Stegal67 Blog

Monday, April 22, 2019

Linee di arresto



Quando ho pubblicato l’ultimo pezzo per il blog, quello dedicato al MOO, avevo già in mente in piano editoriale degli argomenti ai quali avrei dedicato la mia produzione successiva. Avrei voluto dare spazio all’ultima tappa del MOO notturno disputato in Via Candiani, in occasione del quale (finalmente!) sono riuscito a venire a capo della lettura dei QR Code in modo da essere così inserito per la prima volta in una classifica. Poi avrei dedicato qualche parola, ma non tutte sarebbero state simpatiche a dire il vero, alla mass start di Taino: un sabato nel quale prima mi sono incaponito (ma solo per colpa mia) nel percorrere in auto sentieri sterrati nel bosco per trovare il luogo del ritrovo, e poi mi sono incaponito (in ottima compagnia!) a percorrere per un’ora altri sentieri nel bosco nel tentativo di raggiungere la partenza del percorso, non segnalata e persino più ostica da trovare rispetto ad alcuni dei punti sparsi lungo il percorso, almeno quelli che non erano stati ficcati nel verde rognoso reso ancora più impenetrabile dall’inverno clemente. Infine avrei voluto dedicare adeguato spazio alla 3-gare-in-1-giorno di Piacenza, dove avrei voluto rimettere le gambe ma soprattutto la testa in sintonia con le ragazze ed i ragazzi della nazionale, in vista del primo impegno con le gare nazionali coincidenti con la due giorni di Mantova.

In mezzo ai vari impegni, avevo anche trovato il modo di mettere insieme un paio di tappe carine della Milano nei Parchi, sfruttando per l’occasione la possibilità di tracciare percorsi in modalità “quasi micro-sprint”. Purtroppo il piano post-Piacenza ha subìto una imprevista linea di arresto che mi ha portato lontano dai terreni di gara sia fisicamente che mentalmente: ancora oggi, sto guardando al calendario gare con quella pianificazione minima che mi consente solo di non “bucare” le iscrizioni alle gare in tempo utile (o, devo ammettere, anche fuori tempo massimo in un paio di occasioni…).

La prima uscita importante dell’anno è diventato quindi il fine settimana delle gare nazionali organizzate a Castiglione dei Pepoli ed a Pian del Voglio dalla Polisportiva Masi. Un appuntamento nel quale avrei gareggiato (ma in quali condizioni?) sui percorsi Elite sprint e middle, e nel quale avrei cercato di dare il mio meglio (ma, anche qui, con quali motivazioni?) come speaker. Avvicinandomi alla Valle del Sambro, non ero particolarmente tranquillo per nessuna delle due situazioni.

Poi qualcosa di imprevedibile, oppure comincia ad essere troppo prevedibile?, è successo quando l’auto è arrivata in prossimità di Castiglione dei Pepoli, ed abbiamo cominciato a trovare i cartelli indicatori per raggiungere il ritrovo. Ho cominciato a sentire la mente più leggera, le spalle meno cariche dalle tensioni e dalle preoccupazioni delle settimane precedenti, e una volta imboccata l’ultima curva prima del ritrovo ero già in “modalità gara”, incurante del freddo o del pensiero della fatica che stavo per affrontare.

La prima gara del weekend è stata la sprint, alla quale mi sono avvicinato dopo un intenso briefing con Alessio Tenani che con poche ma efficaci parole mi ha descritto lo scenario dell’arena e che cosa avrei potuto tenere d’occhio al momento topico di commentare gli arrivi più importanti. E’ stato in quel momento che, una delle primissime volte nella mia “carriera” ho deciso che mi sarei immediatamente tolto dalla classifica: con gli ultimi due punti della gara non ancora posati, il mio arrivo sarebbe diventato visibile a tutti gli Elite che non avevano ancora raggiunto la zona di quarantena, con conseguente perdita dell’effetto sorpresa che, a conti fatti, qualche vittima l’ha fatta.


Il percorso mi è piaciuto, e tanto! Nonostante la fatica si facesse sentire metro dopo metro (le mie gambe non ne volevano proprio sapere di andare avanti), fin dal primo punto ho capito che Lucia ed Alessio avevano attinto a piene mani dal loro bagaglio di esperienze internazionali di gare sprint, e che ad ogni punto mi sarei trovato di fronte a quelle scelte di percorso che poi Alessio puntualmente analizzerà nel blog sprintorienteering.blogspot.com con tanto di lunghezze a confronto, tempi dei migliori e via discorrendo. Un percorso lungo il quale la strada più evidente per andare da un punto all’altro non si è quasi mai rivelata essere quella diretta.

(da qui in avanti c’è la descrizione del mio percorso punto per punto: può interessare solo un amante dell’orrido, o chi soffre irrimediabilmente di insonnia, o infine chi trova un morboso piacere nel leggere gli allegati alla Gazzetta Ufficiale)

Dopo aver puciato i piedi nell’area grezza per andare alla 1, ho optato per fare tutta la scalinata da fondo a cima per andare alla 2 (ed improvvisamente mi sono sentito come se fossi ancora a Mantalcino), per poi ripercorrerne metà per andare alla 3. Su per le scale e poi giù per le scale e poi ancora una piccola salita per andare alla 4, da dove sono uscito in direzione sbagliata di 180° (andando in discesa, anziché in salita) fino a ritrovarmi in piazza! In questi casi il terrore arriva dalla possibilità, mai remota, di ritrovarmi faccia a faccia con qualche orientista… Risalgo rabbiosamente lungo le scalette fino alla strada, solo per il gusto di togliermi le orecchie da asino che mi sembra di sentir crescere ogni volta che faccio una cappella del genere, punzono il punto 5 e mi lascio andare in discesa lungo la strada, incrociando i passi della tracciatrice che sta facendo un ultimo controllo del percorso. Per fare la tratta 8-9 ci sono almeno 6 scelte di percorso diverse: io probabilmente prendo la peggiore di tutte, continuando a correre lungo la strada verso nord-est e poi salendo i vari livelli lungo la stradina a zig-zag; nella piazzetta tra la 9 e la 10 ci sono già i vigili ed i volontari della protezione civile che deviano il traffico e, al mio passaggio, si chiedono se la gara è già cominciata…

Subito dopo aver punzonato la 10 subisco una imboscata dalle scalette a chiocciola in cemento che si protendono sopra di me mentre, ingobbito a studiare la scelta successiva, comincio a girare attorno all’edificio. Da qui comincia una parte ancora più divertente del percorso: la 11 la affronto girando in senso antiorario, scendendo lungo la stretta via che si conclude con le scalette; per la 12 ritorno sui miei passi verso nord-est perché non mi accorgo subito che l’unico modo per arrivare al piazzale sono le scalette che scendono da un livello all’altro. La 13 sta a 50 metri in linea d’aria dalla 12, ma a conti fatti bisogna fare il giro di mezzo quartiere: io scendo le scalette verso nord, imbocco la corsia a forma di uncino che porta al parcheggio, salto dall’uno all’altro dei muretti grigi cercando di mettermi in mostra davanti ai cameramen che riprenderanno quella parte della gara (e che giustamente non mi si filano nemmeno di striscio…) per poi imboccare la stradina che porta nella zona della scala a chiocciola su cui si era dilungato il bollettino di gara. Scala a chiocciola che diventa l’ovvia soluzione per arrivare alla 14, e sono gli ultimi metri di salita. Da lì infatti si tratterebbe solo di lasciar andare le gambe fino alla 15, ma sono ormai in debito di ossigeno e sbaglio l’ingresso alla 15, infilandomi nel primo pezzo di cortile che è sbarrato da un bel recinto non attraversabile. La prima discesa verso la 16 la faccio “a culo”, nel senso che appena metto il piede sull’erba tiro una pattinata che mi fa arrivare in tempo record contro “la siepe che il guardo esclude” a ridosso del primo condominio. Seconda discesa a rotta di collo, terza discesa a rotta di collo e vedo i tetti dei camper che stazionano nel parcheggio dell’arena. La mia testa dice che appena mi infilo sulla strada devo girare a destra e poi buttarmi nel primo passaggio che trovo ancora a destra, di qualunque passaggio si tratti… ed è quello che faccio anche se per un paio di secondi mi sembra di infilarmi nell’androne nel condominio dove ci sono i citofoni… le voci di qualcuno che sopra di me sta finendo di pranzare sul balcone non mi rassicurano molto, ma basta un attimo ed un filo di esperienza per infilarmi nel sottopasso del garage, trovare la lanterna e dichiarare chiusa la mia competizione.

(fine della descrizione del mio percorso)

La mia giornata, ovviamente, non è ancora finita. Dal tavolo di commento avrò la possibilità di commentare la volata di Samuele Tait verso il penultimo punto di controllo, le vittorie di Tobia ed Elena, le nuove sfide che si svilupperanno lungo l’arco dell’anno nelle categorie giovanili a causa dei cambi di categoria. Quello che percepirò chiaramente sarà però il senso di serenità che mi ha accompagnato durante le due ore e mezza di commento, come se tutte le ombre ed i fantasmi e le preoccupazioni degli ultimi tempi siano rimaste lontane dal gazebo dell’arrivo.

Il giorno dopo, sotto un cielo che promette acqua ma che a conto fatti si lascerà andare a qualche goccia solo al termine delle premiazioni, salgo a ValSerena per affrontare la prima vera gara nel bosco della stagione sportiva. Fa freddo, ma le termiche sono fatte apposta per proteggere anche quelli come me che prendono il largo prima delle 8.30 del mattino e, quando dal furgone della Masi esce la cartina del mio percorso Elite, mi sembra di percepire radiazioni positive.

La prima parte del percorso non mi sembra che nasconda molte insidie: è vero che io mi muovo alla velocità del bradipo, ma per arrivare al primo punto non serve altro che correre lungo la strada fino alla canaletta giusta (perfettamente indicata dal campetto da calcio da un lato e dal recinto della casa dall’altro, risalire la collina tenendo la testa alta fino a sbarcare sulla carbonaia. Per il secondo punto ci sono una profusione di bivi di canalette a fare da mirino, ed io comincio a sentirmi in carta… ma il terzo punto nasconde più di qualche insidia. L’idea originale è quella di prendere il sentiero fino al recinto, e poi di percorrerlo tutto finché non sarò in cima alla collina, da dove non dovrei faticare a vedere dall’alto la carbonaia. Tutto bello, tutto giusto, tutto dal divano di casa. Nella realtà non riesco a percorrere la linea del recinto perché a tratti questo scompare, buttato a terra… il risultato è che perdo di vista la cima della collina, la carbonaia, la curva del recinto ed arrivo clamorosamente al sentiero posto nella parte più a sud della mappa. Come ci sono arrivato senza incocciare nel recinto non lo so, ma so che devo scendere e ritrovare la posizione. Poi succede che è il recinto che trova me:

Impiego una trentina di secondi a staccare il filo spinato dalla gamba e qualche secondo in più per capire che non sono buchi così grossi da impedirmi di proseguire. Terminato il primo loop, salgo a riprendere il sentiero ed arrivo al punto 6 dall’alto: anch’esso come i successivi punti 7-8-9 non è sbagliabile, con tantissimi punti di riferimento, anche se non è facilissimo trovare il paletto che si mimetizza benissimo sul terreno circostante:


Per entrare nel loop 10-13 decido di passare dalla strada ad est: incrocio una macchina della polizia che non mi degna di uno sguardo, ed una della Besanese che non ci pensa nemmeno ad offrirmi un passaggio (me la pagheranno…). Dopo aver trovato in bello stile il punto 10 ed il punto 11, con quel sasso piantato in una posizione innaturale, combino un disastro mancando completamente il punto 12 che non sarebbe sbagliabile nemmeno da un esordiente totale. Mi sembra di trovare altre due piccole piazzole posizionate più o meno nello stesso modo, ma non vedo paletti di sorta. Decido quindi di scendere in bussola verso il punto 13: se lo trovo, vuol dire che con ogni probabilità sono passato dalla carbonaia e non ho visto il paletto… ovviamente sbarco dritto al punto 13, dietro al quale trovo Mattia Greco che sta posando. Il dialogo che ne segue è sintomatico:

Io: “Mattia! Non hai ancora posato il punto nella carbonaia, vero?”
Mattia: “Certo che l’ho posato!

Io: “Ma no, è impossibile, non ho trovato nulla!”

Mattia: “Sarai passato dalla carbonaia più bassa…”

A questo punto dalla mia bocca fuoriescono cattive parole verso alcuni plenipotenziari del Paradiso, ed io riparto con cattiveria verso l’alto… ovviamente in bussola! Ovviamente rimettendo i miei piedi sulle orme che avevo lasciato scendendo! Altrettanto ovviamente, finisco sulle stesse due minuscole piazzole… la lanterna la troverò dopo qualche ulteriore secondo di indecisione, semplicemente perché attorno a me tra avvallamenti, muretti e cambi di vegetazione mancano solo i cartelli luminosi che mi indicano la posizione giusta del punto!

(MiniMe in azione del bosco – si riconosce dai classici pantaloni blu)

Mi rimetto in carreggiata andando alla 15, che non è sbagliabile per chi come me arriva dall’area aperta in giallo. Segue discesa sul culo nel vallone, risalita penosa dall’altra parte e poi si tratta solo di andare verso nord, raggiungere il bivio delle canalette e risalire quella più marcata, tenendo la collina alla propria destra. Quando ormai i piedi non ce la fanno quasi più, il terreno spiana leggermente, la sella che mi porterà verso il punto 15 si vede distintamente, ed i fiorellini gialli che puntellano tutta quella parte di terreno mi fanno pensare che potrebbero fare una brutta fine sotto i piedacci di tutti gli altri orientisti che passeranno da questa parte.

La zona pianeggiante a nord della carta rappresenta un mondo orientistico a parte. Per me è il paradiso: perché è proprio piatta, perché vado addosso ai punti con precisione, perché non capisco come si fa a sbagliare la 17 visto che basta stare a 20 metri dalla strada asfaltata e tenere gli occhi aperti… Tornato al punto 20, ripercorro la sella e la discesa lungo il fianco della collina, e una volta arrivato al sasso mi butto dentro fino all’avvallamento. Segue la parte di percorso che ribattezzeremo in sede di commento il “supergigante”: buttati di traverso, buttati in giù, ributtati di traverso, ributtati in giù! Mentre vado alla 23 ed ho i sette sensi concentrati per non finire lungo, mi imbatto in Mattia che sta finendo il controllo punti e mi lancia un incitamento… che per poco non mi fa venire un infarto perché l’ultima cosa che mi aspetto di sentire in quel punto del bosco (e della mia gara) è una voce umana! Credo di aver anche lanciato per aria la carta per lo spavento!

La risalita sulle rocce per andare alla 24 è un po’ penosa, ma la 25 è una certezza e a quel punto bisogna solo arrivare al sentiero e percorrerlo fino alla curva a gomito dove passa il ruscello… per scoprire solo in quel momento di essere 5 curve di livello sotto al punto di controllo!!! E’ l’ultima punizione prima di arrivare al traguardo, in un tempo solo di poco inferiore all’ora e mezza di tempo massimo, con la prospettiva di essere per la seconda volta di fila oltre il doppio del tempo del vincitore.

(i pantaloni segnati dal volo dopo la 14...)
Riguardo al commento post-mia-gara, posso sicuramente affermare che ancora una volta mi sentirò trasportato in un mondo parallelo, quello nel quale gli orientisti riescono a farmi immergere grazie ai loro sforzi ed alle loro fatiche. A me non resta che immaginare che cosa stanno facendo nel momento in cui il loro nome compare ad uno dei punti radio o al prewarning, e a quel punto dare fiato alla bocca e cercare di esprimere le stesse emozioni che io stesso ho provato qualche manciata di minuti prima.

Nelle classifiche Elite trovo i nomi di ragazze e ragazzi che ormai mi sembra di conoscere da talmente tanti anni che è strano che non siano già passati tra i Master: Erik Nielsen, Lorenzo Bazan e Alessio Dalfollo che fanno il loro esordio nella categoria maggiore, così come Marta Scapin, Melania Tinelli ed Emy Michelin nella pari categoria femminile. Poi guardo le categorie juniores e ci trovo i nomi di atlete ed atleti che sembra che abbiano più anni di esperienza nei boschi che anni sulla carta di identità.

Ho cominciato a raccontare l’orienteering da dietro un microfono talmente tanti anni fa che alcuni dei protagonisti delle gare di ValSerena non erano nemmeno nati, e mi chiedo se tra qualche anno si ricorderanno di quel vecchietto che provava i loro percorsi all’alba per essere in grado di calarsi nel modo migliore nei panni di quell’altro strano personaggio che berciava al microfono in occasione dei loro arrivi.
(Minime lo speaker - con i pantaloni pesanti ed il microfono)
***

Non di sole Coppe Italia vive l’uomo…

La settimana dopo le gare di Castiglione dei Pepoli e ValSerena, ho acchiappato per la collottola una iscrizione al campionato lombardo sprint di Curno. L’anno scorso l’Agorosso aveva piacevolmente sorpreso con la bi-sprint nei quartieri ovest di Bergamo, dove mi ero divertito davvero parecchio. L’unica cosa che avrei potuto chiedere di più alle gare di Longuelo era di eliminare le tirate lunghe alla fine della prima manche… ecco: a Curno sotto un diluvio di pioggia gelida mista a ghiaccio l’Agorosso mi ha accontentato in pieno!

(questa è un’altra BELLA sprint!)

Con una differenza rispetto a Castiglione: a Curno il mio tempo in Elite è solo un terzo in più del tempo del vincitore… e sono ancora qui a rimpiangere i 50 secondi persi per un errore alla 20.

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