Ultimi (inutili) tentativi di autodistruzione – Millegrobbe
E’ trascorso parecchio tempo dall’ultima volta che ho scritto
il blog. Sono successe tante cose, ci sono state tante gare, ogni giorno ha rappresentato una battaglia diversa, orientistica ma anche no, e le energie per scrivere
i miei ricordi sono sempre mancate. Oggi, anziché essere in giro a fare incetta
di regali, ho decido di fare a me stesso un regalo e riannodare i fili delle
avventure degli ultimi 4 mesi. Come sempre (e come quando scrivo i pezzi per
Azimut, che poi magari invece finiscono sul sito Fiso) non so dove mi porterà
il racconto, così come all’inizio di una gara non so mai dove mi porteranno i
tracciati, le lanterne, i miei errori e le mie scelte di percorso. Anche
scrivere il blog è una metafora dell’orienteering, così come lo è la vita.
Una cosa però la so. A fine ottobre ho ricevuto un regalo da
una adorabile famiglia di orientisti, la classica meravigliosa famiglia nella
quale un figlio ed una figlia crescendo vanno sempre più spesso sul podio, una
madre vive una seconda giovinezza atletica e comincia a vincere anche lei, ed
un padre… beh… un padre che pur combattendo al massimo si trova sempre davanti
i soliti noti, i master fuoriusciti dall’Elite se non dalla nazionale, e
finisce per essere quello che durante le premiazioni fa le foto (e, come dice
lo speaker, “la sera gli tocca lavare i piatti”). La maglietta recita: “RUN
FAST, SPEAK FASTER” ed è dedicata all’ori-speaker. La conserverò sempre tra i
miei ricordi più cari.
Il giorno in cui ho ricevuto quel dono (Peschiera – 26
ottobre) la maglietta mi ha fatto pensare che oggi, a quasi 53 anni suonati e
con un rapporto 2:1 peso su vecchiaia, mettere per iscritto i miei ricordi di
concorrente ha sempre meno senso: non sono né Pedro, né Brando, né Teno, e le
mie scelte di percorso talvolta possono essere azzeccate solo perché
l’orienteering a 8, 9 o 10 minuti al chilometro è uno sport diverso da quello
praticato da chi corre a 5, a 4, persino a 3 minuti al chilometro. Ho pensato
che avrei potuto scrivere meglio di cosa vedo da dietro al microfono, o da
dietro una transenna, anziché di quello che vedo attraverso un paio di occhiali
appannati mentre corro… che poi mi tolgo gli occhiali, scopro che non erano
appannati e che era solo la fatica a
farmi vedere tutto nebuloso. Ho scritto così il pezzo per Azimut di fine anno,
che alla fine è risultato troppo lungo ma mi era piaciuto anche se sembrava
scritto da uno che aveva perso il contatto con la realtà.
Poi un giorno…
Poi giorno al traguardo della bi-sprint di Arona, uno dei
ragazzi giovani della vera Elite mi dice “Ehi Stegal! Hai picchiato anche tu duro
oggi!”.
Poi un giorno all’arrivo delle 100 lanterne dicembrine mi sento
dire “Sei riuscito a farne 91? Ma come fai? Non ti alleni mai! Sei grasso!!!
Come ci riesci?”.
Poi un giorno un forte Elite mi ha detto un’altra cosa che
non dimenticherò mai: “Mi sono alzato alle 7.15 e ho guardato fuori dalla
finestra. Pioggia gelida a dirotto. Mi sono detto: questa volta non vado,
questa volta rimango a dormire. Ma poi ho pensato un’altra cosa: a quest’ora
Galletti sarà nel bosco sotto il diluvio da un’ora. E mi sono cambiato per
andare alla gara”. Era il mattino di Millegrobbe, Campionato Italiano Elite.
Allora forse posso continuare a scrivere delle mie gare, allora forse c’è
ancora qualcosa che posso fare.
Forse posso ripartire da dove avevo lasciato il blog.
***
Il fine settimana di Millegrobbe è stato ricco di emozioni,
di fatica, di gioia e di sensazioni indimenticabili. Tutto è cominciato a
Coredo già nella giornata di giovedì, con il sole (il sole???) quando ho visto
che il Gronlait aveva previsto una postazione speaker anche per la gara di
Coppa del Trentino del venerdì a Costa di Folgaria. Rapido conciliabolo con
papà Pezzé e scopro che non si tratta di un refuso: mi aspettano come speaker
anche il venerdì. Quindi parto da casa presto sotto il primo diluvio da tempo
immemorabile, passo da Rovereto dove la mamma è ricoverata da inizio agosto e
la vedo finalmente in piedi! Il mio morale fa un salto in avanti come nemmeno
Bob Beamon a Mexico ’68 e penso che se mia madre si è messa in piedi, io posso
andare a Costa ad affrontare qualunque cosa, compreso il percorso elite ed il
diluvio. Non è un caso se mi presento in partenza in maglietta e calzoncini
dicendo a chiunque e suo cugino “Pioggia? Chissenefrega della pioggia?”.
Il bosco di Costa lo conosco abbastanza bene… lì è dove c’era
il punto della gara del Wolf-O, là siamo passati alla fine di una O-Marathon,
qui è dove Roberta Falda aveva messo i punti a tempo di un trail-O… il percorso
middle di Samuele Tait è be congegnato attorno a due nuvole di punti, e l’ora
abbondante passata in gara va via senza problemi sotto la… pioggia? Quale
pioggia?
Il giorno dopo a Folgaria ci sono i Campionati Italiani
Sprint, e io vorrei fare del mio meglio. Ma la carta di Folgaria è sempre
troppo ostica per me. Sarà che mi presento al via con i postumi di alcuni
bagordi, sarà che Carlo Cristellon ha messo dislivello a profusione ed una
partenza in salita che già mi manda in affanno, sarà che ogni volta che corro
qui mi viene in mente quella volta che provavo da solo, in una Folgaria stile
ghost town, il percorso della prima sprint relay internazionale mai corsa e mi
sono fermato davanti alla chiesa a prendere fiato e studiare la scelta per i
punti successivi e quando dopo 3 secondi ho rialzato lo sguardo c’era davanti a
me Gueorgiou che mi guardava inorridito. Ma da dove cavolo era sbucato fuori?
Da quella volta ho stabilito che Gueorgiou si muove in batch, o come un ninja.
Comunque, salite e svarioni orientistici a parte, da Folgaria
porto a casa una decina di metri percorsi rotolando sulle ciorciole, nella
discesa verso il punto 5, e poi le più grasse risate del 2019 durante la premiazione
della categoria M75: peccato che molti avessero già preso la strada di casa o
del ristorante, ma il numero di Cesare Spacca in stile Cirque du Soleil valeva
il prezzo del biglietto.
Solo che la domenica a Millegrobbe danno pioggia, tanta e
continua. La mia sveglia suona alle 4.45, ma non sono comunque riuscito a
dormire più di tre ore. Per colazione mi hanno lasciato minikrapfen alla crema e polpettine di pollo. Alle 5, nel buio, mi cambio in macchina e imbocco la
strada per Passo Vezzena, Luserna e Millegrobbe. Alle 5.35, puntualmente,
comincia a piovere. Il parcheggio della Malga Millegrobbe è come il lato oscuro
della Luna: buio e silenzioso. Però continua a piovere. Dato che non ha senso
aspettare il chiaro per partire, mi armo di torcia e alle 6 vado verso la
partenza, con il solo aiuto del sentiero alla mia destra che appare appena più
luminoso rispetto al bosco. Alle 6.10, già in zona partenza, incrocio un paio
di fungaioli che si stanno preparando per una battuta di caccia, auguro loro il
buongiorno e per risposta ottengo un peto lungo e fragoroso… andiamo bene! Alle
6.16 parto verso l’ignoto.
Sarebbe una cartina al 15.000, piove e mi sto muovendo con
l’aiuto della torcia. Infatti vado a sbattere dritto contro il paletto
metallico! (Gueorgiou, non sei nessuno!). Ce ne sarebbe già per dire “per oggi
missione compiuta”, ma è solo l’inizio. Per la 2 salgo fino alla strada, la
percorro per qualche centinaio di metri finché la luce della torcia non
inquadra il sentierino che entra da sinistra. Da lì è “ovest”, solo ovest,
nient’altro che ovest. Fino al punto. E’ ancora buio e mi sembra che mi sto
giocando tutte le mie carte migliori…
La 3 diventa quasi banale: davanti c’è la collina e devo
stare solo attento a dove metto i piedi e a stare sulla destra della cima, la
roccia è lì sotto e con essa anche il paletto. Dato che piove sempre ma siamo
alla luce dell’alba, ne approfitto per farmi un selfie che lancio nell’etere
verso gli organizzatori, solo per annunciare che sono partito e che sono vivo e
vegeto e bagnato, sperando che prima o poi ci sia una bava di campo per farlo
partire.
(si vede che sto bene e sono in salute? Ed è solo la 3!)
La 4 è una traversata infinita. Non ci piove (ah ah ah!) che il
modo migliore per arrivare in zona sia ritornare sul sentiero a est, farlo
tutto fino verso nord fino a tagliare a pista e poi scendere verso ovest. Solo
che lì cominciano brutte storie con la pendenza accentuata, il bosco fitto, un
paio di voli a planare faccia in avanti e finisco per perdere parecchi minuti,
ma tanti, navigando tra le rocce sbagliate. La 5 (roccia che fa condominio) e
la 6 riesco a farle bene, ma alla 7 perdo un altro fottìo di minuti ed il
morale va sotto i tacchetti: se non arrivo velocemente al cambio carta sono
guai.
Per fortuna il Dio degli imbecilli torna a guardare verso di
me: il ciotolone della 8 non è sbagliabile nemmeno sotto il diluvio, la 9 la
prendo dal cocuzzolone a bordo sentiero e, camminando e contando i passi, ci
vado a sbattere contro, e quando arrivo a Malga Laghetto con il solo
accompagnamento musicale della pioggia battente, posso permettermi di perdere
qualche secondo a cercare il paletto della 10, che effettivamente non c’è.
Mentre mi allontano lungo la strada asfaltata verso la 11, sento
arrivare una macchina: a quell’ora e con quel tempaccio può essere solo uno dei
posatori. Compare infatti Carlo Cristellon, con il quale faccio il percorso
fino alla 11 (introvabile nel buio… in effetti la trova lui e io mi accorgo che
la sta posando). Intanto il cambio carta ha avuto un effetto secondario insperato:
qualcuno mi ha infilato nella manica un inatteso asso di briscola, che potrei giocarmi se
solo riesco ad arrivare quasi alla fine del percorso.
La mia personale sfida al percorso Elite di Millegrobbe si gioca
tutta sulla tratta 11-12, perché (me lo ripeto da qualche minuto) le altre
lanterne sono in una parte di bosco dove ci sono tanti punti di riferimento (e
l’asso nella manica è lì che attende di essere giocato). La tratta è puramente
fisica, ed io sono in giro già da oltre un’ora sotto il diluvio. Dalla 11 salgo
subito a nord sulla strada, che percorro fino all’imbocco della pista da sci;
in questo frangente incontro due auto: la prima è quella di un comune viandante
che strabuzza gli occhi e probabilmente pensa ad una allucinazione (sono le
7.30, diluvia da far schifo all’arca di Noé e non c’è anima viva in giro oltre
a me bagnato e gocciolante come Calimero dopo il risciacquo in lavatrice): è
comunque davvero gentile perché abbassa il finestrino per chiedere se ho
bisogno di un passaggio da qualche parte (e uno). La seconda auto è la
Schiavi-Cappello-car con a bordo una parte del Team Gronlait: anche loro mi
offrono un passaggio (e due), ma sono arrivato all’imboccatura della pista e
devo declinare.
La pista: dalla strada al sentiero sono 33 curve di livello.
Una follia fatta di scivolate sull’erba bagnata, continue soste per prendere
fiato, punti nei quali mi sono arrampicato a quattro zampe, male parole a me, a
Millegrobbe, all’orienteering, a me, a chi me lo ha fatto fare (cioè me), al
diluvio incessante, a me, a me e ancora a me… si, ok, potevo risparmiarmi
qualche curva se non avessi deciso di attaccare il punto dal sentiero più in
alto, ma questo me lo può dire solo chi guarda la cartina dal divano e
all’asciutto). Diciamo che anche il sentiero per la 12 (poi roccia, collina e
buca che dice “perché non hanno usato me per la posa del punto?”) lo faccio
camminando. Ma è in quel momento che sento per la prima volta che ce la posso
fare a finire il percorso, asso o non asso nella manica. Anche per arrivare
alla 13 faccio tuuuuuutto il sentiero fino al bivio, ma le curve di livello
sono davvero dolci e mi consentono di godermi anche il piccolo traverso dalla
14 alla 14. Per la 15 si segue il moncone di sentierino e poi è solo questione
di fare attenzione, e per la 16 si segue il bosco e stop, perché siamo qui per
fare orienteering e non per correre sui sentieri!
La 18 è messa lì apposta per guidare i concorrenti
all’attraversamento obbligato e… la 18? Come sarebbe a dire la 18? Proprio
così: mi sono dimenticato la 17. Se prima ero abbastanza certo di farcela, ora
vorrei piangere e anche l’asso della manica mi urla che sono un cretino. Si
poteva persino prendere l’autostrada dalla 16 alla 17, e io sono stato così idiota
da andare direttamente alla 18. Ho ancora tempo e ce la posso fare, ma è davvero
l’ultimo errore macroscopico che posso permettermi: scendo in bussola con una
circospezione come raramente ho avuto, perché devo beccare la lanterna al primo
colpo ed avere ancora le energie per risalire una trentina di metri di
dislivello. Per fortuna c’è una zona di alberi abbattuti poso sopra al punto e
li vedo da lontano: “se questi sono gli alberi a terra, là a sinistra c’è la
roccia e dietro ci deve essere l’avvallamento…”. C’è e tiro un sospiro di
sollievo, uno solo perché la stanchezza è tanta e devo affrontare la risalita
alla 18 in modo ancora penoso.
All’attraversamento della strada, prendo l’ultimo carbogel e
cerco di darmi un tono: sono le 8.30 circa e qualcuno potrebbe vedermi dalla
balconata di Malga Millegrobbe. Ma sento solo la pioggia battente sulla malga e
sulla capoccia, unita al sibilo del vento gelido che adesso diventa un fattore
importante perché non ci sono più gli alberi a coprirmi. Scoprirò a distanza di
tempo che in realtà qualcuno mi ha visto davvero passare e ha fatto il tifo,
commentando che stavo ancora correndo abbastanza bene. Dopo la 19 scolastica, arrivo
alla 20 con un po’ di affanno perché la buca compare davvero all’improvviso nel
pratone della malga ed il vento fa davvero male. La 21 diventa pura fatica e
forza di volontà, perché si corre in leggera salita e fa troppo freddo. Infatti
il pericolo è dietro l’angolo: quando punzono la 21 e torno verso il recinto,
ho una crisi pazzesca di freddo: comincio ad avere forti tremori e non riesco
più ad andare avanti; guardo la mappa e non riesco a concentrarmi su nulla,
l’ago della bussola è indistinto dal resto dei dettagli sui quali si posano gli
occhi. Nella testa sta succedendo un grave tamponamento stradale tra i neuroni
rimasti: ognuno urla qualcosa in una lingua diversa e non riesco a mettere a
fuoco un singolo pensiero coerente, che sia legato alla lanterna 22 o al ritiro
o a chissà cosa. Dovrei sapere che da una parte c’è il bosco delimitato dal suo
bel recinto, o poco più in là la strada, e dall’altra parte la malga: per
ritirarmi basterebbe seguire una di queste linee, ma tutto questo mi sembra
confuso. Credo di essere ormai ad una cinquantina di metri dalla lanterna, ma guardando
la traversata 22-23 penso che la cosa migliore da fare sarebbe tornare al
traguardo, senza neppure aver usato l’asso nella manica.
In questo momento qualcuno mi viene in aiuto: indossa un
k-way azzurro e, dal modo in cui corre, lo scambio per Samuele Tait. Nel
delirio di freddo che ha preso anche il mio cervello, una voce riesce a farsi sentire
più forte delle altre: “SEGUI LUI!”. In effetti ci sono in giro i controllori
che stanno completando il loro compito. Raggiungo il punto 22 perché ne vedo
uscire il k-way azzurro, e poi mi lancio con tutte le energie rimaste
all’inseguimento di quella specie di faro per i naviganti sperduti: so che se
mi faccio staccare potrei trovarmi di nuovo in difficoltà, quindi devo tenere
quella figura che corre veloce almeno a vista.
Nonostante le energie al lumicino, e la figura che si
allontana inesorabilmente metro dopo metro, riesco a non mollare. Non saprei
dire esattamente che linea ho seguito nell’attraversamento della malga, ma so
che la figura azzurra sta puntando ad una macchina parcheggiata sul grosso
bivio delle due forestali dall’altra parte della malga, quindi in direzione del
punto 23, e tanto mi basta. Il k-way azzurro si ferma alla macchina, e qualche
secondo dopo ci arrivo anche io e… sorpresa: non è Samuele Tait ma Luigi
Girardi! Che mi accoglie con il suo largo sorriso: probabilmente sono più
simile alla mummia di Similaun che ad una persona normale, e non si è accorto
che ero in giro e che mi ha fatto da punto di riferimento verso la salvezza.
Luigi mi offre di salire in macchina (e tre) per scaldarmi qualche secondo, e
si offre persino di darmi un passaggio verso l’alto.
Ammetto che in questo momento sono stato tentato davvero di
approfittare dell’offerta, ma poi il Chuck Norris che è in me ha pronunciato
“no grazie, se sono arrivato fin qui posso farcela con le mie forze, come
faranno tutti gli altri”. Saluto Luigi e, dal bivio, mi trascino verso ovest
fino al recinto delle mucche dove trovo… stavolta è proprio Samuele Tait, anche
lui bello sorridente (o questi sono sempre sorridenti, o sono le mie condizioni
che fanno ridere) che in assenza di un’automobile mi offre una barretta per ristorarmi.
Ringrazio anche lui, ma lo stomaco non è in condizioni tali da poter assumere
altro. Preferisco contare sull’asso che è lì che aspetta la smazzata giusta per
uscire dalla manica.
Samuele comunque mi da qualche dritta su come raggiungere il
punto, dritta che non ho usato perché avevo già deciso di entrare in bussola
dalla curva ad S del sentiero. Ancora un altro punto, e poi la 24 correndo
lungo il sentiero ed entrando bene nel bel bosco di Millegrobbe fino alla buca:
ora le lanterne hanno il loro bel telo arancione e sono lì ad aspettare me (e
tutti quanti gli altri). E’ il momento di sfoderare l’asso nella manica: punto
25 – una spelonca rocciosa. E questo sarebbe anche il momento per ricordare una
delle storie più gustose della mia carriera orientistica, quella di un
campionato trentino a Millegrobbe in H35, concluso sul terzo gradino sul podio
dietro a Cipriani e Corradini (eestiqaatsi che podio!!!) grazie ad una bella
gara del sottoscritto, grazie a Marco che si autoeliminò non punzonando la 100
al solo scopo di mandare me su quel podio (saremmo stati terzo lui e quarto
io), grazie ad una lanterna molto difficile piantata in una spelonca rocciosa e
grazie a tutto quello che ne seguì che non può essere riportato sul blog (ma il
“Sei forte Giovannini!” pronunciato da un supermaster quel giorno dopo la gara
in segno di dileggio mi fa ancora ridere tanto…). Ho detto “spelonca rocciosa”?
Eccola lì! Stesso punto di quel giorno, stessa direzione di attacco. E, a
distanza di 10 anni, stessa tattica che scrivo a beneficio del grande Luca
Faini (lui si vero Elite) se mai leggerà queste righe: si prende il sentierino
che corre a sud di tutto il recinto, si valica il recinto in prossimità della
piccola zona con gli alberi buttati giù, ci si tiene belli aderenti al recinto
fino all’apertura successiva e da lì “nord!” e si arriva proprio sopra alla
spelonca.
In quel momento rido tanto, sembro un matto e forse lo sono
davvero perché mi fermo a prendere fiato e mando un messaggio a Marco “Sei
forte Giovannini!” (ma lo capirà solo a gara conclusa). Poi resta solo la
fatica di tornare sulla forestale, risalire le ultime 8 curve di livello per
arrivare al punto 26, scendere tra i gradini di roccia fino al punto 27 (il
recinto è un mirino pazzesco per capire dove sta il punto…) e tornare sulla
malga.
All’arrivo non sono molto lucido: mi aspetto una corsia di
arrivo che dalla malga porta perpendicolarmente verso il parcheggio, invece il
gonfiabile del traguardo mi appare sempre di taglio finché non arrivo alla
depressione con l’ultimo punto. Sento le voci degli amici che mi hanno visto
arrivare e mi stanno incitando, e che forse fino ad un attimo prima si stavano
chiedendo dove fossi finito e in quale guaio io mi fossi cacciato… sono viola e
abbastanza in ipotermia, nonostante le TRE termiche. Non oso pensare alle
condizioni delle ragazze e dei ragazzi che sono partiti in canottiera e
calzoncini.
Alla fine verrà fuori anche il sole, proprio all’inizio
delle premiazioni, ma il miglior racconto di una giornata epica resta quello di
Andrea Migliore che ho usato diffusamente anche per il prossimo pezzo su
Azimut http://www.orienteeringbesanese.it/2019/09/17/trashed/
Perché orienteering è anche RUN FAST, TELL IT BETTER!
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😇
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