Neurodeliri in libertà...
(primo paragrafo)
Con la partenza della stagione 2009 e la pubblicazione dei primi pezzi sulle news del sito Fiso si ripropongono ancora una volta alcune eterne questioni che, preferisco subito anticiparlo, non trovano in me o nel mio modo di “fare news” alcuna risposta concreta.
Le e-mail che mi arrivano in questi giorni evidenziano, a seconda ritengo della propensione del singolo che mi scrive, i malumori, le speranze e le convinzioni che ciascuno ha più in generale sul modo di intendere lo sport ed il modo in cui questo vada raccontato.
Perchè dare tutto questa importanza allo Sci-O che avrà, si e no, 100 atleti in tutta Italia? (mia risposta: perchè questi 100 atleti esistono, si fanno un mazzo così anche solo per andare da una gara all’altra, rappresentano una disciplina che grazie ai loro dirigenti di società ed ai dirigenti nazionali fa parte del CONI... mi sembra di aver letto che i pattinatori “pista lunga” in Italia sono circa una sessantina: ma il - limitatissimo ma esistente - sostegno che hanno avuto negli anni ’70 e ’80 e poi da Roberto Sighel in poi avrà aiutato un minimo ad avere un Enrico Fabris bi-medagliato d’oro a Torino 2006).
A che cosa servono queste notizie quando la nazionale italiana non piazza nemmeno un atleta tra i primi 25 di una gara internazionale? (mia risposta: se io non arrivassi mai nei primi 25 della gara di orienteering condominiale, dubito che qualcuno userebbe parole enfatiche per descrivere la mia gara; ma questi sono i migliori atleti italiani della specialità e si confrontano con atleti che sono praticamente professionisti da quando avevano 17 anni... pensare che il risultato possa essere, oggi, migliore mi sembra abbastanza utopistico, ma se l’impegno di questi atleti viene valutato al minimo per una prestazione fuori dai primi 25, prepariamoci ad avere un futuro nel quale avremo prestazioni fuori dai 50, fuori dai 75, fuori da tutto...).
Perchè tutta questa enfasi per dei risultati che non passeranno mai alla storia dello sport nostrano? (chi lo dice che non passeranno alla storia? Forse non oggi. Mi ricordo di un ragazzo francese che ha partecipato, tra i pochi, a quattro edizioni dei JWOC prendendo anche delle belle scoppole... chi conosce il nome di queste ragazzetto?)
Queste sono solo alcune delle domande a cui ho cercato di rispondere in questi ultimi giorni; sono state delle belle discussioni, dalle quali esco sicuramente io per primo con una idea più formata e più completa del modo di intendere lo sport da parte di chi lo vive sui campi di gara e contemporaneamente da osservatore esterno.
(secondo paragrafo)
Le perplessità e le domande che mi vengono periodicamente esposte mi danno la possibilità di dare un mio modestissimo parere su un modo di fare tutto italiano, ben radicato, un modo tutto nostro di interpretare e di definire le regole attraverso le quali lo sport dovrebbe essere raccontato, le parole attraverso le quali lo si vorrebbe portato all’attenzione del’pubblico e soprattutto c’è dietro una secolare storia di “come” certi racconti ci sono arrivati agli occhi ed alle orecchie. Un “come” che sembrerebbe talvolta dover diventare un cliché anche per chi, come il sottoscritto o come Cristian Giacomuzzi (nel caso specifico), racconta in modo non professionale le vicende di uno sport minore.
Voglio provare a spiegarmi, precisando che da tutto quanto scriverò qua sotto resta escluso il calcio nostrano, ovvero un universo che sembra essersi fatto le sue proprie regole ed essersi autodefinito dei confini di buonsenso, di legalità e di sportività stessa che stridono parecchio con il mio modo di intendere i concetti di “regola”, di “legalità”, di “buonsenso” e di “sportività”.
I racconti che la maggior parte degli sportivi vogliono leggere sembrano avere delle caratteristiche comuni: ci deve essere un eroe, vincente se possibile, ma non deve essere mica uno predestinato fin dall’inizio. Deve essere un po’ un derelitto (o una), uno o una che ha attraversato mille e mille difficoltà prima di vedere la luce del sole, uno o una che possa rappresentare l’esempio della rivincita di fronte al rio destino ma... attenzione! Deve essere anche uno o una che non appena raggiunge la luce del sole non acquisisce anche quel rango di “primus” che lo\la stacca dal resto del gruppo; deve invece mantenere quel tipo di basso profilo che ci aiuta non tanto a pensare “quello è come noi”, il che implicitamente renderebbe l’idea che anche noi avremmo potuto raggiungere certi risultati, se solo ci fossimo sforzati, bensì “noi siamo come lui\lei” il che ci autorizza a dire che siamo anche noi dei campioni...
Così le storie sportive italiane si popolano di fornai che inseguono sullo Stelvio, di ragionieri che si mettono in canotta e vincono le Olimpiadi, di disoccupati che si mettono in due a remare e diventano icone nazionali. Salvo che poi alla prima comparsata in televisione il popolo del divano si mette a mugugnare “ma quelli lì chi si credono di essere?”.
(terzo paragrafo)
Come popolo, proprio come popolo italiano, non c’è dubbio che la nostra storia, da quella nemmeno tanto recente a tempi più moderni, sia passata attraverso una serie di svarioni e di sconfitte non indifferenti. Già l’epica, quella che ci viene fatta studiare a scuola, si schiera apertamente a favore dei “deboli ed oppressi che rialzano la testa”, come se fin da piccoli dobbiamo imparare a farci il callo sul fatto che siamo noi quelli deboli che ogni tanto devono osare rialzare la testa.
Non ho dubbi sul fatto che fin dalla lettura dell’Iliade si impari a fare un po’ il tifo per i poveri troiani assediati da millanta navi ed eroi achei, a simpatizzare per quel povero Ettore che nel sesto canto dell’opera Omerica “eute pulas ikane dierkomenos mega astu te ar emelle pedionde” per andare a salutare per l’ultima volta Andromaca ed il primogenito... Un eroe per il quale si fa il tifo ma... prima o poi l’eroe deve anche crepare, no? Nel modo più eroico possibile ma deve crepare! Il tifo per il più debole non ci va mai dimenticare che se Ettore, attaccate le navi, avesse rimandato indietro i greci con la coda tra le gambe, ci saremmo ritrovati a simpatizzare per un energumeno anabolizzato e pure cafone... ed avremmo immediatamente cambiato bandiera al grido di “Ma ‘sti poveri greci!”.
Poveri greci. I 300 delle Termopili, ad esempio. Non sono mica passati alla storia perchè erano forti! Ci sono passati perchè erano pochi! E perchè sono morti... Se gli alleati di Leonida, anziché subire la diversione dei persiani ed allontanarsi dalle posizioni prestabilite, fossero rimasti in cima al passo... forse Leonida non sarebbe diventato quel personaggio studiato sui libri di storia, forse avrebbe guidato Sparta alla conquista di Atene, forse oggi chiameremo “leonidi” i caselli autostradali sui quali si infrangono ad ogni esodo milioni di macchine ferme sotto il sole e quel tal generale spartano ci sembrerebbe un po’ meno simpatico.
“Dagli atri muscosi\dai fori cadenti\dai boschi dall’arse fucine stridenti\dai solchi bagnati di servo sudor\un popolo intento repente si desta...”. A pura memoria dal mio liceo classico, qualche parola potrebbe essere sbagliata. E’ Manzoni. Il coro dei Lombardi. O sembra la locandina del film “la rivincita dei nerds”?
E la storia del Piave, fiume caro alla patria? “Il Piave mormorò\Non passa lo straniero! (zumzum)” Ah la canzone del Piave... si, peccato che il fronte stava a Caporetto! Pregasi cercare Caporetto sulle cartine; non c’è? Eh già. Sta in Slovenia! Zona Cerkno (un po’ più a nord, in realtà). Pregasi allora valutare ad occhio la distanza tra Cerkno ed il Piave... altro che “non passa lo straniero! (zumzum)”: quelli erano già passati come i tedeschi sulle autostrade verso la riviera romagnola!
Gli eroi a tutti i livelli piacciono o divertono se partono da una situazione disastrata, se sono pochi, se partono battuti, se non sono bellocci... soprattutto se alla fine vincono! Ma, una volta che hanno vinto, una volta che siamo saliti tutti quanti sul carro dei vincitori, è meglio per tutti se tornano a fare gli sfigati: giù dal carro i vincitori, ci siamo già noi ad occupare tutti i posti!
(quarto paragrafo)
Sul fatto che alcune tra le pagine più belle dello sport italiano siano passate dal brivido assoluto della sconfitta certa certissima, dalle stalle alle stelle, dal momento nel quale lo sportivo da divano ha lanciato il telecomando al grido di “quei buffoni strapagati!” fino al momento in cui (richiamato dalle urla dei vicini) ha ripreso in mano il telecomando gridando “l’ho sempre detto che non era finita!” (perchè, come dice John Belushi, è finita solo quando lo diciamo noi...)... dicevo, su questo fatto non ci piove.
Mennea non sarebbe stato Mennea se avesse volato 200 metri alla Usain Bolt lasciando alle spalle il resto del mondo. No. Mennea ha dovuto essere brutto e stortignaccolo, e lasciare pure 6 o 7 metri di vantaggio a Alan Wells prima di accorgersi “che quello scozzese gli stava portando via tutto, e a quel punto come un condannato a morte si riscosse con un rantolo e andò a riprendersi la glori e la vita” (Prof. Vittori).
E se Gelindo Bordin se ne fosse andato via al 30esimo chilometro? Una bella accelerazione e via! Invece no. Bordin ha dovuto aspettare l’attacco di Saleh, il rientro di Wakihuri... e poi, solo poi, quando ormai anche il telecronista si era rassegnato ad un “chiudere per un comunque prestigiosissimo secondo posto” (notare l’arte del telecronista che già mette le mani avanti...), venire fuori con un chilometro pazzesco ed andare a riprendere gli africani “che si riposano correndo” (sempre il telecronista, mentre il nostro eroe evidentemente chissà come fa a stargli davanti).
La vittoria, poi, è tanto più bella quanto più possiamo metterci a ballare davanti non sono agli avversari sconfitti, ma anche quanto più sono i tifosi avversari che rimangono a bocca aperta ma senza parole. Staffetta 4x10 chilometri di sci di fondo! Quella recente con i vari Piller, Zorzi, Valbusa e compagnia? Ma va là... Lillehammer! 4 italiani con età media da M35 contro centomila e 4 norvegesi che schierano Bjorn Daehlie in ultima frazione. Come è andata a finire?
Persino Cova non sarebbe diventato quello che è senza la telecronaca di Paolo Rosi e se avesse messo il turbo a 500 metri dall’arrivo come Lasse Viren, avesse staccato Emiel Puttemans e fosse arrivato al traguardo da solo. No, on sarebbe stata a stessa cosa... invece anche lui ha dovuto essere lì a 40 metri dall’arrivo praticamente battuto, praticamente sconfitto, praticamente nemmeno sul podio, prima di piazzare i 40 metri più brutali del fondo degli anni ’80
Perchè, e ritiro dentro il calcio, persino in Spagna ’82... comprare un pareggio con i camerunesi per passare il turno e poi, questa si che è epica, andare a battere Argentina, Brasile (ma un monumento all’arbitro Klein ancora non l’hanno fatto?), Polonia e Germania! Ricordo un commento dell’epoca: “Ancora una volta si ripete la storia: i nostri ragazzi contro la panzerdivisionen!”...
E che dire di quei campioni osannati all’inizio, poi praticamente ridotti a personaggi da operetta con i quali gioire per qualunque loro sconfitta, per poi ancora essere “riscoperti” da vecchi quando ci si rende conto che non avremo ancora avuto modo di vederli a lungo in gara? Un nome per tutti: Henri “Riton” Leconte... ah no, questo è francese... diciamo allora Alberto Tomba, che se fosse stato svizzero a quest’ora sarebbe forse ministro della Confederazione.
A fronte di una Federica Pellegrini che comincia già, nell’immaginario collettivo, a rompere i cocomeri (purtroppo non è brutta, non se ne sta schiscia) si salvano le donne.
Penso a Valentina Vezzali che è ancora sulla breccia ma ha avuto tre grandi vantaggi: la sua disciplina va sulla bocca di tutti ogni 4 anni, è riuscita a perdere da Granbassi (che poi ha fatto il calendario, AnnoZero, casini vari... e quindi è passata automaticamente dalla parte del torto) ed è mamma.
Penso a Deborah Compagnoni su cui nessun italiano avrebbe sparato a zero dopo averla vista urlare in diretta mondiale con un ginocchio spezzato nel momento in cui stava diventando grandissima (poi è diventata lo stesso la più grande di tutte).
Penso a Stefania Belmondo che ha sempre fatto la parte della piccolina di fronte alle russe e forse solo grazie a questo si è salvata dal gran tritacarne mediatico, lei che in effetti ha alzato la voce spesso e volentieri ogni volta che qualche cosa non andava (l’allenatore, la sciolina, la griglia di partenza, Manuela Di Centa...)
Che qualcuno (il cielo, forse) aiuti Alex Schwazer, che è bello forte e pure simpatico e sta con Carolina Kostner!
(ultimo paragrafo)
In mezzo a tutto questo tripudio di cavolate, mi sento di affermare 3 gradi di libertà per tutti coloro che scrivono sul sito Fiso:
1) le squadre nazionali, gli atleti ed i loro allenatori vanno sostenuti fino all’ultima virgola, perchè nessuno mi ha ancora mostrato un solo atleta italiano che è andato a fare una gara nazionale o internazionale “per passare il tempo”. Se il 25° posto è il massimo che in questo momento si può ottenere, VIVA quel 25° posto! Sta all’intelligenza di chi sta al vertice del nostro piccolo sport andare a stabilire i mezzi con i quali quel 25° posto potrà diventare un 20° domani, poi un 15° tra due anni e magari tra 4 o 5 anni una posizione stabile nelle prime 10... e poi chissà.
2) uomini e donne hanno la stessa dignità. Che in parole povere potrebbe già tradursi nel fatto che non si dovrà mai citare e parlare di una atleta come di “la tale”. Il giorno in cui i giornalisti e gli pseudo tali di tutti gli sport impareranno a non parlare di “la tale” e “la talatra” sarà una giornata radiosa. Se parlo della gara di sci di fondo femminile non serve dire “la Follis”: quello lo lascio dire ai giornalisti che escono dalle sedi di partito e si fanno largo al vertice a colpi di tessera. Altrimenti, par condicio, da domani si parla di “il Tenani”, “il Seppi” e via dicendo (Alessio e Marco presi assolutamente a caso). Solo io posso dire “la Varoli” a Giovanna, ma solo se è una mia avversaria alla staffetta del Parco della Pellerina e sto cercando di distrarla!
3) Il fatto che i ragazzi italiani e le ragazze italiane facciano fatica, oggi, a conquistare una posizione di eccellenza nel gotha mondiale dell’orienteering non mi toglierà mai la voglia di raccontare nel modo più positivo possibile ogni secondo ed ogni metro delle loro gare. Perchè ogni secondo ed ogni metro di ciascuna di quelle gare è qualcosa di più e di fatto meglio di ciò che io ed il 99% degli orientisti italiani sarebbero mai in grado di fare. Ho davanti agli occhi in paginone centrale di Orienteering Today, con l’ultima frazione della Jukola e le scelte di Valentin Novikov: potrei limitarmi a non sprecare una stilla di energia, un secondo del mio tempo ed una singola fibra di muscolo per gareggiare contro uno di questi fenomeni anche se me lo ordinasse il dottore! Ma se qualcuno lo fa, lo fa anche perchè tra una generazione o due (o ai JWOC 2009) un italiano o una italiana possano salire su quel maledettissimo podio nella C.O.
Quel giorno qualcuno dovrà raccontarlo.
3 Comments:
Grazie Stefano.
IN mezzo a tutti i casini e le beghe della FISO, leggere questo che hai scritto fa bene...
Grazie anche a nome dei ragazzi delleo SCI-O che, per inciso, sono appena usciti dalla Junior e quindi credo che un pò di strada potranno farla.
Ciao Stefanone, grazie del tuo magnifico ultimo paragrafo. Hai perfettamente ragione; io ci aggiungerei che i migliori di tutte le discipline, devono (obbligatorio) poter gareggiare a livello internazionale, già a cominciare dai 16 anni. Maschi e femmine. Solo così a 30 potranno essere nei top ten. Lidia
Per esperienza dico che in qualunque sport ed in qualunque competizione per vincere bisogna sempre tirare fuori gli attributi.... quando si gareggia contro qualcuno bisogna sempre dimostrare di essere il migliore e non è semplice esserlo; i motivi possono essere molteplici ma vincere non è mai facile.
C'è chi è nato sfortunato e nasce lo stesso anno di un fuoriclasse: ecco, è brutto allenarsi sapendo di arrivare sempre secondo....
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