Tutto in una notte (seconda parte)
(…) Dopo un
rientro da Toronto traumatico, ed un fine settimana così impegnativo, sarei
pronto ad accasciarmi sul letto e dormire per una settimana. Ma la sveglia
suona ancora una volta alle 5 del mattino del lunedì, perché il piano di lavoro
prevede che io scenda a Parma. Sono ancora una volta i pizzicotti sul braccio a
tenermi sveglio sul treno, e poi durante le riunioni che si susseguono nel
corso della giornata: non posso dire di essere stato molto attento e presente,
ma sono ampiamente giustificato dal fatto che non ho ancora smaltito il jet lag
(nessuno è al corrente del fine settimana di-non-riposo…). Al rientro a Milano,
scopro con raccapriccio che la Signora Merkel deve aver fatto qualche pasticcio
anche con le Ferrovie dello Stato, perché i treni per tornare a casa sono tutti
in straritardo! Avevo intenzione di cominciare in serata il travaso dalla borsa
di Bobbio alla valigia di Roma, e per mantenermi in linea con i programmi
finisco di preparare il bagaglio a tardissima sera.
Per fortuna
a Roma mi attende un tempo decisamente più caldo rispetto a quello appenninico.
E per ulteriore fortuna, a Roma mi attende Mike!
Per chi ancora non
lo conoscesse, Mike Edwards è un bravissimo speaker, di enorme esperienza.
Quando io nel 1999 ancora mi aggiravo nei boschi con l’aria di quello che non
saprebbe raggiungere da solo nemmeno la partenza, Mike era già nel parterre dei
Campionati Mondiali disputati in Scozia (è stato lui ad innalzare sul pennone
più alto la bandiera britannica per la vittoria mondiale di Yvette Baker).
Ancora di più, Mike ha una competenza davvero sconfinata, che emerge
ulteriormente nel momento in cui fa da speaker in una gara nella quale ci sono
così tanti atleti provenienti dalla Gran Bretagna, di cui ovviamente conosce vita
e miracoli. Ma molto molto più importante: Mike è un autentico mattacchione! Come
a me, anche a Mike piace divagare su qualche aneddoto del passato, magari neppure
relativo all’orienteering ma a vicende sportive in generale. Di conseguenza, la
coppia che si presenta al microfono del Rome Orienteering Meeting è la migliore
che si può mettere in campo, ovvero “Mike
e chiunque altro al suo fianco” (“the best pair of speakers in orienteering
is Mike and anyone”): lui copre la parte agonistica, io mi metto alle sue spalle e faccio la spalla comica!
Arrivato a
Roma con il treno di venerdì mattina (mi sono addormentato che il treno era
ancora in centrale, e mi sono svegliato più a meno a Roma Tiburtina),
scongiurato il pericolo dello sciopero della metropolitana che mi avrebbe
costretto ad arrivare sul campo gara facendo 5 km a piedi con la valigia
appresso, posso salutare la compagnia del CCR Roma e cambiarmi subito: è già l’ora
di affrontare il percorso disegnato la Caffarella da Stefano Zarfati.
Un po’
infangata la carta, isn’t it? Non ci sarebbe stata alcuna ragione per rovinare
la mappa di gara in quel modo, se non fosse stato per una tonnàta ciclopica tra
il punto 14 ed il punto 15. In quel momento, infatti, forse mi sono sentito
bello veloce per via della discesa appena fatta in mezzo ai coniglietti che
scappavano via da tutte le parti… forse ero troppo veloce (?), e non ho visto l’accesso
verso sinistra per andare al punto 15. Tutto ciò che vedevo della mappa, tutto
ciò che pensavo, era di girare a sinistra non appena terminata la rude macchia
impenetrabile color verde, superare la curva di livello che corre parallela al
sentiero ed arrivare al punto.
Curva di
livello? Quale curva di livello? Trattasi in effetti di un fosso abbastanza
profondo, maleodorante e fangoso come la mitica fogna di Calcutta. Il fatto è
che, quando mi sono girato a sinistra alla fine del macchione verde, non ho trovato
alcuna salita ma un fosso; nessun dubbio mi è passato per la testa se non una
cosa del tipo “nessun fosso mi può fermare”. Eh… ma il fosso non era mica d’accordo!
La constatazione amichevole tra me ed il fosso non mostra con chiarezza che
ero io a venire da destra, ma la carta di gara uscita dal confronto con uno
strato uniforme di fanghiglia marrone dimostrava che una curva di livello in
quel punto c’era eccome, a rappresentare la profondità del fosso! Oltre alla
carta marrone, il risultato dell’attraversamento del fosso è che mi trasformo
immediatamente in una sorta di mostro della laguna nera maleodorante, o una
specie di maialino che ha appena finito di rotolarsi nel fango. Accade così che
il mio arrivo al traguardo, in uno stato pietoso, venga accolto dagli occhi
sgranati di parecchi partecipanti che pensavano ad un tranquillo parco
cittadino (come in effetti è il Parco della Caffarella). Ola Skepp, capostipite
della omonima famiglia, si limita a sollevare gli occhi al cielo sapendo che
per tre giorni gli toccherà sorbirsi la voce del matto che aveva già sentito a
Siena. Papà Gajda, coach dei vari fratelli che mettono a ferro e fuoco le gare
estive e finanche i Campionati Europei Giovanili, se ne esce con un “ma non è
un parco questo?” ed io rispondo “it’s only a shortcut!”. E tutti tornano
felici e contenti (e tutti torneranno al traguardo puliti come appena usciti
dal bucato…).
Completata
la raccolta punti con il buio, si ricomincia all’alba di sabato con la seconda
tappa al parco di Villa Pamphilj. Un posto che sarebbe stato perfetto per una
gara sprint olimpica (Roma 2024 che non ci sarà più), ma è sempre perfetto
anche per una gara middle soprattutto da quando c’è la possibilità di passare
sopra il Viale Olimpico e, quindi, correre sia nella parte est che in quella
ovest della mappa.
Nella mia
gara riesco a fare tutto ed il contrario di tutto. In partenza mi sembra che le
gambe siano abbastanza reattive (potere del comodissimo divano letto messo a
disposizione da Zarfo, e del fatto che con i tappi nelle orecchie non sento
Mike che russa sul divano a fianco…), ma una volta arrivato sul ponticello che
passa sopra la strada olimpica finisco lungo e disteso per terra: un tondino di
ferro che sporge dalla spalletta del ponticello ha agganciato la parte
superiore della scarpa e l’ha letteralmente divelta dalla suola! Probabilmente
se fossi passato con il piede un millimetro più in alto non sarebbe successo
niente, ma un millimetro più in passo sarebbe “partito” anche il mio piede. Con
una scarpa in quelle condizioni, devo rallentare ed optare per una tattica
molto conservativa: cerco di tenere il piede in quello che rimane nella scarpa
quando devo fare salite e discese nei boschetti, mentre cerco di correre a
piedi scalzi come Abebe Bikila o Zola Budd quando sono su terreno pianeggiante
e c’è l’erba. In ogni caso, quando arrivo al punto il piede comincia a fare davvero
male perché anche la calza ormai si sta disintegrando: il finale sulla ghiaia
del sentiero che porta all’arrivo è una sofferenza, ma almeno anche questa gara
è fatta.
Purtroppo
tutto questo mi si ritorcerà contro nella gara di domenica mattina (ancora una
volta all’alba) nel centro storico di Roma. Le scarpe con cui corro non sono
adatte per nulla, le gambe non ne vogliono sapere ed io comincio ad avvertire
un po’ di “saturazione”: già per venire a capo del reticolo di punti alla
partenza di Coppe Oppio, con lo sguardo che indugia sempre a destra verso il
Colosseo, impiego un tempo indecente; mi riprendo un po’ nella parte centrale
della gara, ma dopo la salita al dedalo di “sentieri pensili” dei punti 17 e 18
posizionati nel giardino che sta 15 metri sopra il livello della strada, le
gambe decidono che non ne hanno più.
Gli ultimi
10 punti del percorso si traducono quindi in una stanca passeggiata attorno al
Campidoglio: ogni volta che cerco di rimettermi a correre, invogliato dal passaggio di decine di podisti che corrono veloci attorno a me lungo i Fori Imperiali e la collina del
Campidoglio, le gambe mandano un severo monito al cervello ed i piedi
ricominciano immediatamente a strascicare sul terreno. Imbarazzante il passaggio davanti alla
postazione dell’Esercito per andare alla 24: cerco di fare il brillante salutando
come al solito tutti i vigili gerdarmi guardiegiurate forestali e poliziotti
che incontro “buongiorno… sono l’apripista della gara… tutto ok nessun problema!”.
Mentre mi allontano lentamente, sento uno dei soldatini che dice all’altro “se il
pericolo è lui, lo acchiappiamo senza fare nemmeno fatica…”. Per fortuna da lì
non sono passato una seconda volta.
Poi
anche il Rome Orienteering Meeting finisce in gloria: puntualissime e molto partecipate fino in fondo le premiazioni by Mike con
la colonna sonora di Don’t let me be misunderstood nella versione di Leroy
Gomez & Santa Esmeralda; in fondo sarebbe bastata la voce con accento
british e la cadenza di Mike, e che Leroy Gomez si vada a nascondere…
« The best
doubles pair in the world is John McEnroe and anyone » (Peter Fleming)
1 Comments:
Great article and always a pleasure to work with the best speaker around
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