Premessa: ieri a Lugano ho partecipato per la prima volta all'Asseblea dell'AGET Lugano, la società ticinese per la quale sono tesserato dal 2007. Voglio ringraziare i miei compagni di squadra perchè ho trascorso una piacevolissima giornata (e che mangiata!) in un clima veramente famigliare. Grazie quindi a Lidia e Tom, a Vince e Rita, a Marco, a Claudia, a Roberta, a Ina, a Ester, ai due Gianni, a Patrizia, a mr. President Luciano, a Tombin, a tutti quanti per l'impegno e la passione mostrata. Nelll'occasione è stato distribuito il giornalino dell'Aget, al quale ho contribuito con il pezzo che riporto di seguito, che ho scritto circa 12 mesi fa.
Avrei dovuto chiedere il permesso prima di riportarlo sul mio blog, ma me ne sono veramente dimenticato.
Però sono disposto a fare un patto con i miei colleghi Agetini: se mi lasciate tenere il pezzo sul blog, prometto che cercherò con tutte le mie forze di migliorare i risultati del 2007... però non dite che non ci vuole poi molto!
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SI FA PRESTO A DIRE SVIZZERA...
Non so davvero da dove cominciare.
E’ il mio primo pezzo per il giornalino AGET e non so da dove cominciare. Arrivato alla soglia degli “anta”, vorrei poter descrivere 40 anni di inseguimento alla Confederazione Elvetica... i 40 anni passati ed anche i prossimi 40, perchè per altri 40 anni non mi consentirete di scrivere più niente!
In tutti questi anni la Svizzera, il Canton Ticino, è rimasta un’entità strana a una cinquantina di chilometri da casa. Un luogo mai anonimo, sempre molto vivo e presente ma con sfumature talvolta ammiccanti e benevole, talvolta oscure e minacciose. Un luogo che ho finalmente imparato a conoscere grazie all’orienteering... ma ce ne è voluto di tempo!!!
Quando ero ragazzo, il Canton Ticino arrivava a casa mia grazie alla televisione. Le trasmissioni della nostra RAI erano sempre ingessate e molto politicizzate, il poco sport che si vedeva era soprattutto il calcio (bleah!), un po’ di ciclismo, la Formula 1 (ri-bleah!), lo sci e il tennis; i commentatori, a parte poche eccezioni, sembravano messi lì per caso provenienti dalle redazioni dei giornali di partito. E quindi tutti i ragazzi della mia generazione sceglievano di vedere lo sport sulla TSI (persino la sera della tragedia all’Heysel, i miei aspettavano in sala l’inizio della partita sul televisore grande sintonizzato sulla RAI, mentre io ero in cucina sul tv piccolo sintonizzato sulla TSI... ma fu Ezio Guidi – mi pare – a dare per primo la notizia del macello che era stato compiuto).
Anche perchè al sabato pomeriggio sul primo canale della TSI potevamo vedere le partite di basket commentate da Jecki Marti, giocate in posti mitici come la “Palestra Arti e Mestieri”, e nell’intervallo della partita ecco i primi filmati dagli States sulle stelle della NBA. Potevamo vedere la Coppa Spengler di hockey e imparare il significato di “liberazione vietata... si torna a giocare nel terzo difensivo del...”. Potevamo vedere i mondiali di ciclocross e scegliere di tifare per Zweifel o Frischneckt (il padre! Non il figlio...). Potevamo vedere lo sci commentato con competenza da Ezio Guidi, Libano Zanolari, Tiziano Colotti, ascoltare le gesta della “ragazza di Prato Leventina”, sentire le interviste in dialetto a Doris De Agostini nei collegamenti che cominciavano ad orari come 8.55, 12.55, ricordo ancora un 7.55 dai Monti Tatra quando l’ora legale non scattava dappertutto lo stesso giorno (o forse in Svizzera non si usava neppure).
Potevamo arrivare alla sera del sabato con la triade “Estrazione del lotto svizzero a numeri”, “Il Vangelo di domani” ed il mitico “Scacciapensieri”. E alle 22.15 circa, tutti in attesa della musica di Jean Michael Jarrè “Oxygene” che annunciava Sabato Sport, i collegamenti dallo stadio del Chiasso, o dalla Resega o dalla Valascia per la diretta delle imprese del Lugano o dell’Ambrì (ammetto qui solennemente che ho sempre fatto il tifo per l’Ambrì).
Poi la TSI orientò i segnali verso nord per non disturbare le antenne private lombarde (e la RAI...). Io non vidi mai più la televisione svizzera, il mio modo di trascorrere il sabato sera cambiò; internet non esisteva ancora, e io persi i contatti con il Canton Ticino. Fino al 1994.
Corsi la mia prima gara di orienteering nel 1992, poi una manciata nel 1993, ma nel 1994 la mia frequentazione delle gare lombarde fu più assidua; ero l’ultimo arrivato nell’allora piccolo gruppo dell’Unione Lombarda Milano, e ascoltavo con interesse i racconti delle gare che i miei compagni più forti andavano a fare in giro per l’Italia e addirittura in Canton Ticino. E quando qualcuno raccontava l’ultima esperienza oltre confine, le storie erano sempre cupe e terrificanti: i poveri orientisti italiani impiegavano alcune ore a completare i tremendi percorsi ticinesi, e si trattava di atleti che in Lombardia finivano sempre tra i primi; il più delle volte, le categorie richieste all’atto dell’iscrizione venivano sostituite con altre più semplici al fine di evitare inumane peregrinazioni nei boschi elvetici... in alcuni casi gli organizzatori, a gara finita, smontavano tutto e se ne andavano senza preoccuparsi dei miei compagni di squadra ancora in gara che non trovavano più né le lanterne né l’arrivo!
Ed io, ignorante su tutto, mi chiedevo cosa potesse mai essere questo “orienteering alla ticinese”: forse che oltre Brogeda le lanterne erano più piccole, invisibili, nascoste chissà dove? Il Ticino e la Svizzera improvvisamente mi si palesavano come luoghi poco ospitali, sicuramente da non frequentare come orientista.
Poi arrivò il 1997. Fu il primo anno nel quale con un gruppo di amici, tutti HC come me o poco più che esordienti, decidemmo di affrontare un nuovo tipo di vacanza: anziché spassarsela al mare o ai monti, avremmo partecipato ad una gara di orienteering su più giorni. La scelta cadde sulla “6 giorni di Svizzera”, che quell’anno aveva base a Thun e Friborgo. Iscritti in HC, partimmo in una buia notte estiva pieni di dubbi e di incertezze. Già durante il viaggio le premesse furono agghiaccianti: l’unica cartina della Svizzera era il mio atlante del Touring Club Italiano uscito nell’anno del terremoto in Friuli (metà anni ’70): le autostrade non erano tutte segnate, e giunti a Sesto Calende provenienti da Milano uscimmo dall’autostrada (che apparentemente finiva lì) e percorremmo tutte le statali e provinciali fino alla strada per Visp. Riuscimmo ad acchiappare per miracolo l’ultimo treno Goppenstein-Kandersteg (sulla mia auto tre persone avevano il mail d’auto... a proposito, l’auto di cui parlo è la stessa con la quale arrivo anche oggi alle gare, ed anche l’atlante è sempre quello! Ormai è un cimelio storico) ed arrivammo attraverso altre peripezie a Goldiwil, dove alloggiavamo.
Trascorremmo il primo giorno a Thun, partecipando anche alla gara in città ed incontrando un orientista cui tutti si rivolgevano con deferenza ed ammirazione: un certo Urs Fluhmann, ma io realizzai solo molti anni dopo chi era! Guardammo con una certa ansia le nubi che si addensavano sulla zona; infatti, il secondo giorno con prima tappa a Rohrinmoos, ci svegliammo sotto il diluvio: nuvole basse, acqua ovunque, Thun ai nostri piedi era invisibile sotto una pesante coltre nebbiosa. Davide registrò su videotape le sue impressioni: “Primo giorno di ferie, c’è nebbia, fa freddo e piove da far schifo... io torno a letto!”. Invece andammo tutti a Rohrinmoos, nel freddo e nel fango. Vidi i miei compagni di squadra entrare nel bosco finché venne anche il mio turno.
Sulla prima lanterna portavo con me tutto il fardello dei racconti “ticinesi” che avevo ascoltato; presi un sentiero e lo lasciai per dirigermi a destra, raggiunsi un altro sentiero, lo percorsi un po’ e poi mi buttai ancora a destra, oltre una collina in una zona di canalette, dove avrei dovuto trovare il mio primo punto... sempre che fossi stato in grado di trovarlo! Rallentai sotto la pioggia e cominciai ad orientarmi in mezzo alle felci, vidi un altro sentiero grosso a destra e vidi una canaletta con acqua... e una lanterna.
Mi avvicinai con circospezione e controllai il codice: era la mia! Per un istante la mia mente si fermò: non era più piccola del normale, non era invisibile, non era nascosta sottoterra; era una pura e semplice lanterna. Mi girai di 90° a destra e andai nella zona del secondo punto, poi ancora di 90° e seguendo altre canalette arrivai al terzo punto. In soli 10 minuti, la Svizzera era tornata ad essere un luogo accogliente, nel quale anche un orientista alle prime armi poteva trovare le proprie personali soddisfazioni. Non pensai mai più ai racconti lugubri che avevo ascoltato ed arrivai al traguardo in 50 minuti circa, sano e salvo e senza particolari problemi, e con me tutti quanti gli altri.
Da allora ho continuato ad inseguire la Svizzera, in una ricerca che non è stata certo avara di soddisfazioni e di gioie, anche se ancora non vedo i canali della TSI! Nel 1999 proprio in Ticino ho visto per la prima volta il mio nome comparire in cima ad una classifica, in una giornata emotivamente sconvolgente (partii per Monte San Giorgio direttamente dall’ospedale dove mia mamma era ricoverata da un mese); ho partecipato a tante gare del TMO con alterne vicissitudini, ai KOM di Mendrisio facendo una lanterna meglio di Martina Fritschy, a tante edizioni della Lei&Lui con un secondo posto alla Collina d’Oro. E adesso che sono a tutti gli effetti un AGETtino, la mia caccia al Sacro Graal orientistico ha fatto un altro passo avanti.
Stefano
Ps: in una sola altra occasione ho rivissuto le stesse sensazioni e gli stessi timori di quella prima lanterna svizzera: accadde nel 2003, a Molndal, in un bosco pazzesco ed iper-dettagliatissimo, ed era la prima lanterna della prima tappa della mia prima O-Ringen.
Diciamo che si trattava di una lanterna con un grado di difficoltà leggermente (diciamo pure “non solo leggermente”) superiore a quella lanterna del 1997.
Anche in quel caso, a ancora una volta solo per una frazione di secondo, ho pensato che la lanterna non era più piccola, non era invisibile, non era nascosta sottoterra.
Era lì.
Aspettava me.
5 Comments:
Cavolo a saperlo facevamo il viaggio assieme fino a Brogeda!!!
Sabato a fare un allenamento con alcuni scommini ( e le lanterne erano davvero piccine!!! )
Oggi a scoprire cosa fosse un long jog... long è long... ma non mi avevano detto che si potesse sciare anche senza sci!!!
E comunque hanno solo una cosa in più gli amici ticinesi... si allenano... per il resto sono come noi... e sinceramente non li ho mai visti minacciosi...
Ci vediamo allora in Ticino...
Rendendo pubblica la tua simpatia per l'Ambrì, ti sei guadagnato le simpatie degli scommini, ma puoi buttare nella spazzatura la tessera AGET :-)
Ma che è, sono diventato il covo dei o-frontalieri???
E si che dai miei calcoli mi mancherebbero i commenti di almeno... uno... due... tre... quattro elementi.
Aspetto il commento della new-entry del covo, allora!
e vai Stefano svizzero, ci fai sempre sognare. cosa possimao dire noi poveri ragazzi che non sanno scrivere quello che provano ma che si ritrovano in tutto quello che riporti nelle tue lunghe romanze?
a quando il tuo libro: "i miei primi quarant'anni?"
ciao mengamar
Ciao Marco, la risposta alla tua domanda potrebbe arrivare quanto prima... stay tuned!
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