Un M45 all'Oringen (in M40...)
C’è sempre qualcosa di strano nelle ultime due tappe dell’Oringen dopo la giornata di riposo. La buona creanza nei confronti della “Mecca dell’orienteering” vorrebbe che l’Impiegato Panzottello si astenesse del tutto dal contaminare coi suoi piedi simili terreni, o che in mancanza d’altro riuscisse a descrivere l’ambiente con pagine di epica prosa. Sul primo punto, nulla da dire: l’I.P. non ha vergogna di nulla (per info: http://www.gronlait.it/orientamento/details/2-o-marathon-2012.html ) e quindi “largo a lui!” anche sui sacri terreni svedesi. Per quanto riguarda il secondo punto non c’è spazio per l’epica dopo che l’I.P. ha letto l’ultima produzione del “Bardo” Dario Stefani (per info: http://www.erebusvicenza.it/%5Cpublic/VE3537_Trans%20d%27Havet%202012%20-%20Bardo.pdf).
Innanzitutto l’Impiegato Panzottello si chiede come diavolo riuscirà a correre le ultime due tappe long con i piedi in condizioni di sfacelo e le gambe elastiche come un palo della luce. E le ultime due tappe sono proprio long distance, nella zona militare del poligono vicino Halmstad… i francobolli di cartina visibili sulla brochure mostrano un misto di salite e di zone dettagliate; queste ultime non mi fanno paura, non sono mica venuto in Svezia per correre al Parco delle Cascine, ma le salite un po’ si! Il sole sopra la testa è blu come nemmeno nelle canzoni di Pupo e di Rino Gaetano, e facilmente si toccheranno i 28 gradi svedesi, cosa che potrebbe rendere la questione decisamente spinosa visto che l’ultima long che ho corso qua si è chiusa con un bel collasso.
Zona di arrivo e l’I.P. per prima cosa cerca il maledetto ponticello per capire dove dovrà versare le ultime energie, e non lo trova. Bravi svedesi! Per una volta hanno capito che non serve sempre mettersi a costruire ponti di Messina nel bosco per fare dell’Oringen una vera Oringen… errore: il ponticello ci sarà, sarà a circa 500 metri dalla linea del traguardo invisibile dalla zona dell’arena. Ma per qualche motivo stavolta il ponticello non sarà più un problema ma contribuirà a fare anche lui parte di una bella gara.
Già. Perché la mia quarta tappa la faccio davvero benino (sempre per i miei standard!) e nonostante paludi, caldo, zone impestate e tratte di lunghezza media superiore ai 500 metri arrivo al traguardo in circa un’ora e 45 minuti, ben al di sotto delle mie aspettative sempre lugubri, e soprattutto divertendomi parecchio nelle prime zone più tecniche, sopravvivendo il giusto nella tratta lunga 6-7 e godendomi il bosco da favola che nelle ultime 4 tratte (2 km) riporta verso l’arena dove trovo già Bibi che ha concluso la sua fatica e di cui sento distintamente l’incitamento da 100 metri di distanza mentre mi sto accingendo al prendere la rincorsa per domare il maledetto ponticello.
E poi rimane solo l’ultima tappa. Che ha sempre qualcosa di strano. Il problema dell’ultima tappa dell’Oringen è che gli Impiegati Panzottelli di tutte le latitudini partono a fondo griglia a 15 secondi di distanza gli uni dagli altri, e se ti capita di correre nelle categorie più frequentate (l H40 lo è) e se la tua categoria ha una prima partenza molto tardi (la H40 di solito la ha), ecco che allora i poveri I.P. restano da soli in zona partenza ed arrivano al traguardo ancora più in solitaria, che per una gara con 18.000 partenti ti da l’idea che sei veramente uno scarso!
La sorpresa di quest’anno è che la H40 invece vede la prima partenza alle 8.40 del mattino. Io parto alle 10.22.15 (il tempo sarà fondamentale, soprattutto nel finale) e quindi penso che qualche compagno di avventura nel finale riuscirò ancora a trovarlo… almeno sarò con Attilio, che parte dietro di me (tra noi due il Wolfgang Gindu-Ferrari di Innsbruck) di 1 solo minuto e quindi la nostra storia prevede che io lo aspetto alla svedese e che poi si faccia la gara insieme da buoni compagni di staffetta. Nulla va come previsto. Nonostante 18 anni di orienteering alle spalle, la mia condotta di gara nel bosco è abbastanza grossolana e Attilio è assai più preciso di me. Invece nonostante i miei piedi in sfacelo riesco ad essere più aggressivo di Attilio nella corsa. Così tra la 1 e la 2 decidiamo d’accordo di separarci e di fare ognuno la propria gara e che ognuno si diverta sul suo terreno.
Parto deciso, ed ovviamente sbaglio! In una zona nella quale è davvero difficile ricollocarsi, trovo un punto che sembra il mio (descrizione punto = cocuzzolo), si trova come il mio in un avvallamento, ha vicino come il mio un sasso… ma non è il mio. Mi guardo attorno per capirci qualcosa e sento un rumore di corsa alle mie spalle: qualcuno che sta andando a punzonare la lanterna che è a due metri da me. Potrei appollaiarmi sulla lanterna per sbirciare il cerchietto e quindi mi giro… E RISCHIO IL FRONTALE CON OLAV LUNDANES che è arrivato giù dalla collina a punzonare il “mio” punto ad una velocità assurda: E’ ancora più assurda la velocità con la quale infila il chip nella stazione al primo colpo ma soprattutto è assurdo il fatto che un frontale con l’I.P. l’avrebbe steso per parecchi minuti (godo del vantaggio della stazza…), favorendo forse la vittoria di Gustav Bergman e la mia ascesa al trono svedese per meriti sportivi!
Ritrovata la 2 con più culo che anima, pesco la 3 al volo (capirai… avevo battuto la zona palmo a palmo…) e procedo spedito verso la tratta che deciderà il mio destino di oggi: la 7-8, “delle dimensioni di Rocco Siffredi” (siamo sui 24 centimetri in linea d’aria). Tratte così sono un po’ una palla pazzesca… i migliori sicuramente tirano dritti sulle paludi e si giocano la gara su questo genere di punti; io che non mi gioco nulla se non il mio divertimento sulle tratte successive, tiro un po’ il freno a mano (finendo per andare quasi in retromarcia) e mi sparo 26 minuti di corsetta sotto il solleone soprattutto sui sentieri. Il che è proprio quello che mi ci vuole: dalla 9 fino al traguardo non farò più un metro di sentiero ma andrò avanti e indietro per avvallamenti e avvallamentini e zone di bosco quasi piatte e molto dettagliate, che ricordano davvero quello che mi aveva detto Nausica Paris alla partenza “sembra quasi Nova Ponente”.
E quando giungo all’arena dalla parte opposta rispetto al giorno precedente ho ancora la possibilità di tirare (e stavolta lo faccio davvero) e 500 metri finali con tutti quanti gli altri protagonisti della loro personale giornata. E quando dico “tutti quanti gli altri”, per una volta su 4 Oringe riesco anche io ad arrivare al traguardo dell’ultima tappa nel gruppone, con qualche panzottello come me, qualche bambino delle categorie super-junior, qualche concorrente che indossa fieramente il pettorale personalizzato da top-15-runner (e chissenefrega se magari la sua categoria è una K: quei pettorali sono sempre indossati con orgoglio…) e soprattutto il polverone che accompagna la mia sporca cinquantina circa di compagni di volata.
Ah si! Il tempo… volevo proprio concludere l’ultima long sotto le due ore di gara, e la battaglia finale è stata contro l’orologio. Ricordavo di avere quei 15 secondi di “bonus” in partenza… ore 10.qualcheminuto.15 secondi. Si ma… quale minuto? Ora ricordo: 20. E giù come un matto a tirare gli ultimi 500 metri fino a rischiare la sincope! Al traguardo arrivo quando nella mia testa mancano ancora 30 secondi allo scoccare delle due ore di gara, peccato che il mio minuto di partenza non fosse il 20 ma il 22!!! A saperlo… qualcuno dice che avrei potuto prendermela più comoda? Non sia mai: evidentemente non conosce il fascino di arrivare nelle arene dell’Oringen, dove ognuno dei 18.000 partecipanti è il re del suo personalissimo land per una settimana. Quinto giorno compreso!
(La foto di copertina, dono di Stefano Bellini, rappresenta l’ammasso aperto M45, detto anche “Le Pleiadi”). Un chiaro riferimento alla possibilità un giorno di cimentarmi su percorsi un po’ diversi da quelli terreni… o almeno io l’ho capita così! Avrà mica voluto alludere alla mia età???)
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