My Own Private Aprica
Uno
Uno come “uno qualunque”. Uno come tanti. Uno come me. Un
Uno che parte al pomeriggio di venerdì verso 48 ore di passione, con un
trasporto multimodale “à la Remò Madellà” tram + metro + treno + pullman e con
la musica di Battisti, Dire Straits e Beatles nelle orecchie. La giornata è
piena di luce. Il treno è pieno di persone, ognuna con la sua storia. Perché un
viaggio in treno da soli è soprattutto un viaggio personale dentro il proprio
animo. Ci sono le due ragazzine che vanno a trascorrere il fine settimana una a
casa dell’altra e che si sono tirate a lucido per la festa della birra; ci sono
i pendolari che terminano una settimana
di lavoro e scendono a Lecco ; poi le famigliole che si spostano per un ultimo
fine settimana di sole verso le località del lago o della Valtellina. E infine
ci sono i lupi solitari, come me, che impiegano il viaggio pensando alla
propria storia personale, a ciò che hanno passato e a quel che riserva loro
l’immediato futuro, con un po’ di musica nelle orecchie ad accompagnare, i
passaggi splendidi a bordo lago e poi la Valtellina che si apre dopo Colico.
All’altezza di Sondrio restiamo nel vagone in quattro. Quattro persone
solitarie, quattro storie. Se anche qualcuno me la avesse chiesta, la mia
storia non l’avrei raccontata a nessuno: chi avrebbe creduto ad un pennellone
panzottello che diceva di andare all’Aprica per i campionati italiani di
orienteering?
Due
Due uomini in seggiovia, per tacer della pala. Il primo,
quello seduto a destra, è bardato in giacca a vento e pantaloni pesanti;
l’altro, a sinistra, frappone tra se ed il gelo mattutino dei 2000 di
altitudine un sottile strato di trimtex ed una assai più spessa gettata di
grasso sottocutaneo (bussola e sicard proteggono dal freddo una superficie di
pelle pari a “tracce”). Quello di destra è avvezzo alle salite in seggiovia
perché nel ruolo di cartografo è più
agevole, almeno così la penso io, lavorare “a scendere”; quello di sinistra odia
le seggiovie fin da quando, ragazzo, rimase fermo per una trentina di minuti in
precarie condizioni a parecchi metri dal suolo sulla seggiovia del Ghiacciaio
Presena. Eppure mi viene in mente che l’ultima ascesa in seggiovia l’ho fatta
non più tardi di 40 giorni fa, all’ultima tappa della OOCup slovena! Quello di
destra è Francesco Giandomenico, che sale verso la partenza attorno alle 7.40
del sabato con una pala in mano ed una scatola di “stazioni” appoggiata sulle
gambe. A cosa servono le stazioni, noi lo sappiamo; la pala sarà utile per
eliminare dalla zona di discesa dalla seggiovia una bella serie di “boasse” di
pura marca bovina, ma anche per indicare all’altro, il sottoscritto, da che
parte si trova la partenza: quando prendo il via alle 7.58 del mattino,
infatti, il terreno non è fettucciato, ed il corridoio di partenza è ancora ben
al di là da venire; ho sempre in mente quello che mi successe alle Capanne di
Marcarolo quando, anche allora speaker e primo partente, mi precipitai giù per
un avvallamento che avrei dovuto percorrere in salita! Adesso chiedo sempre di
indicarmi almeno la direzione generica che prenderanno gli altri concorrenti,
messi nella giusta posizione dalle fettucce, dai cancelli di partenza e magari
da una lanterna svedese, giusto per evitare di dover orientare la carta fin dal
triangolo di partenza!
Tre
Alla lanterna 3 del mio percorso M40 del Campionato Italiano
Long Distance 2013 sono convinto di essere un Elite. Oppure la partenza è
davvero banale. Split degli altri concorrenti alla mano, alla lanterna 1 sono
terzo in classifica: lascio indietro qualcuno degli altri ragazzi anche di
quattro, cinque o sei minuti (faccio fatica ancora adesso a capire cosa ha
combinato l’amico Fabio Hueller!); eppure l’unica difficoltà mi sembra quella
di restare in piedi sui lastroni di pietra liscia, fradici di pioggia notturna.
Il paletto della 1, poi della 2 sull’unica collinetta della zona e poi quello
della 3 dietro al sasso sembrano fasi letteralmente incontro a me. Ho già visto
dove mi butterà il percorso di Paolo Mario Grassi, eppure mentre imbocco la
prima pista da sci per spostarmi dalla lanterna 3 alla zona del secondo loop,
giro la cartina per controllare la descrizione punti: c’è proprio scritto M40.
Allora sono un Elite! Oppure ho imparato a mettere nel mirino i paletti di
ferro che, attorno alle 8 del mattino, ancora non sono bardati con il loro bel
cappellino rosso brillante e la loro bella sottana bianca e arancione.
Quattro
Quante le volte che sono precipitato al suolo durante la gara
del sabato. E quando dico “precipitato”, so esattamente cosa voglio dire.
Stegal cade la prima volta nella discesa dalla 6 alla 7, facendosi sentire
chiaramente dai due tizi che stanno portando le mucche al pascolo sulla pista
da sci. Poi cade la seconda volta nel tentativo di scendere verso il bosco
dalla stessa pista da sci: una caduta nella quale solo un poderoso colpo di
reni riesce a far planare il mio petto al di là di una piantagione di ortiche
(le gambe sono fottute, ma chi se ne frega delle gambe…). La terza caduta
subito dopo le panche che sovrastano il punto 10 e la quarta caduta nella
palude che sta vicino al punto 12. Mentre affronto la giungla attorno a
quest’ultima lanterna, che vedo da abbastanza lontano perché adesso ci sono le
mantelline ma devo prima aprirmi la strada con il machete, mi sovviene alla
mente uno dei miei migliori “topos” omerici (al plurale pensavo che avrei
dovuto scrivere “topoi”, ma viene male, e poi il mio manager mi ha appena
scritto che è più giusto “topos” perché le parole prestate all’italiano, al
plurale, non cambiano… ah quante cose che si imparano leggendo Stegal –
sicuramente non l’orienteering però!): “il primo che è passato da lì è un
eroe”. Un istante dopo ricordo che il primo che passa da lì sono io, ammetto
con me stesso che non sempre le metafore nascondono una verità assoluta. Da
quel punto in poi non c’è un solo posto per cadere: è salita. Salita pura. Pura
e veramente bastarda.
Cinque
Sono i metri di dislivello tra una curva di livello e
l’altra. Vista la conformazione della carta, il percorso mi consente di
arrivare al punto 12 (quello con la lanterna lanciata sul punto con un
giavellotto o calata dall’alto con l’elicottero) percorrendo pochi risibili
metri di salita, perlopiù nel loop 4-5-6 e a causa di un attacco al punto 6 un
po’ alla rampazzo… Però si tratta di un campionato italiano di orienteering,
non del campionato italiano di discesa libera; il dislivello, indicato sul
percorso come superiore ai 200 metri, deve essere da qualche parte… ehi!
Eccolo! Non che ne sentissi la mancanza… Il fatto è che io arrivo al punto 12
già al lumicino delle forze, anche se fino a quel punto ho corso perlopiù con
il paracadute sulla schiena come Karl Malone in allenamento (e, visto quanto
detto al punto 4, il paracadute non è servito molto). La risalita alla 13 è
penosa e pietosa, meno che umana: faccio del mio meglio per tenere nel
serbatoio quella goccia di benzina che mi consentirebbe, nel mio immaginario
personale, di transitare sotto la cabinovia con una andatura senz’altro meno
che decente ma perlomeno dignitosa… purtroppo le grandi compagnie petrolifere
hanno chiusi gli oleodotti e l’ago del carburante è in zona rossa che può rossa
non si può. Mi limito a sperare, ricordo nettamente di essere stato colpito da
questo pensiero, che nessuno stia guardando verso il basso, o che tutti gli
orientisti siano ormai giunti da tempo al ritrovo! Arrivo alla 13, poi sulla 14
a salire e scendere in un terreno infido. Per andare verso la 15 ci sarebbe una
invitantissima traccia in costa: allettante come una fontana di acqua
cristallina per chi ha attraversato il deserto, o come una splendida vamp che
ti invita ad entrare nel locale notturno promettendo chissà quali delizie.
Percorro qualche metro e l’ultimo barlume di luce mi schiaffeggia, come la
comprensione del fatto che quella traccia arriverebbe dritta al fiume e da lì
in poi la risalita alla 15 sarebbe davvero un calvario; massima pendenza per
massima pendenza, tanto vale risalire subito fino al sentiero e arrivare al
sasso da est. Infine l’ultimo punto, ancora in salita, ancora a soffrire per
raggiungere il termine del recinto (le reti protettive della pista); e qui non
ci sono santi: è ovvio che mi vedranno tutti arrivare come uno zombie! Mentre
passo sotto la seggiovia che ho utilizzato un’ora e tre quarti abbondanti
prima, passano sopra di me Julia e Oxana: riesco solo ad alzare lo sguardo
nella loro direzione e, nel pieno della figura di emme che sto facendo, mandare
un messaggio subliminale che dice “state all’occhio, che da qui ci dovete
venire su pure voi!”.
Sei
Come l’inizio di “Sei sicuro di poter fare ancora a lungo cose
del genere?”. Insomma… vado per i 47 anni e la mia categoria sarebbe un’altra,
sicuramente POCO più facile e POCO più corta della M40, ma APPENA UN POCO più
facile e più corta. Forse che è giunta l’ora di tirare di tanto in tanto i remi
in barca? Per quanto ancora ce la farò a prendere il via all’alba, con la
colazione nella parte alta dello stomaco, da solo e senza compagni di
avventura, a cercare nel nulla cosmico un paletto o una fettuccia o a cercare
di “appoggiarmi” a qualche posatore? Ne ho avuto la prova soprattutto domenica
mattina, all’alba di Aprica, quando le gambe già stanche della gara del giorno
precedente sono entrate in sciopero già durante la prima salita per arrivare al
ponticello. Prima o poi dovrò leggere qualche dispensa medica: quanto tempo
impiega a diventare benzina per i muscoli la colazione del mattino? O devo
rinunciare del tutto a questa idea visto che, senza allenamento alcuno, non
esiste colazione che possa consentirmi di correre ad una andatura almeno
decente?
Sette
Si ricollega al punto precedente. Sia sabato (long) che
domenica (relay), la lancetta lunga dell’orologio non ha ancora raggiunto le 8
quando il sottoscritto fa partire il cronometro di gara, con la sola compagnia
di Francesco Giandomenico (sabato ore 7.58) ed Ivano Benini (domenica ore 7.36).
Il mondo degli orientisti nei camper, nelle camere degli alberghi, si sta
appena animando. Domenica mattina, prima di partire, butto un occhio
all’interno dell’hotel dove alloggia il Panda Valsugana: la loro sala colazione
alle 7.15 è ancora deserta, mentre io entro qualche minuto mi butterò sotto la
pioggia. La mia medaglia la vinco ogni volta che riesco a convincermi che
questo è il mio modo con il quale voglio intendere il compito di speaker: non
sarei in grado di raccontare nulla se non vedessi con i miei occhi i percorsi
che affronteranno gli altri ragazzi e le altre ragazze, non sarei in grado di
dare alcun contributo se non affrontassi le stesse salite e le stesse
difficoltà degli altri concorrenti. In fondo, continuo a ripetermi, quasi tutti
sopportano qualche battutina salace perché quasi tutti sanno che all’alba lo
speaker ha fatto la gara nelle stesse condizioni. Forse domenica ho preso un
po’ più di pioggia degli altri, forse sabato ho dovuto aprire la pista attorno
alla lanterna 12, forse ho qualche difficoltà in più degli altri perché
fettuccia e paletto sono meno visibili di una bella mantellina colorata (e
domenica, ai punti 2 e 3, col sole ancora dietro la montagna, la visibilità nel
bosco era davvero scarsa…).
Però… però non cambierei questa possibilità con
nessun’altra. Ogni volta che mi cimenterò come speaker cercherò di strappare
all’organizzazione una cartina di gara, e sempre per la categoria più lunga che
sono in grado di fare. Ho cominciato a fare questa cosa nel lontano 2004 a Pian
del Gacc, e lo so perché ho realizzato
poco tempo fa una specie di “curriculum orientistico”, ed ho mancato una
sola gara in abbinata concorrente + speaker: alla staffetta del Trofeo delle
Regioni di due anni fa in Liguria, e solo per motivi di trasporto. Non mi sono
mai pentito della scelta che mi ha portato nel bosco all’alba, da solo, durante
tanti Campionati Italiani o le 5 giorni o le Coppe Italia. Tra le soddisfazioni
più notevoli della mia misera carriera orientistica ci sono alcune lanterne
impossibili scovate nei posti più assurdi grazie all’aiuto del solo paletto
metallico, i primi due terzi della gara di Campionato Italiano Long alla
Foresta Umbra, ed i commenti di alcuni amici che tutto sommato, una volta o
l’altra, vorrebbero provare la stessa sensazione. Un nome per tutti? Christine
Kirchlechner ai Campionati Italiani dell’Alpe del Paneveggio! E poi il commento
che fece Klaus Schgaguler al WRE middle di Asiago, mentre notavamo come il mio
tempo di gara fosse il doppio del suo: “Si, ma tu l’hai fatta al buio sotto il
diluvio!”. Poi mi chiedono perché ho una predilezione per Christine e Klaus…
Otto
“8” come metafora del loop finale della staffetta, per una
considerazione che si appoggia al punto 7 della “Aprica dei miei sogni” (banale
traduzione del titolo, trasposto da quello del film My Own Private Idaho,
ovvero “l’Idaho dei miei sogni”). La gara a staffetta è la più adrenalinica, la
più spumeggiante e la meno scontata tra quelle che assegnano un campionato
italiano. Un tracciato molto impegnativo può dare origine ad una gara nella
quale il confronto spalla a spalla viene a mancare perché i concorrenti sono
più impegnati a lottare contro se stessi ed il percorso piuttosto che a
sviluppare tattiche raffinate di controllo degli avversari. Uno troppo filante
può favorire un vagone atleticamente al top ma orientisticamente poco
preparato, rispetto a chi si presenta al via in condizioni contrarie.
La staffetta del sabato mi ha proposto entrambe le
situazioni, anche se l’unico shoulder-to-shoulder che potevo fare era quello
con la mia ombra… forse, se posso permettermi di fare il sofista, con un
passaggio troppo brusco dall’uno all’altro approccio. Per me una prima parte sotto
la pioggia nei prati, a tratti scrosciante, o nel buio del bosco che era
davvero scuro ai punti 3, 5 e 6 mentre il punto 4 mi è sembrato una radurina
ideale per un picnic con i sassoni a fare da panche. Poi una nuova salita
verticale dalla fine del sentierino che mi ha avvicinato al punto 7 fino alla
pista vicina al punto 9; qui ho incontrato il solito Moritz Etter che mi ha
descritto la gara prima come facile (?), poi come quasi del tutto priva di
pendenze (??), ed infine ha concluso dicendo l’immortale frase “per fortuna che
almeno piove” (???)… ma lui è svizzero ed è forte, quindi la sua concezione
della difficoltà e della salita è opposta ala mia. Dal punto 9, posto in cima ad una canaletta
più simile ad un fosso profondo (ma la descrizione punti parlava di avvallamento,
forse alludendo alla parte terminale della canaletta stessa), una discesa in
picchiata verso la zona dell’arrivo dove ho cercato senza riuscirci in alcun
modo di avere una andatura perlomeno dignitosa: per mia fortuna la partenza all’alba
mi ha consentito di passare in zona prima delle 8.30, con ben pochi orientisti
già impegnati nelle operazioni in zona arrivo!
Le successive tratte filanti nei prati e nelle paludi
avrebbero dovuto consentirmi di arrivare al traguardo in tempi rapidi. Così
pensava Tommy Civera, che era in giro a controllare i punti. Così pensavo io,
che ero in giro a cercare quegli stessi punti. Così non è accaduto per mio
clamoroso errore: il sopracitato “8”! Dalla 11, in pura cecità da stanchezza,
sono andato alla 15 (il sasso), e poi in uscita dal punto ho cercato invano l’area
verde privata che doveva frapporsi tra me ed il punto successivo (che a questo
punto era ovviamente il 14). Valutazione delle distanze: chi era costei? Il
provato doveva essere a poco più di 50 metri da me ed io ho proseguito per
oltre 200 metri fino ad una strada, che però era tortuosa e non retta come
quella che pensavo di trovare… Ho ballato intorno per un paio di minuti prima
di accorgermi che ero finito al punto 14 e che il sasso era quello della 15!
Per fortuna che i punti erano tutti vicini: sono sceso alla 12, girando attorno
finalmente all’area privata giusta, poi la 13, la 14 che avevo visto prima e
comunque si vedeva da lontano anche da sotto, e la 15 che ormai conoscevo a
memoria! E poi la lunga tirata per tornare al traguardo, dove Tommy mi
aspettava almeno da 15 minuti…
Nove
Come nove anni fa, quando ho cominciato la mia esperienza
come speaker al Trofeo delle Regioni di Pian del Gacc. Che ricordi! Mi sembra
di tornare alla preistoria… ricordo che dovevo per forza di cose utilizzare un
computer per controllare gli arrivi, ero costretto a leggere sullo schermo i
tempi dei concorrenti al traguardo… avevo addirittura una cosa antidiluviana
che non so descrivere se non come “un filo collegato con l’ultimo punto che
mandava al computer l’informazione del prossimo concorrente che sarebbe
arrivato al traguardo”! Sembrano cose degli ittiti o dei sumeri: per fortuna il
progresso ha fatto tutta una serie di passi per aiutare il compito dello
speaker. Purtroppo il sottoscritto provvede sempre a sollevare le
organizzazioni da qualunque aggravio ripetendo che lo speaker è l’ultima delle
cose di cui ci si deve occupare. Così accade che, ogni tanto, qualcuno mi dia
retta… devo dire che non ricordo esattamente l’ultima volta che ho avuto a
disposizione il computer! Di un collegamento on line con la linea dell’arrivo
se ne sono perse le tracce; di un ulteriore collegamento on line con il
penultimo punto o con lo spectator control se ne sono perse le tracce a Pian
del Gacc! Va bene che, nel corso degli anni, mi sono fatto la fama di quello
che riconosce gli atleti da lontano e riesce a fare i calcoli a mente
azzeccando persino qualche ex-aequo, però l’età avanza, atleti nuovi arrivano,
i ragazzi crescono, I ragazzi crescono, le ragazze mettono curve nei posti dove
l’anno prima erano piatte, i master si agghindano come al Carnevale di Rio, non
ce n’è uno che abbia la vera tuta della sua squadra di appartenenza, e si
iscrivono alle categorie più impensate…
Nel sabato dell’individuale la distanza del punto spettacolo
era di quasi 200 metri, che sono cresciuti a 350 circa nella domenica della
staffetta; per fortuna che Tommy Civera mi ha dotato di radio con la quale
comunicarmi un po’ di nomi e pettorali dei passaggi degli atleti. Ne sono
venute fuori comunicazioni che, al confronto, quelle tra Neal Armstrong e Houston
nella notte della luna erano dei capolavori di pulizia del suono; cose tipo “sta
passando il pettorale crrrrrrrrrrrrrrrrrr ette nove… ripeto quat crrrrrrrrrrrrrrr
ove”. A questo punto il compito consisteva nel: alzare gli occhi al punto
spettacolo per avere un conforto visivo (a 350 metri di distanza…), cercare nella
griglia per progressivi un numero di pettorale che potesse anche solo
lontanamente assomigliare al rumore ascoltato, cercare il nome in una delle
possibili categorie, calcolare mentalmente il tempo di gara e determinare in un
nanosecondo se valeva la pena ammorbare le orecchie degli astanti o passare
subito al crrrrrrrrrrrrr successivo che nel frattempo era già arrivato in
cuffia. E questo valeva per il punto spettacolo, perché l’arrivo era
invisibile. Tutto questo mentre, nel frattempo, essendo l’unico a disporre di
griglie per categoria, piovevano domande sulle partenze, gli arrivi, le
composizioni delle staffette, e buon ultimo un tale del posto che voleva sapere
cosa stava succedendo e dove erano i gabinetti, ed ha pensato bene di chiederlo
a quello con il microfono in mano!
Oh. Beninteso. La butto sul ridere e non è una critica.
Ribadisco che la cosa importante è che ci siano percorsi, cartine, lanterne,
stazioni, una partenza ed un arrivo e soprattutto tanti concorrenti! Ma non
posso non ripensare a quella mia prima volta a Pian del Gacc e a quel benedetto
filo che, collegato tra la 100 ed il computer, sembra essere stato sabotato dai
luddisti del XXI secolo. Per pietà: la prossima volta, chiunque voi siate e
qualunque gara stiate organizzando, un computer ed un programma con i tempi
progressivi…
Dieci
L’ultimo numero è il 10. E non è il voto che si
auto-attribuisce lo speaker. Un bel 10 tondo tondo se lo portano a casa la
famiglia Donadini e la famiglia Casanova per il supporto e la sportività, “Ric
e Giac” (ma che non passino alla storia con questo soprannome) per la staffetta
US Primiero, Mario Ruggiero per la superba traversata a velocità siderale del
costone prospicente l’arrivo della staffetta, Tobia ed Elena Pezzati per le
medaglie vinte ai Campionati Svizzeri, Roberto Dalla Valle e Sebastian Inderst per
la gara Elite del sabato e perché sono giovanissimi, Manuel Negrello per la stessa
gara del sabato e perché lui è un po’ meno giovane, Christine Kirchlechner per
aver trovato il tempo di darmi una mano a seguire la staffetta Elite femminile
(lei che doveva ancora prendere il via)
e Metka e Kristian per aver tenuto a bada lo speaker ed aver vinto
ugualmente due belle medaglie d’argento che non saranno le ultime. Tutti quanti
hanno fatto del loro meglio per rendere questi Campionati Italiani degni di
essere ricordati: gli errori, le omissioni e le topiche sono tutte e solo mie.
2 Comments:
Guarda che la funzione dello speaker è tenere il conto del tempo di Zzi e rassicurarmi sul fatto che sia normale che non sia ancora arrivato, senza insinuare che sia brocco, ma al contempo dissuadendomi dal farmi dare una cartina per fare il percorso al contrario e cercarlo in fondo a tutte le doline.
Tutto il resto è un riempitivo.
dieci e lode allo "Speaker" che trasforma ogni arrivo ed ogni passaggio in tutto ciò che contengono ..... quei "famosi" ultimi 400 metri (9 agosto 1983). f&e
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