Garette Estive. Capitolo 4: Mondiali Master (le sprint)
L’O-Ringen è appena alle spalle, e noi siamo solo a metà del
cammino. Dobbiamo ancora affrontare la seconda settimana di gare: i WMOC –
World Masters Orienteering Championship. Da un lato, potrebbero sembrare più
facili rispetto all’O-Ringen: sono infatti previste due gare sprint su cinque.
Dall’altra, c’è preoccupazione per l’aspetto “logistico” della faccenda: i WMOC
nascono all’insegna del trasporto eco-sostenibile, ma le informazioni sul modo in cui si arriva alle gare rimandano spesso a mezzi pubblici locali (di Goteborg)
che passano a cadenza ognitanto-manale,
soprattutto nei giorni festivi… e noi che stiamo a parecchi chilometri di
distanza da Goteborg, come ci arriviamo alle gare? E in che condizioni, se il
meteo comincia a promettere acqua tutti i giorni e l'auto potrebbe costituire l'unico riparo?
Il primo impatto con i WMOC non è dei migliori. Intanto
arriviamo al centro gare sotto il diluvio; poi c'è il centro gare stesso, che non regge
minimamente il confronto con quello dell’O-Ringen. E’ vero che c’è un rapporto
5:1 di partecipazione, ma ci sono comunque 4.000 iscritti… che però scompaiono
rispetto alla dimensione e alla magnificenza della settimana precedente. Infine
c’è un aspetto di tipo anagrafico, lapalissiano ma sconfortante: ai WMOC, gli “juniores”
siamo noi, che siamo iscritti in over-45. La maggior parte dei concorrenti sono
in over-60 o over-65, le partecipazioni giovanili sono limitatissime a qualche
figlio o nipote o pronipote, e quindi i paraggi hanno una lontana parvenza
delle corsie dell’Esselunga quando vado a fare la spesa settimanale e a
qualunque orario mi trovo a dribblare un autentico gerontocomio.
I miei WMOC cominciano con la prima gara sprint, la
qualificazione che si tiene nel quartiere di Eriksberg. Dalle informazioni
note, potrebbe trattarsi di un quartiere moderno, con un sacco di strade
asimmetriche, qualche parchetto e magari qualche via d’acqua a rendere il
percorso tortuoso. Non sarà sicuramente Subiaco o Matera, e neppure Bergamo
alta o Brescia, ma di certo mi aspetto “qualcosa” da una qualificazione
mondiale; soprattutto se ripenso ad una delle più belle gare sprint che ho mai
corso (malissimo, peraltro!), cioè la finale dei WMOC in Portogallo con i due
passaggi nel vecchio pueblo, tra le
dune e nel bosco.
Se la prima impressione è quella che conta, devo ammettere
che arrivare a Eriksbergtorget sotto la pioggia e vedere il parterre dei WMOC
fa un certo effetto di desolazione:
(la zona di arrivo: non c’è – e non ci sarà mai in tutto il
WMOC – nemmeno un gonfiabile)
(il podio dei WMOC: possibile che in tutta Goteborg non ci
sia qualcosa di meglio?)
Fin dal principio si sapeva che non ci sarebbe stato alcun
riparo per gli atleti, e che alla sprint in particolare non ci sarebbe stato
spazio per le tende di società. Si vedono così ripari fortuiti sotto gli ombrelli,
gli alberi, i rari balconi delle case che si affacciano sulla piazza; il tutto
ha un po’ l’aria di una gara regionale delle nostre, di quelle un po’ scrause però (si, ci sono 4.000 persone, ma io arrivo dai
20.000 dell’O-Ringen). L’ultimo punto del percorso?
(ci sono pure le auto parcheggiate…)
Vabbé, magari i percorsi saranno una figata pazzesca. A spegnere
l’anelito di speranza arriva un forte atleta svizzero che, appena superato il
traguardo, mi dice: “Stefano… da noi questi sono i percorsi per esordienti…”.
Ri-vabbé, lui corre in over-60… io sono in over-45: il mio percorso sarà
sicuramente più impegnativo e challenging,
ri-penso. Finalmente arriva il mio orario di partenza. Quando prendo il via ed
inizio il mio Mondiale Master, non penso affatto alla possibilità
(infnitesimale) di qualificarmi, ma a far bene le mie gare. Guardo la carta e,
mentre corro verso il prato, penso “la prima lanterna è qualche metro all’interno
della vegetazione… non la vedrò da fuori… devo mirare alla parete rocciosa e
passarci accanto!”. Sbarco sul prato, guardo nella direzione giusta e, da una
distanza di 100 metri, vedo distintamente parete rocciosa e lanterna; “non può
essere la mia…”. Invece è proprio così!
Ecco… diciamo che mi aspettavo qualcosa di più sfidante! La
2 è sul vialone. La 3 ha un solo punto di ingresso. Per andare alla 4 scelgo di
ripassare davanti alla 1, e una volta superato il montarozzo sarà fino alla 12 una
specie di remake del campionato italiano
sprint al Parco delle Cascine: il comunicato gara parlava esplicitamente delle
siepi (verde 4) non attraversabili, ed in effetti l’organizzazione schiera un
esercito a controllare il corretto passaggio da ogni singolo punto, ma finché
le lanterne stanno alle estremità dei portici e delle aiuole condominiali, la
gara si riduce ad un “corri, mona!” pazzesco. Per andare alla 13… si ripassa
davanti alla 1, no? e poi da lì la gara si potrebbe quasi fare memory fino al
traguardo. Diciamo che come percorso WMOC avrebbe potuto offrire qualcosa di
più, ma apparentemente sono tutti contenti. Una chiave di lettura diversa, e
tutto sommato lecita, me la offre su un piatto d’argento il signor Jorgen
Holmboe, norvegese del Tyrving… un momento!
FLASHBACK!
Milano. Domenica 5 luglio 2015. Nella irreale caldazza della
città, con 37 gradi alle 9 del mattino ed una afa da uccidere pure chi è
abituato alla giungla del Borneo, va in scena la terza tappa di Expori. Fa un
caldo infernale, qualcuno ha le visioni, Amanda Thelssén ha i miraggi, Katja
Zwiker quasi sviene al traguardo… Lo speaker dovrebbe tenere desta l’attenzione
di un centinaio di iscritti alla traversata del deserto del Sahara gara
di Milano, e si mette a parlare di tutto: si inventa la cronaca della finale
sprint ai Mondiali Juniores, comincia a parlare dei WMOC, allude alle
caratteristiche dei terreni della West Coast e all’antennone di Skatos…
Un distinto signore over 65 che ha appena finito la gara si
fa avanti e chiede, meravigliato, come faccia un italiano a sapere tutti quei
particolari sul terreno di Eriksberg e delle gare long distance dei WMOC. E poi
mi dice “io sarei l’IOF advisor dei Mondiali Master…”. Io non conosco molti IOF
Advisor, ed uno in particolare era tutto fuorché modesto! Invece Jorgen è
proprio un gentile signore che parla di qualsiasi argomento con una evidente
competenza ma anche con molta modestia. E’ stato un piacere incontrarlo di nuovo
a Goteborg: sempre in tuta, onnipresente, arriva alle gare in bicicletta e
comincia subito ad aiutare gli organizzatori in prima persona, poi si mette la
divisa del Tyrving e va a fare un giro di controllo nel bosco, poi torna, si
cambia sotto il diluvio e si mangia il panino che si è portato da casa, poi
torna nel bosco… sempre sorridente, sempre positivo, sempre modesto.
La chiave di lettura della gara di qualificazione sprint è
la sua: “devi sapere, Stefano, che i percorsi sono adattati alle capacità
fisiche di atleti molto più anziani di te… prova ad immaginare la fatica che
può fare un over-65, over-70, un over-85 a distinguere sulla carta i
particolari del terreno, i piccoli portici, le aiuole. In fondo, tu ed i tuoi
amici siete proprio le categorie
giovanili di questo Mondiale”. Condivisibile. Tutto sommato condivisibile. Perché
spiegato e poi affidato al giudizio
altrui, non imposto ex cathedra.
Torniamo a Goteborg. Dopo la domenica viene il lunedì, e con
esso la finale sprint. Io, in finale B, non mi aspetto nulla di che dai percorsi,
anche se siamo pressoché certi che passeremo almeno una volta dai mitici
panettoni sassosi con i lastroni piatti e lisci che diventano fatti come di
sapone se solo dal cielo viene giù una goccia… ecco: infatti piove! Anzi:
comincia a diluviare proprio due minuti prima della mia partenza. Gli occhiali,
inservibili e dannosi, finiscono subito sotto alla carta di gara.
E’ una gara sprint nella quale c’è ancora soprattutto da
correre. Sbaglio di poco, più che altro perché con tutta l’acqua che viene non
vedo ad un palmo dal naso, la 2. E sbaglio, ma di molto (30 gradi a sinistra!)
il punto 3. Bene la 4, scivolando sui lastroni di sapone meglio di Wayne
Gretzky, e male la 5 cadendo tra i lastroni come Bambi sul ghiaccio per non
aver fatto l’ovvia scelta sul sentiero. Gli unici punti non “corri, mona!” sono
la 9 (ma si sale dal comodo sentiero), la 10 (ma si attacca seguendo la roccia)
e la discesa per la 11 dove c’è da rompersi l’osso del collo sui gradini fradici.
Altri
gradini dalla 12 alla 13, per girare attorno al bacino in senso orario, e
quando la gara sta per finire e vedo già sullo sfondo l’ultima lanterna…
SBOOOOONNNNGGGG! … vado a sbattere la spalla con tutta la violenza possibile contro
un cartello stradale che indica non so cosa! All’urto, si girano tutti:
spettatori, gli atleti attorno a me, un brasiliano che avevo appena superato e
che mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite. La cicatrice sulla spalla
sinistra è ancora ben visibile, e me la porterò dietro ancora a lungo.
E quello di sbattere contro i segnali stradali comincia a
diventare un brutto vizio: non è la prima né la seconda volta!
(… continua…)
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