Stegal67 Blog

Saturday, July 20, 2019

Estate 2019: primo tentativo di autodistruzione


Ci sono annate che vanno un po’ così così… è proprio vero che quest'anno non riesco a riversare nelle gare la stessa quantità di tempo ed energie che dedicavo nelle stagioni scorse. Parecchie volte quest'anno mi è capitato di cominciare a pensare solo a metà settimana “ok… dov’è che dovrei andare a correre questo fine settimana?”. Ancora meno sono riuscito a prepararmi per le gare stesse: gli allenamenti stanno a zero, la preparazione a secco sulle cartine sta a zero, persino quel minimo di preparazione dell'evento quando sono coinvolto come speaker mi ha visto lasciare lì le cose a se stesse fino all'ultimo momento "tanto poi trovo il modo di cavarmela". Il blog ha latitato e non sono riuscito a trovare grandi stimoli nei risultati di quelli bravi nemmeno per commentare in modo decente e la prima metà di anno sportivo in occasione del pezzo scritto per Azimut.

Però le gare delle prime due settimane di luglio erano state programmate da almeno un anno, e così anche le categorie nelle quali mi sarei cimentato, e anche il fatto che avrei fatto lo speaker: 10 giorni di gare all'alba nei boschi e 10 giorni di commenti alle gare dietro al microfono. Nelle mie condizioni, avrebbe potuto trasformarsi tutto in un disastro. In realtà il tutto è stato solo un autentico tentativo di autodistruzione, fisica e mentale, che in talune occasioni per puro miracolo non si è trasformato in una autodistruzione perfettamente riuscita! Con un piccolo rimpianto: piuttosto che tornare in ufficio, avrei volentieri affrontato anche una terza settimana di gare al limite (o ampiamente oltre) delle mie possibilità.

Prima settimana: 5 giorni d’Italia in Cadore. 
Dato che, come speaker, avevo il semplice compito di affiancare Per Forsberg per qualche sporadico interventi in italiano (il mio inglese non gli piace, e faccio poca fatica a credergli), al momento di fare l’iscrizione avevo buttato lì un “faccio Elite!” senza criterio e senza cervello: l'unico motivo razionale, se ce ne fosse almeno uno, è che con Forsberg al microfono avrei potuto arrivare al traguardo anche a gara già iniziata. In fondo il piano di volo della 5 giorni prevedeva una sprint (sempre fattibile), una long (il duro scoglio) e tre middle che (illuso!) avrei potuto portare a termine in un’ora e mezzo circa. Poi mi sono dimenticato di completare l’iscrizione indicando la categoria! (forse un involontario rigurgito di sanità da parte del neurone del cervello).
Risultato: a 7 giorni dall’inizio delle gare mi chiamano e mi chiedono: “Allora? Che categoria?”. Devono avermi colto in un momento di spegnimento del cervello, perché la risposta è stata ancora una volta la stessa: “faccio l'Elite!”. Oh!: mai nessuno che pensa a contraddirmi...

Già la prima tappa sprint ad Auronzo di Cadore si è rivelata un autentico calvario: il caldo africano che aveva imperversato in settimana a Milano ha avuto il classico colpo di coda nella domenica di Auronzo, soprattutto per me che ho affrontato il percorso alle ore 13, nella più torrida giornata estiva degli ultimi anni. E’ stato come correre in un forno, con l’aggiunta di alcuni hairdryer bollenti puntati direttamente in faccia e sul collo. Ho avuto le allucinazioni per il caldo, mi è sembrato di correre nella colla, e dopo aver superato più per inerzia che per reale volontà atletica le noiosissime  tratte dalla 8 alla 12, ho passato la seconda metà di gara a cercare tutte le fontane posizionate lungo il percorso, per tuffarci il viso e le braccia e per tirare su a manate quanta più acqua gelida potevo buttare sulle gambe e sul tronco.


La continua combinazione di vento bollente e doccia gelata, alla lunga, mi ha procurato un piccolo shock termico che si è sentito evidentemente anche nella successiva cronaca in italiano, raffazzonata e con la bocca impastata, e durante la cerimonia di inaugurazione della 5 giorni in piazza ad Auronzo (che ho lasciato gestire a Forsberg dal primo all’ultimo minuto) fino al definitivo crollo a letto alle 19.30, finalmente con un po’ di fresco ma senza cena.


Tanto il giorno dopo mi aspettava la long distance al Lago di Misurina. Sveglia suonata alle 4.50, alle 6 ero in partenza al lago di Antorno. Ho affrontato la long in modalità “passeggiata in montagna”… nemmeno alla O-Marathon si va così piano! Oltre 3 ore e 20 minuti per completare un percorso da 9,2 km e poco meno di 400 metri di dislivello. Credo che, a conti fatti, potrebbe essere questa davvero la mia ultima long distance in Elite della vita.


Eppure fino al punto 3 è andato tutto bene. La logica del tracciatore Paride Grava prevedeva di usare i primi 3 punti per studiare la lunga tratta 3-4: io devo essere stato uno studente poco diligente perché non ho studiato un cavolo! Infatti sono tornato verso il lago di Antorno, ho fatto tutto il sentiero a bordo palude fino alla curva della strada e poi fino al “casello” che blocca le auto prima della salita alle Tre Cime di Lavaredo. Da lì mi sono buttato un po’ a casaccio nel loop 4-7 facendo tanto ma tanto di quel dislivello in più che sarebbe bastato per un’altra tappa a lunga distanza. Alle 7.40 del mattino sono arrivato più o meno indenne alla 8 e alla 9, in mezzo ad una mandria di mucche incaxxose che mi hanno costretto a girare largo persino per fare un punto di 100 metri! Giunto al punto 9, ho aspettato Paride che stava posando proprio quei punti, ho preso il carbogel e ho girato la mappa per fare una occhiata a cosa mi aspettava nella seconda parte del percorso.



Per andare alla 10 ho attraversato tutta la malga verso sud-est e sono ripassato in zona casello (dove nel frattempo le auto erano aumentate a dismisura). Tutta la seconda parte di gara può essere accompagnata dall’aggettivo “penoso”:
attacco penoso e a casaccio al punto 12, che ho trovato solo dopo aver incrociato il posatore Maurizio Ongania
risalita penosa verso la strada dopo aver trovato il punto 13
risalita penosa (lacrime e tante ma tante ma tante parolacce e pensieri ad alta voce “chi me lo ha fatto fare”) dalla 14 alla strada per andare a bere qualcosa alla fontana posizionata sulla strada tra la 14 e la 15 (l'acqua più buona dell'universo mondo!)


salita penosa lungo il prato nella seconda parte della tratta tra la 18 e la 19, già sotto gli occhi dei primi concorrenti che stavano raggiungendo il lago di Antorno e si chiedevano chi fosse quell'folle con indosso il pettorale già in piena crisi di fatica prima dell'ora zero di partenza (domanda: ma davvero i concorrenti, anche gli ultraottantenni, sono stati mandati in partenza lungo quella salita? Assassini!)
All’arrivo al traguardo non mi aspettava nessuno, e menomale perché ci ho messo 45 minuti a riprendere delle sembianze un minimo umane. La giornata finirà poi sotto la clamorosa grandinata che infliggerà agli ultimi concorrenti in gara una punizione imprevista e immeritata, abbassando la temperatura da “estate torrida” a “l’inverno sta arrivando”. Io non posso fare altro che infilarmi di nuovo a letto presto e cercare di recuperare un po’ di energie.
La sveglia della terza tappa suona alle 5.10. Tanto è middle e la partenza è leggermente più vicina… Il bosco è ancora fresco per la grandinata del giorno precedente, e in alcune zone ci sono delle piccole pozze di ghiaccio che scricchiolano sotto i piedi. I primi due punti sono proprio vicini alla partenza, ed io li faccio bene e mi sento proprio in carta. Metto alla prova la mia sensazione di essere un grande orientista andando alla 3… ed ho la conferma di essere proprio un figo! Ci arrivo dritto con minimi aggiustamenti lungo la tratta, e già mi figuro la possibilità di arrivare al traguardo prima dell’arrivo in zona dei partecipanti alla 5 giorni e con un tempo finalmente decente… solo che alla 4 ho la chiara conferma che le mie abilità orientistiche sono attorno allo zero in una scala “da zero a autentico schifo”. Alla 5 persino lo schifo avrebbe fatto meglio di me, e alla 6 incrocio un paio di escursionisti che risalgono lungo il sentiero a sud della pista da sci e si offrono di cercare insieme a me il paletto, se solo gli faccio capire a che gioco sto partecipando.





Ovviamente sbaglio qualcosa anche alla 7, che è sbagliabile solo nelle condizioni in cui io pratico questo sport (scorgere il solo paletto piantato tra i sassi non è facile, ma io per accorgermi di essere andato lungo devo arrivare fino al sasso a bordo pista, a nord del punto). Per fortuna esiste Marco Bezzi, o qualcuno che va nel bosco a controllare il percorso ed il fettucciamento in stile Marco Bezzi: per andare alla 8 scelgo infatti di salire fino al tornante del sentiero a bordo carta, e da lì si vede distintamente una traccia impercettibile che si inoltra nel bosco, e mi convinco che quella traccia mi porterà dritto al punto senza deviazioni. Così è. La traccia prosegue fino alla 9, che non è peraltro sbagliabile in quanto a due terzi di tratta c’è il primo dei massi “formato condominio” di questa 5 giorni; per scendere alla 10 basta avere un minimo di circospezione (= lentezza, dote in cui sono campione del mondo), per la 11 c’è un comodo sentiero che porta proprio sotto il punto, da dove si sale .ungo la linea di massima pendenza nella direzione indicata da apposito cartello “per le parolacce su da questa parte”.
Quel sentiero fa comodo anche per andare alla 14 (prima discesa con la piccozza ed i ramponi, girando a sinistra dopo i sassi), ma le ultime parolacce bisogna tenerle da parte per andare alla 15 che è ancora una discesa terrificante da usare piccozza e ramponi, dove finisco per trovare la roccia in costa in un punto nel quale si possono tenere le mani davanti a sé appoggiate alla parete di bosco. Il loop finale invece è davvero carino, se non fosse che le energie sono ancora una volta al lumicino e che anche questa volta per terminare una middle mi tocca stare in giro quasi 1 ora e 50 minuti, e meno male che (andando a velocità di lumaca) riesco praticamente ad andare dritto sotto la linea magenta dalla 16 al traguardo (fatto salvo il pezzo 18-19 sul sentiero).

Per la quarta tappa si abbandona la zona del Lago di Misurina e si va verso la zona del Passo Monte Croce Carnico. La mia giornata storta comincia alle 5.15, quando parto da casa dimenticando sia le scarpe da orienteering che la busta che contiene la bussola. L’arrivo a Val Grande è un po’ caotico, in quanto non ci sono indicazioni o cartelli che indicano dove si trova la zona arrivo e quindi devo girare a vuoto per una mezz’ora prima di trovare il posto giusto. Quando mi accorgo che non ho né la bussola né le scarpe, il morale va un po’ a terra… per la bussola rimedio acquistandone una al volo allo shop, con un siparietto degno dell’Ambra Jovinelli tra me ed il venditore austriaco che ho appena tirato giù dal letto del suo van:

“ho dimenticato la bussola, me ne vendi una?”

“si, ok… quando apro il camion te la vendo”

“no, mi serve adesso, puoi aprire il camion per favore?”

“il camion non è ancora aperto, a che ora ti serve la bussola?”

“mi serve adesso… sto partendo adesso!”

Per le scarpe, purtroppo non posso fare molti aggiustamenti. Mi tocca fare la gara con le scarpe da jogging a suola liscissima, ma diciamo che a parte qualche pattinata sul muschio bagnato fino al punto 10 il battistrada non costituisce un problema: il bosco è una autentica foresta che mi ricorda tanto il Cansiglio, i punti vengono via uno dopo l’altro senza particolari patémi d’animo (tanto io sono lento e viaggio sotto la linea magenta…), il fiume è gelato e l’attraversamento dalla 4 alla 5 è solo un assaggio di quella crioterapia che troverà il suo culmine la settimana successiva in Val Venegia. I simboli degli alberi caduti a terra per via della tempesta Vaia sono precisissimi al limite del “cartello indicatore della direzione”.

Fino alla 10, quindi, tutto bene. Per andare alla 11 cominciano le curve di livello, ed allora le scarpe a suola liscissima cominciano a non andare più bene. La 11 e la 12 le faccio in coppia con il posatore Stefano Raus, poi le nostre strade si dividono. La tratta 12-13 è tutto fuorché una tratta da media distanza, ma mi dico che se trovo la 13 il più è fatto… appunto: prima bisogna trovarla. Scollino dalla 12 in direzione est e vado a prendere il sentiero, poi direzione nord, corsetta lungo il sentiero fino alla zona della 13, e poi entro nel bosco per attaccare il punto che è un avvalamentino minuscolo che più piccolo non si può. 20 minuti dopo “credo” di essere ancora in quella zona, ma il punto non l’ho ancora trovato! “Credo”… perché faccio talmente tanti giri su me stesso che potrei essere finito persino in un’altra regione! Forse sono stato corto, forse lungo, forse non l’ho visto, forse ero basso, forse ero alto. Dal momento che non ho alcuna idea di dove sono finito, decido di ritirarmi e scendere verso sud fino alla strada… con il risultato che mi ritrovo ad un minuscolo bivio 12 curve di livello sotto il mio punto di controllo! Controllo con la mia nuova bussola la direzione dei due sentieri (il bivio è proprio quello) e mi rimetto in gara, arrancando faticosamente sui 60 metri di dislivello, usando un albero caduto come “mirino” per il punto e infine trovando il punto finalmente corredato dell’apposito telo bianco-arancione. La tentazione di dargli una pedata come i calciatori con le bandierine del calcio d’angolo è fortissima…

Da lì in poi non è una passeggiata di salute, ma a partire dalla 14 sento distintamente la voce di Per Forsberg al microfono che comincia a raccontare come si dipanerà la gara, lo sento parlare di middle distance e nel bosco mi parte una serie di male parole, la più pulita della quale è “te la do io la media distanza!”. Finale nella zona dei massi fino al punto 20 con i tre massi-autobus parcheggiati uno di fianco all’altro e arrivo a velocità pietosa, con Forsberg che ormai quando mi vede arrivare ha una faccia tra l’incredulo e lo sconvolto, e che ha smesso di scuotere il capoccione fin dalla prima tappa vedendo i miei tempi di gara: anche oggi sono ben sopra le due ore di gara, ed è pur sempre una media distanza!

Per far vedere che sono ancora capace di fare orienteering decentemente, mi resta solo la quinta tappa. Ed è una tappa, finalmente, alla mia portata: la giornata è fresca ed il bosco mi sembra più comprensibile rispetto a quello dei giorni precedenti. Il percorso prevede una salita “micidiale” per andare al primo punto (mani sui fianchi, passo lento e cadenzato, fiatone, sudore a catinelle e parolacce… tutte quelle rimaste) ma dal punto 1 in poi la fatica lascia il posto ad un gran divertimento. Una volta capito che le buche lungo il percorso sono molto più grosse rispetto a quelle che avevo trovato nella quarta tappa, scopro che le gambe sono ancora in grado di correre, ed è proprio quello che riesco a fare nella lunga tratta 4-5 che percorro davvero sotto la linea color magenta, tanto nel bosco non si sono praticamente ostacoli.

Arrivo “abbomba” all’attraversamento della strada dopo la 8, trovo la 9 solo perché il posatore la sta cercando anche lui, e poi viaggio lungo il percorso in pura esuberanza orientistica arrivando addirittura a fare le singole tratte dalla 13 alla 18 in modalità “memory”: sulla 15 incontro uno dei posatori che mi chiede dove ho la mappa ed io rispondo “in tasca!”. Il finale in paese mi consente di mettere su almeno un sorriso dopo la faticaccia di questa 5 giorni, e per una volta anche il tempo di gara è quantomeno paragonabile a quello del penultimo in classifica.



Vengo via da Padola dopo le premiazioni ed i saluti ai grandi meravigliosi volontari della 5 giorni con la sensazione che sono ancora a metà del mio cammino di autodistruzione, ma che le tappe in Cadore e Comelico non mi hanno spezzato… anche se temo che quella long del secondo giorno resterà davvero la mia ultima long in Elite della mia onesta e poco fulgida carriera!


Per il secondo tentativo di autodistruzione, restare sintonizzati su questi schermi: Dolomiti 3+2 Days is coming...

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