Stegal67 Blog

Monday, December 23, 2019

Da Moltrasio a Giussano, passando per le Viote



Dopo il trittico di Folgaria e Millegrobbe, durante il quale mi sembra di aver corso per quattro, la fatica ed il freddo patito si fanno sentire per parecchi giorni nelle gambe e nel fisico. Per tutta la settimana non faccio altro che trascinarmi stancamente dal letto al lavoro e viceversa, e a soli sette giorni di distanza mi presento a Moltrasio in condizioni atletiche pietose: il tracciato, sempre impegnativo, disegnato tra i vicoli del paesino arroccato sulla sponda del Lago di Como fa la maggior parte del lavoro sporco, ma io ci metto del mio collezionando una serie di svarioni che mi costano dislivello inutile, fatica supplementare, tempo perso, motivazione che piano piano scende sotto i piedi. Poi, nel post gara, anche la pressione finisce sotto i piedi e mi ritroverò sdraiato su un materassino a cercare di ridare colore al mio viso biancastro

(no comment!!!) 

Dopo un fine settimana di stacco completo, cerco di ritornare ad uno stato di forma appena appena decente per il fine settimana di fine settembre durante il quale è prevista la due giorni in Bondone, con la sprint a Candriai e la long alle Viote. In occasione di questa seconda gara assecondo un mio vecchio detto che dice che quando tracciano Bezzi o Rinaldi bisogna scendere di un paio di categorie (tre se la gara è “made by Nirvana Verde”). Ok che alle Viote non traccia Rinaldi, ma lo stile del Trent-O è sempre quello del maestro Andrea, le distanze pubblicate sono davvero impegnative, ed il sole sale in cielo ad un orario che mi rende impossibile anche solo pensare di poter fare l’Elite (sempre se ci sarà il sole…).

Nel sabato di Candriai mi va storto quasi tutto, a cominciare dal viaggio da Milano che incontra una apocalisse autostradale dietro l’altra. Nonostante la partenza prestissimo da Milano, arrivo in zona gara appena in tempo per cambiarmi e fare il giro-speaker, ma non ho il tempo di leggere il comunicato gara: cosa che invece avrebbe fatto tutta la differenza del mondo, perché era stato espressamente raccomandato ai concorrenti di indossare scarpe con un buon grip o tasselli o tacchetti. Io parto con le mie Pegasus dalla suola liscia come il culetto di un bambino, e al secondo punto sono già finito a terra due volte.


La mia gara prosegue andando dalla 3 alla 5 ma PASSANDO DAVANTI alla 4 senza punzonarla, con successiva pietosa risalita alla 4 condita da un costante borbottìo di brutte parole indirizzate solo a me medesimo. Poi è un inutile costante tentativo di stare in piedi sui prati in pendenza, tentativo “condito” inizialmente da un continuo ripetermi “non scivolare, non scivolare… NON SCIVOLARE!” (segue l’inevitabile scivolata). Infine mi arrendo all’ineluttabile: affronto i prati in pendenza sapendo già che finirò per terra e cerco solo di individuare il punto meno pericoloso per finire a terra (vedi discesa per la 6, la 12 – 13- 14). La gara di Candriai è old-style e affascinante al tempo stesso, e riporta i velocisti su terreni cui ormai siamo poco abituati, niente dedalo di viuzze in un borgo medioevale, niente labirinti costruiti dall’uomo ma terreni aperti e boschetti, aree private di forma irregolare e stretti passaggi nella vegetazione fitta (dove ho già letto questo commento???).

La domenica delle Viote comincia con la ormai consueta pantomima che caratterizza parecchie mie uscite all’alba dai vari hotel, pensioni, ostelli, cucce varie: la sera precedente mi assicuro che chi mi ospita abbia capito che me ne andrò prestissimo, che vorrei poter mangiare qualcosa, che non importa se è qualcosa di messo lì la sera prima… il mattino dopo non trovo nulla, non posso mangiare nulla e vado nel bosco a digiuno.


La prima parte del percorso non è nemmeno troppo complicata: occorre seguire i pratoni facendo scelte di pura sicurezza, le gambe girano poco, le balle girano un po’ di più quando incrocio un paio di cacciatori che si mostrano un po’ infastiditi nello scoprire che da lì a poco partirà una gara di orienteering con parecchie centinaia di iscritti. Quando arrivo al punto 7, dopo una salita davvero impegnativa, sono in debito di idee e di ossigeno nel cervello: anziché salire verso sud scendo lentamente verso sud-est e, quando vedo il sentiero forestale, capisco che dovrò fare il giro del fullo per arrivare alla 8, ma in fondo anche questa si rivelerà una scelta in sicurezza. Il finale nei pratoni è ancora pura fatica, sempre poca roba rispetto a quella dei\delle Elite per i quali la gara long distance fa vestire i panni dell’epica sportiva (…) lo spettacolo è tutto nel passaggio dal traguardo a tre quanti di gara, dove molti Elite arrivano già sfiniti e manca ancora una mezz’ora abbondante di fatica, gli applausi e gli incitamenti non mancano anche se i volti degli atleti coprono tutta la scala del dolore da “stanco” a “sconvolto” passando per “sfinito” (dove ho già ri-letto questo commento???).

Per quanto io non abbia corso l'Elite, capita che il digiuno e la fatica ed il freddo ci coalizzano ai miei danni per farmi partire i crampi più assurdi della mia carriera orientistica (qualcuno ha mai avuto contemporaneamente i crampi al tricipite, al quadricipite e al polpaccio di entrambe le gambe???)
Si tratta comunque di un altro fine settimana degno di nota, ma le energie tornano sotto il livello di guardia e me ne accorgerò ancora una volta il fine settimana successivo, a Giussano, dove non riesco a mettere insieme una frazione di gara degna di questo nome


Con queste premesse, l’approssimarsi delle gare successive in calendario diventa un po’ ansiogeno: sono in programma infatti le due staffette sprint relay regionale e nazionale, ed è annunciato da uno squillo di trombe il rientro alle competizioni con l'Unione Lombarda di Marco “Rusky” Giovannini nel team con Stegal. Marco si sta allenando come una bestia da mesi, e non ne fa mistero perché ogni volta mi manda il resoconto dei chilometri percorsi e della media oraria, senza dimenticarmi mai che non posso osare di presentarmi al via in condizioni meno che perfette…
(continua)


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