Da Moltrasio a Giussano, passando per le Viote
Dopo il trittico di Folgaria e Millegrobbe, durante il quale
mi sembra di aver corso per quattro, la fatica ed il freddo patito si fanno
sentire per parecchi giorni nelle gambe e nel fisico. Per tutta la settimana
non faccio altro che trascinarmi stancamente dal letto al lavoro e viceversa, e
a soli sette giorni di distanza mi presento a Moltrasio in condizioni atletiche
pietose: il tracciato, sempre impegnativo, disegnato tra i vicoli del paesino
arroccato sulla sponda del Lago di Como fa la maggior parte del lavoro sporco, ma
io ci metto del mio collezionando una serie di svarioni che mi costano
dislivello inutile, fatica supplementare, tempo perso, motivazione che piano
piano scende sotto i piedi. Poi, nel post gara, anche la pressione finisce
sotto i piedi e mi ritroverò sdraiato su un materassino a cercare di ridare
colore al mio viso biancastro
(no comment!!!)
Dopo un fine settimana di stacco completo, cerco di ritornare
ad uno stato di forma appena appena decente per il fine settimana di fine
settembre durante il quale è prevista la due giorni in Bondone, con la sprint a
Candriai e la long alle Viote. In occasione di questa seconda gara assecondo un
mio vecchio detto che dice che quando tracciano Bezzi o Rinaldi bisogna
scendere di un paio di categorie (tre se la gara è “made by Nirvana Verde”). Ok
che alle Viote non traccia Rinaldi, ma lo stile del Trent-O è sempre quello del
maestro Andrea, le distanze pubblicate sono davvero impegnative, ed il sole
sale in cielo ad un orario che mi rende impossibile anche solo pensare di poter
fare l’Elite (sempre se ci sarà il sole…).
Nel sabato di Candriai mi va storto quasi tutto, a cominciare
dal viaggio da Milano che incontra una apocalisse autostradale dietro l’altra.
Nonostante la partenza prestissimo da Milano, arrivo in zona gara appena in
tempo per cambiarmi e fare il giro-speaker, ma non ho il tempo di leggere il
comunicato gara: cosa che invece avrebbe fatto tutta la differenza del mondo,
perché era stato espressamente raccomandato ai concorrenti di indossare scarpe
con un buon grip o tasselli o tacchetti. Io parto con le mie Pegasus dalla
suola liscia come il culetto di un bambino, e al secondo punto sono già finito
a terra due volte.
La mia gara prosegue andando dalla 3 alla 5 ma PASSANDO
DAVANTI alla 4 senza punzonarla, con successiva pietosa risalita alla 4 condita
da un costante borbottìo di brutte parole indirizzate solo a me medesimo. Poi è
un inutile costante tentativo di stare in piedi sui prati in pendenza,
tentativo “condito” inizialmente da un continuo ripetermi “non scivolare, non
scivolare… NON SCIVOLARE!” (segue l’inevitabile scivolata). Infine mi arrendo
all’ineluttabile: affronto i prati in pendenza sapendo già che finirò per terra
e cerco solo di individuare il punto meno pericoloso per finire a terra (vedi
discesa per la 6, la 12 – 13- 14). La gara di Candriai è old-style e
affascinante al tempo stesso, e riporta i velocisti su terreni cui ormai siamo
poco abituati, niente dedalo di viuzze in un borgo medioevale, niente labirinti
costruiti dall’uomo ma terreni aperti e boschetti, aree private di forma
irregolare e stretti passaggi nella vegetazione fitta (dove ho già letto questo commento???).
La domenica delle Viote comincia con la ormai consueta pantomima
che caratterizza parecchie mie uscite all’alba dai vari hotel, pensioni,
ostelli, cucce varie: la sera precedente mi assicuro che chi mi ospita abbia
capito che me ne andrò prestissimo, che vorrei poter mangiare qualcosa, che non
importa se è qualcosa di messo lì la sera prima… il mattino dopo non trovo
nulla, non posso mangiare nulla e vado nel bosco a digiuno.
La prima parte del percorso non è nemmeno troppo complicata:
occorre seguire i pratoni facendo scelte di pura sicurezza, le gambe girano
poco, le balle girano un po’ di più quando incrocio un paio di cacciatori che
si mostrano un po’ infastiditi nello scoprire che da lì a poco partirà una gara
di orienteering con parecchie centinaia di iscritti. Quando arrivo al punto 7,
dopo una salita davvero impegnativa, sono in debito di idee e di ossigeno nel
cervello: anziché salire verso sud scendo lentamente verso sud-est e, quando
vedo il sentiero forestale, capisco che dovrò fare il giro del fullo per
arrivare alla 8, ma in fondo anche questa si rivelerà una scelta in sicurezza.
Il finale nei pratoni è ancora pura fatica, sempre poca roba rispetto a quella
dei\delle Elite per i quali la gara long distance fa vestire i panni dell’epica
sportiva (…) lo spettacolo è tutto nel passaggio dal traguardo a tre quanti di
gara, dove molti Elite arrivano già sfiniti e manca ancora una mezz’ora
abbondante di fatica, gli applausi e gli incitamenti non mancano anche se i
volti degli atleti coprono tutta la scala del dolore da “stanco” a “sconvolto”
passando per “sfinito” (dove ho già ri-letto
questo commento???).
Per quanto io non abbia corso l'Elite, capita che il digiuno e la fatica ed il freddo ci coalizzano ai miei danni per farmi partire i crampi più assurdi della mia carriera orientistica (qualcuno ha mai avuto contemporaneamente i crampi al tricipite, al quadricipite e al polpaccio di entrambe le gambe???)
Si tratta comunque di un altro fine settimana degno di nota,
ma le energie tornano sotto il livello di guardia e me ne accorgerò ancora una
volta il fine settimana successivo, a Giussano, dove non riesco a mettere
insieme una frazione di gara degna di questo nome
Con queste premesse, l’approssimarsi delle gare successive in
calendario diventa un po’ ansiogeno: sono in programma infatti le due staffette
sprint relay regionale e nazionale, ed è annunciato da uno squillo di trombe il
rientro alle competizioni con l'Unione Lombarda di Marco “Rusky” Giovannini nel team con
Stegal. Marco si sta allenando come una bestia da mesi, e non ne fa mistero
perché ogni volta mi manda il resoconto dei chilometri percorsi e della media
oraria, senza dimenticarmi mai che non posso osare di presentarmi al via in
condizioni meno che perfette…
(continua)
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