Tutto in una notte (terza e ultima parte)
(…) Al rientro da Roma il mio fisico semplicemente dichiara
di non averne più: né energie per correre ancora, né voglia di cercare lanterne
o di mettermi dietro ad un microfono. Per tutta la settimana vengo sballottato
in giro qua e là, ma in anticamera è rimasto un ultimo trolley a ricordarmi che
per completare questo tour de force manca ancora un fine settimana da “tutto in
una notte”: manca infatti il weekend di Bologna con le ultime due gare di
Suunto Sprint Race Tour e la finale di Coppa Italia. I presagi che mi
accompagnano mentre vado a prendere l’ennesimo treno per Bologna (sono io
l’azionista di maggioranza di Trenitalia, altro che Frau Merkel!) sono foschi:
mal di testa, gambe doloranti, fiatone anche solo a salire le scale mobili, ma
mi riprometto che cercherò di tenere duro per onorare le gare organizzate dagli
amici del Circolo Dozza.
Poi, quando arrivo nel piazzale della stazione di Bologna, cominciano
a succedere delle cose strane. Per prima cosa mi accorgo che sono arrivato ad
un orario antelucano, e che è assurdo andare così presto al Quartiere Navile
dove si correrà la finale di Coppa Italia. Il bollettino della manifestazione
dice che c’è la possibilità di fare un allenamento ai Giardini Margherita, cosa
che non avevo affatto previsto di fare; così prendo il bus che fa la
circonvallazione della città, metto su l’Ipod in modalità shuffle e vado a
vedere questo allenamento: su 500 canzoni disponibili, la prima che entra il
playlist è “Eye of the tiger” a tutto volume nelle orecchie. Se alla fermata in
attesa c’era una specie di walking dead, quello che sale sul bus è Clint
Eastwood che manca poco che apra le portiere con un calcio come se fossero le
doppie ante del saloon. Il fiatone sembra attenuarsi, le gambe di puro legno di
massello si sciolgono e pure il mal di testa manda segnali di resa. All’interno
dei Giardini, che credo di aver visitato da bambino più di 40 anni fa, faccio
un po’ di orienteering con Google Maps, raggiungo il ritrovo, mi faccio dare
una cartina dell’allenamento; decido di farlo in t-shirt e jeans, nonostante
faccia davvero freddo, camminando per tutto il parco alla ricerca delle
lanterne predisposte.
Non so bene cosa sia successo durante i 20 minuti abbondanti
passati a girare qua e là: fatto sta che quando ritorno a prendere felpa e
bagaglio posso constatare che alle gambe è tornata la voglia di mettersi a
correre, che il mal di testa è passato (ci sono poche sensazioni così belle
come quella del mal di testa che scompare) e che mi è persino tornata la voglia
di fare il buffone con gli amici della Picchio Verde, che nel frattempo sono
arrivati ad allenarsi anche loro. Riprendo l’Ipod, rimetto la modalità
“shuffle”, rifaccio partire la musica a tutto volume: su 500 canzoni disponibili,
la prima che entra il playlist è… “Don’t let me be misunderstood”! (e ormai lo
sanno anche i sassi che è una delle mie canzoni preferite). Decisamente, lassù
c’è qualcuno che mi vuole tonico, pimpante e soprattutto molto aggressivo
questo pomeriggio! La canzone della versione di Leroy Gomez rimixata dura 13
minuti: è il tempo necessario per portare Cline Eastwood (che nel frattempo ha
sterminato tuti i walking dead) alla fermata del bus, tornare in stazione e
prendere l’altro bus che mi porta al Quartiere Navile. Quando ci arrivo, posso
salutare Clint perché sento di essere in uno stato di nirvana che vorrei che
durasse almeno il tempo della gara.
E infatti dura!
Sarà anche il fatto che in partenza ci arrivo accompagnato da
Gabriele Bettega, ed io so già per esperienza diretta che quando c’è Gabriele
in giro le cose possono solo andare bene (prima o poi ci dovremo decidere a
nominarlo santo protettore di tutti gli orientisti…). Prendo il via. Non ho
ancora finito di girare il primo angolo della casa ed arrivare alla lanterna
svedese che il mio cervello manda un messaggio perentorio: “Dove credi di andare a questa velocità???
Guarda che crolli prima ancora di essere arrivato alla 1!!!”. Mi si parano davanti due scelte (e sono
praticamente più di quelle che ho per andare al primo punto, al secondo, al
terzo…): o do retta al cervello e metto la marcia su un ritmo più basso, o do
retta alle gambe che nel frattempo sono arrivate alla seconda svolta e vogliono
soltanto correre dietro ai miei piedi. Clint, ormai padrone del mio subconscio in
versione poncho e sigaro tra i denti, colpisce con violenza l’opzione “rallenta”:
addirittura riesco ad accelerare ancora! Se va avanti così, giuro che questa volta non dovrò calcolare il doppio
del tempo del vincitore, e nemmeno il 90% o l’80% in più: questa volta non
dovrò cercare il mio nome in fondo alla classifica.
Per andare dalla 4 alla 5 faccio il giro delle due “mezzelune”
da nord, così intanto guardo dove sta il cespuglio della 7 ed il salice con la 6.
Verso la 8 passo in mezzo ai due montarozzi, senza fare un metro di salita: mi
sembra di avere una fugace visione di Clint che, ai comandi della cloche nel
mio cervello (tipo Actarus con Goldrake, ma ha il cappellaccio, il poncho ed il
sigaro) continua a dire di correre, di spingere e di fregarmene apertamente
della tratta “corri mona!” che
passando sotto la tangenziale di Bologna mi avrebbe riportato in zona arrivo.
Fino alla 14 non ho un solo ripensamento, un solo problema, un solo dubbio: la
fatica comincia a farsi sentire, ma quei portici che nella mente del
tracciatore dovevano rappresentare una specie di labirinto diventano una specie
di trampolino per me che sono un veterano di mille corse a Monza, a Muggiò, a
Desio, a Sesto San Giovanni… Passo dalla 14 con un tempo attorno ai 16’10”, ma
sono evidentemente oltre il mio limite perché per andare alla 15 commetto l’errore
fatale. O meglio, alla 15 ci arrivo anche molto bene: solo che il mio primo
piano di volo prevedeva di arrivarci da nord per continuare a correre in
direzione della 16; i piedi invece, dopo aver punzonato la 14, si buttano verso
sud attraversando il portico in diagonale, ed io, Clint, Actarus, Uncle Tom Cobbley and all (ovvero tutta l’allegra
compagnia che alberga nel mio cervello) andiamo loro dietro. E’ a questo punto che
Clint decide di lasciare per un istante i comandi per andare nel retro a lumare
qualche bella hostess…
Succede così che, dopo aver punzonato la 15 provenendo da
sud, continuo a correre come il peggiore
dei coglionazzi… verso nord! Arrivo alla siepe e la scambio per il muretto
non attraversabile, guardo verso destra cercando le scale ma vedo un portico e,
al di là, 4 piccole aiuole. Ho già superato il muretto??? “Ma no, cretino! Queste aiuole sono piccolissime, buttati a sud, buttati
a sud!!!”. Per farla breve, sbaglio là dove non avrei mai e poi mai dovuto
sbagliare. E poi ri-sbaglio, perché già che c’ero a quel punto avrei potuto
arrivare alla 16 da est anziché da ovest.
(in rosso il mio giro del fullo...)
In condizioni normali, dopo aver letteralmente buttato nel
cesso una bella gara, mi sarei messo a corricchiare fino al traguardo. Ma Clint
torna ai comandi, ancora sporco di rossetto, e intima: “Nella mia lingua non esiste la parola arrendersi! Nella mia lingua la
parola corricchiare si legge “continua a sprintare finché non vomiti l’anima!” e,
quando vomiti, girati di spalle che anche quello ti da una bella spinta!!!”. Punto
17, poi subito fuori sulla strada, ponte della tangenziale, lungo recinto privato
(del Cus Bologna, mi pare) e poi al primo varco mi butto a sinistra. Ormai sono
in zona arrivo e ho davvero il vomito (*),
ma cerco di disimpegnarmi come meglio posso tra i recinti dei campetti di
calcio e sprintare fino alla fine. Tempo finale: 23’17”.
(*) poi scoprirò che qualcuno, su quel
rettilineo finale, ha finito per vomitare davvero…
Dovrei essere contento, molto contento, ed invece con il mio
cervello è tutto uno scambiarsi parole brutte e insulti per i secondi persi
dopo la 15: forse avrei potuto stare attorno ai 22’15”… e a quel punto voglio
vedere se i migliori riescono a doppiarmi facendo 11’07”! Non riesco proprio a
mettermi tranquillo e, per i successivi 20 minuti (in maglietta e calzoncini
mentre attorno fa un freddo polare) devo assolutamente condividere con chiunque
mi passa vicino quanto sono stato pirla e come io sia riuscito a buttare alle
ortiche una gara quasi perfetta, in uno dei pochi giorni nei quali i miei piedi
correvano veramente davanti a me, e correvano bene!
La pianto di autocommiserarmi quando il dovere mi chiama alla
postazione microfonica, dalla quale potrò seguire il duello al calor bianco sul
filo dei decimi di secondo tra Elena e Ursula per la vittoria, dalla quale mi
dovrò sporgere per vedere Anna C. che a 50 metri dal traguardo davvero non
riesce a trattenere il vomito. Non mi dovrò sporgere invece per vedere che le
squadre austriache e croate hanno eletto il gradino sotto la postazione
microfonica come spogliatoio…
(Elena)
(postazione speaker)
(si... la sotto poco oltre l'arco c'è Anna che sta vomitando...
ma non lo posso mica dire in cronaca diretta!)
(arrivo di .. CHI??? Ma Ursula Kadan no?
E' quella là sotto, dietro le spalle della signorina)
Premiazione fatta a lume di candela, anzi alla luce dei fari di
una automobile… ed ancora più tardi, durante la serata, il quartetto di moschettieri
composto da Gabriele Bettega, Edoardo Tona, Eddy Sandri ed il sottoscritto proverà
a mettere una pezza ad un buco informatico che non consente di stilare le
classifiche di Coppa Italia, provando a redigerle con il classico sistema “carta
e penna” accompagnato da qualche birra: il tutto senza computer, senza
regolamento alla mano ma con qualche birra di troppo (gli altri avventori della
pizzeria se ne sono andati disgustati da tanta cagnàra…)
Verrà poi la domenica di Bologna, una domenica bagnata non
dalla birra ma dalla pioggia che renderà scivolosissimo il terreno di gara. Partenza
ed arrivo (con passaggio al tempo intermedio) in Piazza Maggiore dove lo
speaker segnala (agli orientisti ed ai turisti che lo stanno a sentire) che le
sbrecciature sul selciato del sagrato non sono indice di cattiva manutenzione
ma il segno di dove sono passati i carri armati degli eserciti di liberazione
alla fine della seconda guerra mondiale. La mia gara non è né difficile né
memorabile, ed avrei persino evitato di mettere il loop prima del passaggio al
punto spettacolo. D’altra parte è una gara sprint e quindi il percorso non si
può allontanare molto da Piazza Maggiore perché poi bisogna far tornare tutti i
concorrenti nel giro di 15-20 minuti al massimo…
D’altra parte, come
diceva quel sommo poeta che ha vissuto a meno di 200 metri dalla postazione
microfonica dello speaker:
“…Girando ancora un poco ho incontrato uno che si era
perduto / Gli ho detto che nel centro di Bologna / non si perde neanche un bambino…”
Oh! Io “Disperato Erotico Stomp” di Lucio Dalla la conosco a
memoria… ed ho avuto modo di spiegarlo abbondantemente durante la lunga cronaca
della giornata (ma non di cantarla al mcrofono, come mi è stato chiesto). Non si può dire la stesa cosa a proposito dei baristi di alcuni
locali che si affacciano sulla piazza, dove il quartetto dei moschettieri è andato
a fare colazione e merenda: dei versi di Lucio Dalla e della sua poesia, non
fregava proprio niente a nessuno.
(mentre NON canto "Disperato Erotico Stomp" o "Piazza Grande"... perché sono timido e poi perché Lucio Dalla è Lucio Dalla e va rispettato)
(con le gambe di legno al termine del tour de force)
(sempre a spiegare qualcosa... ma chi mi sta mai a sentire?!?)
1 Comments:
😇
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