garantisco che quei barbecue sono stati una tentazione molto forte!
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