Chioggia, Mirano e l'insegnamento di (o del) Galilei
Le gare di orienteering hanno tutte una cosa in comune. Tutte. Che si tratti del Campionato del Mondo o della promozionale di paese dove il ristoro è gestito dal circolo bocciofilo e il premio è un salame. Non sto parlando del fatto che l’orienteering è uno sport bellissimissimo – anche se lo è, e pure parecchio di più – fatto da persone speciali che forse è vero che attaccano il cervello solo al clear & check, ma di certo non lo staccano quando tagliano il traguardo.
È uno sport in cui nelle gare sprint ti scanni ogni secondo per
quindici o venti minuti e poi, appena arrivi, fai high five con quello
che ti ha appena dato due minuti di distacco. Gente strana, gli orientisti: competitivi
come pirati in cerca di tesori, altruisti con la bussola ed il chip.
Ma ecco il punto: ogni gara di orienteering, per quanto ben
congegnata, ha una percentuale intrinseca di catastrofe. È fisica pura.
Galileo lo direbbe così: “Eppur si sbaglia.”
Soprattutto se la gara si svolge in centro storico, cioè in quell’habitat
naturale dove convivono vicoli, turisti in modalità selfie, comitive guidate da
professionisti con l’ombrello alzato e signore del posto con il carrello della
spesa che ti attraversano davanti proprio quando tu sei impegnato a leggere la
descrizione punto.
Aggiungiamoci che per l’italiano medio, “sportivo” è sinonimo
di “quello dentro uno stadio \ una piscina \ un campo da tennis \ hanno
bloccato la strada per questi che corrono o pedalano eccetera”. Quindi, quando l’italiano
medio vede orde di alieni in calzoncini fluorescenti con una mappa in mano che
urlano “occhio!!!!” e tagliano a tutta velocità tra i tavolini del bar, pensa
subito: “Ma proprio oggi dovevate venire a rompere le scatole? C’è il sole, si
mangia bene, i locali sono pieni, e voi? Con le vostre lanterne e… uno SPEAKER
che parla da solo per ore come se fosse all’assemblea degli Alcolisti Anonimi?
TACETEEE!”
Ecco, questo è il rischio. È ciò che ogni settimana sfiora
chi organizza una gara.
Ma non a Chioggia e Mirano. Perché grazie all’Orienteering Galilei, e in
particolare a Federica Anedda, quello che poteva essere il solito “esperimento
sociale” si è trasformato in un capolavoro organizzativo degno del telescopio
del Maestro Galileo. Federica ha fatto ciò che Galileo fece con i pianeti: li
ha previsti (io che sono laureato in astrofisica posso dirlo senza tema
di smentite). Ha pensato all’imprevisto, al prevedibile e al catastrofico.
E l’ha fatto PRIMA. E questo, nel nostro sport, è spesso raro (esempio di due
parole messe in fila che hanno significati opposti). Per questo motivo vorrei
aver registrato le parole dell’altro speaker, Andrea “il Maestro” Rinaldi, che
tra un fiatone e l’altro (scusa Andrea!) ha ricordato a tutti che dietro una
gara riuscita c’è chi lavora come un dannato perché tu possa perderti con
stile.
Io, dal canto mio, ero quello con il microfono che parlava
troppo — il parvenu del decibel, uno che è finito lì per sbaglio, tipo un
alieno a cui hanno dato il telecomando della NASA dicendo: “Premi un tasto
qualsiasi”. E l’ho fatto. Per ore.
Sabato, Chioggia. La piccola Venezia che non ti perdona. Il
corso principale è più affollato della spiaggia di Pinarella a Ferragosto. Un
dedalo di calli, ponti, turisti e locali dove il profumo di fritto misto si
mischiava al sudore degli atleti. Tracciati di Luca Rosato: puliti, brillanti,
cattivi al punto giusto. Finalmente un percorso in cui anche io potevo vedere
la tratta intera senza dovermi fermare ogni trenta secondi a chiedermi se
quella calle lì è questa o quell’altra con lo stesso nome. Sublime.
Domenica. Mirano. La domenica del villaggio (con sprint
annessa). Atmosfera da domenica mattina italiana, piazza elegante, colazione
nei bar, pubblico incuriosito. Anche qui, Rosato & Co. hanno tirato fuori il meglio: cortili segreti
aperti per l’occasione, trappole cartografiche piazzate come mine
anti-intuitività e barriere perfettamente collocate nel punto in cui non
avresti dovuto passare. Io ci sono cascato, ovviamente. “Ops… devo fare il giro
del fullo”. Punizione divina per chi non osserva bene. Galileo mi avrebbe
detto: “Non è che il punto si muove, sei tu che non guardi bene”.
Il resto? Il resto è il bello dell’orienteering: chi vince
allo sprint, chi perde di un soffio ma si congratula, chi arriva in
centordicesima posizione e non fa seppuku per aver mancato la lanterna di due
metri. C’è stato tutto: le volate di Jessica e Caterina, di Sebastiano contro Tommaso, di un altro Tommaso contro Marco, di Lorenzo contro Gabriele. L'arrivo in parata del Gaja Padriciano. E
persino la presenza di Tove Alexandersson, che è come dire che Michael Jordan è venuto a fare
due tiri nella palestra del dopolavoro ferroviario. Insomma: roba grossa.
Alla fine resta solo una voce che si perde nel vento — la mia
— e il ricordo di due giornate perfette, in cui tutto poteva andare storto e
invece no. Non un disastro. Minimi inciampi di minima rilevanza. E la prova
che, quando dietro c’è chi pensa come Galileo (“misura ciò che è misurabile
e rendi misurabile ciò che non lo è”), anche una gara di orienteering nel
cuore di Chioggia può sembrare un esperimento scientifico riuscito.
E così, alla fine, niente disastri, niente tragedie, niente
turisti travolti da atleti impazziti con la testa sulla mappa. Due giorni
perfetti, organizzazione praticamente impeccabile, tracciati geniali, gente
felice. Io? Ho parlato troppo, come sempre. Ho urlato nei microfoni come se
stessi lanciando un razzo della NASA con una pila stilo. Ma sapete una cosa? Stavolta ne è valsa la pena.
Perché se l’orienteering è l’arte di perdersi con stile,
l’Orienteering Galilei e tutti i suoi collaboratori esterni sono riusciti a
dimostrare che si può davvero trovare l’ equilibrio tra una lanterna, un ponte e
un fritto misto.
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