Nelle nebbie del tempo: 21 maggio 2004, il primissimo "MOO"
Milano. Una di quelle sere
nelle quali tornano in mente le parole di Alberto Fortis “Mi piacciono i tuoi
quadri grigi, le luci gialle e i tuoi cortei. Oh Milano sono contento che ci
sei”. In sere come queste uscire dall’ufficio è lieve e dolce come l’ultimo
giorno di scuola prima delle vacanze, ho voglia di fare tutto, di sentirmi vivo
fuori e di sentirmi vivo dentro...
Mi hanno detto che
l’appuntamento è a Porta Ticinese, proprio in mezzo al piazzale. Ma poiché è
una di queste sere strane, io parcheggio l’auto un po’ lontano e poi continuo a
piedi lungo Via Col di Lana, tra i negozi che chiudono lentamente le
saracinesche e i tram che passano portando a casa i lavoratori usciti tardi e
che ancora non trasportano i lupi della notte verso i locali. Infatti sono il
primo ad arrivare al ritrovo.
Ma ecco i miei amici, Remo
e Tatiana. Probabilmente hanno appena finito di fare il giro e di controllare
che tutto sia a posto. Arrivano Oscar, Luca ed Alberto, i vari Stefani,
Emanuela, Paola, Farah con le sue amiche, altri ragazzi che non conosco, il
microcosmo degli Stankanov quasi al completo: ragazze e ragazzi che riescono a
trovare una idea comune del divertirsi e dello stare insieme che va al di là
delle età e della provenienza di ognuno di loro, per questo li invidio molto.
Spiegazioni rapide delle caratteristiche della gara, poi mi ritrovo in mano la
cartina: è un gesto che faccio 60 o 70 volte all’anno, ormai dovrei esserci
abituato.
Non questa volta, però. La
cartina sembra un oggetto strano, che mi lancia strane sensazioni ... come
delle onde ... i rumori li sento attutiti e cambia la prospettiva di ciò che vedo
intorno a me. Non vedo più nessuno, ma ovunque poso lo sguardo, colgo lampi in
bianco e nero, fuori fuoco e sgranati dal tempo. So che devo andare... devo
andare da quella parte, attraverso la strada che non è più una strada; è come
se passassi in un tunnel, in un caleidoscopio, nel mio “stargate”. Non ho ancora
raggiunto il marciapiede opposto ma so che sto puntando verso il piazzale della
chiesa di Sant’Eustorgio, dove ci sono i bambini che giocano a pallone nell’unico
spazio aperto disponibile; non importa se io sono quello che non è capace di colpire
bene la palla, perché la darsena è lontana e non c’è pericolo che i miei tiri a
banana facciano finire la palla in acqua… non importa se c’è Don Nino che viene
fuori a mandarci lontano perché al posto della porticina usiamo l’ingresso piccolo
nella cancellata e ogni tanto la palla finisce contro il portone della chiesa.
Poi esco dal piazzale ed entro
in un altro quadro, mi sto infilando in una stretta viuzza del Ticinese e sto
andando in giro con i sacchetti di riso e di pasta, a fare il fattorino della
drogheria per le signore che si facevano portare la roba a casa... mi sembra di
sentire in tasca il fruscio della prima banconota da 500 lire di mancia, che
sono tornato al negozio come se avessi in tasca i diamanti, ma vergognandomi
perché le 500 lire le avevo avute io e non Pinuccio, l’altro fattorino. I
giardinetti in fondo alla via non c’erano ancora...
Vado avanti e di colpo è
il 1984, sono in Via Correnti e c’è la sala giochi dove andare quando il prof
di ginnastica all’ultima ora ci faceva uscire prima, una partita veloce a “time
pilot” e poi via a pigiarsi sulla 97 per tornare a casa puntuali. Al di là del
portico, all’angolo della strada, c’è ancora il vecchio baretto tre metri per
sei... siamo lì il 12 giugno 1985, seduto attorno ad un tavolino in cinque: solo
in cinque, pochi e maledetti, e stiamo per andare alla palestra dell’Ariberto a
giocare la finale dei campionati studenteschi, senza cambi perché Andrea e Sergio
si sono sbragati in malo modo facendo i cretini in moto per la strada, e sulla
balconata dell’Ariberto non abbiamo nessuno che tifa per noi, perché nessuno
crede che possiamo vincere... l’altro Andrea arriva all’Ariberto con lo
Zundapp, è l’unico motorizzato, è quello ricco col Monclair e le Timberland ma
almeno sa giocare. Noi altri andiamo all’Ariberto a piedi, guardiamo malissimo
l’altra squadra che si è portata pure le cheerleaders, lottiamo per tutta la
partita e alla fine vinciamo di un punto dopo due supplementari ed andiamo a
fare festa da soli sulle note di Don’t You Forget About Me. Ma quando giro in
Via Lanzone sono passati solo pochi mesi, e chi si ricorda più del trofeo? Ci
sono i ragazzi dell’85 per le strade a protestare per lo stato delle scuole
italiane, 17 giorni di fila di scuola occupata, e per la prima volta abbiamo dovuto
organizzarci le lezioni da soli perché ci sono gli esami di maturità e i
commissari se ne fregano se abbiamo saltato la scuola per un buon terzo
dell’anno scolastico, nonostante i gran premi di Formula 1 in tv siano
annunciati dalla sigla “i ragazzi dell’85 e i ragazzi dell’86 – tutti insieme
sulla strada del 2000”.
Non devo aspettare il 2000
per girare attorno al Corso, perché adesso è il ’93: sono già grande e mi tocca
studiare sul serio per laurearmi, anche di sera in osservatorio a Brera che è
il posto più silenzioso e lugubre dove si può stare il sabato sera mentre fuori
c’è la vita; qui invece al posto delle finestre abbiamo i tendoni di plastica
che fanno ululare di più il vento, e se c’è corrente le porte sbattono come in
un film di Dario Argento, e se all’improvviso suona il telefono in laboratorio si
salta sulla sedia con i capelli dritti e la pelle d’oca spessa... meglio
tornare verso casa, passando da Piazza Fontana, che è un luogo che qualcosa rappresenterà
pure nel modo in cui ognuno di noi è cresciuto, nel bene e nel male, anche se
siamo ancora qui adesso a capire cosa è successo veramente e forse nessuno ce
lo dirà mai; meglio tornare verso casa, passando giù per Via Olmetto dove
andavo a portare le buste con i biglietti del Milan e dell’Inter, e questo
succedeva prima che passasse il ciclone di Tangentopoli... e chissà quante
persone sono passate di qua a consegnare qualcosa, senza immaginare che stavano
entrando in una storia brutta, solo perché era il loro turno nel tabellone
delle consegne.
E’ il momento di tornare
verso casa passando per i giardini di Piazza Vetra, la ex casa dello spaccio,
adesso Parco delle Basiliche ma quante volte da ragazzo ho visto arrivare le
ambulanze per portare via i ragazzi per via delle dosi tagliate male, e magari io
avevo in borsa “I ragazzi dello zoo di Berlino” che a scuola ci hanno fatto
leggere nella speranza che qualcuno capisse e non ci cascasse dentro, ma Andrea
Antonio e Pinuccio non ci sono più ... loro quel libro non hanno fatto in tempo
a leggerlo e la lurida maledetta fottutissima neve se li è portati via da
ragazzi, che non è la neve dell’85, quella caduta copiosa che ci faceva dire “torno
a casa a piedi da scuola e speriamo di arrivare”... Voglio andare via da questo
giardino che non mi piace perché è un buco nero nei miei paesaggi, è un quadro
offuscato in cui il mio sguardo si perde in lontananza e non riesce a fissarsi
su nulla, perché da quando Pinuccio se n’è andato dentro lì per me non c’è
davvero nulla che valga la pena di ricordare...
A pochi passi da lì ci
sono le colonne di San Lorenzo, un tram numero 15 che passa per portarmi a casa
e chissà quante volte l’ho preso di corsa, ma questa volta lo lascio passare
perché non ho fretta, non devo andare a casa a studiare, c’è il sole e voglio
sentire il tempo che passa sulla mia pelle e risentire tutti i momenti di
questa giornata, perché ho appena visto il tabellone con i voti della maturità
e per questa volta posso andare a casa orgoglioso del lavoro che ho fatto. E
poi a vedere i risultati c’era anche Alessandra, che è venuta a salutare me
anche se lei la maturità l’ha fatta l’anno scorso, è fidanzata con Andrea e
aspetta un bambino da lui, ma io l’avevo aiutata a preparare greco quando la
maturità toccava a lei, e se ne è ricordata ed è venuta a salutarmi ed è stata l’ultima
volta che l’ho vista, sono convinto che lei non si ricorda più di me, ma io si
perché di quel giorno in cui ho vinto la mia prima battaglia non dimentico
nulla.
Adesso il tunnel si
restringe e in fondo vedo quasi le luci, non è più il bianco e nero di prima,
sono in Corso di Porta Ticinese e là in fondo c’è il mio presente, quello per
il quale vale la pena di vivere tutti i giorni, sento che ho in mano una
cartina e sono felice come un bambino. Intorno a me la gente guarda e non
capisce ma forse percepisce anche solo per un istante che sono felice. Ecco.
Sono tornato dal mio viaggio. Vedo Porta Ticinese e lì ci sono Remo e Tatiana.
Ci metto un po’ a rientrare nel presente perché qualcosa di me è rimasto
agganciato al passato: è il fardello e la piuma che mi porto dietro tutti i
giorni in tutte le cose che faccio. Nel bene e nel male sono passato attraverso
tanti stargate ed ognuno mi ha lasciato una cicatrice, un segno, un capello
bianco ed un sorriso, e stasera ne ho rivissuti tanti... avrei dovuto essere
qui a festeggiare un compleanno (un altro stargate per un amico ed un compagno
di squadra), invece resto sovraeccitato a pensare al regalo che proprio io ho
ricevuto questa sera. Tornare a casa lungo la Col di Lana non mi sembra nemmeno
vero, alcuni negozi sono ancora aperti per il popolo della notte ed i tram
continuano a passare semivuoti perché i lupi si muovono per i fatti loro... per
il mondo sono passate due ore, per me è passato molto di più.
4 Comments:
Grazie Stegal di queste perle, e mi dispiace di non essere milanese per coglierle a fondo. Buon Anno caro grande amico !
👏🏻
Grandissimo Stegal
Augusto
Grandissimo Stegal.
Una trama romanzesca ed un amarcord struggente.
Augusto
Post a Comment
<< Home