Stegal67 Blog

Wednesday, August 04, 2010

C’è sempre qualcosa di strano nell’ultima tappa dell’Oringen.
E’ un evento così grosso, per gli standard orientistici cui siamo abituati, che sembra impossibile che improvvisamente si respiri una aria come di “sbaraccamento”...
E’ una manifestazione così imponente, così grandiosa, così piena di colori e di festa che diventa quasi malinconico e persino negativo pensare che di lì a pochissime ore il campeggio O-Town si svuoterà di botto, che tutti i capannoni promozionali della O-Town stessa saranno smantellati.
Anche il padiglione di accoglienza dove abbiamo ritirato le iscrizioni, preso i volantini delle più importanti gare del mondo e visto i campioni del mondo andare a firmare gli autografi ai bambini è stato svuotato di luci e ci sono solo gli operai al lavoro.

L’aria di smobilitazione, di “tutti a casa” si registra già all’hotel. Gli svedesi, che sono il 90% se non di più dei concorrenti in gara, rientreranno nelle loro città già nel pomeriggio: la fila al check-out parla da sola nella mattina dell’ultima tappa; da domani lo Scandic di Orebro-Vast accoglierà i bridgisti impegnati nel torneo di Orebro (il pannello luminoso lungo l’autostrada E18 che dava il benvenuto ai partecipanti all’Oringen, già il giorno prima aveva sostituito la notizia della nostra gara con quella del torneo di bridge) e le solite comitive di turisti giapponesi che se fossero arrivati il giorno prima avrebbero sgomitato per la colazione in mezzo alle più variopinte tute Trimtex...

L’ultima tappa dell’Oringen, per chi come me occupa all’incirca la posizione 190 in classifica, non significa nulla di speciale se non la possibilità di vedere con i miei occhi chi sono i concorrenti che hanno battagliato con me per 4 tappe per ottenere un cotanto risultato globale! Fuori dalla caccia, infatti, i concorrenti partono ogni 15 secondi l’uno dall’altro; così Marco, che sta 20 posizioni davanti a me, parte 5 minuti prima, mentre Attilio parte esattamente 60 secondi dietro a me.

L’H40, purtroppo, ha anche un’altra caratteristica che avevo già provato sulla mia pelle nel 2007 a Mjolby: è una delle categorie a più alto numero di partecipanti, ed è anche una delle categorie la cui caccia parte più tardi. Il che vuol dire una cosa che aggiunge ancora più malinconia a tutto: al mio arrivo, non ci sarà praticamente più nessuno sul campo di gara.
Immaginate cosa vuol dire arrivare al traguardo, anche in 190° posizione, quando gli Xmila presenti sono tutti ancora ai bordi dell’arena, o nel bosco... puoi essere il decimo o il millesimo in classifica e ti trovi in mezzo ad una marea di concorrenti che vengono letteralmente catapultati a mucchi fuori dal bosco; le immagini che le telecamere fisse a circa un chilometro dal traguardo proiettano sul maxischermo mentre cercano i leader delle classifiche parlano da sole: non sembra l’arrivo di una gara di orienteering ma di una Stramilano. Ci sono bambini, ci sono Elite e supermaster. Ci sono quelli con i pettorali della caccia che si danno battaglia e ci sono quelli con i pettorali normali (la loro caccia sarà partita alle 9 del mattino) che arrivano insieme ai primi e possono sentire e respirare l’adrenalina...
La mia caccia parte alle 11.20. Io parto alle 13.05. Se anche sono bravo e ci metto poco più di un’ora, non sono al traguardo fino a dopo le 14... in pieno sbaraccamento, appunto.

Il bosco ed il tempo ci mettono del loro.
Pochi minuti prima della partenza incontro il mio amico Cristian Olivestam del Vimmerby OK: mi dice che il bosco dell’ultima tappa è il peggiore ed il più brutto della 5 giorni. Tutte paludi, solo fango ed acqua. Considerato il fatto che passerò dove sono già passati migliaia di piedi, le paludi saranno ancora più enormi e profonde...
Il tempo? Alle 12.55, semplicemente, comincia a diluviare. E’ un fuggi fuggi di concorrenti a ripararsi sotto le piante che circondano l’arena di partenza... l’unico felice è Marco che apprezza sempre le condizioni “fresche” e che farà proprio nell’ultima tappa un garone tale da mettere in pericolo il mio famoso record della 99° posizione di tappa nel 2004.

Attilio, che nel frattempo ha fatto amicizia con turco Aydun, ed io abbiamo già deciso che faremo insieme la prima parte di gara e poi vedremo il da farsi man mano. Il mio minuto di vantaggio lo passo così alla lanterna svedese, dove sotto il diluvio cerco di infilare la cartina nella busta di plastica già zuppa di acqua (nei giorni precedenti l’imbustamento avveniva sotto le tende della partenza, con gli addetti che ti aiutavano... oggi lo faccio da solo, nel fango, sotto l’acqua e cercando di non stare tra i piedi degli altri concorrenti!). Sarà questo, quasi, il momento più complicato della prova...

Con Attilio al controllo ed una buona collaborazione in zona punto non è un problema venire a capo dei primi punti. Le paludi sono effettivamente enormi e, dopo le prime due tratte passate a cercare di non infilarsi nel fango fino alla vita, Attilio da dietro mi segnala che prima o poi non potremo più evitare il peggio e quindi tanto vale infilarsi dritto per dritto negli oceani di fango e melma che si estendono davanti a noi... e c’è un bel po’ da sguazzare!

Sbaglio il sesto punto, o meglio sbaglio il trasferimento verso il sesto punto finendo lunghissimo ma mi rimetto in carreggiata attaccando molto bene quello stesso punto (un cocuzzolo invisibile in mezzo al verde); al settimo punto, che sta in mezzo ad una lunghissima fase di trasferimento di quasi un chilometro, Attilio mi invita ad allungare.

Lo saluto dicendo “ci vediamo su uno dei prossimi punti” e sarò buon profeta (e cattivo orientista)!!! Faccio bene infatti il punto 8, ma sul 9 finisco corto e storto e vago a lungo in zona punto; tornando indietro, incrocio proprio Attilio il quale cerca invano di convincermi che siamo corti, ma io proseguo all’indietro (allontanandomi quindi ancora di più dal punto) per cercare di rilocalizzarmi.

Quando ci riesco, capisco che Attilio è parecchio avanti a me... trovo ora facilmente il punto 9 e poi arrivo alla 10 qualche secondo dopo il mio compagno di staffetta. Ma è l’ultimo punto tecnico. Ora ci aspetta solo un altro lungo trasferimento sul quel sentiero che avevamo visto sul maxischermo percorso da centinaia di concorrenti, solo che ora praticamente ci siamo solo noi due... ci diamo il ritmo a vicenda ed arriviamo quasi insieme sulla 500 che prelude all’ultimo rettilineo finale, l’ultimo di questa mia terza Oringen.

Come prevedibile, in zona traguardo non c’è quasi più nessuno. Le voce degli speaker hanno lasciato il posto al silenzio, metà delle stazioni del finish sono state già ritirate e i ragazzi encomiabili dello scarico sicard stanno solo aspettando l’arrivo degli ultimi panzoni. Anche in zona ristoro sono rimaste solo tre rastrelliere con qualche bicchiere colmo d’acqua riempito dagli ultimi irriducibili ed instancabili volontari...

Sono gli ultimi fotogrammi della mia Oringen, purtroppo sono un po’ malinconici. Forse questo è dovuto al fatto che mi dispiace porre fine ad una così bella avventura... Una avventura che adesso lascia lo spazio ai commenti ed ai ricordi che ci scambieremo nelle lunghe serate invernali; a cominciare dal consueto “Lunedì, piuttosto che essere al lavoro, preferirei affrontare ancora le paludi!”. Garantisco che è proprio così: sono bastati tre giorni in ufficio, in trasferta per di più, e posso garantire che nella ma testa quelle paludi mi mancano già...

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