Geiuocc 2025 – Ultimo giorno: fango, grandine e la frase che NON dovevo dire (ma l’ho detta lo stesso)
Ultimo giorno. Che solo a scriverlo mi viene ancora un po' di magone. Quando suona la sveglia, il programma della giornata sembra scritto da un folle in preda a un trip da caffè:
Staffetta maschile per le medaglie - staffetta femminile per
le medaglie (sì, quella gara che ha fatto più vittime psicologiche di un Gran
Premio di Montecarlo sotto il diluvio con i piloti tutti ubriachi) - premiazioni
(ho detto “premiazioni”? già qui parte il sarcasmo) - cerimonia di chiusura
(scaletta? ce l’ho io, solo io, inventata ieri sera sul retro di un volantino)
- VIP Race, ossia la “Corsa più Pazza d’Italia” ma con più fango, più gavettoni
e codici civili fatti a coriandoli - spectator race finale - premiazioni della
“Cinque Giorni” di contorno dei JWOC.
E infine la frase che non devo dire, la parola proibita che mi costerà (forse)
la scomunica federale.
Praticamente un’ordalia in cui l’unica opzione sensata
sarebbe guardare il bosco e dire: oggi passo, grazie. Ma no, io mi
infilo la divisa da speaker come un kamikaze si infila la fascia. E torno nel
bosco.
Appena rientro dal sopralluogo, la scena è surreale: Henrik e
Alessandro armati di pala e piccone come due pionieri. Se il CEO dell’IOF scava
buche alle otto del mattino, o stiamo cercando l’oro o stiamo per girare una
puntata di Telefono Giallo: Edizione Orienteering.
In effetti Henrik mi riporta alla realtà. La partenza è un
imbuto in discesa che sfocia in un “Eau Rouge” di vegetazione: un metro di
passaggio nel buio, fosso trasversale, pendenza da far saltare le otturazioni.
Se ci provo io, tibie e peroni li ritrovano a Pergine. Henrik mi prende da
parte, tono da predica: “Stefano, devi dirgli di partire piano. Così
evitiamo ossa rotte in fondo alla discesa.”
Traduzione: “Vai da Verstappen e spiegagli che non è il caso
di spingere sull’acceleratore in partenza… ma è solo un consiglio.” Sì, certo.
Io, come un giullare mandato al patibolo, vado dai primi
frazionisti. In scena entra Jakob Knoef, bello come Paul Newman e con
altrettanta autostima. Annuncio: “Partite piano, parola del boss IOF”. Parte
una catena di sguardi, ghigni, risatine. Jakob e Faddei – ucraino, specialità
humour macabro – si scambiano commenti in un dialetto inventato, radunano altri
e in tre secondi l’atmosfera è da cabaret. Jakob si gira verso il gruppo e, da
vero imbonitore: “Ok ragazzi, è chiaro? DOBBIAMO PARTIRE PIANO! Is it
alright??” Poi verso di me: “Tranquillo Stefano, in fondo alla discesa
ho già 50 metri di vantaggio”
Fine dello sketch. Applausi. Crederci? Solo se credete alle
renne che volano.
Quindici minuti alla partenza. Io sono in mezzo ai ragazzi e tengo
in mano la mappa chiusa, e un britannico ingenuo: “Ma quella è la mappa di
oggi?”. Apriti cielo: parte il grido “LUI HA LA MAPPA!” e in un lampo sono Tom
& Jerry versione JWOC: io che fingo di scappare, loro che fingono di
inseguirmi. Trenta secondi di pura farsa prima della Partenza Mondiale. Solo ai
JWOC. Solo in Italia.
Henrik riappare: “Hanno capito?” Certo Henrik. Partiranno
piano. Come un Razzo Saturn V.
La corsa decolla a due e quaranta al chilometro (altro che
piano). La Repubblica Ceca implode in prima frazione, Svizzera e Svezia
dominano. Finale da thriller: Berger contro Mogensen.
Mogensen, punto spettacolo, panico cosmico: gira in tondo come una trottola,
sembra rientrare nel bosco. Io – vigliacco o saggio – dalla postazione speaker non
dico nulla, segno la Svizzera come vincitrice nel mio “cassetto mentale”.
Poi il colpo di scena: i cameramen Marco e Fabio, che per
tutta la settimana hanno inseguito 150 ragazze (divertendosi, spero) e 180
ragazzi (divertendosi meno) mostrano Mogensen di spalle che filtra tra gli
alberi a velocità Warp. Io, sul filo dell’infarto, azzardo: “Forse la gara non
è finita!”. Appena la traccia fa una curva, due metri davanti si rivede Berger.
Ultimo punto: Berger a destra, Mogensen a sinistra. Io la sparo, o la va e
divento un eroe o la spacca e resto un cialtrone: “La scelta buona è a
sinistra!”. Mogensen sbuca sul sentiero, Berger a ruota, ma non basta: Mogensen
taglia il traguardo con un niente di vantaggio ma sufficiente per vincere il Mondiale.
Si scrolla di dosso i compagni, Berger lo abbraccia: Only in Orienteering.
La staffetta femminile minaccia di essere l’edizione sportiva
di uno show “Tutto e il contrario di tutto”? No, non è una minaccia, va sempre
a finire così! La Cechia implode in prima frazione (ancora?!?). Svizzera 1 e 2
lottano, Norvegia decimata: Ingeborg Mosland non parte. Io annuncio a beneficio
degli spettatori: “Norvegia fuori.” Arriva la coach norvegese in pieno delirio
di onnipotenza: “Così deconcentri le altre!” Già, come se a un Mondiale
bastasse un microfono per devastarti la psiche. Karma istantaneo contro la
Norvegia: Minna Wingstedt al cambio non trova la compagna, come o peggio che
alle nostre staffette regionali. Norvegia KO senza aiuto mio.
Gran finale: Freja Hjerne dimentica il punto spettacolo, esce
dall’arena, rientra, punzona, rientra di nuovo. La Svizzera vince, reclami
respinti (giustamente). Chi si lamenta, faccia le gare in un bunker. Ma intanto
vanno analizzati, ed il tempo passa. Mentre IOF, FISO e dodici assessori si
aggirano come anime in pena, l’arena diventa un ufficio reclami aperto H24.
Tutti vogliono premiare qualcuno:
“C’è l’assessore di Cervonio sul Paguro che poi deve andare
alla fiera della mucca da latte…” NOOO!
“C’è il Presidente che si aspetta di dire le sue frasi ad
effetto prima di andare a casa…” NOOO!
“C’è Fugatti…” NOOO, portatelo al buffet!
Una signora elegante dell’entourage del Presidente della
Provincia mi stringe la mano per i complimenti, poi la ritira con disgusto:
sono sudato come una fontana. Intanto riesco pure a improvvisare su arrivi
improbabili, tipo Anna Green e Yui Takagi. Qualcuno urla impunemente “Nomi
inventati!”, ma non sanno che Giovanni Greco questa battuta l’ha già usata, ci
ha scommesso sopra e mi deve ancora un caffè.
Parte la VIP Race: i coach diventano bersagli mobili, i
ragazzi lanciano di tutto, anche i regolamenti federali. Vengono lanciati
acqua, birra, fango, gazebi, striscioni, transenne. La spectator race si corre
sotto la grandine. Marton Csoboth ruba il microfono e annuncia una beer relay: per
informazioni, cercate gli ungheresi.
Le premiazioni scorrono su scaletta “Made by Stegal”, l’IOF
annuisce, il pubblico applaude, io piango un po’ quando vedo comparire le
coroncine di fiori. La “Cinque Giorni” distribuisce biscotti tra grandine,
assenze e amici che ritirano premi per altri. Il caos torna ordine, quasi.
E così finisce: una settimana di panico, fango e gloria che,
inspiegabilmente, fila liscia. Ma qualcuno, da mesi, mi ripete: “Non nominare
quell’altra gara. Non dirlo”.
Certo. Come dire a un bambino di NON premere il grosso bottone rosso.
“Signore e signori, questi sono stati i JWOC 2025, il
circo più improbabile e meraviglioso dell’orienteering. Ma la ruota non si
ferma: tra quarantotto ore, a Madonna di Campiglio, si ricomincia. Se non vi
sta bene, fatemi pure causa. Io sarò lì, con il microfono e una birra in mano”
In qualche ufficio federale, capelli strappati a ciocche. Cala il sipario. E così sia: “Solo ai JWOC 2025. La più grande avventura di sempre”.
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