Stegal67 Blog

Thursday, March 07, 2019

MOO. Basta la parola.

"Ciao vecchia… andate là
Un centralino dell'INPS
Un barile marrone
Un nastro arancioneeeeeee
E poi Graz AlKatz!"
 
Mi sveglio lunedì all'alba, con la musica di "Centro di Gravità Permanente" in testa. Ma le parole del testo non sono quelle classiche della vecchia brétone con un cappello e un ombrello di carta di riso. Non sono nemmeno sicuro di ricordare come mi chiamo, ma ricordo a memoria il numero di una palina dell'ATM, la misura dei faretti, persino il numero di telefono di un tizio che affitta un due\tre locali anche arredati in zona Piazza Angilberto. Il cervello è ancora in modalità MOO. Mi verrebbe da dire "E' il MOO, bellezza, e non ci puoi fare niente!". Ma chi ci vuole fare qualcosa? Sono contento così. Il MOO. Il capolavoro di ReMOO, è tutto MOOlto bello... e adesso basta fare strani giochi di parole.

Se fosse una gara ufficiale della Fiso, sarebbe l'evento dell'anno a mani bassissime. Forse lo è, almeno a giudicare dai commenti di alcuni partecipanti. Nella starting list 2019 troviamo alcuni orientisti forti, qualcuno fortissimo, uno anche ex campione del mondo! E tutti scherzano e ridono prima di partire, ma ammettono di essersi preparati fisicamente e mentalmente per QUESTO evento. Penso a quello che ho fatto io negli ultimi giorni prima del MOO. Quando mai per una gara ho preparato l'attrezzatura necessaria stando attento alla grammatura che mi sarei portato dietro? Cartelletta rigida per scrivere si, cartelletta rigida no (alla fine no). Acqua no, pesa troppo, al limite ci sarà qualche fontana. Barrette si, carbogel meglio: ne porto 5 per 5 ore di gara. Portatessera per la tessera del tram in stile badge aziendale, per limitare al minimo indispensabile il tempo necessario a tirarla fuori dalla tasca ad ogni attraversamento di un tornello. Fazzoletti di carta...? Si, però… vabbé, mi soffio il naso tra le dita (in italiano mi pare che si dica "mi scarnoffio"). Due penne, una matita. Però una matita corta, stile Ikea (alla fine sarà quella dell'Ikea) che pesa meno. Non sto preparando la Marathon des Sables ma siamo lì.
E' il MOO, bellezza! E chi ci vuole fare qualcosa? Anche quest'anno mi lascio travolgere. Passano le ore e sono sempre più ansioso di scoprire cosa ci ha riservato Remo, dove ci manderà. Nei giorni precedenti l'Evento, fioccavano le scommesse... ritrovo al circolo ARCI di Via Oglio? Passaggio sicuro in Piazza Angilberto (con la tentazione di portarsi avanti ed andare a contare tutti i pois bianchi e gialli). Poi magari si scende lungo Viale Omero, Parco Cassinis. Quanto ci vorrà dalla fermata della metropolitana di Porto di Mare a quella di Rogoredo? Google Maps dice 650 metri... converrà tentare la sorte e scendere in metropolitana o lanciarsi senza indugio di corsa lungo Via del Mare? La testa non smette di pensare e di immaginarsi gli scenari più improbabili.

Sabato sera vado a letto e faccio un sogno stranissimo: sono al via di una gara di orienteering che si disputa su un arco temporale di 3 giorni (Remo: non ci provare!), ci sono equipaggi fortissimi (ricordo benissimo di aver visto Daniele Pagliari...) e ci sono squadre composte da alcuni colleghi di lavoro; il regolamento prevede che si possano lasciare indumenti puliti e cibo qua e là lungo il percorso, che si possano prenotare brande per dormire in alcuni punti specifici, anche se non è affatto detto che il percorso ci porterà proprio in quei punti. Nel sogno il mio equipaggio si perde, rimane indietro, passa dai punti dove dovremmo trovare cibo e indumenti puliti quando ormai gli altri concorrenti hanno fatto sparire tutto quanto... ricordo la fatica e la delusione e infine una specie di trafiletto di giornale con poche righe per raccontare che la squadra con i nomi dei miei colleghi di lavoro non aveva concluso la gara, e poco sotto due righe che dicono che il mio equipaggio era arrivato al traguardo: ultimo ma arrivato. E un istante dopo la sveglia.

Mi sveglio e sono già in clima gara, e non sono nemmeno ancora uscito dal letto!

Ritrovo: una cascina in zona Corvetto che fa da punto di aggregazione anche etnografico. Incredibile a dirsi, ci sarò passato davanti mille volte e non mi ero mai accorto dell'esistenza di questo locale proprio ai bordi del Parco Cassinis. Sono tra i primi ad arrivare, e cerco di stemperare la mia tensione ascoltando un po' di musica, facendo qualche battuta con altri veterani del MOO o prendendo un po' in giro coloro che sembrano essere all'esordio. Arrivano Claudia, Maria ed Antonella direttamente dal Trentino, tre campionesse con carta e bussola in mano e con medaglie di titoli italiani al collo, e la loro domanda "Ma le lanterne? E come si punzona?" solleva qualche occhiata perplessa da parte di chi ci è già passato: non ci sono lanterne, non ci sono punzonature. E' il MOO, bellezze mie! "Ma dove siamo capitate?" esclama Claudia... ma sono sicuro che anche loro sono tornate a casa contente per l'esperienza.

Arriva Marco e ci squadriamo vicendevolmente: io sono praticamente fermo da inizio anno... non sono più I.P. ma V.I.P. (Vecchio Impiegato Panzottello)! No, non è vero che sono del tutto fermo... sono andato a correre alla mass start di Taino la settimana precedente il MOO, e ne ho pagato le conseguenze per vari giorni (oltre ad aver mandato a Marco il messaggio di abbandonare il sottoscritto al suo destino e trovarsi un compagno di squadra più valido). Marco, da parte sua, si è allenato come una bestia per tutto l'inverno: i suoi allenamenti live sul sito del Garmin mi mostravano galoppate furibonde a 4 minuti al km... almeno fino a pochi giorni prima del MOO, quando gli è saltato un polpaccio. In pratica siamo due acciaccati: resta solo da capire se cederà prima il polpaccio di Marco, cosa che potrebbe succedere anche 100 metri dopo la partenza, o la mia resistenza fisica (cosa che potrebbe succedere 100 metri dopo la partenza!).
Passano i minuti e si capisce che la tensione sale, che le battute sono sempre più tirate: vedo le soluzioni tecnologiche di altri partecipanti e penso "perché non ci ho pensato anche io?". Poi arriva il momento della presentazione. Remo comincia a spiegare la gara, cala il silenzio rotto solo da qualche applauso scrosciante: è il "popolo di Remo" che tributa il giusto rispetto al proprio guru. Basteremmo noi, in una tornata elettorale, per eleggere Remo almeno ad un Consiglio di Zona dei più popolosi... Un applauso tira l'altro, un "ooohhh" di sorpresa dietro l'altro quando Remo illustra le sue "mappe minimaliste", e poi la frase che tutti stiamo aspettando: "Le mappe sono là dietro!".

E' iniziato il prologo del MOO 2019.

Marco parte come una fionda. Io sono... diciamo più robusto... e nella strettoia di uscita dalla cascina non voglio travolgere e fare male a nessuno, quindi Marco mi deve aspettare un po' con la mappa in mano prima di vedermi comparire. Un paio di punti di controllo e siamo già nel parco Cassinis. Ed io sono già con il fiatone e le pulsazioni a 180! Attorno a me vedo orientisti famosi che mi superano, vedo concorrenti in tenuta da corsa che mi superano, vedo altre persone in tenuta da domenica a spasso per vetrine... che mi superano! Vedo bambini e infanti e anche una famiglia con il passeggino… e mi superano tutti!!! Eppure ce la sto mettendo tutta... ma è evidente che fin dai primi metri si stanno palesando le mie evidenti lacune atletiche. Marco macina un punto dietro l'altro ed io cerco di stargli dietro, tentando di risolvere a mente il sistema di due equazione in due incognite che ci indica su quale binario troveremo di nuovo Remo e le carte di gara di tutto il resto del MOO.
Alla fine riuscirò a risolvere il sistema, ma per un errore di valutazione finiamo (come tanti altri) sul binario sbagliato: prime manciate di secondi persi. La prima scelta di percorso è praticamente obbligata: tutti giù alla fermata Rogoredo della linea gialla. Sul binario c'è praticamente tutto il MOO. Decidiamo di affrontare per prima la mappa del centro di Milano, una fantastica mappa orientistica nella quale sono disegnati solo i binari dei tram. Scendiamo a Missori e, mentre Marco annota diligentemente sul foglio delle risposte le marche di tutti i lucchetti delle saracinesche di un negozio storico di Milano, io cerco di risolvere l'enigma del "punto nascosto": si tratta banalmente di tradurre una sequenza di scarabocchi (numeri in notazione est-araba) in un numero di telefono, poi comporre il numero (il centralino dell'INPS), ascoltare il nastro registrato cercando di carpire la voce che recita "premere il tasto..." in una moltitudine di lingue, ed identificare così una nuova sequenza numerica che, inserita in un indirizzo web, ci dice dove troveremo il punto non mappato che da solo vale 100 punti: alla fermata della metro linea verde di Sant'Agostino.
Ok! Seconda scelta di percorso: maciniamo tutte le lanterne del centro di Milano e decidiamo di approdare alla fermata della metro verde di Lanza, per scendere a Sant'Agostino e mettere in saccoccia i 100 punti. Con noi approdano a Lanza altre squadre con tutti quelli forti: evidentemente hanno fatto la stessa pensata. La metro è... STRACOLMA! Sarà la settimana della moda, sarà che tutti vanno in centro a fare colazione, sarà quel che sarà, ma ci ritroviamo pigiati nei vagoni come sardine. Poiché abbiamo già alle spalle due mappe di gara, non siamo proprio pulitissimi e probabilmente cominciamo ad emanare un certo olezzo: una signora vestita a festa e con la puzza (si, ma sotto il naso) si rivolge al marito lamentandosi per il nostro stato igienico… evidentemente frequenta solo il centro di Milano e non prende mai il tram numero 15.
Ci sarebbe anche da smarcare un piccolo task: fare un selfie con Marco, me ed un sedile di colore giallo della metro, di quelli a forma di onda. Finché un po' di gente non scende a Cadorna, è impossibile persino mettere una mano in tasca ed estrarre lo smartphone. Appena scende qualcuno, Marco ed io ci avviciniamo ad un sedile e... "scusi... non è che potrebbe aprire un po' le gambe così faccio un selfie?". Così parlò Stegal. Nel vagone cala un silenzio di tomba. Nessuno per fortuna ci picchia.
A Sant'Agostino un altro selfie da 100 punti e si migra sull'altro binario per tornare in centro. Fermata Cadorna. Trasferimento sulla linea rossa. Il piano prevede di prendere il primo treno che passa ed arrivare alla mappa di Piazza d'Armi: da sud se arriva un treno per Bisceglie, da nord se arriva quello per Rho. Arriva quello per Rho. Si scende a Lotto e si affronta per prima cosa la mappa multi-piano, un altro dei gioiellini made by Remo apposta per il MOO.
Poi usciamo "a riveder le stelle" in piazzale Lotto ed incrociamo le ragazze trentine che ridono e corrono e sembrano divertirsi un mondo. Sarebbe bello se passasse la 98 che ci può portare verso Piazza d'Armi, ma il tempo di attesa di 12 minuti è scoraggiante e la scelta di Marco è lapidaria: via di corsa da Piazzale Lotto a Piazza d'Armi! Sono 2,3 km. Anche uno dei più forti in gara mi dirà "una scelta un po' hard...". Ma Marco è in stato di grazia e si mette davanti a tirare, io invece sono in uno stato tra l'impedito e l'infartuato. Cerco di distrarre Marco rammentandogli un passaggio da un parcheggio taxi con uno dei quesiti più insidiosi di un precedente MOO, o indicandogli una ragazza davvero degna di nota che con un banchetto a bordo strada cerca di accalappiare clienti per qualche offerta di telefonia mobile, ma Marco tira via dritto come un fuso ed io sono dietro di lui a rantolare a ritmo sempre più forte.
All'ingresso nell'area dismessa di Piazza d'Armi, il polpaccio di Marco sembra pronto per il tagliando del 10000 km mentre i miei polmoni non se li filerebbe nemmeno un gatto a digiuno da una settimana, ma bisogna guardare avanti e buttarsi nella mappa più orientistica del MOO 2019.
Qui, tra un rantolo e l'altro, comincio a fare qualche considerazione: le squadre che corrono attorno a noi sono quelle che avevamo identificato come "quelle forti". E ci siamo anche noi. Nel mio gergo di commentatore sportivo, è la sindrome del "what the hell I'm doing here?" che coglie quegli atleti del tipo "non sei il favorito nemmeno se a tutti gli altri viene la peste bubbonica" che si ritrovano nel risicato drappello di testa di un Mondiale di ciclismo quando ormai mancano 3 chilometri al traguardo ed è chiaro che da dietro non rimonta più nessuno (ogni riferimento all'ultimo mondiale di Innsbruck e al canadese Michael Woods è puramente voluto).
Lo faccio presente a Marco, e lui mi risponde di stare concentrato e di non cominciare a gongolare che la strada da fare è ancora lunga. All'interno della Piazza d'Armi, i punti facili sono un'altra rasoiata nelle gambe perché si tira dritto senza nemmeno fermarsi, i punti difficili arrivano come una benedizione perché bisogna fermarsi almeno qualche secondo a ragionare. Gli attraversamenti degli spazi incolti e le scalate delle montagnole di terra soffice sono invece delle maledizioni perché l'ago della benzina scende in zona rossa che più rossa non si può.
Alla fine anche la tortura di Piazza d'Armi finisce. L'uscita attraverso la cancellata che butta su Via delle Forze Armate è attraverso un varco largo 25 centimetri al massimo che servirebbe un escapologo come Houdini per passare (io mi devo liberare dello zainetto, di parte del vestiario e lasciare giù qualche centimetro di pelle del torace...). Poi è di nuovo corsa pazza fino alla fermata della metro rossa di Inganni: davanti a noi c'è uno che fa jogging domenicale, dietro c'è una squadra tra le più forti (con qualcuno che ha fatto due mondiali di orienteering in tempi recenti!). Il tizio che fa jogging si volta a vedere noi che siamo in fila indiana e sembra bullarsi del fatto che è lui che sta tirando il gruppo... Marco per reazione ingrana una marcia in più (prima era in retromarcia) ed allunga il passo senza sforzo portandosi in testa al gruppo, poi si volta e sorride. Dalla squadra appena dietro di me si sente una voce "Guarda adesso il Galletti come ride... che Marco aumenta la velocità". Io sto per vomitare. Poi Marco, senza sforzo, ingrana un'altra marcia e allunga ancora di più. Dalla squadra che è ancora appena dietro di me la stessa voce dice "Guarda adesso il Galletti come gli bestemmia dietro... che Marco ha allungato ancora!". Io sto per vomitare di più. Per fortuna so dov'è la fermata della metro di Inganni e mi do un obiettivo a breve scadenza: raggiugere la fermata, scendere le scale, infilarmi nei tornelli, correre fino alla pensilina e trovare un cestino per vomitare.
Passa la prima metropolitana: avremmo bisogno di trovare un'altra carrozza con i sedili rossi a forma di onda (altro selfie) ma è una di quelle vecchio stile. Marco ha una idea da premio Nobel: scendiamo a Pagano, dove la linea rossa da Bisceglie si incrocia con la linea proveniente da Rho, ed avremo in pochi minuti un'altra possibilità di trovare una carrozza che fa per noi e per il nostro selfie. A me non sarebbe mai venuto in mente... Sfiga: al MOO si iscrivono solo i premi Nobel! Tutti, i pochi rimasti, ma sono davvero buoni, scendono a Pagano! La seconda vettura che passa è quella che conta. Selfie, cambio linea a Cadorna e su verso la Biblioteca degli Alberi tra Garibaldi e Gioia. Altri quesiti, altri sprint. Il giro sulla mappa questa volta è veramente breve e di nuovo siamo a Gioia, sempre gruppo compatto, sempre tutti all'attacco nonostante le difficoltà del percorso.
Il piano prevede ora di spostarsi a Romolo per cercare di prendere al volo il treno della linea S9 lungo il quale dovremmo cimentarci con altri quesiti, ma le porte della metropolitana ci si chiudono in faccia beffarde! Malediciamo quel paio di secondi persi chissà dove che ci hanno impedito di mettere in atto il nostro piano, e non sappiamo ancora che invece ci è andata bene: passiamo al piano B. Andiamo sull'altro binario a prendere la linea gialla. Da qui scendiamo verso sud-est fino a Corvetto. Ho lavorato in questa zona per anni e so che appena fuori dalla metropolitana potrebbe esserci una coincidenza con l'autobus 95 che potrebbe farci guadagnare secondi preziosi (e a me salvare energie preziose) per arrivare in Piazza Angilberto dove ci aspetta la mappa più spettacolare del MOO. Appena mettiamo fuori il naso da Corvetto, la 95 è lì che ci aspetta! Due squadre si buttano sul bus, io ci entro per il rotto della cuffia praticamente in tuffo. Due fermate di 95 per riposare e lanciarsi sui quesiti della piazza a pois: ci sentiamo forti perché i pois sono come le caselle di una scacchiera e la mappa è dominata in pochi minuti.
Ora via di corsa lungo via Polesine per tornare a Corvetto: il polpaccio di Marco potrebbe fare le Olimpiadi e a me sembra di aver finalmente "rotto il fiato". Corvetto, due fermate di metro fino a Lodi e siamo alla pensilina del treno che ci porterà a Romolo per il viaggio di andata della mappa lungo la linea della ferrovia S9. Con noi sulla pensilina ci sono tantissime squadre: a parte un paio di quelle davvero forti e fuori portata, c'è tutto il gruppone degli immediati inseguitori. La sensazione "what the hell I'm doing here?" è sempre più forte. L'andata verso Romolo vede squadre che filmano o fotografano i cartelloni ed i murales a bordo massicciata per rivedere le immagini e rispondere con calma ai quesiti. Vede passeggeri extracomunitari inserirsi nella tenzone ed offrire il proprio aiuto per guardare fuori da qualche parte, anche se non sanno cosa guardare. Vede un controllore impegnato nel chiedere i biglietti ad alcuni passeggeri conciati come gente che sta correndo da quattro ore... e nessuno di noi lo caga nemmeno di striscio!

Una volta arrivati a Romolo, si tratta "solo" di aspettare il treno del ritorno e fare una seconda tornata di quesiti. In realtà, la pensilina dove attendiamo il treno sembra la griglia di partenza del Gran Premio di Montecarlo ma senza le ombrelline: ormai spazio per fare distacco non ce n'è più, si tratta solo di arrivare a Porta Romana, precipitarsi fuori verso la stazione della metropolitana di Lodi e sperare di acchiappare al volo una carrozza. Altrimenti sarà volatissima da Porto di Mare al traguardo. Marco ed io indoviniamo la carrozza giusta che si ferma proprio ai piedi della scala che porta in salita a livello strada. Via di corsa per quanto le gambe possono ancora, evitando un tizio che porta i cartoni con le pizze, i passanti, le macchine che strombazzano perché qualcuno (io di sicuro) di è buttato in mezzo alla strada per raggiungere l'ingresso della metro.
Giù di corsa, tessera Atm sguainata, tornelli divelti, giù a rotta di collo per le scale... e niente! 4 minuti di attesa per il primo treno della linea gialla. Arrivano tutti quanti, e sarà volatissima da Porto di Mare al traguardo: 200 metri da fare tutti di un fiato, che saranno il momento sportivamente più significativo ma sicuramente meno inebriante di quasi 5 ore di MOO.
***
Alla fine la classifica dice che la nostra squadra "Da Moncucco al MOO" si è classificata ottava su 50. Una ottima prestazione per me, ma devo dire che Marco sarebbe stato in grado di ben figurare con chiunque che non fosse la zavorra che si è portato dietro per tutti i chilometri percorsi. Il suo polpaccio sembra che lo abbiano fatto in titanio, io mi appoggio ad uno dei grandi vasi all'ingresso della cascina e finalmente tiro il fiato. Quando ripeto che Marco, a polpaccio integro, sarà un serio contender per il campionato italiano a lunga distanza so di non dire una eresia.
Grazie Marco per avermi dato ancora una volta fiducia: ti prometto che la prossima volta sarò più in forma ed allenato (seeeee... credici!).
Grazie anche a tutti gli amici ed amiche che hanno gareggiato in questo MOO e che mi hanno fatto sentire di volta in volta artritico, lento, imbranato, caracollante, trotterellante, corridore, invasato ed ovviamente "what the hell I'm doing here?".
E dulcis in fundo GRAZIE a Remo, da parte mia e da parte del popolo dei tuoi fedelissimi: il tuo speech ad inizio MOO andrebbe registrato e lasciato ai posteri. La canzone all'inizio del pezzo magari la cantiamo tutti insieme l'anno prossimo. Perché io ti do già appuntamento all'anno prossimo: MOO 2020, anzi "MOO-twenty-twenty" che sarebbe ancora più cool. Ma il MOO è così cool che da solo basta la parola.
MOO. Aspettando già la prossima edizione.

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