(credit for the photos: Davide Volpi)
Tornare nella torrida Milano dal fresco della Gschnitztal non è proprio come passare dal Paradiso all’Inferno ma poco ci manca! Probabilmente le porte dell’Ade che si aprono in corrispondenza del casello di Agrate Brianza, con la scritta “Lasciate ogni frescura voi ch’entrate” rappresentano la pena del contrappasso per chi, durante la 6 giorni del Tirolo, non ha fatto altro che mangiare wurstel e wienerschnietzel e bere birra a fiumi (con qualche passaggio a “succo di lampone” detto anche lagrein...); tutto poi viene sudato e patito nei chilometri su chilometri macinati per andare in partenza!
O è la penitenza per tutte le volte che ho pensato “Questa è la multi-days più dura che io abbia mai fatto... e chi me lo ha fatto fare?”.
Oppure per tutte le volte che ho riflettuto che si vabbé Minna Kauppi è una amica... però Josefine Engstroem o Liis Johansson non sono mica da meno! (una persona piazzate moooolto in alto a livello organizzativo condivide in pieno il mio parere...).
Stavolta ho pensato che devo trovare una definizione per le tappe dalla seconda alla sesta, una specie di titolo breve per ciascuna delle sei stazioni da Via Crucis sulle quali ho zoppicato, imprecato, maledetto ed anche beatificato la mia caviglia chepur mi ha consentito persino qualche sprint decente (se non altro perchè “la soglia di sopportazione del dolore sta a livello del caterpillar...”)
Seconda tappa = “Middle coi fiocchi”.
Una middle (e sottolineo middle) by Rudi Mair nella zona più sassosa e più tecnica attorno al Lago di Carezza: una vecchia frana del pleistocene o giù di lì cui è cresciuta attorno un rognosissimo verde due, nel quale “Rudi no limits” ci scaraventa addosso un cambio di direzione dietro l’altro come ben si confà alle gare middle, una sequenza di lanterne in mezzo alle buche ed ai dossi naturali formati dal terreno roccioso sottostante... ed è un miracolo se la mia caviglia tiene ancora dopo centodue minuti di gara (middle...).
A proposito di caviglie... non ho mai visto così tante caviglie fasciate, gessi, stampelle come a questa 6 giorni! Mi sa che il reparto ortopedia di Bolzano e quello di Innsbruck hanno fatto gli straordinari (in merito a quello austriaco, gli straordinari in un caso almeno se li sono andati a cercare senza motivo... ‘sti austriaci). Ma la palma del coraggio e della tenacia va di diritto, d’ora in avanti, ad una W60 o W65 che ha affrontato il percorso con due bastoni a mo’ di stampelle e che sul muro finale (un muro di almeno 40 metri di dislivello a picco per ritornare in zona arrivo) si mette carponi e rifiutando l’aiuto di chicchessia scala quello che finisce per essere un autentico Everest.
Nella seconda tappa comincia a delinearsi il mio duello con Davide “The Fox”, che sarà anche a corto di gare ma continua a tallonarmi da vicino dopo la prima tappa nella quale ci ha diviso solo una manciata di secondi. Questa volta, su un terreno più tecnico, metto a frutto tutti i cinque sensi: che non sono dire fare baciare... ma tatto per capire se la cosa cui mi appoggio è una roccia o un cocuzzolo, olfatto perchè anche gli orientisti hanno da puzzà e quindi qualcuno lo si segue senza nemmeno vederlo, ecc.ecc. Il gusto lo tengo per il dopo gara nel quale mi sgargarozzo (io che non mangio e bevo mai per almeno 3 ore dopo la gara): 3 panini, un supersalsiccione, due magnum di birra ed il suddetto succo di lampone trattato con l'uva della piana rotaliana...
Finita la seconda tappa, nemmeno il tempo di rifiatare con la caviglia ed è già il momento di temere per la terza tappa. Il titolo è “Uno spot per l’orienteering”. Dimenticatevi il gruppetto di lupi maschili all’inseguimento di Elisa Granetto, dimenticatevi Emiliano ed Elisa che corrono su per la Predaia o il “tajon tattico” di Gianluca Salvioni su pista.
Lo spot per l’orienteering è il bosco di Nova Ponente e la long di Dario Beltramba: portare uno qualunque dei 6 miliardi di sciocchi che popolano il pianeta a correre a Nova P. il martedì della terza tappa, in quel bosco e con quel tempo, e quell’uno qualunque tornerà sicuramente alla prossima gara! Nella quale dirà... “Ma che fine ha fatto il muschio, il sole, le dolci pendenze, i punti nei posti più pittoreschi del bosco?”.
Tutto questo è made by Dario Beltramba, in una long nella quale parto tardi e quindi mi godo dal bosco la “caccia” degli Elite e delle Elite che mi incrociano, e di cui ricorderò la sceltona long che consente a noi impiegat-pasticcion-panzottelli di scegliere tra un larghissimo giro in costa ripassando in zona arrivo, con annessa scena “Mi dici dov’è l’ultima lanterna?” “Echenesoio... non sono manco a metà gara!” o la discesa ardita e risalita a fare i 300 metri di dislivello previsti dal programma.
Chiudo in bello sprint, ma con un’altra caviglia segata, in 106 minuti e aspetto di capire come va il duello Polzer-Laakso che ho finito per condizionare “Where is the 81?” “There a little marsh at my back...” con Nina che molla il treno e va a punzonare ed Ursula che fa come i francesi nella canzone di Paolo Conte... e mentre aspetto arriva Davide “The Fox”: o ha fatto un garone o è a metà gara. Giusta la prima! Becco 20 minuti dico 20 dal mio super compagno di squadra che alla vera metà gara era giusto a due minuti da Rusky, ed è già tempo di riflettere sul da farsi con le mie due caviglie martoriate.
Quarta tappa. Si va in Austria. “Inferno e paludi”.
Caro Sig, Roman Slobononmiricordopiù... Va bene... tu sei sicuramente un grande cartografo ed un grande orientista. Ma porca pupazza! Il verde 3 (fattoriale) non si usa più??? Il verdino a righine tenui sul bianco NON E’ l’inferno che abbiamo attraversato nella tratta 4-5...
Definizione di inferno. Dicesi inferno quel posto nel quale ci sono a terra circa 1 metro o più (o anche meno) di alberi secchi tagliati fini... un delirio di fatica, imprecazioni, incredulità diffusa in una tratta da fare in costa nella quale l’unico pensiero era “Finirà prima o poi ‘sto inferno..:”. Il povero Peter Braun a 3 metri da me fa un volo nella rumenta che solo lui sa come ha fatto a venirne fuori (non grazie a me, che avevo già i miei problemi e che per fare quei 3 metri ci avrei messo 3 minuti).
Chi c’era può capire. Chi non c’era vada a farsi un giro sulla carta di HochSerles e poi ne riparliamo... Il bello è che all’uscita da quel delirio le menti sono così ottenebrate che si finisce per sbagliare anche il punto più facile! Ma non è orienteering, bensì una roba da sadomasochisti.
Paludi.
La seconda parte di gara prevede di mettere i piedi in tanto di quel fango da ricordare la ritirata di Russia... nulla da dire di tutto ciò, se non fosse che tra l’attacco della 8 e la 11, con una 9-10 da fare in costa, scendiamo a picco di 51 (cinquantuno.... fiftyone...) curve di livello e nelle successive due ne riguadagniamo di botto 26.
Il mio momento di massima gloria arriva sulla 13 dove quasi svengo per la fatica ed il male al piede ma devo fare il maschione italico in quanto si avvicina di gran carriera miss Katja Peltola (ora sposata al mio amico Asgeir). E quando dico miss, intendo Miss... peccato solo che sparisca come un lampo nel bosco!
Comunque, caro Sig. Roman, all’arrivo della quarta tappa il sondaggio messo in piedi da una certa concorrente del GOK-team “Rudi Mair: impiccagione o sedia elettrica” ti vede in ampio vantaggio... Rudi ci appare ora come un simpatico burlone persino troppo blando!!!
In serata, Radio Austria segnala una alluvione di fango abbattutasi su Steinach im Tirol... le cause vanno ricercate nei tre orientisti rispondenti ai nomi di Rusky, Stegal e The Fox che sono andati a sciacquare i panni lerci nelle acque cristalline del torrente prospiciente la loro cuccia! (purtroppo o per fortuna non sono disponibili foto dell'evento...).
Quinta tappa.
La quinta tappa non ha titolo. Quello che ricordo della quinta tappa è il cambio di abito della signorina Liis dopo la gara. Che potrebbe anche farmi dimenticare una bella middle a Bellamonte! Ma non è questo il punto... Una middle non dovrebbe avere qualche cambio di direzione? Qualcosa di tecnico? Primo punto facilotto in costa dopo un sentiero. Secondo terzo e quarto punto a scendere per la linea di massima pendenza e c’è sempre un bel punto d’attacco nemmeno tanto puntiforme (un fiume, una paludona, una specie di pista da sci). Poi 5, 6, 7, 8, ecc.ecc. in costa pura... e quando vedo il settimo punto da 150 metri di distanza, capisco che insomma stavolta posso anche chiudere attorno all’ora ma non per merito mio.
La gara prevede anche 155 metri di dislivello teorico. Tutti negli ultimi 3 punti. Mi pare di averli contati, ma sono proprio quei 155 metri. Mah?!? E sarebbe anche campionato austriaco...
O è la penitenza per tutte le volte che ho pensato “Questa è la multi-days più dura che io abbia mai fatto... e chi me lo ha fatto fare?”.
Oppure per tutte le volte che ho riflettuto che si vabbé Minna Kauppi è una amica... però Josefine Engstroem o Liis Johansson non sono mica da meno! (una persona piazzate moooolto in alto a livello organizzativo condivide in pieno il mio parere...).
Stavolta ho pensato che devo trovare una definizione per le tappe dalla seconda alla sesta, una specie di titolo breve per ciascuna delle sei stazioni da Via Crucis sulle quali ho zoppicato, imprecato, maledetto ed anche beatificato la mia caviglia chepur mi ha consentito persino qualche sprint decente (se non altro perchè “la soglia di sopportazione del dolore sta a livello del caterpillar...”)
Seconda tappa = “Middle coi fiocchi”.
Una middle (e sottolineo middle) by Rudi Mair nella zona più sassosa e più tecnica attorno al Lago di Carezza: una vecchia frana del pleistocene o giù di lì cui è cresciuta attorno un rognosissimo verde due, nel quale “Rudi no limits” ci scaraventa addosso un cambio di direzione dietro l’altro come ben si confà alle gare middle, una sequenza di lanterne in mezzo alle buche ed ai dossi naturali formati dal terreno roccioso sottostante... ed è un miracolo se la mia caviglia tiene ancora dopo centodue minuti di gara (middle...).
A proposito di caviglie... non ho mai visto così tante caviglie fasciate, gessi, stampelle come a questa 6 giorni! Mi sa che il reparto ortopedia di Bolzano e quello di Innsbruck hanno fatto gli straordinari (in merito a quello austriaco, gli straordinari in un caso almeno se li sono andati a cercare senza motivo... ‘sti austriaci). Ma la palma del coraggio e della tenacia va di diritto, d’ora in avanti, ad una W60 o W65 che ha affrontato il percorso con due bastoni a mo’ di stampelle e che sul muro finale (un muro di almeno 40 metri di dislivello a picco per ritornare in zona arrivo) si mette carponi e rifiutando l’aiuto di chicchessia scala quello che finisce per essere un autentico Everest.
Nella seconda tappa comincia a delinearsi il mio duello con Davide “The Fox”, che sarà anche a corto di gare ma continua a tallonarmi da vicino dopo la prima tappa nella quale ci ha diviso solo una manciata di secondi. Questa volta, su un terreno più tecnico, metto a frutto tutti i cinque sensi: che non sono dire fare baciare... ma tatto per capire se la cosa cui mi appoggio è una roccia o un cocuzzolo, olfatto perchè anche gli orientisti hanno da puzzà e quindi qualcuno lo si segue senza nemmeno vederlo, ecc.ecc. Il gusto lo tengo per il dopo gara nel quale mi sgargarozzo (io che non mangio e bevo mai per almeno 3 ore dopo la gara): 3 panini, un supersalsiccione, due magnum di birra ed il suddetto succo di lampone trattato con l'uva della piana rotaliana...
Finita la seconda tappa, nemmeno il tempo di rifiatare con la caviglia ed è già il momento di temere per la terza tappa. Il titolo è “Uno spot per l’orienteering”. Dimenticatevi il gruppetto di lupi maschili all’inseguimento di Elisa Granetto, dimenticatevi Emiliano ed Elisa che corrono su per la Predaia o il “tajon tattico” di Gianluca Salvioni su pista.
Lo spot per l’orienteering è il bosco di Nova Ponente e la long di Dario Beltramba: portare uno qualunque dei 6 miliardi di sciocchi che popolano il pianeta a correre a Nova P. il martedì della terza tappa, in quel bosco e con quel tempo, e quell’uno qualunque tornerà sicuramente alla prossima gara! Nella quale dirà... “Ma che fine ha fatto il muschio, il sole, le dolci pendenze, i punti nei posti più pittoreschi del bosco?”.
Tutto questo è made by Dario Beltramba, in una long nella quale parto tardi e quindi mi godo dal bosco la “caccia” degli Elite e delle Elite che mi incrociano, e di cui ricorderò la sceltona long che consente a noi impiegat-pasticcion-panzottelli di scegliere tra un larghissimo giro in costa ripassando in zona arrivo, con annessa scena “Mi dici dov’è l’ultima lanterna?” “Echenesoio... non sono manco a metà gara!” o la discesa ardita e risalita a fare i 300 metri di dislivello previsti dal programma.
Chiudo in bello sprint, ma con un’altra caviglia segata, in 106 minuti e aspetto di capire come va il duello Polzer-Laakso che ho finito per condizionare “Where is the 81?” “There a little marsh at my back...” con Nina che molla il treno e va a punzonare ed Ursula che fa come i francesi nella canzone di Paolo Conte... e mentre aspetto arriva Davide “The Fox”: o ha fatto un garone o è a metà gara. Giusta la prima! Becco 20 minuti dico 20 dal mio super compagno di squadra che alla vera metà gara era giusto a due minuti da Rusky, ed è già tempo di riflettere sul da farsi con le mie due caviglie martoriate.
Quarta tappa. Si va in Austria. “Inferno e paludi”.
Caro Sig, Roman Slobononmiricordopiù... Va bene... tu sei sicuramente un grande cartografo ed un grande orientista. Ma porca pupazza! Il verde 3 (fattoriale) non si usa più??? Il verdino a righine tenui sul bianco NON E’ l’inferno che abbiamo attraversato nella tratta 4-5...
Definizione di inferno. Dicesi inferno quel posto nel quale ci sono a terra circa 1 metro o più (o anche meno) di alberi secchi tagliati fini... un delirio di fatica, imprecazioni, incredulità diffusa in una tratta da fare in costa nella quale l’unico pensiero era “Finirà prima o poi ‘sto inferno..:”. Il povero Peter Braun a 3 metri da me fa un volo nella rumenta che solo lui sa come ha fatto a venirne fuori (non grazie a me, che avevo già i miei problemi e che per fare quei 3 metri ci avrei messo 3 minuti).
Chi c’era può capire. Chi non c’era vada a farsi un giro sulla carta di HochSerles e poi ne riparliamo... Il bello è che all’uscita da quel delirio le menti sono così ottenebrate che si finisce per sbagliare anche il punto più facile! Ma non è orienteering, bensì una roba da sadomasochisti.
Paludi.
La seconda parte di gara prevede di mettere i piedi in tanto di quel fango da ricordare la ritirata di Russia... nulla da dire di tutto ciò, se non fosse che tra l’attacco della 8 e la 11, con una 9-10 da fare in costa, scendiamo a picco di 51 (cinquantuno.... fiftyone...) curve di livello e nelle successive due ne riguadagniamo di botto 26.
Il mio momento di massima gloria arriva sulla 13 dove quasi svengo per la fatica ed il male al piede ma devo fare il maschione italico in quanto si avvicina di gran carriera miss Katja Peltola (ora sposata al mio amico Asgeir). E quando dico miss, intendo Miss... peccato solo che sparisca come un lampo nel bosco!
Comunque, caro Sig. Roman, all’arrivo della quarta tappa il sondaggio messo in piedi da una certa concorrente del GOK-team “Rudi Mair: impiccagione o sedia elettrica” ti vede in ampio vantaggio... Rudi ci appare ora come un simpatico burlone persino troppo blando!!!
In serata, Radio Austria segnala una alluvione di fango abbattutasi su Steinach im Tirol... le cause vanno ricercate nei tre orientisti rispondenti ai nomi di Rusky, Stegal e The Fox che sono andati a sciacquare i panni lerci nelle acque cristalline del torrente prospiciente la loro cuccia! (purtroppo o per fortuna non sono disponibili foto dell'evento...).
Quinta tappa.
La quinta tappa non ha titolo. Quello che ricordo della quinta tappa è il cambio di abito della signorina Liis dopo la gara. Che potrebbe anche farmi dimenticare una bella middle a Bellamonte! Ma non è questo il punto... Una middle non dovrebbe avere qualche cambio di direzione? Qualcosa di tecnico? Primo punto facilotto in costa dopo un sentiero. Secondo terzo e quarto punto a scendere per la linea di massima pendenza e c’è sempre un bel punto d’attacco nemmeno tanto puntiforme (un fiume, una paludona, una specie di pista da sci). Poi 5, 6, 7, 8, ecc.ecc. in costa pura... e quando vedo il settimo punto da 150 metri di distanza, capisco che insomma stavolta posso anche chiudere attorno all’ora ma non per merito mio.
La gara prevede anche 155 metri di dislivello teorico. Tutti negli ultimi 3 punti. Mi pare di averli contati, ma sono proprio quei 155 metri. Mah?!? E sarebbe anche campionato austriaco...
Così succede che alla fine del monte Calvario i miei sensi registrano nell'ordine:
- l'incitamento dei miei compagni del GOK che mi indirizzano gli stessi frizzi e lazzi che io avevo rivolto loro un paio di ore prima "dai che è solo un falsopiano!" e così via...
- l'incitamento di Nostra Principessa Bionda dei Boschi del Primiero (la definizione non è mia ma di un fan che mi insulta ogni volta che non parlo così bene di Nicole...)
- la stazione nella quale infilare la sicard
- un caccone di mucca proprio mezzo metro dopo la suddetta stazione
... e penso ...
- non devo morire adesso
- ricordati di punzonare il finish
- quando ti lasci cadere un centimetro dopo il finish, vedi di schivare il caccone!!!
Missioni compiute.
Meglio aspettare dunque il dopo-gara, nel quale una mucca fa capolino a 3 metri da noi per grattarsi sui punzoni del percorso alla corda, nel quale Wolfgang Poetsch commenta a ruota libera i gol della Germania e nel quale la signorina Liis... ma questo non posso proprio raccontarlo.
Potrei invece raccontare quanto bello è correre sotto il Serles con un tempo del genere, ma la 6 giorni del Tirolo è stata proprio baciata dal bel tempo e se la riproporranno tra qualche anno temo che bisognerà affrettarsi ad iscriversi perchè il tetto massimo arriverà presto.
Potrei invece raccontare quanto bello è correre sotto il Serles con un tempo del genere, ma la 6 giorni del Tirolo è stata proprio baciata dal bel tempo e se la riproporranno tra qualche anno temo che bisognerà affrettarsi ad iscriversi perchè il tetto massimo arriverà presto.
E siamo arrivati alla sesta tappa.
Ultima fatica. Le gambe quasi non rispondono. I piedi si ribellano e ci sono dolori in ogni parte del corpo compresi certi punti che manco pensavo di avere. Tra me e Davide, 19 secondi. Nella quinta tappa infatti Davide salta un punto e perde tutto il suo vantaggio (mi avrebbe palato ancora di qualche minuto...). Bisogna quindi darsi da fare.
Sesta tappa. “Thomas Widmann uber alles!”.
Non so se si dice e se si può dire. Si corre all’Obernbergsee e la preoccupazione di molti, dopo 40 minuti di “agile sgambata” per arrivare in partenza, è di non riuscire nemmeno a vederlo questo benedetto e bellissimo laghetto alpino...
Primo punto. Giù in picchiata fino al lago! Con passaggio sui due ponticelli di legno che collegano le due anse nei punti di minima larghezza. Gli occhi si beano di tanto spettacolo della natura (Liis è un’altra cosa...) e chissenefrega se le gambe rognano! Il radar funziona a dovere ed i primi 9 punti nel labirinto di rocce e movimenti del terreno ad est del lago... sono praticamente la middle del giorno prima!!! In un altro posto, ma QUELLA è una middle coi fiocchi. Nella quale riesco incredibilmente a portare IO (impiegat-panzottell-pasticcione) sui punti qualcuno di quelli forti (come Asgeir...). Plauso a Thomas Widmann, ma poi è giunto il momento di soffrire, perchè dal decimo punto in poi si cominciano ad usare le pendenze della valletta formata dal lago: su da una parte per la linea di massima pendenza (la faccia paonazza di Sarah Jane Gaffney all’attacco della mia 12 è tutta un programma...), poi giù di nuovo abbomba sul lago e poi su dall’altra parte per un 500-600 metri su una costa durissima ed incredibile
Le due tratte le copio dal sito di Klaus “Sciaccaluga” che ha meritatamente vinto la 6 giorni
http://www.klausschgaguler.net/doma/show_map.php?user=sgaga&map=27
sarebbero la 20-26 e la 26-27...
Quando ormai anche il caterpillar ha raggiunto il limite massimo di sopportazione, è discesa! La 6 giorni volge al termine ed il passaggio nel torrentello di acqua cristallina e gelida è un toccasana per le articolazioni distrutte. 124 minuti il mio tempo, e ne vado fiero. Peccato per Davide, che proprio in occasione dell’ultima tappa crolla per disidratazione (i ristori in gara sono stati sacchieggtai molto presto fino all’ultima goccia...), ma lo considero vincitore morale della sfida, o almeno a pari merito con me.
Dopo i ringraziamenti di rito per l’organizzazione, che mi ha persino consentito di speakerare gli ultimi arrivi della 6 giorni provocando peraltro il panico di Nick Barrable che stava in cabina di regia e non capiva più di chi era la voce che berciava al microfono in italian-english... ora è tempo di riflettere. Vale la pena continuare a fare le multi-days in categoria, patendo l’impatibile e sudando 7elevatoallasesta camicie per un posto negli ultimi 5? O è meglio stare in una categoria più blanda, una MAshort o una MB, salvaguardando le caviglie e tenendo qualche energia per il dopo-gara?
Facciamo così. Ci penso all’Oringen. Durante la mia M40... per gli Highlands Open, infatti, c’è ancora tempo.
Ultima fatica. Le gambe quasi non rispondono. I piedi si ribellano e ci sono dolori in ogni parte del corpo compresi certi punti che manco pensavo di avere. Tra me e Davide, 19 secondi. Nella quinta tappa infatti Davide salta un punto e perde tutto il suo vantaggio (mi avrebbe palato ancora di qualche minuto...). Bisogna quindi darsi da fare.
Sesta tappa. “Thomas Widmann uber alles!”.
Non so se si dice e se si può dire. Si corre all’Obernbergsee e la preoccupazione di molti, dopo 40 minuti di “agile sgambata” per arrivare in partenza, è di non riuscire nemmeno a vederlo questo benedetto e bellissimo laghetto alpino...
Primo punto. Giù in picchiata fino al lago! Con passaggio sui due ponticelli di legno che collegano le due anse nei punti di minima larghezza. Gli occhi si beano di tanto spettacolo della natura (Liis è un’altra cosa...) e chissenefrega se le gambe rognano! Il radar funziona a dovere ed i primi 9 punti nel labirinto di rocce e movimenti del terreno ad est del lago... sono praticamente la middle del giorno prima!!! In un altro posto, ma QUELLA è una middle coi fiocchi. Nella quale riesco incredibilmente a portare IO (impiegat-panzottell-pasticcione) sui punti qualcuno di quelli forti (come Asgeir...). Plauso a Thomas Widmann, ma poi è giunto il momento di soffrire, perchè dal decimo punto in poi si cominciano ad usare le pendenze della valletta formata dal lago: su da una parte per la linea di massima pendenza (la faccia paonazza di Sarah Jane Gaffney all’attacco della mia 12 è tutta un programma...), poi giù di nuovo abbomba sul lago e poi su dall’altra parte per un 500-600 metri su una costa durissima ed incredibile
Le due tratte le copio dal sito di Klaus “Sciaccaluga” che ha meritatamente vinto la 6 giorni
http://www.klausschgaguler.net/doma/show_map.php?user=sgaga&map=27
sarebbero la 20-26 e la 26-27...
Quando ormai anche il caterpillar ha raggiunto il limite massimo di sopportazione, è discesa! La 6 giorni volge al termine ed il passaggio nel torrentello di acqua cristallina e gelida è un toccasana per le articolazioni distrutte. 124 minuti il mio tempo, e ne vado fiero. Peccato per Davide, che proprio in occasione dell’ultima tappa crolla per disidratazione (i ristori in gara sono stati sacchieggtai molto presto fino all’ultima goccia...), ma lo considero vincitore morale della sfida, o almeno a pari merito con me.
Dopo i ringraziamenti di rito per l’organizzazione, che mi ha persino consentito di speakerare gli ultimi arrivi della 6 giorni provocando peraltro il panico di Nick Barrable che stava in cabina di regia e non capiva più di chi era la voce che berciava al microfono in italian-english... ora è tempo di riflettere. Vale la pena continuare a fare le multi-days in categoria, patendo l’impatibile e sudando 7elevatoallasesta camicie per un posto negli ultimi 5? O è meglio stare in una categoria più blanda, una MAshort o una MB, salvaguardando le caviglie e tenendo qualche energia per il dopo-gara?
Facciamo così. Ci penso all’Oringen. Durante la mia M40... per gli Highlands Open, infatti, c’è ancora tempo.
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