MOO. Basta la parola.
"Ciao vecchia… andate là
Un centralino dell'INPS
Un barile marrone
Un nastro arancioneeeeeee
E poi Graz AlKatz!"
Mi sveglio lunedì all'alba, con
la musica di "Centro di Gravità Permanente" in testa. Ma le parole
del testo non sono quelle classiche della vecchia brétone con un cappello e un
ombrello di carta di riso. Non sono nemmeno sicuro di ricordare come mi chiamo,
ma ricordo a memoria il numero di una palina dell'ATM, la misura dei faretti,
persino il numero di telefono di un tizio che affitta un due\tre locali anche
arredati in zona Piazza Angilberto. Il cervello è ancora in modalità MOO. Mi
verrebbe da dire "E' il MOO,
bellezza, e non ci puoi fare niente!". Ma chi ci vuole fare qualcosa?
Sono contento così. Il MOO. Il capolavoro di ReMOO, è tutto MOOlto bello... e
adesso basta fare strani giochi di parole.
Se fosse una gara ufficiale della
Fiso, sarebbe l'evento dell'anno a mani bassissime. Forse lo è, almeno a giudicare
dai commenti di alcuni partecipanti. Nella starting list 2019 troviamo alcuni
orientisti forti, qualcuno fortissimo, uno anche ex campione del mondo! E tutti
scherzano e ridono prima di partire, ma ammettono di essersi preparati
fisicamente e mentalmente per QUESTO evento. Penso a quello che ho fatto io
negli ultimi giorni prima del MOO. Quando mai per una gara ho preparato
l'attrezzatura necessaria stando attento alla grammatura che mi sarei portato dietro?
Cartelletta rigida per scrivere si, cartelletta rigida no (alla fine no). Acqua
no, pesa troppo, al limite ci sarà qualche fontana. Barrette si, carbogel
meglio: ne porto 5 per 5 ore di gara. Portatessera per la tessera del tram in
stile badge aziendale, per limitare al minimo indispensabile il tempo necessario
a tirarla fuori dalla tasca ad ogni attraversamento di un tornello. Fazzoletti
di carta...? Si, però… vabbé, mi soffio il naso tra le dita (in italiano mi
pare che si dica "mi scarnoffio"). Due penne, una matita. Però una
matita corta, stile Ikea (alla fine sarà quella dell'Ikea) che pesa meno. Non
sto preparando la Marathon des Sables ma siamo lì.
E' il MOO, bellezza! E chi ci
vuole fare qualcosa? Anche quest'anno mi lascio travolgere. Passano le ore e
sono sempre più ansioso di scoprire cosa ci ha riservato Remo, dove ci manderà.
Nei giorni precedenti l'Evento, fioccavano le scommesse... ritrovo al circolo
ARCI di Via Oglio? Passaggio sicuro in Piazza Angilberto (con la tentazione di
portarsi avanti ed andare a contare tutti i pois bianchi e gialli). Poi magari
si scende lungo Viale Omero, Parco Cassinis. Quanto ci vorrà dalla fermata
della metropolitana di Porto di Mare a quella di Rogoredo? Google Maps dice 650
metri... converrà tentare la sorte e scendere in metropolitana o lanciarsi
senza indugio di corsa lungo Via del Mare? La testa non smette di pensare e di
immaginarsi gli scenari più improbabili.
Sabato sera vado a letto e faccio
un sogno stranissimo: sono al via di una gara di orienteering che si disputa su
un arco temporale di 3 giorni (Remo: non ci provare!), ci sono equipaggi
fortissimi (ricordo benissimo di aver visto Daniele Pagliari...) e ci sono
squadre composte da alcuni colleghi di lavoro; il regolamento prevede che si possano
lasciare indumenti puliti e cibo qua e là lungo il percorso, che si possano
prenotare brande per dormire in alcuni punti specifici, anche se non è affatto
detto che il percorso ci porterà proprio in quei punti. Nel sogno il mio
equipaggio si perde, rimane indietro, passa dai punti dove dovremmo trovare
cibo e indumenti puliti quando ormai gli altri concorrenti hanno fatto sparire
tutto quanto... ricordo la fatica e la delusione e infine una specie di
trafiletto di giornale con poche righe per raccontare che la squadra con i nomi
dei miei colleghi di lavoro non aveva concluso la gara, e poco sotto due righe
che dicono che il mio equipaggio era arrivato al traguardo: ultimo ma arrivato.
E un istante dopo la sveglia.
Mi sveglio e sono già in clima
gara, e non sono nemmeno ancora uscito dal letto!
Ritrovo: una cascina in zona
Corvetto che fa da punto di aggregazione anche etnografico. Incredibile a
dirsi, ci sarò passato davanti mille volte e non mi ero mai accorto
dell'esistenza di questo locale proprio ai bordi del Parco Cassinis. Sono tra i
primi ad arrivare, e cerco di stemperare la mia tensione ascoltando un po' di
musica, facendo qualche battuta con altri veterani del MOO o prendendo un po'
in giro coloro che sembrano essere all'esordio. Arrivano Claudia, Maria ed
Antonella direttamente dal Trentino, tre campionesse con carta e bussola in
mano e con medaglie di titoli italiani al collo, e la loro domanda "Ma le lanterne? E come si punzona?"
solleva qualche occhiata perplessa da parte di chi ci è già passato: non ci
sono lanterne, non ci sono punzonature. E' il MOO, bellezze mie! "Ma dove siamo capitate?" esclama
Claudia... ma sono sicuro che anche loro sono tornate a casa contente per
l'esperienza.
Arriva Marco e ci squadriamo
vicendevolmente: io sono praticamente fermo da inizio anno... non sono più I.P.
ma V.I.P. (Vecchio Impiegato Panzottello)! No, non è vero che sono del tutto
fermo... sono andato a correre alla mass start di Taino la settimana precedente
il MOO, e ne ho pagato le conseguenze per vari giorni (oltre ad aver mandato a
Marco il messaggio di abbandonare il sottoscritto al suo destino e trovarsi un
compagno di squadra più valido). Marco, da parte sua, si è allenato come una
bestia per tutto l'inverno: i suoi allenamenti live sul sito del Garmin mi
mostravano galoppate furibonde a 4 minuti al km... almeno fino a pochi giorni
prima del MOO, quando gli è saltato un polpaccio. In pratica siamo due
acciaccati: resta solo da capire se cederà prima il polpaccio di Marco, cosa
che potrebbe succedere anche 100 metri dopo la partenza, o la mia resistenza
fisica (cosa che potrebbe succedere 100 metri dopo la partenza!).
Passano i minuti e si capisce che
la tensione sale, che le battute sono sempre più tirate: vedo le soluzioni
tecnologiche di altri partecipanti e penso "perché non ci ho pensato anche io?". Poi arriva il momento
della presentazione. Remo comincia a spiegare la gara, cala il silenzio rotto
solo da qualche applauso scrosciante: è il "popolo di Remo" che
tributa il giusto rispetto al proprio guru. Basteremmo noi, in una tornata
elettorale, per eleggere Remo almeno ad un Consiglio di Zona dei più
popolosi... Un applauso tira l'altro, un "ooohhh" di sorpresa dietro
l'altro quando Remo illustra le sue "mappe minimaliste", e poi la
frase che tutti stiamo aspettando: "Le mappe sono là dietro!".
Marco parte come una fionda. Io
sono... diciamo più robusto... e nella strettoia di uscita dalla cascina non
voglio travolgere e fare male a nessuno, quindi Marco mi deve aspettare un po'
con la mappa in mano prima di vedermi comparire. Un paio di punti di controllo
e siamo già nel parco Cassinis. Ed io sono già con il fiatone e le pulsazioni a
180! Attorno a me vedo orientisti famosi che mi superano, vedo concorrenti in
tenuta da corsa che mi superano, vedo altre persone in tenuta da domenica a
spasso per vetrine... che mi superano! Vedo bambini e infanti e anche una
famiglia con il passeggino… e mi superano tutti!!! Eppure ce la sto mettendo
tutta... ma è evidente che fin dai primi metri si stanno palesando le mie
evidenti lacune atletiche. Marco macina un punto dietro l'altro ed io cerco di
stargli dietro, tentando di risolvere a mente il sistema di due equazione in
due incognite che ci indica su quale binario troveremo di nuovo Remo e le carte
di gara di tutto il resto del MOO.
Alla fine riuscirò a risolvere il
sistema, ma per un errore di valutazione finiamo (come tanti altri) sul binario
sbagliato: prime manciate di secondi persi. La prima scelta di percorso è
praticamente obbligata: tutti giù alla fermata Rogoredo della linea gialla. Sul
binario c'è praticamente tutto il MOO. Decidiamo di affrontare per prima la
mappa del centro di Milano, una fantastica mappa orientistica nella quale sono
disegnati solo i binari dei tram. Scendiamo a Missori e, mentre Marco annota
diligentemente sul foglio delle risposte le marche di tutti i lucchetti delle
saracinesche di un negozio storico di Milano, io cerco di risolvere l'enigma
del "punto nascosto": si tratta banalmente di tradurre una sequenza
di scarabocchi (numeri in notazione est-araba) in un numero di telefono, poi
comporre il numero (il centralino dell'INPS), ascoltare il nastro registrato
cercando di carpire la voce che recita "premere il tasto..." in una
moltitudine di lingue, ed identificare così una nuova sequenza numerica che,
inserita in un indirizzo web, ci dice dove troveremo il punto non mappato che
da solo vale 100 punti: alla fermata della metro linea verde di Sant'Agostino.
Ok! Seconda scelta di percorso:
maciniamo tutte le lanterne del centro di Milano e decidiamo di approdare alla
fermata della metro verde di Lanza, per scendere a Sant'Agostino e mettere in
saccoccia i 100 punti. Con noi approdano a Lanza altre squadre con tutti quelli
forti: evidentemente hanno fatto la stessa pensata. La metro è... STRACOLMA!
Sarà la settimana della moda, sarà che tutti vanno in centro a fare colazione,
sarà quel che sarà, ma ci ritroviamo pigiati nei vagoni come sardine. Poiché
abbiamo già alle spalle due mappe di gara, non siamo proprio pulitissimi e
probabilmente cominciamo ad emanare un certo olezzo: una signora vestita a
festa e con la puzza (si, ma sotto il naso) si rivolge al marito lamentandosi
per il nostro stato igienico… evidentemente frequenta solo il centro di Milano
e non prende mai il tram numero 15.
Ci sarebbe anche da smarcare un
piccolo task: fare un selfie con Marco, me ed un sedile di colore giallo della
metro, di quelli a forma di onda. Finché un po' di gente non scende a Cadorna,
è impossibile persino mettere una mano in tasca ed estrarre lo smartphone.
Appena scende qualcuno, Marco ed io ci avviciniamo ad un sedile e... "scusi... non è che potrebbe aprire un po' le
gambe così faccio un selfie?". Così parlò Stegal. Nel vagone cala un
silenzio di tomba. Nessuno per fortuna ci picchia.
A Sant'Agostino un altro selfie
da 100 punti e si migra sull'altro binario per tornare in centro. Fermata
Cadorna. Trasferimento sulla linea rossa. Il piano prevede di prendere il primo
treno che passa ed arrivare alla mappa di Piazza d'Armi: da sud se arriva un
treno per Bisceglie, da nord se arriva quello per Rho. Arriva quello per Rho. Si
scende a Lotto e si affronta per prima cosa la mappa multi-piano, un altro dei
gioiellini made by Remo apposta per il MOO.
Poi usciamo "a riveder le
stelle" in piazzale Lotto ed incrociamo le ragazze trentine che ridono e
corrono e sembrano divertirsi un mondo. Sarebbe bello se passasse la 98 che ci
può portare verso Piazza d'Armi, ma il tempo di attesa di 12 minuti è
scoraggiante e la scelta di Marco è lapidaria: via di corsa da Piazzale Lotto a
Piazza d'Armi! Sono 2,3 km. Anche uno dei più forti in gara mi dirà "una scelta un po' hard...". Ma
Marco è in stato di grazia e si mette davanti a tirare, io invece sono in uno
stato tra l'impedito e l'infartuato. Cerco di distrarre Marco rammentandogli un
passaggio da un parcheggio taxi con uno dei quesiti più insidiosi di un
precedente MOO, o indicandogli una ragazza davvero degna di nota che con un
banchetto a bordo strada cerca di accalappiare clienti per qualche offerta di
telefonia mobile, ma Marco tira via dritto come un fuso ed io sono dietro di
lui a rantolare a ritmo sempre più forte.
All'ingresso nell'area dismessa
di Piazza d'Armi, il polpaccio di Marco sembra pronto per il tagliando del
10000 km mentre i miei polmoni non se li filerebbe nemmeno un gatto a digiuno
da una settimana, ma bisogna guardare avanti e buttarsi nella mappa più
orientistica del MOO 2019.
Qui, tra un rantolo e l'altro,
comincio a fare qualche considerazione: le squadre che corrono attorno a noi
sono quelle che avevamo identificato come "quelle forti". E ci siamo
anche noi. Nel mio gergo di commentatore sportivo, è la sindrome del "what
the hell I'm doing here?" che coglie quegli atleti del tipo "non sei il favorito nemmeno se a tutti gli
altri viene la peste bubbonica" che si ritrovano nel risicato
drappello di testa di un Mondiale di ciclismo quando ormai mancano 3 chilometri
al traguardo ed è chiaro che da dietro non rimonta più nessuno (ogni
riferimento all'ultimo mondiale di Innsbruck e al canadese Michael Woods è
puramente voluto).
Lo faccio presente a Marco, e lui
mi risponde di stare concentrato e di non cominciare a gongolare che la strada
da fare è ancora lunga. All'interno della Piazza d'Armi, i punti facili sono
un'altra rasoiata nelle gambe perché si tira dritto senza nemmeno fermarsi, i
punti difficili arrivano come una benedizione perché bisogna fermarsi almeno
qualche secondo a ragionare. Gli attraversamenti degli spazi incolti e le
scalate delle montagnole di terra soffice sono invece delle maledizioni perché
l'ago della benzina scende in zona rossa che più rossa non si può.
Alla fine anche la tortura di
Piazza d'Armi finisce. L'uscita attraverso la cancellata che butta su Via delle
Forze Armate è attraverso un varco largo 25 centimetri al massimo che
servirebbe un escapologo come Houdini per passare (io mi devo liberare dello
zainetto, di parte del vestiario e lasciare giù qualche centimetro di pelle del
torace...). Poi è di nuovo corsa pazza fino alla fermata della metro rossa di
Inganni: davanti a noi c'è uno che fa jogging domenicale, dietro c'è una
squadra tra le più forti (con qualcuno che ha fatto due mondiali di
orienteering in tempi recenti!). Il tizio che fa jogging si volta a vedere noi
che siamo in fila indiana e sembra bullarsi del fatto che è lui che sta tirando
il gruppo... Marco per reazione ingrana una marcia in più (prima era in
retromarcia) ed allunga il passo senza sforzo portandosi in testa al gruppo,
poi si volta e sorride. Dalla squadra appena dietro di me si sente una voce
"Guarda adesso il Galletti come
ride... che Marco aumenta la velocità". Io sto per vomitare. Poi
Marco, senza sforzo, ingrana un'altra marcia e allunga ancora di più. Dalla
squadra che è ancora appena dietro di me la stessa voce dice "Guarda adesso il Galletti come gli bestemmia
dietro... che Marco ha allungato ancora!". Io sto per vomitare di più.
Per fortuna so dov'è la fermata della metro di Inganni e mi do un obiettivo a
breve scadenza: raggiugere la fermata, scendere le scale, infilarmi nei
tornelli, correre fino alla pensilina e
trovare un cestino per vomitare.
Passa la prima metropolitana:
avremmo bisogno di trovare un'altra carrozza con i sedili rossi a forma di onda
(altro selfie) ma è una di quelle vecchio stile. Marco ha una idea da premio
Nobel: scendiamo a Pagano, dove la linea rossa da Bisceglie si incrocia con la
linea proveniente da Rho, ed avremo in pochi minuti un'altra possibilità di
trovare una carrozza che fa per noi e per il nostro selfie. A me non sarebbe
mai venuto in mente... Sfiga: al MOO si iscrivono solo i premi Nobel! Tutti, i
pochi rimasti, ma sono davvero buoni, scendono a Pagano! La seconda vettura che
passa è quella che conta. Selfie, cambio linea a Cadorna e su verso la
Biblioteca degli Alberi tra Garibaldi e Gioia. Altri quesiti, altri sprint. Il
giro sulla mappa questa volta è veramente breve e di nuovo siamo a Gioia,
sempre gruppo compatto, sempre tutti all'attacco nonostante le difficoltà del
percorso.
Il piano prevede ora di spostarsi
a Romolo per cercare di prendere al volo il treno della linea S9 lungo il quale
dovremmo cimentarci con altri quesiti, ma le porte della metropolitana ci si
chiudono in faccia beffarde! Malediciamo quel paio di secondi persi chissà dove
che ci hanno impedito di mettere in atto il nostro piano, e non sappiamo ancora
che invece ci è andata bene: passiamo al piano B. Andiamo sull'altro binario a
prendere la linea gialla. Da qui scendiamo verso sud-est fino a Corvetto. Ho lavorato
in questa zona per anni e so che appena fuori dalla metropolitana potrebbe
esserci una coincidenza con l'autobus 95 che potrebbe farci guadagnare secondi
preziosi (e a me salvare energie preziose) per arrivare in Piazza Angilberto
dove ci aspetta la mappa più spettacolare del MOO. Appena mettiamo fuori il
naso da Corvetto, la 95 è lì che ci aspetta! Due squadre si buttano sul bus, io
ci entro per il rotto della cuffia praticamente in tuffo. Due fermate di 95 per
riposare e lanciarsi sui quesiti della piazza a pois: ci sentiamo forti perché
i pois sono come le caselle di una scacchiera e la mappa è dominata in pochi
minuti.
Ora via di corsa lungo via
Polesine per tornare a Corvetto: il polpaccio di Marco potrebbe fare le
Olimpiadi e a me sembra di aver finalmente "rotto il fiato".
Corvetto, due fermate di metro fino a Lodi e siamo alla pensilina del treno che
ci porterà a Romolo per il viaggio di andata della mappa lungo la linea della
ferrovia S9. Con noi sulla pensilina ci sono tantissime squadre: a parte un
paio di quelle davvero forti e fuori portata, c'è tutto il gruppone degli
immediati inseguitori. La sensazione
"what the hell I'm doing here?" è sempre più forte. L'andata
verso Romolo vede squadre che filmano o fotografano i cartelloni ed i murales a
bordo massicciata per rivedere le immagini e rispondere con calma ai quesiti.
Vede passeggeri extracomunitari inserirsi nella tenzone ed offrire il proprio
aiuto per guardare fuori da qualche parte, anche se non sanno cosa guardare.
Vede un controllore impegnato nel chiedere i biglietti ad alcuni passeggeri
conciati come gente che sta correndo da quattro ore... e nessuno di noi lo caga
nemmeno di striscio!
Una volta arrivati a Romolo, si
tratta "solo" di aspettare il treno del ritorno e fare una seconda
tornata di quesiti. In realtà, la pensilina dove attendiamo il treno sembra la
griglia di partenza del Gran Premio di Montecarlo ma senza le ombrelline: ormai
spazio per fare distacco non ce n'è più, si tratta solo di arrivare a Porta
Romana, precipitarsi fuori verso la stazione della metropolitana di Lodi e
sperare di acchiappare al volo una carrozza. Altrimenti sarà volatissima da
Porto di Mare al traguardo. Marco ed io indoviniamo la carrozza giusta che si
ferma proprio ai piedi della scala che porta in salita a livello strada. Via di
corsa per quanto le gambe possono ancora, evitando un tizio che porta i cartoni
con le pizze, i passanti, le macchine che strombazzano perché qualcuno (io di
sicuro) di è buttato in mezzo alla strada per raggiungere l'ingresso della
metro.
Giù di corsa, tessera Atm sguainata,
tornelli divelti, giù a rotta di collo per le scale... e niente! 4 minuti di
attesa per il primo treno della linea gialla. Arrivano tutti quanti, e sarà
volatissima da Porto di Mare al traguardo: 200 metri da fare tutti di un fiato,
che saranno il momento sportivamente più significativo ma sicuramente meno
inebriante di quasi 5 ore di MOO.
***
Alla fine la classifica dice che
la nostra squadra "Da Moncucco al MOO" si è classificata ottava su
50. Una ottima prestazione per me, ma devo dire che Marco sarebbe stato in
grado di ben figurare con chiunque che non fosse la zavorra che si è portato
dietro per tutti i chilometri percorsi. Il suo polpaccio sembra che lo abbiano
fatto in titanio, io mi appoggio ad uno dei grandi vasi all'ingresso della
cascina e finalmente tiro il fiato. Quando ripeto che Marco, a polpaccio
integro, sarà un serio contender per il campionato italiano a lunga distanza so
di non dire una eresia.
Grazie Marco per avermi dato
ancora una volta fiducia: ti prometto che la prossima volta sarò più in forma
ed allenato (seeeee... credici!).
Grazie anche a tutti gli amici ed
amiche che hanno gareggiato in questo MOO e che mi hanno fatto sentire di volta
in volta artritico, lento, imbranato, caracollante, trotterellante, corridore,
invasato ed ovviamente "what the hell I'm doing here?".
E dulcis in fundo GRAZIE a Remo,
da parte mia e da parte del popolo dei tuoi fedelissimi: il tuo speech ad
inizio MOO andrebbe registrato e lasciato ai posteri. La canzone all'inizio del
pezzo magari la cantiamo tutti insieme l'anno prossimo. Perché io ti do già
appuntamento all'anno prossimo: MOO 2020, anzi "MOO-twenty-twenty"
che sarebbe ancora più cool. Ma il MOO è così cool che da solo basta la parola.
MOO. Aspettando già la prossima
edizione.
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