Romeo... and other things to know (Subiaco e Monte Livata)
La prima cosa che i nuovi colleghi di lavoro mi chiedono è: “Perché fai orienteering?”. E’ una cosa difficile da spiegare. Non perché io non sappia cosa mi spinge a praticare questo sport, quanto perché ci sono talmente tante ragioni che è lungo e complesso esprimerle solo con le parole. L’orienteering è diventata una parte fondamentale della mia vita. E’ una passione, è un gioco, è quasi un lavoro. E’ il mio antistress. E’ anche uno dei Grandi Amori della Mia Vita. Mi offre un angolo di positività e mi rende soddisfatto di me stesso quando riesco a dare il meglio delle mie possibilità. Mi permette di allenare la mente a trovare risposte alternative ad alcuni quesiti che mi vengono posti al di fuori del bosco, nel lavoro ed anche nella vita. Posso persino dire che la notorietà che mi sono guadagnato in questi anni, per la mia attività come speaker beninteso, è solo una piccola parte di ciò che l’orienteering mi ha dato. Nelle mie giornate orientistiche ho trovato tanta gioia e tanto divertimento, anche se talvolta occorre una scintilla per sintonizzare il segnale su questo canale felice.
Come sabato pomeriggio a Subiaco, per esempio…
Subiaco. 1° giugno 2013. Campionato Italiano Sprint. Ho cambiato lavoro da 12 ore circa, dopo quasi 18 anni di informatica. Dovrei essere euforico, è il momento che ho aspettato da almeno un anno e mezzo. Sembra un remake del mio primo giorno di lavoro post laurea: una piovosa giornata di autunno del 1994, un lunedì caduto proprio dopo il Meeting Internazionale di Venezia corso con l’acqua alta; nella mia testa ed in quella dei miei genitori, il timore di come avrei potuto arrivare in ufficio per la mia prima giornata da lavoratore dipendente, dopo una domenica passata a sguazzare nei canali in mezzo ad acqua sporca e pantegane… quella volta che finii persino sott’acqua a San Marco, con tutta la testa, complice un gradino che non avevo visto tra i leoni di marmo del piazzale.
Sabato 1° giugno avrei dovuto essere un fascio di positività. Invece sono teso, nervoso, inca…ato col mondo. Ho addosso tanti diavoli quanti sono i miei capelli in testa e nemmeno la vista del rettilineo di arrivo e della postazione speaker che stanno approntando riesce a calmarmi. Sbarco dalla macchina con Piero ed Attilio mentre comincia a piovere, e vado in partenza subito; voglio togliermi il pensiero di questa gara sprint per cominciare subito a raccontare la gara. Piove, a tratti diluvia. E’ inutile coprirsi troppo: tutto quello che indosserò diventerà zuppo in un nanosecondo, così scelgo di vestire solo la maglia bianca leggera dell’O-Ringen. Risalgo la città seguendo le fettucce, in mezzo alle persone che mi guardano come se fossi matto o drogato, o un senzatetto: sono l’unico senza un ombrello, l’unico senza una giacca a protezione dagli scrosci, l’unico che sembra fregarsene del diluvio, gli occhiali già coperti di pioggia. La gente affolla i piccoli marciapiedi e le loro voci parlano di tranci di pizza, di gita post prandiale, di acquisti di sigarette e di ultimi giorni di scuola. Gente che si muove scompostamente, a gruppetti; il primo del gruppo si volta si scatto a rispondere a quello che chiude il drappello e tutti quanti sciamano intorno senza una direzione precisa. Rischio di travolgere dei passanti, muovo qualche ballo come di danza per smarcarmi da questi pedoni infestanti. Scendo in mezzo alla strada, stretta per dimensione e resa ancora più stretta dalle macchine in sosta ovunque… e mi chiedo cosa pensino anche i guidatori che fanno andare senza sosta i tergicristalli e si trovano davanti un tale incurante del maltempo.
Risalgo le vie più strette del centro storico “dove le auto non vanno avanti più”. Sul porfido, sull’acciottolato, con le scarpe da corsa che scivolano indietro sul selciato fradicio. Dall’alto, la pioggia trasforma i passaggi più stretti in piccoli torrenti che le mie Nike Pegasus cercano di fendere con fatica, come un sasso gettato in mezzo ad un corso d’acqua separa il flusso in due parti che si reincontreranno pochi decimetri più a valle. Quando la mia tensione diventa insopportabile, davanti al muro che porta alla partenza, alzo gli occhi al cielo e lascio che i muscoli del viso vengano lavati dalla pioggia. Sono venuto a Subiaco per fare la mia gara, e già non ne posso più. Ho scelto di correre il percorso della MElite per vedere con i miei occhi le difficoltà che i più forti dovranno affrontare, eppure non me ne frega più niente della gara e del tracciato. Voglio solo partire il più presto possibile, ma non so se è per entrare in una dimensione diversa della mia giornata o se è per uscire da tutto quanto mi circonda.
Parto. Tesissimo. La carta è subito un oggetto incomprensibile nelle mie mani. Mi tolgo gli occhiali, correrò tutta la gara senza, e cerco di raccapezzarmi in questa specie di labirinto della geografia e della mente che mi si para davanti. Ho fortuna nell’imbroccare subito la prima lanterna, ne ho meno alla seconda dove la piegatura della carta disegna subito uno sbuffo bianco in corrispondenza di una scalinata che mi porterebbe a destinazione e che invece non riesco a scorgere tra l’acqua che scroscia sulla plastica e il piccolo baffo bianco dove l’inchiostro è segnato e graffiato. La 3 a precipitare verso valle, lasciando un brandello di pelle nella prima caduta sul sentierino fradicio che porta fuori dal punto, e la 4 a fare irruzione per errore dritto in casa di qualcuno che ha lasciato la porta aperta… Si gira la carta sull’altro lato e la 5 è controintuitiva: per andare su una traccia nord-ovest devo prendere una direzione tutta ad est. La 6 è facile se non fosse che mi viene il mal di testa solo a capire in che direzione devo andare per uscire dal punto 5, con le case ed i vicoli che si addensano attorno a me e sembra che mi schiaccino.
(dal sito del Campione Italiano Elite, http://www.alessiotenani.it/ )
Per la 7 rifaccio un pezzo di strada già percorsa, per restare su un terreno conosciuto. La 8 sta ai confini del mondo conosciuto, al di là della rocca: risalgo di un paio di livelli e giro attorno ad essa facendomi guidare dalla visione della chiesetta che ogni tanto compare tra le case. Per la 9 mi appoggio ancora intorno alla chiesa, intravedo Maria Novella che sta andando ad attivare le stazioni, la raggiungo e poi ci separiamo perché decido di uscire per la 10 dalla stessa direzione in cui sono entrato. La 11 è lontana anni luce: dovrei pensare solo a scendere, spostarmi verso est e scendere quando posso; ad ogni svolta perdo la strada, quante volte l’ho persa nell’ultimo anno e mezzo?, cerco di ritrovare il segno sulla carta e vado a sbattere il culo a terra scivolando sui bordi viscidi dei gradini, mi rimetto in piedi e scivolo di nuovo: tre knock out! Sarebbe KO tecnico… Subiaco mantiene la cintura WBC di Campione del Mondo dei pesi massimi, Stegal non potrà contare nemmeno su una borsa milionaria. Eppure c’è un senso in questo folle tracciato se per andare alla 12 devo andare ad est, poi a sud, poi ad est, poi sterzare violentemente ad ovest aggrappandomi ad un corrimano arrugginito, poi a sud e a est e a sud e alla fine la vedo e mi sembra di vivere in uno di quei labirinti dai quali non si può uscire mai. La 13 è la in fondo, lontana. Zona speaker. Dove mi stanno aspettando da mezz’ora ormai… gara sprint! Si, certo Stegal certo, come no… guarda il tuo tempo. Gli Elite nel tuo tempo finiscono tranquillamente una middle, anzi nel tuo tempo di gara sono quelli con 30 punti in lista base che finiscono una middle!
Imbocco il sottopasso che mi porta verso una specie di rettilineo e incrocio Remo che sta portando in giro dei ragazzi, lo sento descrivere la scena “No, la gara non è ancora cominciata… quello è lo speaker… è in gara anche lui… parte prima degli altri, la gara non è ancora iniziata ma lui gareggia all’inizio…”: Remo si sta muovendo in salita, io in discesa: siamo in due direzioni opposte ma io sento la sua voce a lungo da tanto che sto andando a passo di lumaca. Ecco. Sono sul rettilineo, dietro quel portico c’è la zona arrivo, dove c’è la postazione speaker. Sento di nuovo tutta la tensione che monta, sento che sono fuori posto, sento che non avrei dovuto correre la M21… anzi forse non avrei dovuto nemmeno correre… anzi forse avrei fatto meglio a starmene a casa perché sto scoppiando di nervoso.
E poi la sento.
“A lovestruck Romeo sings the streets a serenade.
Laying everybody low, with a lovesong that he made…”
Ogni tanto mi capita di pensarci. Come Ulisse ed i naviganti erano attirati dal canto delle sirene, come i bambini dal pifferaio di Hamelin, come i ranger nel macello di Omaha Beach seguirono la cornamusa che intonava “Roll Out the Barrel”… così un giorno anche a me capiterà di essere tirato fuori dal bosco da una canzone. Per questo motivo, ogni volta che faccio lo speaker, chiedo se si può usare come sottofondo musicale il mio Ipod: spero sempre, quando le energie sono finite ed anche i piedi come le auto non vanno avanti più, di essere abbastanza vicino al traguardo da sentire le mie canzoni preferite.
“Come up on different streets, they both were streets of shame
Both dirty both mean, yes. And the dream was just the same”
E’ stato in quel momento che ho deciso che sarei arrivato al traguardo ben prima del termine di quella canzone. Ed è stata quella la canzone che mi ha accompagnato per tutto il fine settimana, compresa tutta la gara M40 di Monte Livata. Quando dico “tutta”, intendo proprio “tutta”!
Che dire del resto del sabato? Sarà ricordata come la grande giornata di Lucia, “A day in the life” come recitato durante le premiazioni. O per il fotogramma dello sprint di Giacomo, improvvidamente fermatosi alla lanterna 100 (come altri, del resto) e poi trascinato sul traguardo dalla vista dello sprint di Fabio Daves. O infine ancora per il volo terribile di Francesco, lanciato verso un titolo M35 che ha rischiato di andare in frantumi contro un passante disattento e assai poco sportivo. Nei miei ricordi, sarà ricordata con un sottofondo musicale inconfondibile… talmente salvifico che lo sento nelle orecchie ancora adesso.
“I can't do the talk, like they talk on tv
And I can't do a love song, like the way it's meant to be
I can't do everything but I would do anything for you
I can't do anything, except be in love with you”
Domenica. Ovvero “quando gli ostacoli sono solo nella testa”. Tutti quanti mi hanno sentito raccontare la storia della scala 1:10.000 e 1:15.000. Tutti quanti mi hanno sentito berciare sul fatto che si tratta di due sport diversi. Non mi piace gareggiare sulla scala 1:15.000. Voglio vedere bene la carta di gara, e adesso che sono avanti con l’età faccio più fatica a distinguere i particolari. Voglio vedere bene la zona punto, distinguere le microforme del terreno o le zone rocciose, voglio capire dove posso passare per raggiungere la lanterna e non voglio “andare là e capire, guardandomi intorno” come mi è capitato spesso di dover fare con la carta 1:15.000. Non mi piace correre sull’1:15.000. Però domenica sono tranquillo, mantengo la radio della testa sintonizzata sui Dire Straits e, quando Costantino mi da il via alle 7.49 del mattino, non sono preoccupato del fatto che ho in mano una carta di gara della MA anziché della M40. Perché so che hanno lo stesso percorso…
(Livata come avrei dovuto correrla... sulla 1:10.000!)
Stegal però dovrebbe leggere bene il comunicato gara! Stegal dovrebbe sapere, anzi, che è vero che il percorso è lo stesso… ma non la scala! La MA, infatti, infarcita di giovanotti di belle speranze e muscoli guizzanti, corre sulla scala 1:15.000. La M40, infarcita anche essa di muscoli guizzanti anche se non più di giovanotti, gareggiano sulla scala 1:10.000. Per questo motivo la scena più surreale della giornata avverrà nel dopo gara, quando Dennis Dalla Santa si fermerà qualche istante a parlare con me delle scelte di percorso… oh! Intendiamoci: il fatto che Dennis di fermi a parlare con me è solo una prova testimoniale della sua enorme educazione e fairplay! Non sono (non sarò) mai in grado di dare un contributo critico alle scelte di percorso, o ai tempi di percorso, di DDS! Lui, come altri, è sempre educatissimo con lo speaker (anche se deve sopportare ogni volta la litania di quanto è un orientista bravo e grande e eccezionale) e se deve perdere qualche secondo del suo meritato riposo per dialogare con me, si presta.
“Dennis… ma che carta è questa?”
“La M40, non hai detto che l’hai fatta anche tu?”
“Si, ma io non avevo questa carta… ma guarda questi cerchi! Sono enormi! Ci si vedono dentro tutti i particolari! Perché io avevi un altro percorso?”
“Non so, che categoria hai fatto?”
“La M40… però ho corso con la carta della MA, tanto era lo stesso percorso… ma vuoi vedere che…?!?!?!?”
Esatto. Poiché Costantino non trovava la busta della M40, per la fretta di partire presto ho preso una carta della MA. E mi sono cuccato la 1:15.000. E mi ci sono trovato benissimo!!! (si, ok, ero sempre un po’ corto… i punti sembravano non arrivare mai… però sono lento come un impiegato panzottello ed i punti non arrivano MAI troppo presto). Ora: se qualcuno me lo avesse detto durante la gara, probabilmente sarei stato preso dallo sconforto e avrei piantato lì. Invece “occhio non vede e cuore non duole” (e faggeta non impedisce). Così sono stato in grado di tornare da Monte Livata con “Romeo and Juliet” nella testa, con una serie di lanterne (tra cui la sequenza memorabile 8-11) trovate con il solo paletto metallico… (ho spostato qua e là la mantellina per immaginarmi le facce dei posatori che vedevano la mantellina appoggiata in una posizione diversa dall’originale). Un loop finale facile soltanto se il sole che martella non ti fa venire un coccolone nell’attraversamento dei pascoli, ed un provvidenziale pinnacolo roccioso alto 20 metri che fa da antenna radar sia per andare alla 15 che per tornare alla 16.
Seguiranno altre 4 ore al microfono, una intervista a Pietro Illarietti che se mai andrà in onda mi svergognerà davanti al mondo intero (anche Johanna Murer deve sapere che penso spesso alla sua vittoria ai Laghi di Fusine)… si, è in onda… http://www.fiso.it/notizia/stefano-galletti-the-voice ... Ora mi devo ritirare in una grotta vita natural durante!
E poi ancora una prodezza non da poco nell’azzeccare a memoria e senza computer l’ex-aequo Ceresa-Raus in W14 e, una categoria più in su, una topica altrettanto non da poco nel “bucare” la sottrazione che mi dovrebbe dare il tempo vincente di Anna Giovanelli: ho calcolato (dopo 3 ore e mezza di calcoli a mente, ma non vale come scusa buona!) 10 minuti in più ed una posizione attorno alla quinta. Sarebbe stato tutto giusto, anche la posizione nel ranking a memoria, se il tempo non fosse stato di 10 minuti esatti più basso e se la posizione finale di Anna non fosse stato un limpido, netto ed irreale (quanto a vantaggio sulla seconda) primo posto.
Ma non ricordo di essere mai stato perfetto, come speaker e come essere umano. Mi affido a Romeo:
“Says something like you and me baby, how about it?
You and me babe, how about it?”
Alla prossima, Romeo!
5 Comments:
Ora capisco l'impassibilità quando alla tratta obbligata dopo il punto spettacolo hai trovato il passaggio chiuso: con una colonna sonora così, ogni problema terreno diventa insignificante...
Che poi, per andare alla lanterna 13, la scelta di passare dall'uscita successiva non era nemmeno penalizzante.
Il fatto è che tutti si erano raccomandati (con me) di fare le cose per benino, tipo "demo lancio staffetta"... ed io non vedevo l'ora di sparire dalla vista di chiunque (va bene scendere per mille curve di livello, ma al punto spettacolo non ne avevo più)
ok, ma cosa devi farmi pagare???
Io conosco solo
Well like a late Romeo he made his move and she looked so fine
Like a late Juliet she knew he'd never be true, but she didn't really mind
Poi volevo fare un commento tecnico sulla carta, ma so che il turpiloquio e bandito, e mi secca parlare di orienteering.
"È" - voce del verbo essere, con l'accento grave.
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